Uno spettro si aggira per la Rete

"La forma estrema di alienazione in cui il lavoro, l'attività produttiva, si presenta rispetto alle sue stesse condizioni, è un necessario punto di passaggio, e quindi contiene già in sé la dissoluzione di tutti i presupposti limitati della produzione. Crea anzi i presupposti non condizionati della produzione e di conseguenza le condizioni materiali compiute dello sviluppo totale, universale della forza produttiva dell'individuo" (Marx, Grundrisse, Quaderno V).

Seguiamo il ragionamento che troviamo nei Grundrisse. Per gli economisti classici, il lavoro individuale sarebbe immediatamente denaro, con il quale il singolo acquista valori d'uso: l'artigiano acquista gli strumenti utili alla propria attività più i beni che gli servono per vivere, mentre l'operaio reimmette il denaro sul mercato pagando tutto ciò che gli serve per riprodursi. Ma il loro "singolo" non esiste in quanto… singolo. Anche ammesso che egli non sia parte di un sistema produttivo, deve pur sempre mediare la propria azione tramite il denaro che, prima ancora dell'epoca capitalistica, è mediazione di lavoro sociale non appena il suo uso come equivalente universale si generalizza.

Il capitalismo non è caratterizzato semplicemente dal valore di scambio che si concretizza in denaro e poi in Capitale: il presupposto vero e profondo è il lavoro sociale. È il lavoro sociale che rende possibile il carattere generale dei prodotti e mette in comunicazione tutti i produttori mediante la partecipazione ai prodotti stessi. Se il presupposto fosse la sola produzione sociale, senza l'appropriazione privata, lo scambio non sarebbe fra valori di scambio bensì fra "attività determinate da bisogni e scopi sociali". Poiché la produzione sociale esiste anteriormente allo scambio fra valori di scambio, possiamo essere certi che, se nel caso di società in cui domina la proprietà si scambiano merci, nel caso della società liberata da questa piaga si scambieranno attività umane (e verrà a cadere persino il significato attuale della parola "scambio"). Qualunque sia il prodotto del singolo, esso già oggi non è altro che una quota del lavoro sociale e della produzione sociale. Perciò il singolo produttore, rispetto a un altro che partecipi allo stesso processo produttivo "non ha neanche da scambiare un prodotto particolare. Il suo prodotto non è un valore di scambio". Infatti l'appropriazione privata viene dopo la produzione sociale ("post festum"). Questo argomento verrà ripreso da Marx in altra parte dei Grundrisse e precisato sul Capitale ("L'operaio parziale non produce alcuna merce"). Noi l'abbiamo utilizzato in apertura del nostro sito su Internet.

Se l'operaio idealizzato dall'opportunismo è un uomo al quale una potenza malvagia estorce plusvalore, rende un'ingiustizia, l'operaio di Marx è pagato al "giusto" valore, essendo la forza-lavoro una merce come un'altra; nessuno gli rende una ingiustizia particolare perché egli subisce l'ingiustizia universale. Ma soprattutto egli anticipa la società futura in quanto è partecipe al sistema del lavoro sociale, alla cooperazione universale. Pensare che nella società capitalistica l'individuo produca, sia pure con la mediazione della merce, immediatamente valore di scambio, cioè denaro, significa negare che questa società sia ciò che veramente è: la base materiale per il comunismo. E infatti si può immaginare rozzamente questo rapporto diretto solo tornando al modo di produzione precedente, quando l'artigiano convertiva di persona il proprio prodotto in denaro. Per riprendere un'espressione di Marx, nell'epoca della massima produzione sociale, tale immaginazione "può essere soddisfatta soltanto alle condizioni in cui essa non può più essere posta". Affermare che il capitalismo è eterno o che il comunismo va "edificato", come diceva Stalin, significa negare l'essenza del capitalismo, cioè la produzione sociale; significa non vedere dunque che il comunismo è già presente nella società attuale così com'è.

Ne La guerra civile in Francia, Marx affronta il problema della cooperazione dal punto di vista politico-rivoluzionario. Contro i ripetitori di volgari luoghi comuni sul lavoro cooperativo, egli annota che proprio il lavoro cooperativo, sfrondato dalle meschinerie cui è costretto in questa società e posto invece in rapporto con un piano di produzione che elimini l'anarchia economica, non è altro che comunismo. E prosegue:

"La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre par décret du peuple. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese".

Il nostro lavoro è improntato appunto all'indagine su quegli elementi e sui modi per rendere effettiva, pratica la loro liberazione.

