Assemblea del condominio che non c'è ancora

"Un esperimento di cohousing a due passi dalla città". Sul manifesto c'è l'invito a una riunione e l'indirizzo del sito Internet. Il quale è collegato a un network italiano e ad altri, americani ed europei. Andiamo a vedere. Non abbiamo forse scritto che questa società non può fare a meno di anticipare soluzioni tipiche della società futura, anche se stravolte dalle categorie di questa?

In un ampio locale arrivano centoventi persone. Ci sono le foto di una grande cascina com'era nel secolo scorso e com'è adesso, i disegni del progetto, un'animazione in 3D su computer, un proiettore multimediale. Gli organizzatori sono una decina. Parlano solo in tre, il rappresentante del comune, l'impresario e il presentatore. Il primo fa gli onori di casa; il secondo espone le credenziali della ditta, alcune note sul progetto e i costi; il terzo espone la teoria e la prassi dei sistemi di cohousing. Ha studiato il problema per sei mesi in California. Proietta foto di esperimenti italiani ben riusciti. Descrive in dettaglio il progetto con le eventuali varianti. Sì, dice il presentatore, perché la vita in cohousing può essere intesa come in un normale condominio con alcuni servizi in comune, oppure come un esperimento radicale, che può cambiarvi completamente la vita. Decidete voi. Il messaggio è basato su un predominante ricorso all'insopportabilità della vita senza senso: la metropoli che ti soffoca, l'ambiente intatto che ti manca, la vita in comune che non c'è più, l'affanno dovuto a overdose di attività e informazione.

Silenzio di tomba. Alcune coppie di mezza età se ne vanno subito con l'aria di chi non ha tempo da perdere. Un intervenuto alza la mano: "Mi chiedo che tipo di investimento occorra, dal punto di vista psicologico, per giungere ad accettare un tipo di vita cui non siamo abituati e che probabilmente scatena conflitti fra i partecipanti". Dice proprio così: investimento.

La risposta ci fa sobbalzare sulla sedia: "Meno, molto meno di quanto non crediate. In fondo noi viviamo così da meno di cento anni. Non ne abbiamo più il ricordo, ma i nostri nonni facevano una vita comunitaria più stretta di quella che si conduce nella maggior parte degli esperimenti di cohousing. Dirò di più: noi ci siamo evoluti per due milioni di anni in comunità, non siamo mai stati separati come adesso. Noi siamo già fatti così, non abbiamo bisogno di diventare così. Ci sono già decine di milioni di americani che vivono in comune".

Ancora imbarazzo e silenzio. Scricchiolano le sedie. Qualcuno si schiarisce la voce. Infine partono altre domande. S'è rotto il ghiaccio, si parla di prezzi, di termini di consegna, insomma, di cose pratiche. L'edificio da ristrutturare è molto grande. La superficie abitabile complessiva è circa 1.500 metri quadri, più una stalla monumentale, fienili e cantine. In questi ultimi spazi la bozza di progetto prevede le parti comuni. Ci sono alloggi di diverse metrature, per singoli e per famiglie. Il cortile è vasto, intorno c'è del verde. Il progetto è tutto tecnologia e sapiente recupero. Il relatore lo magnifica, l'impresario cerca di capire se ci sono compratori. Ne salta fuori uno, giovane, appassionato di informatica. Altri s'interessano.

D'accordo, è solo un condominio, anche se un po' speciale. Ci sono alcune coppie di giovani che non parlano, gli occhi fissi ai progetti e alle foto. Chissà a cosa stanno pensando. Verremo a sapere in seguito che una comunità s'è formata.

Rivista n. 23