A che punto è l'imperialismo
Non ci sono dubbi che gli Stati Uniti siano ancora il paese egemone entro il panorama imperialista. Nonostante ciò, da molti anni si accumula una ormai imponente letteratura sul declino americano. Ma è autentico questo declino? Sono ancora validi i parametri che furono alla base della "nostra" teoria dell'imperialismo, risalente al periodo della Guerra 1914-18? E se no, che cosa è cambiato?
Il confronto nel tempo dovrebbe tener conto non solo di invarianze e trasformazioni ma della loro dinamica. L'imperialismo cambia sia con le forme sociali, sia entro di esse. Come l'impero di Augusto era diverso da quello di Alessandro all'interno della forma schiavistica, così l'impero di Washington è diverso da quello che fu di Londra all'interno della forma attuale. La cosiddetta crisi finanziaria che stiamo attraversando è strettamente collegata al declino della produzione americana rispetto al resto del mondo, ma questo declino è compensato da un potere politico, economico e militare rimasto intatto, persino accresciuto in rapporto al collasso dell'URSS. Diminuita potenza e aumentata capacità di dominio degli Stati Uniti rappresentano una contraddizione, che però spiega la necessità da parte di Washington di rastrellare più valore di quanto ne produca. E ciò ha evidentemente a che fare con la formazione di una quantità mai vista di capitale fittizio, che già Marx contrapponeva al capitale reale. Il quadro è decisamente "unipolare". In esso conta un solo paese imperialista, con il quale gli altri non sono più in grado di "spartirsi il mondo", ma al quale sono costretti a far da supporto. È dunque messa in discussione la "serie storica" nel passaggio di egemonia da un paese all'altro.
Le teorie sull'imperialismo sono molte. Quella di Hobson è diversa da quella di Hilferding, e quella di Lenin da entrambe, mentre la maggior parte delle teorie moderne assumono l'aspetto di modelli economici globali (o sociologici, come ad esempio quello di Hardt-Negri, dove l'imperialismo è dato per defunto e sostituito dall'impero globale). Noi ci atteniamo a Lenin, e riteniamo che Lenin stesso avrebbe individuato nell'imperialismo di oggi i suoi caratteri inediti che peraltro egli anticipa nel suo libro specifico sull'argomento. Da questa premessa nascono i due articoli sull'imperialismo che pubblichiamo nel presente numero, uno sulla relazione crisi-imperialismo, l'altro sulla successione fra paesi imperialisti dominanti.
La diffusione dei centri di accumulazione verso l'Estremo Oriente con propaggini in altri paesi emergenti ha prodotto una sempre maggiore richiesta di capitali, energia e materie prime, per cui al declino americano si somma un aumento delle attività capitalistiche sottratte al diretto controllo di Washington. Di qui l'inevitabile tentativo di riprendere tale controllo, a cominciare da quello dei flussi finanziari. D'altra parte le potenze economiche come la Cina e l'India si sviluppano continuando a rimanere complementari al colosso americano senza che si intravveda una qualche loro possibilità di successione nella serie storica.
Siamo in una situazione che sembra giunta allo stallo, se non fosse che è invece foriera di squilibri enormi e di tensioni dovute proprio alla contraddizione "declino-dominio" di cui soffrono gli Stati Uniti. A tutto ciò si aggiunga il problema della produzione, che sta avvicinandosi a limiti fisici ben individuati, per cui sarà impossibile, ad esempio, obbligare il pianeta a subire l'impatto di una Cina e un'India che si motorizzano e consumano all'americana.