Il comunismo di Bill Gates e il movimento reale

In quanto proprietario del monopolio Microsoft, l'uomo più ricco del mondo, titolare di una posizione di rendita difficilmente ripetibile, non poteva evitare di scontrarsi con la parte non capitalistica del capitalismo. Parlando di chi si occupa di open source e di software libero, aveva descritto il fenomeno con il peggior termine che può venire in mente a un capitalista: "Queste persone non sono altro che una specie di versione aggiornata dei comunisti". Su Internet sono subito circolate ironiche immagini di giovani appassionati ritratti davanti al computer con il mostro ghignante del comunismo – che ha tanto di artigli e la faccia di Lenin –incombente alle loro spalle. Kevin Kelly, ex direttore di Wired, la rivista cult degli smanettoni, ha risposto indirettamente lo scorso 22 maggio con un articolo intitolato The New Socialism: Global Collectivist Society Is Coming Online (Il nuovo socialismo: una società collettivistica globale sta arrivando in rete).

Nell'articolo l'autore, ragionando come Bill Gates, parte dall'equazione comunismo = stalinismo e costruisce una critica serrata sul falso presupposto: nega il presunto comunismo e dimostra, in contrapposizione al grande capitalista, che comunque nel mondo delle reti e del lavoro collettivo gratuito sta sorgendo una nuova versione di "socialismo libertario". Il doppio errore di Gates non ha bisogno di un lungo commento: il comunismo non è quello che intende lui, e i giovani smanettoni non ne sono affatto una semplice versione aggiornata. Kelly, nel rispondere, ne commette uno solo, quello dell'equazione, ma per il resto elenca una quantità impressionante di prove che a noi servono per mostrare come effettivamente il fenomeno descritto abbia a che fare con il comunismo. Quello autentico, non quello della versione adulterata in circolazione.

Quindi è stato fatto un oggettivo passo avanti rispetto a ciò che osservava Marx: non siamo più semplicemente di fronte a una produzione socializzata nel senso che ogni lavoratore partecipa a una quota del prodotto sociale tramite la mediazione del denaro. È sparita in molti casi la mediazione, e il fenomeno si trova già di fronte al mondo come esempio immediato di produzione senza scambio di valore. È come se l'operaio parziale, che di per sé non produce valore se non dopo l'intervento post festum della proprietà e dello scambio, fosse uscito dalla fabbrica e non producesse più merci nemmeno in faccia al mercato. È come se dunque neanche l'operaio globale producesse più merci. E siccome col sistema di macchine è come se anche la scienza e l'intelligenza collettiva fossero diventate mezzi di produzione (Marx, Grundrisse), oggi è come se anche scienza e intelligenza fossero liberate dalla loro condizione subordinata rispetto al Capitale.

Gates fa del comunismo un problema politico, economico e soprattutto giuridico. Kelly ne fa un problema di nuova cultura che avanza inesorabile. Entrambi non escono dalla visuale borghese, ma Kelly, occupandosi di tecniche e risvolti sociali e non di produzione e profitto, ha più libertà di movimento. Gli va dato atto che azzecca il problema quando chiama commie pinkos i "comunisti" usciti dalla controrivoluzione staliniana (commie è una contrazione spregiativa per "comunista", pinkos potrebbe stare per "all'acqua di rose"). Ciò che però ci interessa di più sono i dati nudi e crudi che egli riporta. E comunque, volente o nolente, anche l'anticomunista Gates, col mestiere che fa, è costretto a produrre per il comunismo.

Un ambiente comunistico in continua crescita

D'accordo, produrre software e anche reti collaborative in ambiente capitalistico significa produrre alienazione e solitudine nello stesso momento in cui le si negano potenzialmente. Vi sono anarchici pregiudizialmente contrari alle reti perché esse impedirebbero, disumanizzando i rapporti, il formarsi di comuni locali; ve ne sono invece di quelli che adoperano tranquillamente il software cooperativo di Wikipedia per i loro siti. Vi sono comunisti che negavano l'utilità delle reti per il lavoro rivoluzionario e che adesso, pur avendo cambiato idea, le adoperano quasi scusandosi, come dire che bisogna adeguarsi a tempi che mettono a disposizione degli strumenti in più, come i cellulari o i navigatori; ve ne sono altri che non solo hanno anticipato i tempi, collegandosi in rete prima che si diffondesse Internet, ma che hanno ritenuto rivoluzionario l'avvento dei sistemi comunicativi e collaborativi, esattamente come Marx aveva definito rivoluzionario il bisogno della borghesia di introdurre sempre nuovi rapporti nel processo produttivo. Noi ci consideriamo fra questi.

