Perché gli agrocarburanti affameranno il mondo

"I fenomeni recenti hanno confermato la dottrina e tutte le sue previsioni. La loro presentazione teorica e matematica, anche nei settori industriali, si compie senza alcuna difficoltà mediante i rigorosi teoremi sulla rendita. Essi furono fin dalla enunciazione applicati non alla sola agricoltura, ma a tutte le forze naturali. Valgono quindi anche per l'economia della macchina a carbone, a benzina, a energia elettrica o nucleare, tutte alla base di sovrapprofitti, monopoli e parassitismi redditieri che aggravano gli scompensi della forma sociale capitalistica".

Da: Mai la merce sfamerà l'uomo, 1953.

Sono praticamente estinti coloro che fino a non troppo tempo fa sostenevano che per salvaguardare l'ambiente era necessario aumentare la produzione di carburanti da "fonti rinnovabili". Che suggerivano di comprare l'olio di colza al supermercato per scolarlo direttamente nel serbatoio dell'auto. Che accusavano i petrolieri di creare disinformazione sugli agrocarburanti per coprire i loro sporchi interessi. Adesso che anche l'ONU ha definito "un crimine contro l'umanità" il piano capitalistico di sfruttamento della terra per la coltivazione di vegetali da etanolo o da biodiesel, si sono riciclati per altre missioni. A differenza dei ben pasciuti piccoli borghesi eco-riformisti, persino i contadini analfabeti hanno capito subito che sarebbe venuto a mancare il cibo e sono scesi in piazza contro i rincari. Adesso piovono i distinguo e le arrampicate sui vetri, ma non bisognava aver pascolato incoscientemente per anni con gli agrari americani o con le nostrane Coldiretti e Confagricoltura per potersi rifare una verginità e predicare che vogliono affamare il mondo. I soliti partigiani sciocchi, adoperati quando servono e buttati via non appena gira il vento. Un momento: buttati via? No, servono ancora, basta un po' di maquillage, come vedremo.

Modelli e previsioni

Lacitazione in apertura è del 1953, quando non esistevano ancora gli ecologisti. Nel nostro inguaribile ottimismo rivoluzionario sostenemmo che la società borghese sarebbe saltata in aria prima di aver raggiunto i propri limiti di sviluppo. Finora non è accaduto, ma è certo che questi limiti esistevano e oggi vediamo che si stanno avvicinando velocemente. Verso la metà degli anni '70 del secolo scorso non aumentò solo il prezzo del petrolio, aumentò anche il prezzo di molte materie prime, soprattutto quelle che rappresentavano la base per il cibo dell'umanità. Alcuni ricercatori (cfr. Meadows) avevano già sostenuto qualche anno prima, sulla base di modelli matematici al computer, che questa società era al capolinea, che ci si sarebbe avvicinati al punto di non ritorno verso il 1975. Gli stessi ricercatori spiegarono in seguito che se il tracollo previsto dai modelli non si era verificato, era perché il sistema-mondo è dotato di potenti capacità di auto-regolazione, in grado di recuperare equilibrio. Comunque le leggi sulle quali i modelli poggiavano non erano smentite, ma nella ricerca degli effetti si sarebbe dovuto tener conto di fattori interdipendenti, che avrebbero reso il modello non-lineare, cioè imprevedibile: si trattava di modelli semplificati che non potevano includere tutte le variabili.

Un modello astratto della realtà ci serve proprio perché la semplifica e ci permette calcoli e previsioni. Se il modello assomigliasse alla realtà caotica ne sarebbe un duplicato e non servirebbe a niente. Sulla base della nostra teoria noi leggemmo questi modelli con altro occhio: essi non erano affatto "sbagliati" e neppure troppo "semplificati", le risposte che davano erano "giuste", soltanto che il capitalismo non era analizzabile con gli strumenti economici che esso stesso produceva, occorrevano strumenti derivati da un livello superiore di società. Ma quei modelli, nati perché si agisse per rattoppare il sistema, potevano essere usati anche per dimostrare la necessità di abbatterlo. Potevano, ma nessuno che all'epoca si dicesse nemico del capitalismo li adoperò e lesse in quel modo.

Vent'anni prima, all'inizio degli anni '50, l'organismo politico rivoluzionario cui riferiamo le nostre stesse origini aveva prodotto un suo modello, basato su parametri analoghi a quelli utilizzati dai ricercatori borghesi, ma molto più semplice e facile da maneggiare anche senza computer:

"Da calcoli sul volume delle materie prime disponibili nei due campi [americano e sovietico], e sull'entità dell'industrializzazione delle zone sottosviluppate del mondo, si presume che la duplice accumulazione capitalistica abbia sicuro sfogo per tutto il prossimo ventennio. Al 1975 deciderà la guerra, o la rivoluzione?" (Dialogato coi morti).

La citazione è del 1956, ma si riferisce a un lavoro sul corso storico del capitalismo avviato qualche anno prima. Si trattava di ricavare una curva della mineralizzazione della società (ovvero della tendenza alla sopraffazione dell'agricoltura da parte delle materie prime minerali) e di prevedere quando la produzione di acciaio, carbone, petrolio o plastica avrebbe superato percentualmente, in termini di valore, quella degli alimenti, rubandogli terreno. Ciò successe molto prima del previsto e in seguito, a metà degli anni '70, esplose la rendita da petrolio e da altre materie prime, compresi i principali alimenti, a scapito del profitto industriale. Il risultato fu che nell'arco di poco tempo i prezzi del petrolio e degli alimentari crebbero del 100, 200, 1.000 per cento, tanto che i governi, quello USA in testa, manipolarono persino le statistiche per evitare che si scatenasse il panico economico (inventarono il concetto di inflazione inerziale, che si calcolava senza tener conto delle variazioni dei prezzi più sensibili).

Al 1975 non decise né la guerra né la rivoluzione, ma la critica degli avversari alla "previsione" non aspettò la fatidica data, si scatenò prima. Tanto che fu necessario ricordare quali metodi fossero alla base delle previsioni nel campo dei sistemi complessi. La nostra pretesa di fare scienza storica, non poteva essere basata sull'indeterminismo oggi di moda, ma sulla sicurezza matematica. La quale non può rivelare la data precisa dell'evento previsto entro una situazione estremamente complessa, ma è

"[…] un espediente per evitare di pigliar cantonate troppo in pieno. È così che a noi parrebbe un gran risultato se si verificasse la pre­visione che la terza guerra mondiale avverrà intorno al 1975, a tre quarti del secolo, anche se non sarà preceduta da una generale guerra civile tra proletariato e capitalismo nei paesi avanzati di Occidente. Nel Dialogato coi morti mo­strammo che in tale profezia collimavano il pensiero di Stalin, quello dell'economista liberale Corbino, e quello della Sinistra Comunista 'italiana'. Naturalmente siamo anche noi influenzati dal modo tradizionale di trattare l'argomento, e come siamo vittime dell'abuso dei nomi dei personaggi illustri, così lo siamo di quello della mania delle date 'matematiche' "(Struttura economica e sociale della Russia d'oggi).

Ricordiamo di sfuggita che oltre al controrivoluzionario Stalin e al liberale Corbino anche i rivoluzionari Lenin e Trotsky avevano in qualche modo fatto riferimento a un evento rivoluzionario entro tempi simili. Vi era dunque una convergenza dettata da condizioni oggettive che influenzavano personaggi di svariata appartenenza politica. Più volte la nostra corrente, negli anni '50, aveva ripreso il responso del "suo" modello che dava una catastrofe a quel periodo. E gli eventi si rivelarono effettivamente di tale portata da cambiare l'assetto del capitalismo giunto alla sua fase suprema (senile). Sbagliava chi vi aveva visto una specie di vaticinio, così come sbagliava chi aveva criticato i modelli borghesi solo perché la loro previsione non si era "avverata". In effetti entrambe le previsioni erano perfettamente in regola con i risultati: la mineralizzazione della società contro il cibo, prevista dal nostro modello era in corso, e anche tutto ciò che i modelli borghesi avevano previsto si era verificato, persino in peggio.

Non si presentarono invece le condizioni né per la Terza Guerra Mondiale, almeno se si hanno in mente i caratteri della Prima e della Seconda, né la rottura rivoluzionaria. Come del resto non si verificò il responso dei modelli borghesi sulla catastrofe ecologico-sociale. Ciò che contava però era la verifica nel campo della scienza storica alla scala delle grandi epoche, in specie con riferimento al capitalismo: estrapolando dal lavoro sul corso del capitalismo dicemmo che al 1871 (Comune di Parigi) la storia aveva sancito la morte politica della società borghese; al 1914 (Prima Guerra Mondiale) la sua morte potenziale; al 1975 la sua morte tecnica. Da quest'ultima data l'encefalogramma del geronto-capitalismo è piatto, e le sue funzioni vitali sono mantenute solo artificialmente.

