La ricerca della multipolarità
In questo numero pubblichiamo due articoli su di un argomento che è sempre al centro della nostra attenzione: i rapporti fra grandi paesi imperialistici nel contesto della politiguerra, ossia della concorrenza e della guerra, sia commerciale che guerreggiata. E, all'interno di questi rapporti, l'impossibilità per l'Europa di avere una sua politica unitaria in grado di influenzare gli avvenimenti, tanto sul fronte interno quanto, a maggior ragione, su quello internazionale.
La fine della cosiddetta Guerra Fredda tra due superpotenze con il loro seguito di satelliti ha comportato, più che un mondo egemonizzato da Washington, un nuovo assetto dei rapporti fra grandi paesi. È indubbio che oggi è difficile capire da che parte stiano sia gli ex satelliti degli Stati Uniti che quelli dell'URSS. Cina, Giappone, India, Brasile, Germania o Inghilterra sembrano procedere con la forza d'inerzia delle vecchie collocazioni strategiche, ma la situazione non può più essere "polarizzata" fra due superpotenze come un tempo, e neppure essere egemonizzata dall'unica potenza globale sopravvissuta. Il mondo non è affatto "unipolare", anzi, sembra che ognuno faccia per sé in una guerra di tutti contro tutti.
La Cina è ovviamente uno dei poli, ed è in pieno sviluppo capitalistico, tanto che sta già diventando un agente in senso imperialistico, essendo in grado di muovere in campo internazionale una grande massa di capitale finanziario e anche di far valere, oltre alla sua esuberanza produttiva, una forza armata notevole in quanto a numero di soldati e a risorse tecniche. Ma non è visibile all'orizzonte una polarizzazione politica intorno ad essa. Storicamente è stata infatti nemica della Russia, del Giappone e dell'India, paesi da cui è accerchiata; per cui nascono problemi geopolitici praticamente insormontabili, almeno in Asia, dove il controllo imperialistico è pur sempre legato al nucleo continentale, il leggendario Heartland.
Il Giappone è l'unico paese asiatico che abbia una capacità di proiezione globale della propria potenza. Ha esuberanza di merci, di capitali e di uomini; sarebbe in grado di produrre in brevissimo tempo armi sofisticate capaci di portarlo al rango di potenza mondiale, come prima della sconfitta. Ma è dipendente dalle materie prime, di cui è totalmente privo, e non potrebbe sostenere la propria vocazione oceanica con l'occupazione militare sul continente, come tentò già di fare nella sua storia.
Per quanto al momento le sue forze siano sbilanciate (ha una grande capacità missilistica ma un esercito e una marina in grave crisi), la Russia è ancora una notevole potenza militare, tuttavia non ha mai avuto veramente voce in capitolo come polo imperialistico dal punto di vista produttivo e finanziario; il Rublo non è riconosciuto in campo internazionale e non esiste un surplus di merci e di capitali, di conseguenza le è sempre stata negata una proiezione di potenza a livello globale.
Non abbiamo ancora parlato dell'Europa. Di essa si può dire che è, sì, un continente, ma non è un'entità economica e politica unitaria. Se i maggiori paesi, Germania, Francia, Inghilterra e Italia, hanno politiche del tutto indipendenti l'uno dall'altro, figuriamoci i paesi minori. L'Unione è una metafora e l'Euro è una moneta che serve più che altro ai paesi extraeuropei smaniosi di sganciarsi dal Dollaro. All'interno dei singoli paesi che l'hanno adottato, si comporta come le monete che c'erano prima.
In un tale contesto si inserisce l'insolito discorso del presidente russo Putin allo scorso convegno sulla sicurezza di Monaco. Discorso che ha sollevato qualche stupore e polemica, ma che è stato a nostro avviso del tutto sottovalutato. Infatti non era tanto il presidente russo a parlare, quanto, per sua bocca, uno stuolo di paesi le cui borghesie pensano le stesse cose pur non avendo il coraggio di dirle. In sostanza Putin ha sostenuto che è inutile, da parte degli Stati Uniti e di quel che resta delle loro alleanze, far passare una politica egemonica basata sul concetto di "mondo unipolare". Già dopo la guerra la sola esistenza dell'URSS l'aveva impedito. Oggi vi sono altri impedimenti, molto più potenti di quelli di allora.