Su Wikipedia abbiamo scritto un articolo apposito proprio perché l'enciclopedia collaborativa gratuita on line è uno dei maggiori esempi di sviluppo dell'ambiente comunistico esplicito, che si affianca a quello della struttura produttiva, implicita, meno visibile, ma già pronta per essere liberata. Da quando fu escogitato il primo software per il lavoro collaborativo (team computing) sono passati quasi vent'anni, e una quindicina ne sono passati da quando è stata pubblicata la prima pagina per il wikilavoro. Oggi esistono circa 150 programmi che possono servire da motore per il lavoro collettivo. Essi sono utilizzati soprattutto dalle aziende o comunque da organizzazioni, ma anche da gruppi di lavoro informali, e stanno alla base di migliaia di siti che trattano gli argomenti più disparati; alcuni ospitano anche un milione di lavori comuni. Paradossalmente questo è il "socialismo reale", mentre quello così chiamato non era che la brutta copia di un'utopia, un'accozzaglia di categorie borghesi etichettate diversamente.

Probabilmente l'umanità non avrà tempo sufficiente per cancellare la montagna di falsificazioni, mistificazioni, luoghi comuni introdotti dalla controrivoluzione. Saremo costretti ancora per molto tempo ad avvalerci di termini come "comunismo" che oggi ai più evocano repulsione. Ma quello che conta è il movimento reale che ci offre esempi eclatanti di auto-realizzazione del comunismo nell'accezione originaria. Dice Kelly:

"Quando masse di uomini che posseggono i propri mezzi di produzione lavorano verso un obiettivo comune e condividono il loro prodotto; quando queste masse mettono a disposizione il loro lavoro senza salario e ne godono gratuitamente i frutti, allora non è irragionevole parlare di socialismo".

Non è irragionevole. E neppure nuovo. Dieci anni fa negli Stati Uniti si parlava già di dot-communism, anche se il termine era ancora legato ai lavori scambiati (più che fatti insieme) e a strutture completamente decentrate, per cui vi era più somiglianza con l'economia del dono o con quella del baratto fra valori d'uso, indipendentemente dai contenuti quantitativi. La rete e l'ulteriore amplificarsi di attività collaborative e collettive hanno cambiato molto l'originario approccio anarchicheggiante. Oggi l'evoluzione e la moltiplicazione dei comportamenti, delle tecnologie, degli strumenti perfezionati hanno prodotto un risultato tecnico-materiale; e attribuire ad esso la patente di "socialismo" non è fare ideologia, è constatare un fatto.

Il punto di partenza, il primo impulso di una massa internettiana è quello di polarizzarsi intorno alla condivisione di qualcosa. Non c'è sito che non sia realizzato per mettere a disposizione conoscenze, archivi, fotografie, merci, software, o anche solo chiacchiere. L'immenso fenomeno dei blog, del quale forse non è più possibile una valutazione quantitativa, è esploso ed è cresciuto quasi esclusivamente per la voglia di condividere qualcosa. Ci sono dei blog specializzati che sono diventati un'autorità nel campo che trattano. Sarebbe interessante sapere quanta della complessiva condivisione è resa a pagamento e quanta no. Ci sono dei siti come Facebook e MySpace, che possono fare da indicatori: essi ospitano miliardi di file per tutte le forme di comunicazione scambiabili. In un ambiente come quello di Internet che sta viaggiando verso il traguardo delle tera-pagine (mille miliardi di pagine) è facile immaginare quante di queste si possano far pagare, tenendo conto di quanti abitanti del pianeta abbiano accesso alla condivisione e soprattutto abbiano il denaro per farlo. Solo negli Stati Uniti vengono scaricati gratuitamente 6 miliardi di video al mese, la maggior parte realizzati per divertimento, protesta, denuncia, a volte con mirabile perizia tecnica, da milioni di appassionati. Flickr permette di condividere 3 miliardi di fotografie. Yahoo ospita 7,8 milioni di gruppi di discussione incentrati su ogni possibile argomento. Google ne ospita 3,9 milioni. Vi sono dei siti, generalisti o specializzati, che permettono di condividere gratuitamente decine di migliaia di documenti, archivi, dati, ricerche, dossier, ecc. Organizzazioni come Google, Archive.org, Liber Liber, Logos, mettono a disposizione milioni di libri, in buona parte consultabili integralmente, spesso scaricabili, in molti casi addirittura in minuziose copie a colori per bibliofili.