Tanto tuonò che piovve

Non molto tempo fa una presa di posizione sull'olio di colza come biodiesel firmata Beppe Grillo e scritta con il suo stile circolava su Internet. Ripresa migliaia di volte, si era trasformata in una specie di catena di Sant'Antonio ecologista, fino a provocare un'ondata di dodicimila e-mail al periodico Quattroruote, al quale i lettori chiedevano come comportarsi di fronte alla miracolosa rivelazione dell'olio di semi nel motore, a un prezzo che era la metà di quello del gasolio. Sembra fosse una bufala, ma il fatto che i seguaci della religione ecologista l'avessero adottata acriticamente è significativo di una mentalità fin troppo diffusa. Anche Jacopo Fo si era lanciato nell'apologia dell'olio di colza, ma almeno l'aveva fatto con molta cautela, spiegando che un conto è friggere le patatine, un conto è usarlo come carburante con i necessari trattamenti industriali. Come tutte le bufale, anche quella grillesca non era altro che la riproduzione fedele della realtà con insignificanti variazioni. Per questo era credibile. Il linguaggio era veramente quello del comico genovese e il contenuto era veramente una sintesi di ciò che stava circolando fra gli amanti della "natura".

Aperta parentesi: occorre virgolettare il termine natura perché intorno ad esso sembra si sia perso il bene dell'intelletto. Il nostro pianeta non è altro che il risultato di un processo storico naturale, incontrollato, darwiniano, uomo capitalistico compreso. Noi siamo i prodotti di questo processo e non siamo ancora capaci di rovesciare davvero la prassi della natura, diventarne un fattore cosciente. Lo stiamo constatando attraverso un disastro eco-sociale, e occorrerà una società che elimini l'anarchia capitalistica per riuscire a instaurare un'armonia uomo-natura. Per giungere ad un livello superiore di natura occorre criticare, negare, come dicevano i filosofi, quello inferiore. Chiusa parentesi.

Torniamo all'ambiente in cui possono nascere le bufale sugli agrocarburanti (preferiamo questo termine perché "bio" vuol dire vita). Era semplicemente successo che i campioni della denuncia pubblica contro la disinformazione si erano fatti strumento di disinformazione. Come, del resto, tutte le volte che si era pronunciata una parola magica: uranio impoverito, OGM, biotecnologia, protocollo di Kyoto, ecc. Da anni le mafie legate alle multinazionali dei semi, del cibo e degli Organismi Geneticamente Modificati esercitavano una pressione enorme sui governi affinché una parte del valore prodotto nella società fosse spostato verso il profitto e la rendita agraria. E Internet era zona di guerra per chiunque tentasse di fare profitto o salvaguardare le condizioni che lo garantiscono, compresi enti non proprio trascurabili come la Casa Bianca, il Pentagono e la CIA. Non stiamo dicendo che non vi è un problema di distruzione dell'ambiente; stiamo dicendo che esso non è un problema di ecologismo politico-religioso ma di rivoluzione sociale. Chi vuole il capitalismo si tenga anche il suo approccio all'ambiente, altro capitalismo non c'è.

Oggi siamo arrivati alle carte scoperte: il paese più inquinante del mondo, più sfacciatamente contrario ad ogni misura di riduzione dell'inquinamento, più cialtronescamente sprecone di energia, più avido consumatore di carne bovina (e quindi di cereali che servono alla sua produzione) si fa promotore, per bocca di un tenero ecologista come il suo presidente Bush, della campagna mondiale per la salvaguardia dell'ambiente, incominciando naturalmente dai carburanti per le automobili e i camion americani. Con il petrolio a quasi 100 dollari al barile, fra poco sarà conveniente mescolare ai carburanti anche l'olio extravergine d'oliva.

Il programma di Washington è stato reso pubblico nel gennaio del 2007. Ha avuto una lunga incubazione solo un poco disturbata dalle manifestazioni contadine in Brasile al tempo degli accordi per l'etanolo da canna da inviare negli Stati Uniti. Esplode adesso, non a caso mentre il prezzo del petrolio sale vertiginosamente. Il programma prevede che entro il 2010 si produca e importi etanolo di provenienza agricola in quantità sufficiente a "tagliare" il 20% dei carburanti bruciati in USA, in modo da limitare le importazioni di petrolio e l'emissione dei famigerati gas che provocano l'effetto serra e il riscaldamento del pianeta. Ovviamente l'amministrazione americana se ne frega dell'ecologia, ma essa è di moda, quindi è un ottimo argomento di vendita per l'intera filiera che produrrà agrocarburanti a partire dai campi coltivati.

A questo punto chiediamo al lettore di non distrarsi perché siamo di fronte a una fregatura ancor più gigantesca rispetto alla fabbricazione pura e semplice di agrocarburanti. Infatti quel che è veramente in gioco non è la benzina mescolata all'etanolo ricavato dai cereali o dalla canna da zucchero. Questo tipo di processo è destinato ad esaurirsi in breve tempo perché non è molto redditizio e porta semplicemente all'aumento della fame. Non che il Capitale e i suoi possessori se ne inteneriscano, ma alla borghesia come classe importa invece di non uccidere il sistema (e la classe) che le fornisce plusvalore. Soprattutto le importa di evitare rivolte sociali in grado di minare le basi stesse del sistema.

Il vero business dell'etanolo non è quello che ora è sotto gli occhi di tutti ma quello che nei laboratori specializzati è in preparazione per l'avvenire. Quello per cui oggi si fa gridare al cane per far accettare il lupo. E sono coinvolte le grandi multinazionali delle biotecnologie, dell'agro-alimentare, delle automobili e naturalmente dei prodotti petroliferi, che dedicano agli agrocarburanti parte delle loro ricerche. Esse alimentano il "dibattito pubblico" mondiale usando come cassa di risonanza i parlamenti e i movimenti popolari; e indirizzano le scelte, prima per far accettare l'idea che esista un carburante alternativo al petrolio, poi per passare alla fase operativa che è molto più ambiziosa di quella attuale e dovrà portare a una produzione veramente significativa di combustibili da prodotti agricoli.

Nessuno ovviamente vorrebbe coscientemente e deliberatamente affamare il mondo fabbricando benzina con i cereali. E dunque la vera arte della propaganda in questo campo è convincere tutti che sarebbe possibile ottenere carburanti da "fonti di energia rinnovabili" che non fossero ad esempio cereali ma biomasse "alternative", utilizzando processi ecologicamente "sostenibili". Come si vedrà più avanti si tratta di una mezza verità pesantemente piegata a giganteschi interessi. Infatti è esattamente su questo terreno che le multinazionali dell'energia e delle biotecnologie stanno spingendo l'intero mondo della nuova religione eco-primitivista. Prendiamo, tra altre, la "ragionevole" argomentazione di Carlo Petrini, il profeta del buon mangiare e del buon bere per ricchi radical chic, svolta recentemente sul quotidiano La Repubblica:

"Mettiamoci dunque il caro vecchio buon senso: di rischi ce ne sono tanti, ma è anche vero che i biocarburanti hanno dei vantaggi. Per cui forse è il caso che la politica intervenga in fretta con dei rego­lamenti in grado di massimizzare la por­tata di questa alternativa. Come? Vietando colture non efficienti, garantendo sicurezza alimentare e foreste, incentivando la ricerca in direzioni di colture non alimentari e utilizzo di biomasse di scarto che garantiscano utilizzo di terreni incolti e produzioni più sostenibili".

Persino l'organizzazione ecologista Greenpeace, che metteva in guardia contro l'uso politico dell'etanolo, è diventata possibilista sulle tecnologie più avanzate per la sua fabbricazione, come ha affermato Dave Martin, coordinatore per l'energia di Greenpeace Canada: l'etanolo da cellulosa

"è un passo veramente positivo… l'etanolo da cereali aiuta poco o niente l'ambiente a causa dell'energia, dei pesticidi e dei fertilizzanti necessari per produrlo, è tutta un'altra storia".

Il Canada è il maggior produttore mondiale di cellulosa e Martin potrebbe avere ragione se... Ma non anticipiamo.

Gli Stati Uniti campioni di ecologismo?