Il discorso di un politico lascia in genere il tempo che trova; quando però vi è un subbuglio mondiale che obbliga a registrare alcuni dati di fatto può essere interessante. Un mondo unipolare, dice Putin, sottintende un centro unico, un'autorità decisionale, dotata di forza, l'unica che abbia sovranità. Come se il mondo avesse un padrone. Ma ciò sarebbe contro la democrazia, "perché, come voi sapete, la democrazia è… ecc. ecc.". Gli astanti devono aver fatto un sobbalzo sulla sedia nel sentire da che pulpito veniva la predica. Putin e coloro che l'ascoltavano sanno benissimo che la democrazia è un'astrazione adattabile a tutti gli usi, comunque il messaggio russo è chiaro: gli Stati Uniti sono diventati un paese come un altro, sono "in minoranza", e quindi la smettano di agire come se fossero i padroni del mondo e di dare lezioni di democrazia. Un consiglio paterno: la smettano, perché finiranno per danneggiare sé stessi. Il modello unipolare non solo è inaccettabile per la maggioranza del mondo, ma è "anche impossibile: le risorse militari, politiche ed economiche non basterebbero". Su questo passo a dire il vero un piccolo sobbalzo l'abbiamo fatto anche noi: subito dopo l'attacco a Washington e New York, seguito da quello all'Afghanistan nel 2001 (n+1 n. 6), quando in un delirio di potenza i neocon avevano dichiarato guerra infinita all'universo, avevamo affermato che la potenza da sola non basta, che ci vuole un contesto adatto affinché essa abbia un senso. Gli Stati Uniti non possono invadere il mondo se al mondo non serve. E quando il mondo era bipolare, serviva anche all'URSS, per coltivare le proprie partigianerie.
Persino il diplomatico più incallito, abituato ad ogni contorsione, deve aver dunque sogghignato. Il capo di un paese che aveva invaso l'Afghanistan prima che lo facessero gli unipolaristi di oggi, adesso criticava le "azioni unilaterali, spesso illegittime, che non hanno risolto alcun problema, i conflitti non sono diminuiti e non muoiono meno persone, anzi, ne muoiono significativamente molte, molte di più". L'uso illimitato della forza – è sempre Putin che parla – sommerge il mondo in una guerra permanente. E il mondo non avrà nel suo insieme energia sufficiente per trovare una soluzione a questo crescendo, i cui responsabili mostrano un disprezzo sempre più evidente nei confronti della legge internazionale. In prima fila gli Stati Uniti, le cui leggi interne hanno passato i confini dello Stato per diventare leggi del mondo. È evidente, continua Putin, che a nessuno può piacere ciò. È troppo pericoloso, perché nessuno si sente più sicuro.
Sbaglia ovviamente Putin, come sbagliano tutti coloro che sostengono l'illegittimità delle guerre americane (e fra di essi oggi vi sono anche gli alleati più incalliti degli Stati Uniti, come l'Arabia Saudita). L'America non è affatto al di fuori della legge perché essa stessa fa legge, nel vuoto lasciatole da tutti, paesi o classi che siano. Francis Fukuyama ha un bel dire adesso, dopo un ennesimo milione di morti, che per "fine della storia" non intendeva l'esportazione della democrazia a suon di cannonate e bombardamenti. La sua firma campeggiava nitida fra quella dei più accesi neoconservatori del "Progetto per un nuovo secolo americano", un progetto dichiaratamente contro la vecchia Venere-Europa che non riusciva a capire l'esuberanza di Marte-Washington. La vecchia baldracca − secondo la metafora del neocon Kagan − arranca dietro al cazzuto guerriero, ma in quanto a dominio del mondo, imperialismo, colonialismo vecchio e nuovo è piuttosto navigata: sa che la guerra di conquista non si risolve in fuochi artificiali e che va consolidata con i fantaccini sul terreno, con l'ordine e la disciplina del conquistatore, con le sue leggi, con la sua storia, con il suo sfruttamento. Le Compagnie delle Indie olandesi e inglesi foraggiavano truppe, certo, e ammazzavano indigeni, ma costruivano ferrovie e città, realizzavano piantagioni di tek, mogano, cotone, the, investivano a mezzi secoli, non a pochi minuti come i day traders che trafficano con i derivati davanti a un computer, mille morti ogni click, una missione militare ogni enter. Se si accetta la legge del Far West e dei pistoleri è inutile poi lamentarsi del disordine, delle bische e degli indiani che imparano a sparare.
Secondo Putin vi sono parametri che dovrebbero suggerire agli Stati Uniti un minimo di prudenza, almeno proporzionale al loro vero peso specifico nel mondo: il PIL della Cina e dell'India supera già quello degli Stati Uniti, e se si aggiungono il Brasile e la Russia viene superato anche quello dell'Europa allargata. È tutto vero, ma Putin non dice che proprio per questo gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere "egemonia", non possono ritirarsi in pensione a tagliar cedole. Il mondo non glielo consentirebbe più. Gli Stati Uniti sono costretti a teorizzare l'unipolarismo, perché qualsiasi altra egemonia decreterebbe la loro fine. Per questo scrivevamo nel 2001 che con il maturare dei conflitti maturano le condizioni per una catastrofe dell'intero sistema capitalistico.