È vero che l'aspetto della gratuità non è il più importante, comunque tutto ciò che viene regalato e condiviso viene sottratto al mercato senza effetti compensativi in altri settori, come succedeva in passato con l'automazione, le metodologie, ecc. Perciò, se Marx affermava che una società è matura non tanto per il lavoro erogato quanto per il lavoro liberato, noi possiamo tranquillamente affermare che questa società è pronta per la transizione non solo per la maturità dei rapporti politici di classe (per quelli lo è ormai dal 1871), ma per i caratteri comunistici anticipati.

Invarianza nel divenire

La preistoria dell'industria è la semplice cooperazione. Molti artigiani-operai, ancora padroni del loro mestiere e delle loro conoscenze, vengono riuniti nello stesso luogo. Condividono edifici, materie prime ed energia. La divisione del lavoro è rudimentale, le fasi di lavorazione complesse, composte da operazioni differenti. La cooperazione semplice (da non confondere con quella delle cooperative), presente anche nella società antica classica e rintracciabile persino oggi in sacche di arretratezza, è particolarmente indicativa della produzione medioevale per il mercato, ad esempio quella tessile delle Fiandre nel '200.

Il passaggio successivo è la manifattura; che ha le sue radici nel medioevo ma si sviluppa completamente con l'avvento del capitalismo, rivoluzionando i rapporti di produzione. In contesto capitalistico si generalizza la divisione tecnica del lavoro sia all'interno della fabbrica, sia tra fabbriche. Non ci sono più artigiani-operai che producono quasi integralmente una data merce, bensì operai-artigiani che producono parti singole di quella merce, le quali verranno assemblate in un altro reparto o in un'altra fabbrica. Reparti e fabbriche fanno così parte di un flusso produttivo. Il passaggio è rivoluzionario perché ora occorre un piano di produzione e in base ad esso il sistema diventa dinamico: è cioè in grado di auto-organizzarsi, rigenerarsi, evolversi. Si sviluppa una rete di relazioni e il lavoro si socializza. Mentre cooperazione e divisione del lavoro sono presenti in ogni società, lo specifico rapporto di produzione manifatturiero è tipico del capitalismo.

L'ultimo passaggio è l'industria-macchina. Per Marx la macchina non è semplicemente un attrezzo evoluto. Macchina significa, prima o poi, sistema di macchine, il quale si integra con il prodotto dell'intelletto collettivo – che è la scienza – e dà luogo all'automa generale. Nel capitalismo l'intervento umano diventa accidentale, la forza è sostituita da un motore, gli arti da protesi meccaniche, la capacità individuale dal progetto generale. L'uomo non è solo schiavo di questo automa, ne è sostituito; l'automa lo libera per sempre dal lavoro, relegandolo nella sovrappopolazione relativa o assoluta.

Per quanto macchina, scienza e metodi si perfezionino e con essi si perfezioni l'industria, non ci sono ulteriori passaggi. Dopo la grande industria macchinista che schiavizza l'uomo, non esiste altra possibilità che invertire le posizioni. E questo, naturalmente, in una società finalmente umana che domini la macchina per godere della liberazione dal tempo di lavoro, una società che riduca drasticamente anche la massa fisica delle macchine, smaterializzandole, abbattendo la loro dissipazione di energia (che oggi è alta non tanto perché "consumano" ma perché "esistono"), avvicinando il loro utilizzo a un equilibrio con la natura. È quello che in parte sta succedendo: la macchina non solo libera lavoro umano, ma sta suicidandosi, sta cioè incominciando a liberare l'umanità dalla pesantezza dittatoriale dell'acciaio.

Le fasi di questo processo ricalcano un percorso già tracciato. Dopo, c'è soltanto il comunismo. Al lettore che ci conosce non sarà necessario ribadire che il titolo di questa rivista, n+1, ricorda come il sistema superiore sia comprensivo di tutti i sistemi che l'hanno preceduto. Non troverà quindi strano che qui si analizzi la fase ultramatura del capitalismo attraverso i passi che questa forma sociale ha attraversato e che sono presenti nelle forme anticipatrici rappresentate dal lavoro collettivo in rete.

