Struttura frattale delle rivoluzioni
"Non possiamo evitare di disturbare l'universo", (Thomas S. Elliot).
"Nello scorrere turbolento dell'atmosfera si aggira forse un orribile oggetto frattale che ancora non riusciamo a rendere visibile" (Benoît Mandelbrot).
Grafici, numeretti e… pigrizia
La sintesi che segue risponde all'esigenza di descrivere, al di là dei sentimenti individuali, la natura della grande corrente cui facciamo riferimento e che, con l'improprio ricorso a un nome di persona, va genericamente sotto il nome di marxismo. All'interno di questo grande insieme si sono caratterizzati storicamente altri "ismi" più o meno coerenti rispetto alle origini. Quando l'attuale corso rivoluzionario avrà permesso agli uomini di scattare in un'altra forma sociale, essi potranno discernere meglio, all'interno del grande insieme, il filo rosso che collega la vecchia forma a quella nuova che l'avrà negata, ma già da ora è possibile ragionare per grandi schemi senza lasciarci influenzare troppo dalle manifestazioni contingenti e soggettive. Vedremo che questi schemi si possono esprimere in una forma grafica di grande potenza descrittiva.
Per quanto ci riguarda, avvisiamo subito il lettore che ancora non ci conoscesse: noi facciamo riferimento all'unica corrente che aderì alla Terza Internazionale in perfetta sintonia con il partito bolscevico di allora, che richiese modalità rigorose di adesione per evitare l'infiltrazione di organismi opportunisti e che lavorò assiduamente dando battaglia contro la concezione federalista tramandata dalla Seconda Internazionale, per un partito comunista mondiale unitario. Essa fondò, nel 1921, il Partito Comunista d'Italia come sua sezione, e a metà degli anni '20, all'interno di un'Internazionale che non era riuscita a trasformarsi in quel partito selezionato e organico previsto nel progetto iniziale e che quindi era degenerata, fu sconfitta.
Quando nel secondo dopoguerra questa corrente si configurò come partito, mantenne inizialmente la forma del centralismo democratico, tesserando gli iscritti, tenendo congressi e votando su tesi a volte contrapposte. Ma era un passo indietro persino in confronto al partito del '21, dato che quel partito, nonostante la forma, aveva già anticipato nei fatti una nuova struttura, non più democratica ma organica, secondo l'espressione che utilizzò allora in polemica con l'Internazionale. La forma assunta nel '45 fu comunque abbandonata nel '52, quando finalmente poté dispiegarsi il tentativo di adottare integralmente l'assetto organizzativo già inserito nelle proposizioni programmatiche di trent'anni prima, e già allora messo in pratica in via del tutto naturale sotto la spinta della situazione rivoluzionaria. Coloro che vi aderivano erano perfettamente consapevoli, tra gli anni '40 e '60, di non essere militi di un partito formale in grado di determinare gli eventi. Nel lavoro sulle questioni di organizzazione, poi distillato in tesi programmatiche, si fa preciso riferimento ai gruppi presenti e al vero partito futuro.
"La Sinistra fu la prima ad avvertire che, qualora il comportamento dello Stato russo avesse cominciato ad accusare deviazioni, si sarebbe stabilito un divario tra la politica del partito storico, ossia di tutti i comunisti rivoluzionari del mondo, e la politica di un partito formale che difendesse gli interessi dello Stato russo contingente. Ciò dà la possibilità, non diremo il diritto, ai gruppi che derivano dalla lotta della Sinistra italiana contro la degenerazione di Mosca, di intendere meglio di ogni altro per quale strada il partito vero, attivo, e quindi formale, possa rimanere in tutta aderenza ai caratteri del partito storico rivoluzionario, che in linea potenziale esiste per lo meno dal 1847, mentre in linea di prassi si è affermato a grandi squarci storici attraverso la serie tragica delle sconfitte della rivoluzione" (Considerazioni).