La realtà capitalistica si incaricherà di ridicolizzare ogni buon senso piccolo-borghese. Gli agrocarburanti ottenuti con l'alternativa Petrini produrranno effetti peggiori di quelli prodotti attualmente con l'opzione provvisoria Bush-Lula. Per adesso fermiamoci ai motivi del paradossale comportamento degli ecologisti. L'eco-popolo precedentemente alimentato con la loro propaganda si è svegliato di colpo e ha scoperto, leggendo i giornali e i siti internet (in via di veloce ripulitura dalle vecchie castronerie sugli eco-carburanti) che coltivando etanolo per le automobili americane si finisce per non avere più terra sufficiente per il cibo, e che i prezzi dei generi alimentari, primi fra tutti quelli dei cereali, stanno schizzando alle stelle. L'ONU conferma: fabbricare benzina con gli alimenti dell'uomo è progetto criminale (Ziegler). Ci auguriamo che esista un numero significativo di persone in grado di accorgersi che gli ecologisti più veloci a riciclarsi sono corsi ai ripari e hanno già dichiarato che certo, l'etanolo da mais e da canna toglie terra al cibo, ma quello da biomasse meno nobili sarebbe un grande risultato e la ricerca andrebbe indirizzata in quel senso.

Tranquilli, togliete pure il condizionale, il processo che voi auspicate è lo stesso delle "multinazionali assassine", ed è già in corso, ha solo bisogno di alcuni passaggi preliminari. Il citato piano americano per la produzione di etanolo sui campi americani ed esteri consiste nel sovvenzionare sia le colture, principalmente di mais e canna da zucchero, che la costruzione di stabilimenti per la fermentazione e distillazione. La sovvenzione è attualmente 13 centesimi di dollaro al litro. Entro il 2017 la produzione americana dovrebbe raggiungere i 140 miliardi di litri all'anno. L'incontro fra Bush e Lula in Brasile fa parte del piano, e il patto siglato fra i due paesi comporta un pacchetto integrato di misure sia per la produzione diretta di biomassa che per la ricerca e sviluppo di tecnologie avanzate adatte a ricavare etanolo anche dai prodotti agricoli ricchi di cellulosa, dal legno agli scarti dei raccolti di cereali. L'integrazione è poi completata dalle politiche di stimolo all'uso degli agrocarburanti, sia nei paesi in via di sviluppo, i quali dovrebbero fornire la maggior parte della materia prima, che negli stessi USA. Da tutto ciò dovrebbe scaturire una specie di OPEC per i bio-carburanti, capace di competere con il cartello petrolifero, e quindi calmierare la rendita da petrolio che sta erodendo i profitti dei paesi industriali.

Il proposito è ovviamente umanitario (come certe guerre attuali): non incidere in futuro sulla produzione di alimenti. Ma intanto, adesso, si sta distillando cibo al solo fine di permettere alle automobili di continuare a muoversi insensatamente sulle strade, mentre si discute a livello mondiale su come coltivare, distillare e bruciare meglio. È in atto una campagna promozionale sfacciata cui seguono provvedimenti legislativi e scelte pratiche, specialmente negli Stati Uniti, ma il fenomeno riguarda molti altri paesi. In Brasile, per esempio, dove il clima tropicale facilita la crescita di canna ad alto contenuto zuccherino, il 70% delle automobili è già in grado di utilizzare benzina miscelata a etanolo, o gasolio miscelato a olii vegetali. Una situazione che fa da traino all'industria della distillazione brasiliana, la quale già esporta buona parte del suo prodotto, e che, con il petrolio a quasi 100 dollari al barile, incrementerà facilmente export, profitti e rendita.

Oltre al già citato allarme dell'ONU, anche il mitico Massachusetts Institute of Technology ha documentato i disastri che potrebbero derivare dall'uso indiscriminato di agrocarburanti, tra l'altro sfatando la leggenda secondo la quale essi sarebbero utili per la riduzione dei gas responsabili dell'effetto serra: in realtà ne producono direttamente e indirettamente, tramite il petrolio necessario alla loro distillazione, ai fertilizzanti e alle irrigazioni aggiuntive per le nuove colture, ma soprattutto a causa della deforestazione che seguirà allo sviluppo delle colture stesse. Dice William Engdhal, ricercatore aderente a Global Research:

"L’idea che il mondo possa abbandonare la dipendenza da petrolio a favore dei bio-carburanti è una mistificazione pubblicitaria per condizionare l’opinione pubblica. Essa viene usata per imporre con l’inganno la creazione di granturco e cereali geneticamente modificati sotto brevetto".

Vedremo che nel piano americano c'è questo e altro. Per adesso sta aumentando negli USA il ritmo di costruzione di nuovi impianti per l'etanolo; e attorno ad essi, naturalmente, aumentano le coltivazioni orientate al loro ciclo produttivo. Di fatto, grazie ai sussidi governativi, si sta assistendo alla conversione delle tenute agricole in fabbriche di agrocarburanti. Nel 2006 il tonnellaggio dei raccolti di frumento, mais e semi oleosi destinati agli agrocarburanti è stato pari a quello destinato alle esportazioni. Da notare che gli Stati Uniti sono il maggior esportatore mondiale di queste materie prime, usate in gran parte per i mangimi animali. Quindi non aumenterà solo il prezzo del pane, ma anche quello del companatico.

Come conseguenza diretta di questo reindirizzo produttivo, nel 2006 le scorte mondiali di cereali si sono ridotte a nemmeno due mesi, le più basse dal 1972, fenomeno che a sua volta ha provocato nel 2007 il raddoppio dei prezzi internazionali all'ingrosso (triplicati quelli del grano, da 17 a 50 dollari al quintale). E il processo è solo iniziato, dato che grandi e popolosi paesi come la Cina e l'India hanno per il momento avviato solo piccoli progetti di conversione. Il piano americano ha sollevato prima di tutto proteste e critiche proprio all'interno degli Stati Uniti. L'università di Berkeley l'ha demolito dimostrando che, se anche la totalità dei terreni americani venisse coltivata a cereali e soia per agrocarburanti, si riuscirebbe a coprire il fabbisogno interno di benzina solo per il 12% e di gasolio solo per il 6%. Tuttavia il processo non si arresta, anzi, si internazionalizza e ha già contagiato, oltre al Brasile e altri paesi sudamericani, anche molti paesi africani e asiatici. In Europa per ora non si utilizza una grande quantità di cereali, che sono in gran parte d'importazione, ma si usa molto la colza, soprattutto come ingrediente per mangimi, per cui la nuova destinazione produrrà un aumento dei prezzi della carne. E i piani europei prevedono di tagliare i carburanti tradizionali con almeno il 10% di quelli provenienti da biomasse.

Dove si va a parare

Exxon-Mobil, Chevron, British Petroleum e Shell elaborano da molti anni strategie a lungo termine per diversificare le loro fonti di profitto, pur rimanendo nel campo dei combustibili e dell'energia. Mentre scriviamo, la Shell ha in corso una campagna propagandistica sullo sfruttamento delle sabbie bituminose canadesi, con argomenti che potrebbero calzare a pennello anche per gli agrocarburanti: in pratica la multinazionale ci dice che mezzo secolo fa investì in quella ricerca senza sapere quando essa avrebbe dato dei frutti e che adesso è ora di raccoglierli. Non sapeva quando, ma sapeva per certo che li avrebbe dati. Bastava aspettare che il petrolio arrivasse a un prezzo tale da rendere conveniente la sua estrazione anche dai bitumi canadesi. Al prezzo attuale, il Canada potrebbe rivelarsi il maggior fornitore di petrolio del mondo; chiaramente a un prezzo sempre più alto, perché il petrolio non è eterno, si esaurisce e bisogna scovarlo in posti sempre più impervi e con tecnologie sempre più costose.

Gli agrocombustibili invece, indipendentemente dalle conseguenze sociali dovute al loro utilizzo, sono considerati "energia rinnovabile". Un ciclo di produzione del profitto ripetibile sullo stesso terreno senza che occorra cercare nuovi "giacimenti". Ecco perché nel maggio di quest'anno la BP ha donato all'università di Berkeley in California (sì, proprio quella che ha dimostrato la fallacia del piano americano sugli agrocarburanti) la più grande cifra che sia mai stata elargita in una volta sola per la ricerca scientifica, 500 milioni di dollari, aggiungendone 15 milioni per l'università di Princeton. Gli studi sono finalizzati – va da sé – alla ricerca di fonti energetiche alternative al petrolio, compresi gli agrocarburanti. La Exxon-Mobil ha donato 100 milioni di dollari all'università di Stanford, e la Chevron 25 milioni all'università di Davis per lo stesso motivo, che è stato così riassunto dall'ex direttore generale della BP:

"Il mondo ha bisogno di nuove tecnologie per disporre di adeguate fonti energetiche per il futuro. Noi riteniamo che le bio-scienze possano portare immensi benefici al settore dell'energia".