Cooperazione e manifattura

Iniziamo dalla fase inferiore del capitalismo. Nel momento in cui molti individui lavorano insieme per realizzare un vasto e complesso progetto, producono anche esperienza e conoscenza per modificare il progetto stesso. Siamo perciò di fronte a una capacità evolutiva già descritta da Marx nell'osservare il fenomeno della fabbrica che produce da sé gli strumenti per la produzione e la manutenzione. Quando abbiamo nominato Flickr, non ci riferivamo soltanto a una massa di dilettanti che depositano le loro fotografie in qualche ripostiglio più o meno organizzato per condividerle. Per "gestire" 3 miliardi di file occorre dare ordine al sistema, altrimenti è il caos. Inoltre la condivisione significa anche utilizzo, la mia foto è la tua e viceversa. Un terzo può prendere a sua volta queste foto e costruirsi una storia, senza che sia necessario andare a Roma o New York per fare uno scatto. La comunità dei fotografi produce per me e io produco per essa. Non ci sono contropartite e meno che mai valori di scambio.

Flickr è solo un caso fra tantissimi. Migliaia di siti sono concepiti apposta per dinamiche di aggregazione, collaborazione ed evoluzione comune. E la tecnologia è al servizio di chi la usa, non il contrario. Essa permette al singolo di interferire con la dinamica generale, di realizzare per il proprio uso percorsi che altri potranno utilizzare, perfezionare, diffondere. Già al primo livello, che convenzionalmente paragoniamo alla cooperazione-manifattura, ci si rende conto che qualcosa di non capitalistico è successo. Come dice Kelly,

"Curiosamente [questa dinamica] va oltre alla promessa socialista 'da ognuno secondo le proprie capacità a ognuno secondo le sue necessità', perché in essa viene migliorato il contributo di ognuno e ad ognuno viene fornito più di quello di cui ha bisogno. In questo modo i siti aggregatori comunitari possono liberare una potenza sbalorditiva […] Il tutto è maggiore della somma delle parti".

Ovviamente "la rivoluzione non è una questione di forme organizzative", dice la nostra corrente, né della società, né delle schiere proletarie, ma c'è qualcosa di sinistro nella testardaggine conservatrice dimostrata da alcuni, che tuttavia si ritengono comunisti, di fronte a cambiamenti perfettamente descritti da Marx e invarianti nonostante le trasformazioni dovute al tempo. È vero che i comunisti di oggi, come dice Kelly senza saper nulla di "politica", hanno la tendenza a fossilizzarsi sul modello statale russo. Ma alcuni aspetti che un tempo potevano solo essere demandati a un cambiamento radicale come la dittatura del proletariato, oggi sono in corso. I processi collaborativi e aggregativi, al momento senza ripercussioni sociali manifeste, si sono staccati dallo Stato, cioè dalla vita sociale tradizionale, e hanno dato luogo a quella che Kelly chiama "matrice digitale globale, forza elusiva che opera a scala mai vista". Sì, staccati dallo Stato. Tant'è vero che Internet è di uso generalizzato da 15 anni e lo Stato non sa ancora come fare per attivare un effettivo controllo su di essa. Persino la CIA e il Pentagono sono arrivati a darsi una mossa solo recentemente per un intervento in grande stile.

Procediamo con il nostro parallelo sull'invarianza del divenire. La forza dirompente delle comunità in rete si manifesta ancor meglio nella collaborazione organizzata. Non necessariamente nell'industria ma comunque nei casi in cui il processo produttivo è di tipo "industriale".

Industria

Internet è nata in ambito militare negli anni '60 passando in un secondo tempo all'ambiente universitario; e solo molto tardi, verso la metà degli anni '90, si è imposta come strumento di comunicazione, condivisione e lavoro collettivo. Il suo uso generalizzato nell'industria è ancora più recente. Ci troviamo di fronte a una delle tante dimostrazioni palesi di quanto la persistenza del capitalismo freni l'evoluzione delle conoscenze e del loro utilizzo, contrariamente a quanto credono i primitivisti. Ma prima che prendesse piede Internet, l'industria aveva già escogitato delle reti locali per risolvere problemi sia di progetto che di produzione. Non è un caso che proprio l'industria abbia anticipato le "comunità di lavoro" prima che esistessero nella forma che qui analizziamo.

Il primo sistema commerciale per il lavoro collettivo fu presentato alla fine degli anni '80. Era un ibrido fra l'esistente "progettazione assistita tramite computer" e una rete locale, si chiamava Team Computing e utilizzava il sistema operativo Unix, allora sviluppato dall'università di Berkeley. Con questa integrazione, il lavoro di progetto e di ingegnerizzazione di un prodotto faceva un salto di qualità. Il collegamento diretto con l'officina e il reparto di assemblaggio completavano il quadro portando alle massime conseguenze le intuizioni di Marx sul sistema di macchine come prodotto del cervello sociale.

