Piccolo bilancio sugli agro-carburanti
L'articolo sugli agro-carburanti pubblicato nel numero scorso ha avuto un notevole riscontro, non solo a causa dell'attualità dell'argomento. I lettori hanno evidentemente preso atto che è tornato alla ribalta l'antico problema della "fame nel mondo", diventato vessillo delle Nazioni Unite e apparentemente in via di superamento con l'enorme aumento della produttività nelle campagne, consentito dalla modernizzazione dei metodi di coltura e dall'utilizzo di sementi ibride e fertilizzanti chimici. Ci sembra utile fare un piccolo bilancio degli ultimi mesi.
Al momento il cibo ci sarebbe, ma lo spettro della fame imperversa ugualmente. Tutte le cause sono collegate alla legge marxiana della rendita. Infatti l'abbondanza media di cibo è in relazione allo sviluppo capitalistico che ha prodotto una variazione a livello mondiale dell'alimentazione umana, la quale ha prodotto a sua volta una nuova richiesta di alimenti, l'estensione delle colture o la loro ulteriore modernizzazione. Ne risulta esaltata la funzione dei terreni peggiori, che stabiliscono il prezzo medio delle derrate (per un prezzo inferiore verrebbero tenuti incolti). Un po' come succede per il petrolio, il cui prezzo stabilisce fino a che punto è vantaggioso sfruttare i giacimenti peggiori o passare addirittura alla costosa distillazione di scisti bituminosi o al "carbone pulito". Su questo movimento economico fondamentale si innesca la questione dell'etanolo o degli olii vegetali da diesel, che diviene conveniente produrre in parallelo ai carburanti fossili solo quando il prezzo di questi ultimi s'impenna. È solo nella fase finale del ciclo che si innesca la speculazione sui raccolti presenti e futuri, influendo ulteriormente sul mercato.
Il più importante dei cosiddetti Millennium Goals delle Nazioni Unite, il primo della lista pubblicata nel 2000, prometteva di ridurre del 50% entro il 2030 il numero di abitanti del pianeta al di sotto della soglia di povertà, oggi a un dollaro di reddito al giorno. Otto anni fa gli uomini in queste condizioni erano 800 milioni; oggi marciano verso i due miliardi. Jean Ziegler, sociologo svizzero incaricato speciale dell'ONU per la crisi alimentare mondiale, al momento delle sue dimissioni dall'incarico ha affermato che trarre carburante dai prodotti agricoli "è un crimine contro l'umanità"; e a proposito dell'Obiettivo del Millennio:
"Si può dire che questo obiettivo non potrà essere raggiunto. Siamo al disastro totale. Un insuccesso completo… La lotta contro la fame nel mondo è un fiasco colossale… la comunità internazionale dovrebbe al più presto dichiarare una moratoria mondiale di cinque anni sui biocarburanti. Bisogna inoltre imporre nuove regole per bloccare la speculazione sulle materie prime agricole. I Fondi d'Investimento devono smetterla di speculare su questi prodotti".
Fra cinque anni la fame di cibo e la sete di petrolio saranno molto più intense di adesso e la moratoria non risolverà nulla. Abbiamo già pubblicato cifre significative, ma altre se ne sono aggiunte nel frattempo. Alcune per tutte: fra vent'anni, pur tenendo conto di un calo del ritmo di crescita della Cina e dell'India, se tutta la superficie agricola fosse usata per produrre carburante, non si giungerebbe che a un 10-15% del fabbisogno mondiale. L'Unione Europea al momento ha l'obiettivo di produrre entro il 2020 il 10% dei suoi carburanti a partire da basi vegetali, ma già adesso non ha terre sufficienti, per cui prevede di produrre etanolo in Africa, condannandone alla fame le popolazioni. Il governo USA sta spendendo 6 miliardi di dollari all'anno per finanziare la distillazione di 138 milioni di tonnellate di mais americano; debito pubblico e profitto privato hanno stimolato il bisogno di distillarne ancora di più, tanto che l'anno scorso lo stesso governo ha siglato un patto con quello brasiliano per massicce importazioni di etanolo, mettendo in crisi i progetti interni di sviluppo della motorizzazione a carburante misto. Questo per dire che in un solo anno si sono già esaurite le possibilità di conversione delle colture, e la produzione di etanolo ha già intaccato profondamente il ciclo alimentare.