Le multinazionali dell'agro-alimentare e delle biotecnologie gongolano. Questa pioggia di dollari che sta cadendo sulla ricerca per gli agrocarburanti si aggiunge a quella da esse direttamente raccolta, e se le cose vanno come sperano, la ricaduta in profitti sarà gigantesca. L'agricoltura è da tempo settore protetto dallo Stato, e oggi i profitti sono regolamentati, cioè legati, alle sovvenzioni pubbliche. Sganciare importanti prodotti agricoli da questo meccanismo e assimilarli a un mercato che si comporti come quello del petrolio è il massimo che l'industria possa sognare. Se poi si aggiungono le sovvenzioni pubbliche, come sta succedendo, allora è il trionfo del profitto e della rendita. Comunque l'improvvisa infatuazione dell'amministrazione Bush per l'ecologia non è solo questione di prezzi delle materie prime agricole. È in gioco qualcosa di più grandioso, che ha attinenza con l'ideologia americana sulla guerra infinita, cioè sul controllo del mondo.

La produzione di agrocarburanti ha influito per la prima volta in modo determinante sui mercati nel 2006. In particolare sulla piazza di Chicago, dove vengono trattate le maggiori partite e si formano catene di derivati e futures sulle produzioni in corso e a venire. Già nel 2006, quindi, si avvertiva l'effetto congiunto delle conversioni agricole verso gli agrocarburanti, della diminuzione delle riserve strategiche di cereali e di quelle di petrolio. Si sapeva che sarebbe cresciuta la domanda mondiale anche per il solo fatto che le popolazioni di paesi in rapido sviluppo, Cina in testa, stavano variando la propria alimentazione con un aumento della quota carnea, con relativo aumento del consumo di mangimi, cioè di cereali, soia, colza, ecc. Si sapeva soprattutto che l'effetto generale non poteva essere troppo diverso rispetto a una situazione per certi versi analoga, quella del 1972-75, quando la crisi petrolifera e la vendita all'URSS di enormi quantità di cereali in cambio di petrolio aveva prodotto un giga-aumento dei prezzi (cfr. Engdhal, A Century of war…).

Esattamente come da noi previsto all'inizio degli anni '50, il Capitale sta di nuovo inchiodando il valore del cibo a quello delle principali materie prime del mondo minerale. L'umanità è sempre più ridotta a macchina, e sui mercati non trova più il proprio cibo ma il proprio carburante. Si apre la concorrenza fra uomini-macchina e macchine-macchina per il cibo universale mineralizzato. Ma il peggio deve ancora venire. Se la nostra specie permetterà a questa società mostruosa di sopravvivere per troppo tempo, il piano americano coinciderà totalmente con la previsione che Kissinger, proprio negli anni intorno al 1975, formulò in modo secco e inequivocabile: Chi controllerà il petrolio controllerà le nazioni e i loro governi, ma chi controllerà il cibo, controllerà i popoli.

Il Capitale, tramite il paese che ne è il maggior esponente, ha avuto bisogno, trent'anni fa, di controllare l'energia per salvaguardare la produzione e la ripartizione sociale del plusvalore. La guerra del petrolio, combattuta sul campo di battaglia, nei ministeri e nelle borse, fu una guerra economica. Ora il Capitale deve controllare il cibo per salvaguardare direttamente la propria esistenza, deve attuare il ricatto universale nei confronti della specie umana. Affinché non si ribelli al suo dominio. È la guerra politica, terreno su cui ormai esso si gioca tutto. Come ci stiamo giocando tutto in quanto specie umana, non esente da fenomeni di estinzione.

Dalla tendenza spontanea alla strategia politica

Come al solito il Capitale prepara il terreno con forti determinazioni che costringono la sovrastruttura politica a produrre le decisioni conseguenti. Il Governo americano era già da anni sotto pressione da parte delle lobby agrarie che chiedevano libertà di ricerca sulle biotecnologie per ottenere nuovi OGM e sulla trasformazione di parte del prodotto agricolo in prodotto industriale. L'etanolo era un buon veicolo per promettenti profitti. Si sapeva benissimo che la sua produzione tradizionale da cereali e canna non avrebbe portato a una generalizzazione del consumo: il bluff energetico, ecologico e alimentare era troppo facile da scoprire. Tuttavia bisognava preparare il terreno per far superare ai governi la consueta inerzia e per convincere le popolazioni che trasformare vegetali in benzina sarebbe stato un ottimo affare. Prima che queste avessero poi scoperto che si trattava di vegetali-cibo, sarebbe passato del tempo. Come abbiamo visto, non mancavano sul mercato forze disponibili per tale operazione. Assolutamente gratis.

Quando il governo americano decise finalmente di proclamare i carburanti "rinnovabili" nuovo standard energetico per il 2012, il dado era tratto, il processo politico sarebbe diventato irreversibile. I deputati che avevano votato la legge si sarebbero svegliati e, cifre alla mano, la critica oggettiva al bio-carburante ricavato dal cibo avrebbe provocato il passaggio alla fase successiva: la fase in cui il sistema agricolo e quello del petrolio avrebbero formato un tutt'uno tramite le biotecnologie, cioè le coltivazioni di piante apposite che sarebbero state immesse in un ciclo di trasformazione industriale attraverso batteri geneticamente modificati.

Una tendenza naturale del capitalismo è diventata – passando attraverso i laboratori delle multinazionali e delle università, amplificata dalle lobby in seduta permanente fra deputati e senatori, metabolizzata dal movimento ecologista – un "piano energetico" statale. Anzi, un piano mondiale, dato che c'è di mezzo lo Stato più potente del mondo. Siamo convinti che non si tratti di un piano diabolico escogitato dai soliti gruppi di potere che tanto alimentano le dietrologie complottistiche dei LaRouche americani e dei Blondet nostrani: il capitalismo è perfettamente in grado di produrre da sé fenomeni simili anche senza complotti planetari, troppo somiglianti a quelli che l'agente segreto James Bond è spesso chiamato a sventare.

Il Congresso americano, in effetti, non ha "sbagliato" quando, invece di analizzare il ciclo vitale dell'uomo, ha analizzato le esigenze economiche della patria: ogni eletto dal popolo era lì per quel tipo di analisi. Del resto lo stesso Congresso non è altro che un amplificatore dove le voci delle lobby vengono riportate affinché il popolo sia convinto, come in ogni parlamento del mondo. E la voce delle lobby, in questo caso, come ha detto un funzionario che ha partecipato alle commissioni di studio, portavano inesorabilmente a "un'analisi del tipo ADM". Ora, l'ADM è la Archer Daniels Midland, uno dei colossi multinazionali dell'agro-alimentare, i super nemici degli ecologisti e dei no-global. Erano anni che aziende di questo tipo facevano pressioni per un piano nazionale a favore degli agrocarburanti, e finalmente hanno avuto partita vinta. Non è "colpa" dei politici se ci vuole un fisico, e non un economista, per calcolare che cosa effettivamente voglia dire, dal punto di vista del ciclo termodinamico completo, mettere l'etanolo nel motore, e per di più ricavandolo dai prodotti agricoli alimentari.

E non è ovviamente colpa neanche degli ecologisti e dei no-global. Però questi potrebbero almeno evitare di mettersi al servizio diretto del nemico. Ora, a fronte dei pochi ricercatori seri che parlano di ecologia con piglio scientifico, vi è una massa "politica" completamente all'oscuro di ogni considerazione razionale sull'argomento, che straparla di ecologia come se si trattasse di una religione e non di una scienza. Persino associazioni specializzate danno i numeri, nel senso che forniscono le cifre che servono ai governi per varare leggi a favore di quel capitalismo "sostenibile" che abbiamo appena visto. Negli Stati Uniti, ad esempio, una parte degli ecologisti che si schierano con le energie alternative, da biomasse o da impianti eolici e solari, si sono raggruppati in un organismo chiamato 25x25. Il suo obiettivo è di arrivare a un utilizzo di fonti energetiche rinnovabili per il 25% del fabbisogno entro il 2025, e numerosi membri del Congresso americano lo appoggiano. Ma quando a Washington esso ha presentato il proprio programma, l'esposizione di dati e cifre non ha chiarito affatto come raggiungere realisticamente l'obiettivo, soprattutto non è stato assolutamente messo in discussione il concetto di crescita esponenziale del fabbisogno, per cui il programma stesso è rimasto nel vago (cfr. Wald, Le Scienze).