Soltanto verso la metà degli anni '90 verranno sviluppati pacchetti integrati di software per la razionalizzazione del lavoro d'ufficio (uno si chiamerà ancora Team computing), ma evidentemente la burocrazia non è all'altezza della produzione e il risultato non fu rivoluzionario come nel caso precedente. Rivoluzionario fu invece il processo collettivo mondiale che alcuni anni dopo sviluppò il sistema operativo libero Linux (una versione di Unix elaborata all'inizio da uno studente) e il pacchetto integrato Open Office, altrettanto affidabile e potente dei costosi programmi commerciali.

È molto significativo che all'inizio del lavoro collettivo in rete ci sia l'apparato militare (Marx: "La guerra è sviluppata prima della pace"), che l'università ne abbia covato la tecnologia per decenni senza capirne le potenzialità, che l'industria l'abbia adottato facendone esplodere il contenuto dirompente e che milioni di utenti-ragazzi l'abbiamo fatto diventare un fenomeno universale.

Vi sono ad esempio centinaia di gruppi di lavoro intorno a progetti di software aperto o libero. In questi circuiti vengono affinati strumenti comuni di sviluppo che possono generare qualcosa di ben diverso da ciò che è permesso nelle forme organizzative descritte in precedenza. Qui il lavoro sistematico e coordinato produce risultati di alta qualità tecnica, utilizzabili per altri risultati della stessa natura. Il beneficio è direttamente sociale più che individuale, in quanto ogni partecipante ai vasti e complessi progetti ricordati può interagire con gli altri solo per quanto riguarda una piccola frazione del tutto. Un lavoro che può richiedere mesi di sforzi per un risultato finale che sarà utilizzabile solo dopo anni. Nell'anonimato totale e sempre senza corrispettivi in denaro o merce. I protagonisti dicono di sé stessi di voler preparare una prospettiva di "mercato gratuito". Ma il loro apporto per una immane quantità di lavoro non pagato, altrimenti ad altissimo valore di mercato, incomincia a non avere più alcun senso quando lo si valuti con i canoni capitalistici.

La "ricompensa" materiale semplicemente non c'è. Bisogna escogitare altro per dare una definizione a questo fenomeno controcorrente. In positivo o in negativo: soddisfazione, reputazione nell'ambiente, gioia, gioco, esperienza, narcisismo, competizione, ecc. Ma intanto non solo il lavoro è erogato gratis, anche il suo prodotto finisce in un circuito senza scambio di valore. Persino gli istituti che compilano regole per la proprietà intellettuale sono stati costretti a prendere atto che c'è qualcosa di free, libero, gratuito, non-merce, non privato. Nel senso del verbo privare.

Comunismo

Di per sé non è che ci sia qualcosa di comunistico in date forme organizzative o in dati processi produttivi solo perché sono gratuiti ed "egualitari". Se però essi diventano sistema e incominciano ad essere insostituibili persino per la produzione generale di plusvalore, allora la questione ci interessa moltissimo e va analizzata a fondo.

La tesi che vogliamo sostenere è che gli attuali rapporti di produzione stanno realizzando concretamente quelli che sembravano solo potenziali anticipati. Ovviamente solo la società futura potrà dispiegare queste anticipazioni, ma il partito rivoluzionario dovrà tenerne conto assai prima della rottura rivoluzionaria. La tecnologia in sé non vuol dire nulla, quello che conta è lo sconvolgimento delle vecchie concezioni politiche di partito, perché il "movimento reale" impone quella di partito-comunità umana, la Gemeinwesen del futuro che dovrà operare già nel presente.

Parole grosse, probabilmente difficili da digerire per molti. Ma non stiamo inventando nulla di nuovo: la nostra corrente ha sostenuto fin dal 1921 che il partito rivoluzionario deve anticipare i caratteri organici della società comunista. Esso sarà posto di fronte a problemi più imponenti di quanto possa oggi essere immaginato sulla base delle anticipazioni che sappiamo vedere. Ma le anticipazioni sono queste. Il resto va sotto il nome di "questione militare", che qui ci interessa solo per tener presente che non può essere disgiunta dall'argomento che stiamo trattando.

