Fine della storia?

Le forze produttive crescono incessantemente secondo un grafico "che non ha curva discendente". Lo sviluppo continuo della curva non è in contraddizione con l'esistenza di "cuspidi sociali", cioè di salti rivoluzionari verso nuovi modi di produzione. Lo stato borghese salta e se ne forma un altro, proletario, che nel corso del suo sviluppo si estinguerà. Si può dire che esiste lo stato perché esistono le classi. Questa forma antagonistica di società ha prodotto la nascita della storia (mi riferisco all'incipit del Manifesto per cui la storia è stata storia di lotte di classe). Secondo Marx l'estinzione dello stato è possibile nella misura in cui scompaiono le classi sociali. La società capitalistica, dice, è l'ultima forma sociale antagonistica della storia. Ma allora si potrebbe forse dire che anche la storia stessa − la successione degli n − finisce con n+1? Lo sviluppo storico, dal comunismo primitivo a quello superiore, ha una sua dinamica deterministica. Parte da una unità originaria che si rompe attraverso una serie di contraddizioni, arriva alle classi sociali e al comunismo sviluppato. Se è vero che la storia è prodotta dall’antagonismo di classe, come sarà il futuro della specie senza classi? Mi spiego: non essendoci più una scissione nel rapporto dialettico tra soggetto ed oggetto (Manoscritti, concetto dell’alienazione) non ci sarà più nessuna alienazione. Se ci sarà solo oggettivazione dei saperi, quale sarà la dinamica di specie?

 

Il termine "storia" è talmente logoro che necessita una spiegazione: Se per storia intendiamo solo la storia della lotta delle classi allora certamente finisce quella storia. Se però intendiamo la storia come una dinamica generale del procedere umano verso livelli futuri, allora c'è continuità, come nel grafico della forza produttiva sociale crescente. La scomparsa delle classi e perciò dell'alienazione non significa scomparsa delle differenze all'interno della specie, con tanto di trasferimento e oggettivazione di saperi. Non scompaiono le relazioni della specie con il suo ambiente. Perciò la nuova società non sarà un sistema piattamente omeostatico ma entro di essa e in relazione all'ambiente continuerà la dialettica del cambiamento.

Sarà operativo un rovesciamento della prassi (progetto) infinitamente superiore a quello attuale, non per aumentare la produzione-dissipazione ma per evitarla. Può darsi che una parte dell'umanità torni in simbiosi con la biosfera pur mantenendo e anzi accrescendo le conoscenze acquisite, mentre un'altra parte preferisca vivere utilizzando al massimo tali conoscenze e quindi sviluppando altissime tecnologie proprio per non influire sugli equilibri biofisici. Queste parti potrebbero tranquillamente comunicare sulla base di una differenza che non sarebbe più di classe ma tutt'altro, trasponendo sul piano organico ciò che un tempo era conflitto.

Escludiamo quindi che comunismo significhi scomparsa delle differenze, problema peraltro già risolto da Marx, che prevede, al contrario, il lavoro veramente umano, ogni uomo per l'altro uomo, proprio sulla base di una individualità non più alienata (Glosse a James Mill, 1843). La follia degli pseudo-rivoluzionari è volere l'omologazione al posto dell'organicità. In un organismo è feconda la differenza degli organi e delle cellule, l'uguaglianza va bene per i granelli di sabbia o per i batteri in un brodo di coltura. Anche il nostro cervello si è sviluppato al massimo per poi sostituire la crescita volumetrica con la capacità di aumentare le connessioni interne. Di qui la capacità di migliorare la comunicazione. Ma non si comunica nulla se non c'è differenza.

Rivista n. 24