La spinta delle lobby agrarie per la produzione di etanolo si era fatta sentire già negli anni '80, quando i governi di alcuni stati americani avevano incominciato a chiedere una benzina con più alto contenuto di ossigeno, che inquinasse meno. Dai laboratori era emersa una soluzione basata su di un etere (l'MTBE, metil-ter-butilico) che le raffinerie avevano incominciato a produrre con etanolo e derivati del petrolio. Solo che era risultato cancerogeno e, nel 2005, la legge sull'energia cancellò il "consiglio" di utilizzare l'MTBE. Di conseguenza l'etanolo trionfò su tutta la linea.

Un po' di cifre e un anticipo di conclusione

Nel 2006 negli Stati Uniti il consumo di benzina e gasolio è stato di 545 miliardi di litri, mentre si sono prodotti 22,5 miliardi di litri di etanolo, un rapporto pari al 4% circa. Quel che impressiona è che in un solo anno c'è stato un incremento del 50% e il fenomeno è destinato a durare, anche se non a questi ritmi.

Dal punto di vista energetico il risultato generale in termini di costi, di inquinamento e di benefici in genere è negativo. Quasi tutto l'etanolo prodotto in America è distillato dal mais, la cui lavorazione richiede molta energia, la quale proviene dai combustibili fossili. Anche gli studi più favorevoli concordano nell'affermare che un litro di etanolo come carburante richiede più energia per essere prodotto di quanta ne restituisca bruciando in un motore. Per di più inquina come e forse più della benzina pura.

Un motore normale d'automobile sopporta senza guastarsi una miscela di benzina ed etanolo fino a un massimo del 10%. Automobili con motori adeguatamente preparati sopportano una miscela fino all'85% e circolano nella fascia centrale degli Stati Uniti, dove più alta è la produzione di mais, in un numero imprecisato di esemplari (sembra alcuni milioni). I fabbricanti predispongono i motori anche senza che gli acquirenti lo sappiano, ma sono molto rari i distributori di carburante miscelato, nonostante gli incentivi del governo, che spinge al consumo di bio-carburante con argomenti patriottici come la riduzione della dipendenza dall'estero per il petrolio e la necessità di sostenere gli agricoltori. E calcola che con una produzione di 28 miliardi di litri all'anno si potrebbero importare 180 milioni di barili di petrolio in meno. Non proprio una cifra eclatante: 15 giorni di consumo.

Le cifre, tra l'altro, non sono neppure del tutto affidabili, perché non corrispondono ai calcoli dei ricercatori più seri: in realtà un barile di etanolo (circa 160 litri) sviluppa un'energia pari a 3,5 milioni di chilojoule, contro i 5,2 della benzina. Quindi un'automobile a carburante miscelato all'85% dovrebbe consumare un terzo di carburante in più per gli stessi chilometri, con l'evidente cancellazione del presunto vantaggio. Inoltre gli Stati Uniti devono importare il gas e il petrolio necessari a distillare etanolo, per ottenere infine un bilancio energetico addirittura negativo a costi peraltro crescenti. Utilizzando carbone il bilancio energetico peggiora e aumenta di gran lunga l'inquinamento. Utilizzando elettricità peggio che mai: si consumerebbe petrolio o carbone (energia sporca) per produrre elettricità (energia nobile), la quale verrebbe utilizzata per produrre di nuovo un carburante (perciò di nuovo energia sporca).

Inoltre, il ciclo di produzione e distribuzione dell'etanolo, ritenuto – erroneamente – un ciclo agricolo, in realtà è prettamente industriale. Richiede energia da combustibili fossili per la fabbricazione, ma anche per il trasporto (dev'essere eseguito con cisterne, perché l'etanolo non può essere immesso negli oleodotti), per le macchine che seminano e trebbiano, per i fertilizzanti sintetici. Tenendo conto dell'intero processo alcuni ricercatori (cfr. ad es. l'agronomo David Pimentel della Cornell University) hanno calcolato il rendimento energetico netto per l'etanolo, e hanno confermato quanto già si sospettava in seguito a meno accurati calcoli precedenti: questo combustibile, mescolato alla benzina, rende meno energia di quanta ne necessiti per produrlo. Altri ricercatori (cfr. ad es. il fisico Michael Wang dell'Argonne National Laboratory) offrono cifre meno pessimistiche ma pur sempre significative: una massa di etanolo in grado di sviluppare energia per un milione di chilojoule ne richiede per la fabbricazione 740.000; con la minore potenza sviluppata dai motori ad agrocarburante, si ritorna al punto di partenza: rendimento praticamente nullo.

Se aggiungiamo che i vantaggi ambientali non li ha dimostrati ancora nessuno (cfr. Alexander Farrel), arriviamo alla conclusione generale che la spinta politica verso la produzione in massa di agrocarburanti ha ragioni che esulano dalle preoccupazioni per l'ambiente e persino in certa misura dal consumo di petrolio. Invece rimane verissimo che il prezzo di quest'ultimo permette di sfruttare in pieno la legge della rendita capitalistica individuata e descritta da Marx. Questo significa che la lotta planetaria che si sta aprendo nel campo degli agrocarburanti non è per la produzione di nuovo plusvalore (quando c'è di mezzo la legge della rendita ciò è escluso) ma per rendere più pervasiva e totalizzante la ripartizione del plusvalore prodotto nel ciclo industriale a favore del paese imperialista più forte. Detto in termini terra-terra: Gli Stati Uniti stanno impostando sugli agrocarburanti una politica di rapina mondiale del plusvalore simile a quella impostata più di trent'anni fa sulla rendita petrolifera. Ma questa volta non ne va di mezzo soltanto il controllo del petrolio e del plusvalore-rendita che tramite esso si può dirottare verso il sistema finanziario americano; questa volta ne va di mezzo il cibo dell'umanità, il cui controllo completo produrrà una forma schiavistica moderna quale il mondo non ha mai visto. È quanto dimostreremo nei prossimi capitoletti.

Fase di transizione e vero obiettivo

Abbiamo visto che l'etanolo e gli olii vegetali per biodiesel non risolvono alcun problema di consumo, di risparmio, di sostenibilità e di inquinamento. Finché si distilla o spreme materia prima organica da cui ricavare direttamente energia il bilancio energetico e l'impatto sociale rimangono negativi. La soluzione, sulla carta, esiste ed è la produzione di etanolo tramite la "digestione" della cellulosa. Ma all'interno della società capitalistica è destinata ad essere una soluzione solo per la salvaguardia del Capitale, in essa l'uomo non è contemplato se non come tramite di valore.

Il processo di produzione di etanolo tramite la trasformazione della cellulosa in zuccheri fermentabili e distillabili è noto. Questo processo utilizza particolari batteri e può trarre etanolo da qualsiasi materia prima vegetale con alto contenuto di cellulosa, come erbe, stocchi e tutoli di granoturco, residui di lavorazione dei raccolti, legname di scarto, paglia e persino carta riciclata. Se la materia prima (ad esempio la canna da zucchero) è ricca anche di altre sostanze organiche, la resa in etanolo è più alta che non con la semplice fermentazione e distillazione. Il Ministero dell'Agricoltura degli Stati Uniti calcola che, se si utilizzasse tutta la cellulosa disponibile nelle materie prime citate più sopra, con questo processo si riuscirebbe a sostituire il 30% di tutta la benzina consumata nel paese.

Se si giungesse a produrre in grande scala etanolo da cellulosa, i vantaggi economici sarebbero in effetti enormi. La cellulosa oggi ricavata dalle piantagioni e dalle lavorazioni industriali viene utilizzata in minima parte, quasi tutta viene buttata. La sua raccolta, stoccaggio e lavorazione comporterebbe un dispendio energetico supplementare abbastanza contenuto. Vi sono piante, come il Panicum virgatum, una graminacea perenne selvatica non commestibile, che possono crescere in terreni poco adatti ad altre colture e si dimostrano ottime per la produzione di cellulosa da etanolo senza richiedere particolari cure anche dal punto di vista dei fertilizzanti. E naturalmente, una volta che sia avviato il processo industriale, ci penserebbe il profitto a stimolare la sperimentazione su altri tipi di piante.

