Bordiga e la scienza

Nel vostro libro La passione e l'algebra, in alcuni passi del n. 15-16 della rivista sulla teoria marxista della conoscenza, in Scienza e rivoluzione e in alcuni articoli, affermate che Amadeo Bordiga conosceva bene i fondamenti della scienza della sua epoca e che quindi la sua critica ad essa era fondata su conoscenza diretta. Vorrei aggiungere che allora non dovrebbe trattarsi di critica alla scienza, dato che l'umanità non può che esprimere quello che sa in una determinata epoca in rapporto alla forma sociale; insomma, non potrebbe esservi altra scienza. E neppure potrebbe essere critica alla scienza "borghese" dato che in questo caso l'utilizzo non dipende dalla scienza in quanto tale ma dagli interessi di una determinata classe. In entrambi i casi la critica sarebbe sterile perché colpirebbe dei bersagli scontati. Quindi ho l'impressione che nell'accanimento di Bordiga contro la scienza di quest'epoca vi sia qualcosa in più della "critica".

D'altra parte Bordiga rifiuta la filosofia e la tratta come un ramo morto nell'albero della conoscenza, mentre nel corso del '900 si potrebbe addirittura vedere un salto di qualità della filosofia: in un certo senso risulta verificato l'assunto di Marx, secondo il quale i filosofi sono sempre più costretti a parlare di scienza fino a realizzare un'identità quasi completa tra scienza e filosofia, come dimostrano sia i neopositivisti della scuola di Vienna, sia i vari Kuhn, Popper, Lakatos, Feyerabend e anche Geymonat, maoista politicamente un po' confuso, da voi stranamente recensito.

 

Da qualunque parte si guardi la questione del rapporto di Bordiga con la filosofia, l'arte e la scienza, risulta chiaro che egli salvava l'arte (non si pronunciò su quella contemporanea) e condannava a morte gli altri due rami della conoscenza di quest'epoca. Estremizzando i suoi concetti, cioè sintetizzandoli ancor di più di quanto non abbia fatto egli stesso, possiamo affermare che non credeva possibile, finché durerà il capitalismo, l'esistenza di forme unitarie della conoscenza, cioè artistiche, scientifiche e "filosofiche" nello stesso tempo. Il capitalismo è una società dualistica per sua natura e quindi deve negare nella prassi e nella teoria l'unione di arte e scienza. Se avesse scritto intorno ai filosofi o epistemologi che citi, avrebbe semplicemente detto, con Marx, che la filosofia è stata costretta ad annullarsi nella scienza. In pratica per Bordiga non sarebbe oggi possibile l'integrazione che fu tipica in altre epoche, quelle che espressero un Leonardo o un Galileo.

Di conseguenza la filosofia, ormai giunta a negare sé stessa, schiacciata dalla supremazia della scienza, non ha più senso, mentre la scienza, tronfia del proprio successo totalizzante, s'involgarisce diventando mera tecnologia al servizio della società di classe. Per questa ragione la scienza si piega all'ideologia (non alla filosofia) e cade in una mistica di tipo religioso, inventandosi un mondo dualistico a più livelli: 1) quello della separazione fra scienza e umanesimo (Croce, Gramsci, ecc.); 2) quello della separazione fra materia e spirito; 3) quello della separazione fra mondo visibile e mondo microscopico (quindi fra mondo del determinismo, che viene definito "meccanicistico", e mondo dell'indeterminismo assurto a neo-religione).

Bordiga sembra ricavare la sua granitica certezza sulla decadenza scientifica del capitalismo da una notevole anticipazione epistemologica: il capitalismo è la società più autoreferente che sia mai esistita e perciò non può produrre nuova conoscenza su sé stessa, può solo ripetere gli assiomi maturati durante la propria ascesa. Questa, con altre, è una proposizione talmente importante che va spiegata.

Negli Appunti che abbiamo pubblicato sul n. 15-16 egli accenna all'incompletezza della logica formale e scrive che la logica è piegata dalla scienza e dalla filosofia a servire il pensiero, mentre essa non può che essere derivata dalla realtà che nel pensiero si riflette. Il processo logico del conoscere non può quindi che essere infinito, perché ogni strumento del conoscere è inferiore alla realtà da conoscere (viene fatto l'esempio di un pezzo meccanico di precisione ottenuto con un utensile necessariamente di precisione inferiore, dato che ovviamente esiste prima lo strumento e poi il suo prodotto).

Questo importante concetto si collega a un paragrafo dell'Antidühring, scelto e riassunto da Bordiga fra molti altri, che ci mostra quanto egli fosse attento agli sviluppi scientifici della sua epoca, senza cadere nell'apologia di una scienza "neutrale". L'osservazione sull'incompletezza della logica formale poteva essere formulata da Engels solo sulla base delle conoscenze raggiunte nel suo tempo, ad esempio da Gauss (Engels lo cita per il calcolo a più di tre dimensioni), Bolyai e Lobacevskij, che furono i precursori della geometria non euclidea e intuirono l'impossibilità di dimostrare alcune proposizioni dall'interno di un dato sistema. Ma Bordiga conosceva certamente i nuovi sviluppi del Novecento, e lo si rileva anche attraverso appunti frammentari che dovevano servire alla divulgazione. Bertrand Russel e Alfred Whitehead avevano tentato, negli anni 1910-13, di condurre ad un sistema "finito" tutte le proposizioni logiche che stanno alla base della matematica, riuscendo però solo parzialmente nel loro intento perché dovettero ricorrere ad assiomi ad hoc per rendere conclusive le loro ricerche. Bordiga non avrebbe potuto scrivere quegli appunti se non avesse conosciuto le conclusioni di Russel. E d'altra parte avrebbe certamente utilizzato espressioni meno caute qualora avesse conosciuto i lavori successivi basati sulle premesse del matematico-filosofo.

Fu solo nel 1931, infatti, che Kurt Gödel pubblicò la sua "prova" che dall'interno di un dato sistema non è possibile dimostrare la validità del sistema stesso. E siccome Gödel aveva sviluppato in un articolo le proposizioni formalmente indecidibili contenute nel lavoro di Russel-Whitehead, abbiamo ricavato un'indiretta conferma sia del percorso conoscitivo di Bordiga che della datazione degli Appunti al periodo di Ustica (1926-27).

La nostra ricostruzione, breve per l'importanza del problema e fin troppo lunga per uno scambio di idee come questo, mostra come la critica di Bordiga alla scienza del presente non sia assolutamente paragonabile a quella di tanti critici odierni. I quali stigmatizzano soprattutto l'uso disumano della scienza da parte borghese e al massimo si spingono ad affermare che essa possiede in sé la capacità di dominare l'uomo e di asservirlo, ma sono intimamente convinti che all'interno di questa società la scienza possa essere qualcosa di diverso da ciò che è. Bordiga, al contrario, vede nella scienza attuale un'incapacità intrinseca e insuperabile di capire il mondo e l'uomo che in esso vive; nello stesso tempo ne è affascinato perché vi vede l'unica possibilità di salvezza della specie umana. Come Marx, sottolinea che la vera natura antropologica dell'uomo non è la propria pseudo-umanità tartassata dai rapporti di classe, ma è la scienza, legata all'industria, che lo rende capace di rovesciare la prassi della società cui la natura, anarchica, l'ha condotto.

Il capitalismo è l'ultima società naturale prima di quella umana. È stato un passaggio necessario e ormai compiuto. La soluzione del doppio nodo da sciogliere sta ora nel rovesciamento sociale: la scienza può essere liberata dal suo attuale limite solo abbattendo il capitalismo stesso.

Rivista n. 22