Il movimento per la semplicità volontaria

Il movimento dei neo-semplici non poteva che nascere negli Stati Uniti, dove al più becero bigottismo reazionario si mescolano le anticipazioni materiali della società futura, eclatanti capitolazioni ideologiche e pratiche di fronte al lavoro teorico di Marx. È una reazione spontanea allo sfrenato consumismo dell'ex middle class americana. Non ha nulla di ideologico, almeno nei termini usuali in Europa. Quando i neo-semplici (downshifters) donano i loro averi a società di beneficenza o ad enti assistenziali qui pensiamo a San Francesco, mentre gli americani pensano solo a un'eccentricità fra tante altre. Si ispirano ai beatnik e agli hippy degli anni '50 e '60, ma a differenza di quelli non rappresentano un movimento sociale organizzato, anche se si autodefiniscono Voluntary Simplicity Movement.

Hanno siti internet, pubblicano libri, rilasciano interviste alla televisione, e il tam-tam sociale diffonde le loro storie. Non sono utopisti con in testa un modello di società futura; partecipano semplicemente al movimento reale di rigetto nei confronti di alcuni effetti del capitalismo. È chiaro che se la maggior parte degli americani li emulasse crollerebbe nientemeno che il capitalismo, ma loro se ne fregano di questa radiosa (per noi) prospettiva. E non sono proletari che non hanno nulla da perdere: per essere un downshifter bisogna avere avuto qualcosa ed essersene disfatti. È una condizione di rifiuto e non di rinuncia. È quindi, secondo una definizione europea, una condizione idealistica piccolo-borghese.

Alcuni vanno a vivere on the road, su camper o autobus attrezzati; altri preferiscono la vita urbana, in strutture comuni, che ormai anche le imprese edili propongono chiavi in mano; la maggior parte se ne va in stati poco abitati, come il Vermont e il Montana, a praticare agricoltura biologica o forme di telelavoro. Qualcuno s'è comprato una vecchia barca e naviga di porto in porto su fiumi e coste marine. In genere sono coppie con prole, più raramente piccoli gruppi. Non sono organizzati, a meno di non intendere per organizzazione l'essere collegati in rete.

Alcuni downshifter conducevano una vita agiata, guadagnavano abbastanza per pagare duemila dollari al mese di affitto o avere case da due milioni di dollari. Tutti si sentivano oppressi dalla quantità di legami che la vita "normale" li obbligava a coltivare. Il loro motto è: "Tutto ciò che possiedi finisce per possederti". Il loro principio ispiratore è quindi non avere, come gli antichi popoli nomadi che potevano trasportare soltanto l'essenziale: tutto ciò che è ritenuto indispensabile deve poter stare in una valigia. Ciò che odiano di più è la televisione. Subito dopo viene l'automobile, a meno che non sia un camper. Odiano anche lo Stato, ma con esso convivono, dato che, in quanto non-consumatori, li considera non-esistenti.

Sono tanti, un paio di milioni. I loro antenati beatnik e hippy erano molti meno, ma furono ugualmente un po' tartassati dallo Stato. All'inizio non per motivi ideologici (erano poeti e trovatori panteisti un po' bevuti e fumati), ma semplicemente perché avevano adottato un particolare modo di vivere e comportarsi. Erano "diversi" e rovinavano il quieto paesaggio omologato dell'american way of life. Poi venne il Vietnam e lo Stato andò sul pesante con gli eredi dei poeti e dei trovatori. Se i downshifter dovessero crescere ancora e organizzarsi… beh, in America ci sono già stati ammazzamenti per molto meno.

Rivista n. 24