Con il processo suddetto dopo la rimozione degli zuccheri rimarrebbe una sostanza, la lignina, che potrebbe essere utilizzata come combustibile. In Canada sono stati compiuti esperimenti di ciclo produttivo completo: invece di sottrarre cibo alle popolazioni per bruciarlo nei motori, sarebbe possibile estrarre l'etanolo da scarti e piante non commestibili ricavando per giunta altro combustibile dai residui di lavorazione. Esso potrebbe essere utilizzato per produrre elettricità, risparmiando combustibili fossili per la distillazione degli zuccheri, innalzando complessivamente il rendimento dell'intero ciclo produttivo. E infine, bruciare lignina non è come bruciare petrolio, e l'anidride carbonica così prodotta potrebbe essere compensata da quella assorbita dalle piante durante la crescita, che sarebbero aggiuntive rispetto a quelle del ciclo alimentare.

Il lettore avrà notato la serie dei condizionali: il guaio della produzione di etanolo da cellulosa è che per ora funziona solo in laboratorio e non a scala industriale. Gli zuccheri, che devono essere separati dalle fibre con procedimenti che permettano la produzione in massa, sono prodotti dall'azione sulla cellulosa di batteri o funghi specifici. Questi micro-organismi sono presenti nell'humus di foreste tropicali, nello stomaco delle termiti o in altri ambienti poco accessibili e riproducibili. E, mentre è stato relativamente facile utilizzare gli enzimi da fermentazione per la produzione in massa, non si è ancora riusciti con i funghi o con i batteri. Essi non si riproducono e non "lavorano" nei grandi recipienti necessari per le quantità industriali. Così, mentre vi sono impianti-pilota già funzionanti per piccole quantità, stranamente non sono ancora piovuti dollari, privati o pubblici, in quantità paragonabili a quelle citate a proposito della distillazione tradizionale di etanolo.

La spiegazione c'è, e al solito viene dalla legge della rendita: prima di poter investire con alti profitti in questo settore, la società intera deve sviluppare un bisogno di etanolo analogo a quello per il petrolio, al fine di rendere economicamente vantaggiosi i "giacimenti", cioè i campi. E per sposare bisogno con produzione, domanda con offerta, si deve far funzionare bene la fase di transizione, quella attuale, in cui si procede con la distillazione dell'etanolo direttamente dai cereali e dalla canna da zucchero. Nel frattempo i possessori di capitali, pensando al business futuro, si concentrano sulla ricerca di laboratorio. Perché il capitalismo non si accontenta certo di marginali profitti ritagliati dalla spazzatura organica e da qualche erba: deve dar vita a un intero nuovo settore di produzione.

Gli esperimenti hanno ormai dimostrato che si può agire con l'ingegneria genetica in duplice direzione, sulle piante e sui batteri, in modo da ottenere un binomio altamente produttivo non appena siano superati i problemi tecnici. Un'azienda canadese ha già manipolato geneticamente un batterio (Trichoderma reesei) in modo da fargli produrre degli enzimi più potenti di quelli naturali. Altre aziende stanno sperimentando diversi tipi di funghi e altre ancora batteri mai precedentemente utilizzati. Diversi laboratori stanno manipolando direttamente il DNA del mais per renderlo adatto alla produzione di carburante. Il ministro americano dell'energia ha recentemente preannunciato "generosi incentivi del governo" per queste ricerche nei prossimi cinque anni.

Bisogna tener presente che anche la produzione di etanolo da cellulosa utilizza la fase di distillazione, perciò gli impianti oggi esistenti e quelli che verranno costruiti nella fase di transizione vanno già benissimo per le tecnologie future, quindi c'è un risparmio sul capitale costante con conseguente aumento del profitto. Per giungere alla fase finale ci vorrà qualche tempo, ma intanto è in moto un meccanismo di produzione e ricerca che nessuno è più in grado di arrestare. Il salto all'uso delle ultra lucrative ingegnerie genetiche è obbligato. Nel frattempo – non ci stanchiamo di ripetere – intere popolazioni subiranno sia l'aumento del prezzo del cibo che la scarsità di quest'ultimo, una vera e propria carestia indotta permanente. La rivista Scienze, in un lungo articolo sul problema (Etanolo tra mito e realtà), taglia corto:

"L'uso dell'etanolo ricavato dal mais non può considerarsi sostenibile. Primo, perché l'agricoltura non riuscirà mai a produrre abbastanza cereale; secondo, perché non aiuta a contrastare il riscaldamento globale; e infine perché significherebbe sottrarre cibo a chi ne ha realmente bisogno. I sostenitori lo difendono affermando che si tratta di una tecnologia di passaggio in attesa di ricavare l'etanolo dalla cellulosa. Allo stato attuale, tuttavia, più che di un passaggio sembra che si tratti di un vicolo cieco".

È inevitabile: dal punto di vista termodinamico è assurdo pretendere di ottenere un equilibrio qualsiasi dalla concorrenza fra idrocarburi fossili e alcoli ricavati da materie prime vegetali. Da qualche parte lo squilibrio si deve manifestare, e il "vicolo cieco" è rappresentato dalla limitatezza della terra coltivabile, checché dicano gli interessati ottimisti a proposito delle coltivazioni su terre incolte, desertiche, montagnose e via immaginando. Gli idrocarburi sono stati imprigionati nel sottosuolo in processi che hanno visto l'energia del Sole agire per centinaia di milioni di anni, mentre il mais, la canna o la barbabietola da etanolo hanno un ciclo annuale. Possiamo permetterci il lusso di sprecare in quattro o cinque generazioni ciò che la natura ha impiegato l'equivalente di dieci milioni di generazioni a generare, ma il gioco non si può ripetere con ciò che la terra genera adesso.

Un altro soggetto interessato, Big Pharma

Si tratta di un soggetto un po' particolare, intrufolato in molti settori, assai attento alla politica americana tanto da indirizzarla con una certa facilità. Come si sa, la sanità privata e pubblica degli Stati Uniti è un business gigantesco, imparentato con i giganti farmaceutici e con quelli delle assicurazioni, di conseguenza con governo e parlamento. In sinergia con le grandi multinazionali del petrolio e della chimica e con le potenti lobby degli agricoltori, questo settore sviluppa una potenza propagandistica in grado di convincere le masse che il futuro del "petrolio coltivato nei campi" è assolutamente roseo e che non c'è alcun pericolo per quanto riguarda sia la carenza di cibo che le conseguenze dell'uso massiccio di ingegneria genetica.

La sperimentazione di tipo "farmaceutico" prende le mosse dalla produzione di un alcol simile all'etanolo, ma con quattro atomi di carbonio invece di due nella sua molecola: il butanolo. Anch'esso si ricava dalla fermentazione e distillazione di zuccheri, ottenuti con batteri anziché con enzimi. Invece del 66% dell'energia sviluppata dall'etanolo in confronto con la benzina, il butanolo ne sviluppa l'85%. Con altri vantaggi, come il minor assorbimento di acqua dall'atmosfera e quindi minore ossidazione dei motori ecc. Prove effettuate dalla Du Pont e dalla BP rivelano un buon comportamento del butanolo quando è mescolato alla benzina e usato come carburante, benché il suo rendimento non sia troppo diverso rispetto a quello dell'etanolo quando si tenga conto del ciclo completo di produzione. Occorrerebbe perciò ottenere un alcol dalla molecola più grande, cioè con più atomi di carbonio e idrogeno, che assomigli di più alla benzina e soprattutto che sia producibile senza che ciò comporti la dissipazione di troppa energia rispetto a quanta ne può restituire. La ricerca è ancora aperta e l'assemblaggio molecolare in laboratorio si ferma a un alcol, l'ottanolo, con otto atomi di carbonio. Di qui in poi, i costi di realizzazione in laboratorio non fanno presagire buoni risultati per quanto riguarda la produzione industriale.

Lo scoglio potrebbe forse essere superato modificando geneticamente dei batteri allo scopo di far loro produrre enzimi potenziati, già esistenti in natura ma non utilizzabili così come sono. Le grandi industrie farmaceutiche hanno familiarità con questo tipo di ricerca: l'insulina è prodotta artificialmente inserendo DNA umano in quello di un batterio, e i farmaci limitatori del colesterolo sono prodotti con sistemi enzimatici artificiali. Con gli stessi sistemi è possibile migliorare le caratteristiche degli enzimi per ottenere trasformazioni chimiche inesistenti in natura. Fino a riprodurre una molecola simile a quella del petrolio. Il vantaggio sarebbe evidente: questa molecola potrebbe essere sempre riprodotta perfettamente, e ottimizzata così per gli scopi finali; mentre il greggio estratto dal sottosuolo ha caratteristiche specifiche e impurità varianti da giacimento a giacimento e ha bisogno di specifici processi di raffinazione.