Putin naturalmente sa benissimo tutto ciò, ma è costretto a ricorrere alla retorica dell'inutile raccomandazione agli USA perché l'Europa ascolti. Deve preparare il terreno in Eurasia per quando la terribile potenza americana ferita dovrà colpire duro. A Oriente non ci sono alleati possibili per Mosca. E quel che vediamo adesso è solo un pallido esempio di quel che succederà in futuro. La Russia si fa dunque paladina della vecchia Europa che i neocon riempirono di sberleffi quando si defilò dalla guerra irachena. Si permette persino il lusso di rimandare gli sberleffi al mittente, che non avendo "sufficiente cultura politica e rispetto per la democrazia e la legge" non sa far altro che bombardare e sparacchiare in giro per il mondo. Sono minacce che il destinatario accoglie con sufficienza, ma non sono semplicemente un bluff. Il mondo si sta sganciando dal dollaro, e la Russia è in primo piano. Mentre scriviamo si annuncia un accordo con Iran, Venezuela, Algeria e Qatar per un cartello energetico basato sul gas naturale. La Cina ha dichiarato che realizzerà un super-organismo con il compito di investire più razionalmente i mille miliardi di dollari di surplus commerciale e finanziario (abbandonando i buoni del tesoro americani?). La Russia rende noto che le partecipazioni straniere all'estrazione di petrolio sul suo territorio ammontano al 26% del totale, come dire che sono gli altri ad aver bisogno di lei e non viceversa (gli investimenti esteri totali in Russia sono 15 volte quelli russi all'estero). Si sta formando un asse russo-tedesco per gli investimenti industriali in Russia pagati con i proventi di gas e petrolio. La Russia entrerà fra breve nell'Organizzazione Mondiale per il Commercio.
Non passa giorno senza che si legga sui giornali un piccolo ma inesorabile passo verso lo sganciamento del mondo dal contesto che ha permesso finora agli Stati Uniti di dominare come fulcro dell'imperialismo mondiale. E questo mentre masse di uomini cadono in condizioni di vita sempre più precarie, obbligando i governi a prendere provvedimenti per evitare esplosioni sociali, a cominciare da grandi paesi come la Cina e il Brasile. Putin si fa portavoce interessato degli oppressi e denuncia i paesi che devolvono "aiuti" solo per averne un ritorno economico e sviluppare sé stessi, laddove sostengono la propria agricoltura e industria e impediscono l'accesso dei paesi "poveri" alla tecnologie moderne, mentre la miseria alimenta il cosiddetto terrorismo e la destabilizzazione globale.
Non ce lo vediamo proprio lo zar della Russia post-sovietica, abile sfruttatore di tutti i metodi da sbirro imparati al KGB, nelle vesti di missionario umanista in crociata contro la povertà e l'ingiustizia, di fronte a un consesso di briganti della stessa risma. Vediamo piuttosto una fotografia del mondo, scattata certo per interessi specifici russi, ma pur sempre una fotografia efficace: la NATO è uno strumento degli americani, l'organizzazione militare europea (OSCE) non è altro che una sua appendice, l'ONU non ha voce in capitolo, persino le ONG sono manovrate a fini governativi dai paesi più importanti. L'intero sistema internazionale è strutturato in modo da poter interferire negli affari interni degli altri paesi per imporre regimi atti a farli vivere e sviluppare secondo determinate regole.
In conclusione, l'appello di Putin è stato particolarmente chiaro perché Mosca sa bene di toccare un tasto sensibile della politica europea e non solo europea: il mondo è cambiato e sta cambiando ancora, avrebbe bisogno di un governo mondiale, ma non quello del paese più forte. Oggi gli organismi internazionali, a partire dall'ONU, dovrebbero avere un nuovo ruolo, ci vorrebbe un nuovo ordine mondiale guidato da un vero esecutivo sovranazionale. Ma nessun paese potrebbe avere voce in capitolo nel processo della sua formazione se continuasse a delegare la propria sovranità nazionale ad altri paesi. Il mondo ha già sentito più volte questa filastrocca fatta di condizionali. E il processo reale di disfacimento del capitalismo è sempre andato avanti lo stesso, politica o no.
Per questo gli Stati Uniti non si possono fermare. Il loro tentativo di passare dal dominio brutale mediante i più sfacciati paesi-lacché, all'esportazione di democrazia per conquistare un'egemonia carismatica, è fallito in partenza. Nessuno è più disposto a digerire mistificazioni fino a quel punto. Le attuali espressioni dirette di forza militare e ancor più quelle future si producono non nonostante ma proprio a causa della crescente debolezza americana nei confronti del mondo. In mancanza di una sollevazione di classe, o anche solo di reazione anti-americana borghese, gli Stati Uniti continueranno a far vedere i sorci verdi al mondo anche senza avere forze sufficienti − in termini di eserciti e uomini − per controllare direttamente il pianeta. Ecco che allora ritorna non solo il fenomeno della partigianeria ma anche lo spauracchio del terrore atomico. La NATO è diventata un agente globale, mentre era sorta come alleanza regionale. Come fa notare Evgenij Primakov, consigliere militare di Putin, essa agisce secondo una dottrina militare e una filosofia nuove, adatte al dominio di un'America che non vuole impegnare troppi suoi soldati sul terreno. Oltre alle basi americane già presenti o in costruzione nei paesi nuovi membri dell'Unione Europea, vi sono le basi NATO, dato che si tratta di paesi passati dal Patto di Varsavia all'alleanza atlantica; sono basi che ospitano anch'esse forze USA e, in diversi casi, sistemi missilistici offensivi tipici della vecchia guerra fredda. Lo stesso sta succedendo in Asia e in Medio Oriente.