Visto che ci siamo occupati di Wikipedia in un articolo apposito, vi ricorriamo come esempio (potremmo utilizzare a tal fine anche i sunnominati Linux e Open Office). Per scrivere un'enciclopedia con milioni di voci mediante una comunità che interagisce col proprio prodotto e con sé stessa non occorre un comandante in capo, un comitato centrale o un parlamento che elegge un esecutivo. Bastano l'auto-organizzazione scaturita dal programma di base che detta le regole e l'azione più o meno caotica delle cellule individuali che procedono per aggregazione di conoscenza, controllo, normalizzazione, ecc. Il risultato finale è abbastanza affidabile, tanto da essere utile per ricerche di medio approfondimento. I guai succedono solo sulle voci che evocano ideologia, cosa che ovviamente non può succedere negli altri esempi citati.

Come può funzionare un sistema in cui si mescolano e sovrappongono milioni di contributi senza altro coordinamento se non quello cui abbiamo accennato? E se uscisse un'enciclopedia con voci sbagliate, tendenziose, con opinioni personali? In realtà l'anarchia è apparente, e il tutto è meno caotico di quanto sembri: c'è un naturale grado medio di autocorrezione rispetto agli errori e alle opinioni, e c'è un livello di responsabilità meno visibile, quello dei redattori non occasionali e dei coordinatori, che sono in rapporto di uno a mille circa rispetto al complesso dei collaboratori.

Sembrerebbe dunque realizzato, al di là dell'apparenza comunistica a rete orizzontale, il solito organigramma stratificato a piramide con tanto di vertice, base e flussi di "comando". Non è così: un fenomeno comunistico non è necessariamente egualitaristico, anzi, è meglio che non lo sia. Dato un programma e delle regole operative, è bene che gli apporti a un qualsiasi progetto siano differenziati. Nel senso banale del termine lo sono sempre: nella costruzione di una casa è ovvia la differenza fra il muratore, l'elettricista, l'architetto, l'idraulico o il piastrellista. In senso meno banale, in ogni rete che abbia nodi e collegamenti uguali, una volta introdotta una dinamica di comunicazione e lavoro, le differenze tecniche danno luogo a nodi che non sono più semplici "luoghi" di smistamento dell'informazione ma ne producono di nuova. Sono i cosiddetti hub, o assi, o perni, attorno a cui incominciano a ruotare interesse, attività, lavoro in doppia direzione. A modo suo è una gerarchia, ma la differenza con le gerarchie cui siamo abituati è enorme. È la stessa differenza che c'è tra la divisione sociale del lavoro in ambito capitalistico e la divisione tecnica del lavoro in ambito comunista (dove la divisione sociale sparisce del tutto).

Il socialismo tecnologico individuato dai militi di queste correnti tecnico-scientifico-sociali, specialmente americane, non è altro che il riflesso nella loro mente di una realtà in divenire. Hanno paura di ammetterlo e forse non lo pensano neppure lontanamente, ma sono impregnati di comunismo. In questo senso contribuiscono a nullificare le vecchie questioni rimaste in piedi con la tremenda eredità della Terza Internazionale. Quello che chiamano "Sistema Operativo Culturale" è solo una mezza ideologia; l'altra metà è un prendere atto che nessuno può impedire al Capitale di "rivoluzionare incessantemente i suoi stessi rapporti di produzione". Sta emergendo, essi dicono, una produzione sociale condivisa, collaborativa, da pari a pari, che non assomiglia a quello che credono sia stato il comunismo ma nemmeno al capitalismo. E che non contempla, anzi aborre sia i piani quinquennali decisi al vertice di una piramide, sia l'agire selvaggio del libero mercato con le sue estreme diseguaglianze. Essa in realtà è qualcosa di più di una "terza via", come dicono, verso chissà cosa. È un altro mondo.

E coinvolge milioni di persone. Fedora Linux 9, la versione appena uscita del noto sistema operativo aperto e gratuito, cristallizza entro le sue linee di codice 60.000 anni-uomo di lavoro gratuito. Sessantamila! Oggi nel mondo ci sono 250.000 persone che lavorano gratuitamente a 275.000 progetti solo nel campo dell'industria Open Source. All'incirca le dimensioni della General Motors. È un bell'esempio di confronto fra il nuovo e il vecchio. Immaginate, dice Kelly, che gli operai della GM continuino a fabbricare automobili senza essere pagati. È impossibile, no? Ma perché allora da qualche "altra parte" è possibile? Non è evidentemente solo una questione di acciaio e di bit, anche questi ultimi vanno benissimo come prodotto di lavoro produttivo di plusvalore. Noi abbiamo sostenuto che l'intera agricoltura occidentale, essendo pesantemente assistita, pur rimanendo entro il mondo del valore di scambio è già uscita dai classici rapporti capitalistici privati, in quanto è una specie di servizio di stato all'alimentazione nazionale. L'agricoltura sarebbe quindi vecchio "comunismo" alla Gates-Kelly. Questo mondo "altro" di cui ci occupiamo è un qualcosa di completamente diverso. E interessa enormemente più persone e potenziale valore che non l'agricoltura dei vecchi paesi capitalistici, mediamente attestata intorno al 3 o 4 per cento del loro PIL.