L'esperienza della Sinistra è ormai conclusa dal punto di vista formale dell'organizzazione, ma apertissima per quanto riguarda il programma del futuro partito rivoluzionario. Almeno questo è ciò che sosteniamo noi. Più di tutto infatti c'interessa non tanto la vecchia organizzazione in sé, ma ciò che essa ha rappresentato nel corso dei suoi settant'anni di lotta e soprattutto il suo inserirsi nel corso del movimento plurisecolare che va dal comunismo prima di Marx a quello della società futura.
L'impressione cui potrà andare incontro il lettore che ci conosce poco è che il richiamo a metodi e formalizzazioni — inusuale nel milieu marxista — porti un po' fuori strada rispetto al tema della rivoluzione e del suo partito. Il fatto è che quando si analizzano fenomeni complessi collegati fra loro e immersi in una realtà storica altrettanto complessa, il "fuori tema" è quasi obbligatorio, nel senso che diversamente bisognerebbe riuscire a spiegare quale procedimento riduzionistico sia migliore di altri per isolare il tema stesso e ricavarne il classico "filo rosso" da seguire. Il criterio non è univoco e ovviamente ogni criterio comporta qualche grado di arbitrarietà. L'arbitrio però si restringe se si segue un programma di ricerca invece di affidarsi alla massa di informazioni che ci perviene dalle "condizioni al contorno". Insomma, cerchiamo di entrare nella storia esplorandola con una "visita guidata".
Il programma di ricerca da noi seguito è quello descritto: non stiamo indagando sulle vicende di un particolare partito, benché questo abbia una lunga storia (1912-1982) e sia un nostro punto di riferimento fisico e teoretico, ma su quelle del grande partito storico che ha avuto le sue svariate espressioni formali. La storia della rivoluzione comunista per noi non è altro che la storia del divenire della nostra specie; e a questo livello, se anche il nostro programma di ricerca comportasse l'addentrarsi nei campi minati che contraddistinguono le "terre di confine", la cosa non ci spaventerebbe neppure un poco. Per queste ragioni facciamo nostro il modo di procedere che fu ad esempio di Erwin Schrödinger, un fisico (premio Nobel nel 1933) per alcuni versi ascrivibile al partito storico:
"Noi percepiamo chiaramente che soltanto ora cominciamo a raccogliere materiale attendibile per saldare insieme, in un unico complesso, la somma di tutte le nostre conoscenze; ma, d'altro lato, è diventato quasi impossibile per una sola mente il dominare più di un piccolo settore specializzato di tutto ciò. Io non so vedere altra via d'uscita da questo dilemma (a meno di non rinunciare per sempre al nostro scopo) all'infuori di quella che qualcuno di noi si avventuri a tentare una sintesi di fatti e teorie, pur con una conoscenza di seconda mano e incompleta di alcune di esse, e a correre il rischio di farsi ridere dietro" (Che cos'è la vita).
Al posto dell'espressione "qualcuno di noi" poniamone un'altra che indichi un organismo collettivo e avremo delineato il quadro. Dicevamo che sulla nostra stampa compaiono abbastanza spesso riferimenti alle moderne teorie dei sistemi dinamici, del caos, della complessità, dell'informazione, dei frattali, e simili. Qui cercheremo di utilizzare il metodo dettato dalle moderne geometrie frattali. Non si tratta naturalmente di metterci a studiare per dotarci di "cultura" matematica, ma vi sono analogie semplici che tutti possono maneggiare con vantaggio per capire meglio i fenomeni inerenti alla evoluzione biologica, economica e sociale della nostra specie. Ciò non toglie che la nuova generazione rivoluzionaria dovrà far proprio il "linguaggio con cui è scritto il libro della natura" (Galileo) a un livello diverso di quello constatabile fino ad ora nell'ambiente marxista. Non ci si può adagiare troppo sul fatto che la futura ionizzazione sociale porterà al proletariato e al suo partito i transfughi della società borghese. Il nostro storico anticulturalismo non prevede che il cervello collettivo si culli beatamente nella pigrizia. Perciò nel 2005, ricordando i cinque anni di lavoro della rivista, abbiamo detto che i comunisti non devono porsi allo stesso livello
"dell'esasperata divisione sociale del lavoro, tipica del capitalismo maturo, come se i comunisti, al pari degli idraulici o degli elettricisti, fossero lavoratori specializzati in una disciplina particolare invece di tendere ad occuparsi dell'universo intero. Una vera, assurda mancanza di qualità, sconosciuta alla classe nemica fin dalle sue origini" (Chi siamo e che cosa vogliamo, n+1 n. 18).