Invece di perfezionare artificialmente l'azione degli enzimi prodotti dai batteri, altri laboratori stanno esplorando la via diretta per ottenere batteri adatti, sempre per mezzo dell'ingegneria genetica. Sono così riusciti, con gli stessi procedimenti utilizzati per gli alcoli distillati dai vegetali, a ottenere molecole simili a quelle degli idrocarburi come il petrolio. Per quanto i metodi siano ancora sperimentali, le aziende farmaceutiche che li hanno escogitati e adottati sono convinte che il passaggio alla produzione di veri sostituti agricoli del petrolio sia solo questione di tempo.

Anche le ricerche di olii agro-artificiali per il ciclo diesel seguono la stessa strada, quella di migliorare geneticamente batteri che possano attaccare gli acidi grassi degli olii di colza, palma, soia, girasole, ecc. per renderli più compatibili con il gasolio. In tal modo sono già stati realizzati acidi grassi artificiali con 8-20 atomi di carbonio per molecola, un olio per ora ottimale solo come additivo. Ma la sperimentazione sta puntando a raggiungere 30 atomi di carbonio, struttura chimica che richiederebbe poco per essere trasformata ulteriormente in un idrocarburo ideale, peraltro raffinabile negli impianti esistenti, senza bisogno di costruirne di specializzati.

Infine occorre accennare all'azienda di Craig Venter, un ricercatore privato a capo di una équipe divenuta famosa per aver battuto i grandi istituti statali nella corsa a mappare il genoma umano (e a brevettare le prime applicazioni). I primi interessi di quest'azienda furono orientati verso i composti di idrogeno e carbonio come prodotti naturali dei batteri. In un secondo tempo le sue ricerche procedettero a tutto orizzonte, e alcuni risultati relativi alla riuscita semplificazione del genoma di un organismo elementare sono stati recentemente riportati da tutta la stampa. L'équipe di Venter, partendo dal patrimonio genetico di un batterio, ha "costruito" un segmento di genoma semplificato e l'ha inserito nel cromosoma di un altro batterio, ottenendo la sostituzione del suo codice genetico. Praticamente "inventandone" uno nuovo, passibile di brevetto (c'è già il nome: Mycoplasma laboratorium), e scatenando così la fantasia dei giornalisti sulla "creazione di vita artificiale". Scienziati italiani, come Umberto Veronesi e Francesco Cavalli Sforza hanno riconosciuto l'importanza dell'esperimento avallando le parole dello stesso Venter:

"Dopo avere imparato a leggere il codice genetico, ora stiamo impa­rando a scriverlo. Questo ci dà la ca­pacità ipotetica di fare cose che non avremmo mai potuto prendere in considerazione prima".

Fare cose… quali? Ne elenca alcune Cavalli Sforza:

"Produrre batteri che permettano di af­frontare problemi ecologici difficili da trattare per altre vie, che siano in grado di assorbire l'anidride carbonica pro­dotta dai processi di combustione, principale responsa­bile del riscaldamento globale; o in grado di produrre idroge­no per i motori del futuro; o di purificare acque inquinate; o di ridurre la tossicità di scorie radioat­tive. È impossibile prevedere, tutte le pos­sibili applicazioni della creazione di microrganismi artificiali".

Come si nota, anche lo scienziato non mette affatto in discussione l'inquinamento, la motorizzazione, la produzione di scorie radioattive, anzi, si felicita per la possibilità di rattoppare il capitalismo.

Oggi l'attenzione di Venter si è di nuovo concentrata sugli agrocarburanti, e naturalmente egli tiene segreti i risultati, anche se è noto che la ricerca è attinente proprio alla manipolazione genetica dei batteri. L'azienda di Venter ha mostrato finora, come tutte le consorelle del resto, di amare spregiudicatamente il profitto. Veronesi e Cavalli Sforza hanno plaudito al risultato tecnico, evidenziando entrambi dei limiti precisi: scoperte come queste hanno conseguenze che dipendono soltanto dall'uso razionale che se ne potrà fare. Sappiamo già come andrà invece a finire.

La legge della rendita, l'etanolo e la fame

In una società non capitalistica sarà possibile utilizzare con criteri scientifici non soltanto biomasse vegetali di scarto, e anche appositamente coltivate in terreni oggi incolti, ma anche ogni genere di composto organico in grado di produrre alcol o gas, come i rifiuti, i liquami degli allevamenti (se ci saranno) e naturalmente quelli prodotti da miliardi di esseri umani, al momento sprecati. Già oggi esistono tecnologie di recupero energetico ad alto rendimento, ma esse sono frenate dalla legge della rendita: per essere applicate è necessario che le altre fonti di energia raggiungano un più alto prezzo di produzione (si coltiverà il campo più difficile o abbandonato solo quando il prezzo degli alimenti renderà conveniente il futuro raccolto su di esso). È la proprietà del suolo, dei brevetti e dei segreti di laboratorio ad impedire che il recupero energetico diventi una norma. Perché ogni posizione di monopolio sul suolo, come sulla conoscenza, è rendita.

La legge della rendita ci dice che anche sul terreno peggiore tra quelli coltivati, o sfruttati per estrarre minerali, vi è possibilità per il proprietario di intascare del denaro. I terreni non lavorati non producono rendita. Ciò parrebbe una banalità se non si precisasse che, in epoca capitalistica, quel denaro non può provenire da un valore intrinseco della terra, immanente ad essa, perché tutto il valore della società proviene esclusivamente dallo sfruttamento della forza-lavoro. Quel denaro è quindi una ripartizione del valore prodotto nella società, che il proprietario del terreno intasca per il semplice fatto di essere tale, ma solo se il campo è coltivato. Egli può negare a chiunque, se vuole, l'accesso al suo campo e non percepire alcuna rendita, ma nella misura in cui egli lo coltiva o lo fa coltivare, la percepisce, fosse anche il campo peggiore della Terra. A condizione che immetta il prodotto sul mercato. Se lo consumasse egli stesso non percepirebbe nulla. Quindi la rendita ha origine in un valore prodotto altrove. Nel campo peggiore, abbiamo quella che Marx chiama rendita assoluta.

Applicando capitale e forza-lavoro, il terreno potrebbe diventare ad esempio irriguo, più fertile, più facile da lavorare con le macchine. Si otterrebbe così una rendita differenziale. Tale tipo di rendita aumenterebbe se le condizioni suddette permettessero di coltivare un prodotto molto richiesto e molto caro. Con gli alti prezzi del petrolio e la sua prevista scarsità si profila l'utilizzo in massa di etanolo, quindi una rendita differenziale sui terreni agricoli oltre che sui giacimenti di idrocarburi. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la perfidia di Bush e delle multinazionali, è una legge del capitalismo e, finché esso dura, nessuno la potrà scalfire.

Non possiamo affrontare in poche righe la complessa genesi della rendita capitalistica e l'ancor più complessa ricerca di Marx sulle sue leggi. Ma quanto detto ci basta per capire che un campo di mais o di canna da zucchero sarà inevitabilmente utilizzato per produrre carburante invece di cibo non appena il prezzo del primo supererà quello del secondo (o quando gli incentivi statali otterranno lo stesso risultato). Ci basta anche per capire che un investimento in sementi particolari (specie se manipolate geneticamente allo scopo), in macchine, in fertilizzanti, ecc. può permettere a un terreno incolto di diventare utile per la coltivazione di una determinata pianta e rientrare in quelli che forniscono rendita.

Il proprietario del suolo, il fornitore di sementi modificate e l'industriale dell'impianto di trasformazione formano un terzetto piuttosto interessato a fare in modo che anche i terreni peggiori possano produrre vegetali da carburante per poi colonizzare con questi ultimi anche quelli migliori. Specialmente se consideriamo i rapporti di forza reali − è il caso di dire − "sul campo": il laboratorio-industria che produce le sementi e l'industria che fa fermentare e distilla la biomassa sono direttamente collegati al ciclo petrolifero, perché il prezzo dell'etanolo mescolato alla benzina seguirà indistintamente il prezzo della benzina. Inoltre, in molti casi, fanno già parte di un reparto interno delle grandi compagnie petrolifere. E queste sanno bene quanto l'attuale sete di energia obblighi alla ricerca di alternative al petrolio, senza via di scampo. Dunque i poderi saranno coltivati con piante transgeniche, il raccolto sarà "digerito" da batteri con il DNA modificato, il semilavorato sarà distillato per ottenere etanolo da miscelare con la benzina e l'agricoltore intascherà una rendita. Essa sarà più o meno succosa in ragione 1) del sovrapprofitto degli altri due compari che gli comprano il prodotto, 2) del sovrapprofitto dei rami d'industria assetati di energia che comprano il carburante, 3) delle sovvenzioni statali, cioè del valore che si riesce a spillare dai proletari e dalle altre classi.