Dove Ziegler sbaglia, come molti ecologisti convertiti, è nel credere che vi siano possibilità di sviluppo delle tecnologie più moderne per distillare etanolo direttamente da residui organici non alimentari. Abbiamo dimostrato, citando serie fonti dei borghesi stessi e addirittura delle multinazionali interessate, che ciò non è al momento possibile dal punto di vista tecnico. Ma anche quando sarà possibile, forse fra una decina di anni, si può dimostrare dati alla mano che ciò provocherà ugualmente fame e miseria. Infatti i calcoli seri partono dall'energia contenuta nella biomassa da trattare per giungere a quella contenuta nel carburante ricavato da essa, che è sempre assai inferiore al 100%. Anche utilizzando quindi biomasse non alimentari, i terreni agricoli saranno colonizzati inesorabilmente. Se già con il petrolio al prezzo attuale la gente muore di fame, figuriamoci che cosa non potrà succedere con il prezzo a 200 dollari e oltre, come prevedono gli economisti (prezzo peraltro già toccato in transazioni locali).
La crisi finanziaria in corso peggiora notevolmente la situazione. Capitali resi liberi da investimenti precedenti si sono riversati sui mercati delle materie prime minerali e agrarie, nella certezza che continuerà il trend degli ultimi due o tre anni, che hanno visto duplicare o anche quintuplicare il prezzo di alcuni prodotti della terra. Questi mercati sono meno controllabili rispetto a quelli azionari, col risultato che, ad esempio, si potrebbe acquistare l'intero prodotto di un cereale brasiliano versando solo il 5% del valore contrattato, saldando poi a termine. Si capisce subito che cosa ciò possa significare quando proprio a causa della crisi le banche centrali abbassano il costo del denaro per stimolare l'economia. Si acquista denaro a basso costo per "investirlo" in speculazioni praticamente sicure a costo bassissimo.
Molti paesi in crisi endemica come Argentina, Egitto, Vietnam, ecc. hanno proibito l'esportazione di prodotti agricoli se non eccedenti rispetto alla domanda interna. Ciò provocherà indubbiamente un'ulteriore diminuzione del cibo sui mercati internazionali, un aumento di prezzo e quindi l'aumento della serie dei paesi che prenderanno provvedimenti analoghi, con l'innesco di un processo amplificatore.
C'è chi dice che in Brasile si mescola etanolo a benzina da decenni e che ciò non ha mai provocato né fame, né studi degli economisti sul pericolo che ci fosse, mentre appena gli Stati Uniti applicano la stessa politica succede il finimondo a causa della "pregiudiziale anti-imperialista". Sciocchezze. Intanto in Brasile si sta bruciando la foresta amazzonica per fame di terra, anche a causa dell'etanolo. E poi il bisogno di energia del Brasile non può essere paragonato a quello degli Stati Uniti, dell'Europa, della Cina e dell'India tutte insieme. L'anti-imperialismo di maniera è stucchevole e spesso si basa su slogan ridicoli, ma qui si tratta d'altro. Siamo in sei miliardi e mezzo su questo pianeta e fra qualche anno ci saranno almeno tre miliardi di abitanti in più coinvolti nel consumismo, specie automobilistico. L'energia, fossile o agraria, fornita dal pianeta semplicemente non basta più. E ci sono tanti altri aspetti della situazione mondiale che suggeriscono inesorabilmente l'esaurirsi di espedienti per sostenere questo modo di produzione infame.