Non possiamo evitare di disturbare l'universo
Lo sforzo per inserirsi in "tutto l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale al membro della comunità futura" deve accompagnarsi alla capacità di non elevare a mito le parole, i nomi, il linguaggio del passato, anche se l'abbandono della vecchia comoda e rassicurante terminologia non sempre porta automaticamente alla capacità di trovare forme "nuove" e più precise per parlare delle cose di sempre; il linguaggio non si inventa: esso, come tutti i fenomeni vitali, si evolve. Diciamo che cerchiamo sempre gli invarianti nel complesso sistema delle continue trasformazioni operanti nell'insieme della natura, quindi anche nelle forme di comunicazione dell'uomo. Nel fare questo abbiamo ben chiaro che non possiamo evitare di disturbare l'universo, non solo quello comprendente astri gravitanti e nebulose, ma anche quello sociale, a noi più prossimo, nel quale siamo oggettivamente contenuti; anche se, come abbiamo visto più volte, cerchiamo di sgusciarne fuori per non finire omologati. Si sa che la comparsa o scomparsa di un solo insignificante atomo avrebbe ripercussioni misurabili a grandissima distanza, e ciò aiuta a capire (dovrebbe) un minimo di fisica sociale. Perché il mondo è un continuum e l'umanità che lo abita è fatta non di granelli di sabbia indipendenti ma di esseri vivi che interagiscono. In questo universo è scomparso ben più che un atomo e i risultati si vedono. E persisteranno finché non riapparirà ciò che è scomparso con la sconfitta dell'ultimo assalto rivoluzionario, una novantina di anni fa.
In mancanza di un riferimento programmatico condiviso, l'universo comunistico odierno viene quasi sempre idealizzato, trattato in modo simbolico e spesso addirittura mistico, cosa che impedisce di valutare la sua realtà dinamica. Inevitabilmente, la concezione basata su proposizioni senza contenuto empirico porta all'abitudine dell'affabulazione, la quale a sua volta porta al confronto fra parole e frasi, insomma al dibattito su infinite "questioni". E siccome in un dibattito chiunque è sempre costretto a scendere al "livello del più stupido" per farsi capire (è una legge individuata dagli analisti dei talk-show), ecco che ogni parlamentino del genere diventa un'accozzaglia di stupidi anche se nel suo interno vi sono dei cervelloni. Comunque il riferimento programmatico, il corpo dottrinario, non consiste esclusivamente nel patrimonio scritto e nella memoria storica: ai quali in molti si richiamano maneggiandoli secondo la loro percezione soggettiva.
L'uscita dalla situazione odierna non è possibile se si pensa e si agisce esclusivamente all'interno di essa. Questa tautologia, questo circolo vizioso (non se ne esce standoci dentro) può trovare scioglimento solo tenendo conto che, siccome nessuno può evitare di disturbare l'universo, tanto vale disturbarlo in modo sistematico. Ad esempio compiendo un lavoro non omologato e diffondendolo; mettendosi in rapporto con eventuali interlocutori su quella base e rifiutando il resto; cercando i propri interlocutori fuori dal solito milieu degli infiniti marxismi. Facile a dirsi, ma chi si prende la responsabilità di stabilire quale tipo di lavoro non faccia parte dell'omologazione imperante? Dev'essere possibile farlo con un lavoro collettivo, basato su proposizioni verificabili ed estranee alla langue de bois del cortocircuito marxista, quindi adeguate a ricevere l'adesione di chi a quel circuito è esterno o ne voglia uscire.