Fin qui niente di strano. I governi, che gli ecologisti "di buon senso" ritengono sensibilizzabili alla missione di non affamare il mondo, potrebbero vietare la coltivazione di piante da carburante sui terreni che producono alimenti e obbligare il terzetto di cui sopra a riciclare tutte le biomasse oggi sprecate. Ma, spiace per i cultori del buon senso, non è affatto l'opinione pubblica a sensibilizzare i governi, bensì il contrario, dato che i governi sono più sensibili ai profitti delle grandi multinazionali, le quali ovviamente fanno eleggere gli uomini delle loro lobby ai parlamenti. Con il buon senso non si farebbero neppure le guerre, invece esse si combattono, e adesso le chiamano pure umanitarie, proprio per non offendere il buon senso dei pacifisti. A parte l'ironia, succederà che, per via della legge della rendita, le coltivazioni sui terreni peggiori si estenderanno man mano a quelli migliori, cioè là dove sarà garantita una rendita differenziale, cioè più profitto per i capitalisti e più rendita per gli agricoltori. E naturalmente questi ultimi saranno legati mani e piedi alle multinazionali dell'agrobusiness, dato che le sementi geneticamente modificate non sono un prodotto del contadino ma si devono acquistare dalle suddette multinazionali, mentre la materia prima sarà portata all'ammasso presso le fabbriche di etanolo.

Si tratta di un processo storico irreversibile, come dimostra la crescente colonizzazione dei terreni da cibo tradizionale indigeno da parte delle piante per l'industria alimentare o tessile internazionale. Oggi i tre principali cereali, grano, riso e mais rappresentano da soli il 90% delle colture cerealicole del mondo e il tipo di sementi è sempre più standardizzato. Inoltre avanza l'invasione delle piantagioni di cotone, lino, canapa, caffè, palma da olio, soia, girasole, colza, ecc. e da pochi anni una nuova pianta sulla quale i petrolieri stanno posando un ecologistico sguardo: la jatropha. Data l'inesauribile sete di petrolio, come effetto collaterale dello specifico processo produttivo degli agrocarburanti, ampiamente preparato dall'attuale fase di transizione e praticamente obbligatorio per il capitalismo, vi sarà un'ulteriore pressione per introdurre selvaggiamente gli Organismi Geneticamente Modificati. Questo perché togliendo terreno alla coltivazione di alimenti a favore di quella di piante da carburanti, si griderà ancor più contro la fame nel mondo, dopo averla incrementata; si dimostrerà facilmente che sarà assolutamente necessario innalzare la produttività e la resa nei campi, e che questo non lo si potrà fare, dati i limiti raggiunti, in altro modo che con l'adozione generalizzata e massiccia di OGM.

Per tirare le somme: la colonizzazione dei terreni agricoli che producono alimenti da parte dell'industria degli agrocarburanti non è un'eventualità, è una certezza. Sta già succedendo oggi e succederà ancor più domani. Tutta la catena di alimenti che parte dai cereali e arriva al pane, alla pasta, alla carne (attraverso i mangimi) è già aumentata di prezzo. Una enorme massa di capitali speculativi si sta dirigendo sui mercati delle materie prime alimentari di Chicago e Londra acquistando futures sui raccolti dei prossimi anni, scommettendo al rialzo e quindi contribuendo a provocarlo. Gli economisti daranno la colpa alla speculazione, ma quest'ultima non è la causa del fenomeno, ne è l'effetto, essa si butta sul processo di trasformazione del cibo in benzina, non lo crea. Quella che abbiamo sotto agli occhi non è una fase di transizione: sarà una condizione permanente finché durerà il capitalismo. La transizione sarà solo verso metodi che garantiscano più profitto e più rendita. Chi è giunto − un po' tardi − ad opporsi agli attuali metodi di produzione dell'etanolo, ma nello stesso tempo auspica un mondo di energie rinnovabili a base di biomasse non alimentari, non è un rappresentante del buon senso, è un criminale.

Espressione un po' forte? L'ha usata il sociologo-economista Jean Ziegler per conto dell'ONU. Solo che si riferiva al primo capitolo della produzione di agrocarburanti. Perché anch'egli auspica l'avvento rapido di quella che ha chiamato "seconda generazione di tecnologie".

Letture consigliate

  • Partito Comunista Internazionale, Mai la merce sfamerà l'uomo, comparso a puntate ne Il programma comunista, 1953-54. Ora nel libro dallo stesso titolo nella collana Quaderni di n+1, attualmente esaurito.
  • Amadeo Bordiga, La questione agraria, raccolta di testi, Quaderni di n+1, 1995.
  • Donella Meadows, Dennis Meadows, Jørgen Randers e William Behrens, I limiti dello sviluppo, Mondadori EST, 1972.
  • Donella Meadows, Dennis Meadows e Jørgen Randers, Oltre i limiti dello sviluppo, Il Saggiatore, 1993.
  • William Engdhal, A Century of War: Anglo-American Oil Politics, Pluto Press. Articoli dello stesso autore si trovano al suo indirizzo internet www.engdahl.oilgeopolitics.net
  • The Economist, "Ethanol, schmetanol. Everyone seems to think that ethanol is a good way to make cars greener. Everyone is wrong", 27 settembre 2007.
  • Alexander E. Farrel e altri, "Ethanol can Contribute to Energy and Environmental Goals" (but requires cellulose technology), Science, 27 gennaio 2006.
  • David Pimentel, Ethanol fuels: Energy Balance, Economics and Environmental Impacts Are Negative, giugno 2003, www.ethanol-gec.org/netenergy/neypimental.pdf.
  • Michael Wang, Updated Energy and Greenhouse Gas Emission: Results of Fuel Ethanol, 26 settembre 2005, www.transportation.ani.gov/pdfs/TA/354.pdf.
  • Matthew Wald, "Etanolo tra mito e realtà", Le Scienze, aprile 2007.
  • Manuela Campanelli, "Energia dalle biomasse", Le Scienze, agosto 1998.
  • Hosein Shapouri, James A. Duffield and Michael S. Graboski, Estimating the Net Energy Balance of Corn Ethanol - An Economic Research Service Report - United States Department of Agriculture, Agricultural Economic Report Number 721 July 1995 - http://www.ethanol-gec.org/corn_eth.htm.
  • Lester Brown, Exploding US Grain Demand for Automotive Fuel Threatens World Food Security and Political Stability, 2006, www.earth-policy.org.
  • Lester Brown, Plan B2.0: Rescuing a Planet Under Stress and Civilization in Trouble, ediz. W.W. Norton, 2006.
  • Coldiretti, Dai campi carburante per sei milioni di auto, News Coldiretti n. 184, marzo 2005; Energie UE, Da biocarburanti trecentomila nuovi occupati, News Coldiretti n. 78, febbraio 2006, www.coldiretti.it/docindex/informazioni/078_06.htm.
  • Sabrina Menichetti, Confagricoltura risponde agli allarmismi, sul sito della rivista telematica del Ministero delle Politiche Agricole, www.agricolturaitalianaonline.gov.it
  • Marcelo Dias de Oliveira e altri, "Fuel ethanol cannot alleviate US dependance on petroleum", Bioscience, www.aibs.org/bioscience-press-releases.
  • Jean Ziegler, The impact of biofuels on the right to food, rapporto all'Assemblea Generale dell'ONU, www.righttofood.org/A62289.pdf. Questo rapporto di 23 pagine è molto utile per la quantità di dati e per l'ulteriore bibliografia che si trova nelle note.
  • Per conoscere direttamente il mondo dei produttori di etanolo può essere utile l'indirizzo di Ethanol Producer Magazine: http://www.ethanolproducer.com/
  • Jacopo Fo, Perché Jeremy Rifkin ha preso un abbaglio e perché i biocarburanti sono utili anche se Bush è un esaltato pericoloso, http://www.jacopofo.com/?q=node/3077.
  • Marco Magrini, "Le suore che coltivano elettricità", Un articolo sull'uso della jatropha per la produzione di olio combustibile, Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2007.
  • "Il biocarburante di Haiti si chiama jatropha", sul sito Internet di Energie rinnovabili, http://www.energie-rinnovabili.net.
  • "Dalla jatropha un contributo all'agricoltura locale", sul sito Internet di Slow food, http://sloweb.slowfood.it/sloweb/ita.
  • Craig Venter Institute, JCVI Scientists Publish First Bacterial Genome Transplantation, Changing One Species to Another, Press page for immediate release, http://www.jcvi.org/press/news_2007_06_28.php.

Rivista n. 22