Per adesso i numeri in ballo sono compatibili con gli abitanti di una grande città, ma fra poco saranno compatibili con quelli di una nazione. Quand'è che si supera la soglia della trasformazione della quantità in qualità? Nessuno lo può sapere. Ma sempre più persone incominciano a vivere sapendo che si può fare benissimo a meno di molte categorie capitalistiche. Nessuna rivoluzione, dice Kelly, ha mai poggiato su numeri così grandi.

I militi di questa rivoluzione non si dedicano alla "politica". Sono pragmatici, ed forse il lato più interessante del loro modo di essere nei confronti della società, almeno a una nostra lettura Non saranno mai "comunisti" alla maniera di oggi. Molti non votano. In Svezia, ad esempio, qualcuno ha provato a fondare un partito di pirati e hackers sull'onda di un famoso processo per violata proprietà intellettuale. È stato bellamente ignorato e praticamente non ha preso voti.

I militi di questa rivoluzione sono in gran parte americani e non ripudiano affatto il capitalismo. Essi credono, a proposito di sé stessi, di essere sulla scena "soltanto" per mettere in pratica qualche espediente operativo che possa ovviare occasionalmente ai problemi che il libero mercato non può risolvere. Per vedere se funziona. Credono ovviamente che anche quello che chiamano comunismo non sia morto. Credono che siano solo obsolete le vecchie release dei due sistemi, e in ciò sono prettamente riformisti, non certo rivoluzionari coscienti. In attesa di scrivere i codici di capitalism.1 e communism.1 si dedicano senza teorizzare troppo alla potenza della condivisione, della cooperazione, della collaborazione, della negazione della proprietà, del lavoro e dello scambio gratuiti, della community aperta in doppia direzione. E scrivono:

"La potenza di tutto ciò ha provato di essere molto più pratica di quanto noi uomini capitalisti pensavamo possibile. E ogni volta che abbiamo una prova, constatiamo che la potenza del nuovo socialismo è più grande di quanto potessimo immaginare. Noi sottovalutiamo la potenza degli strumenti che abbiamo per rigenerare il nostro modo di pensare. Credevamo davvero che potessimo erigere in modo collaborativo e abitare mondi virtuali ogni giorno, tutti i giorni, senza che fosse influenzato il nostro futuro? La forza del socialismo online sta crescendo. La sua dinamica sta esplodendo al di là degli elettroni, forse nelle elezioni".

Potevamo tagliare l'ultima frase che, esclusa l'ironia, è un vero salto nella banalità pura. L'abbiamo lasciata perché rappresenta bene l'abisso tra la struttura che avanza e l'ideologia che frena. Che il mondo del "socialismo online" sia cosciente o no, sta scrivendo non tanto capitalism.1 quanto la parte finale di n della proposizione n+1.

Letture consigliate

  • Karl Marx, Grundrisse, [Macchinario e lavoro vivo], Einaudi, 1976 pagg. 714-719.
  • Karl Marx, Il Capitale, cap XIII, Macchine e grande industria, UTET, 1974, pagg. 501-656.
  • n+1, Wikipedia, il caos e l'ordine, n. 21, aprile 2007.
  • Kevin Kelly, "The new socialism. Global Collectivist Society Is Coming On Line", Wired n. 6 del 2009; A New Kind Of Mind, Edge, Annual Question 2009, www.edge.org (vale la pena di scaricare la pagina con tutti i 150 contributi, corrispondenti a circa 200 pagine di questa rivista).
  • Gruppo di ricerca Ippolita, Open non è free, www.ippolita.net (un libro gratuito sulle comunità di sviluppo in rete del software).
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Errata corrige. Nel numero 24 scorso, a pag. 53, ci è sfuggito un refuso nella formula:

Prezzo = capitale costante + salario + plusvalore + interesse + rendita

Il plusvalore si ripartisce ovviamente in profitto, interesse e rendita, quindi in luogo di "plusvalore" occorre scrivere, appunto, "profitto". Ce ne scusiamo con i lettori.

Rivista n. 25