Una delle più belle manifestazioni di adesione al nostro programma di lavoro ci è arrivata inaspettatamente da un ragazzo che avrà avuto vent'anni e che non abbiamo mai più visto (non abbiamo bisogno di distribuire tessere d'iscrizione): voi state dicendo delle cose che ognuno di noi pensa ma che non ha parole adatte per esprimere. Insomma, "disturbare l'universo" può significare guardare le cose di sempre con occhi diversi, sollecitare l'emergenza di potenzialità quiescenti. È questo che al momento ci interessa maggiormente. Del resto siamo pratici e concreti come ci raccomandano di fare ad ogni piè sospinto: come è detto in tesi che facciamo nostre, nel processo di formazione del partito i risultati quantitativi bisogna aspettarseli più da quelli qualitativi che viceversa.
Un partito e il partito
Crediamo che sia possibile parlare dello stesso oggetto "partito" in due modi diversi a seconda che si tratti l'argomento dal punto di vista storico o contingente. Può darsi quindi che lo stesso oggetto sia da considerare il partito della rivoluzione o un partito fra tanti altri. Questo lo si può fare soltanto mantenendosi coerenti con la dialettica che lega la dinamica storica, col suo orientamento dovuto alle determinazioni e alle esperienze reali (partito storico), alla dinamica contingente che fa nascere e morire organismi formali più o meno differenziati.
Come si sa, il grandioso tentativo di dar corpo al partito mondiale della rivoluzione, fallì presto. Nessun partito formale riuscì a essere del tutto in sintonia con il partito storico tranne che in tendenza e per un breve periodo. Nel gennaio del 1922 il Partito Comunista d'Italia, a un anno esatto dalla sua costituzione, presentò al suo secondo congresso le Tesi di Roma sulla tattica, relatori Amadeo Bordiga e Umberto Terracini. Il primo e secondo capitolo erano intitolati "Natura organica" e "Processo di sviluppo" del partito comunista, il terzo riguardava i rapporti del partito con la classe proletaria. Seguivano le questioni sulla tattica, ma come parte integrante dei primi tre capitoli, quelli che vanno a "disturbare l'universo" della concezione borghese democratica del partito. Fu ovviamente una risposta forte alle posizioni scaturite l'anno precedente al III Congresso dell'IC e alle oscillazioni tattiche che ne erano derivate. Nel novembre del 1922 il partito "italiano" presentò al IV Congresso dell'Internazionale un progetto di tesi sulla tattica. Il testo, stringatissimo, era concepito come una denuncia della già visibile degenerazione di Mosca. Si ricordava di nuovo il processo di formazione dei partiti comunisti e dell'Internazionale, il progetto iniziale di partito unico mondiale contro il federalismo socialdemocratico, e su questa base si analizzavano le tre questioni spinose: la cosiddetta conquista delle masse, il fronte unico e il governo operaio. Ma ciò che più contava era l'alternativa posta in modo brutalmente chiaro: se l'IC non avesse cambiato rotta si sarebbe presentato "con estrema gravità il pericolo di una ricaduta nell'opportunismo". L'universo dell'esistente fu disturbato, e sappiamo quali misure i suoi rappresentanti presero contro i disturbatori con l'aiuto della più micidiale controrivoluzione della storia.
Nonostante tutto, quella corrente non fu uccisa. Essa dimostrò di possedere una forza intrinseca che le permise di sopravvivere al fascismo, allo stalinismo e alla Seconda Guerra Mondiale e di emergere con gli stessi protagonisti di vent'anni prima. Si era verificata, attraverso le stesse persone fisiche portatrici dello stesso programma del periodo in cui la rivoluzione era avanzante, una sovrapposizione di fatto fra il partito storico e quel partito formale, fra la sua natura oggettiva e soggettiva. Ma noi che viviamo in un'altra epoca e siamo soggettivamente liberati dall'appartenenza formale a quel partito possiamo, considerando la fine degli anni '20 e soprattutto il dopoguerra, parlare di un partito invece che del partito della rivoluzione. E questo anche se noi stessi, mentre ne parliamo a quasi trent'anni dalla scomparsa, riconosciamo l'aderenza storica del suo programma e della sua azione al partito storico. Nella sua storia quel partito ci ha insegnato che l'organizzazione e il programma teoretico non bastano, che deve sussistere la possibilità materiale di operare un legame tra il partito e una situazione materiale di polarizzazione sociale. In mancanza di ciò la storia continua, riproponendo la frattura tra il partito storico e il partito formale. E apre la sfida tra tutte le forze in campo per un processo di selezione, lo stesso che fu tanto caro a Lenin e ai compagni che diedero vita al PCd'I. L'aderenza di ognuna di queste forze al partito storico diventa un fattore soggettivo (ogni appartenente a uno dei partiti che si definiscono rivoluzionari afferma di essere in regola con le proprie origini e con il corso storico), mentre dall'esterno, cioè da un ipotetico punto di vista oggettivo, non esiste un criterio razionale per "scegliere" nella dinamica storica l'una o l'altra organizzazione. Manca il rapporto con la società intera attraverso la classe. Solo a posteriori si potrà stabilire la coerenza e la profondità della selezione, quando la stessa dinamica avrà permesso di utilizzare criteri non soggettivi per operare di crivello e rintracciare il proverbiale filo rosso.
È ovvio che i militanti del 1945, che erano quasi tutti provenienti dalla Sinistra del PCd'I sopravvissuta alle tempeste suddette, si sentissero con tutte le ragioni appartenenti come allora alla grande corrente storica. Ma la situazione cambiata — ed essi lo sapevano — faceva la differenza sostanziale: il nuovo partito operava in un ambiente assolutamente dominato dalla borghesia e dai suoi fiancheggiatori politici, non c'era più l'ombra non diciamo di un dualismo di potere fra le classi ma neppure di uno scontro coerente di classe. Trionfava il partigianesimo che aveva aiutato gli alleati imperialisti a vincere la guerra, mentre il patto sociale ingabbiava il proletariato in uno sfruttamento bestiale per la ricostruzione postbellica. I compagni di allora, memori di battaglie immani e poco avvezzi al soffocante peso della paludosa controrivoluzione scrivevano:
"Il piccolo movimento attuale si rende perfettamente conto che la grigia fase storica attraversata rende molto difficile l'opera di utilizzazione a forte distanza storica delle esperienze sorte dalle grandi lotte [passate]… Il programma rivoluzionario ha bisogno come linfa vitale del collegamento con le masse ribelli nei periodi in cui la spinta irresistibile le determina a combattere… Pur accettando che il partito abbia un perimetro ristretto, dobbiamo sentire che noi prepariamo il vero partito per il periodo storico in cui le infamie del tessuto sociale contemporaneo faranno ritornare le masse insorgenti all'avanguardia della storia" (Tesi di Milano, 1966, corsivo nostro).
Il vero partito? E nel frattempo quali dovevano essere i compiti del "piccolo movimento" di allora? La risposta fu inequivocabile: si rivendicavano tutte le forme di attività proprie del "vero partito", quello dei momenti storicamente favorevoli, "nella misura in cui i rapporti di forza reali lo consentono". È da proposizioni come questa che noi, a ranghi ridottissimi, abbiamo dato battaglia contro i costruttori di partiti affermando che si può lavorare con metodo e con spirito di partito anche senza essere "il" partito. A proposito delle determinazioni sul partito, sulla classe e sul rapporto fra entrambi, abbiamo scritto ad esempio:
"Nella dinamica storica il proletariato è una classe per sé se esprime una guida teorica e pratica, il suo partito: la classe presuppone il partito, perché per essere e muoversi nella storia la classe deve avere una dottrina critica della storia e una finalità da raggiungere in essa" (La passione e l'algebra).
Questa è la citazione da uno dei Quaderni di n+1, ma è anche la sintesi di una citazione dalle Tesi di Roma del 1922, le quali a loro volta citavano una sintesi da Marx. Come si vede, sembra che ci sia un problema di logica: il partito non è tale se non ha legami con la classe in movimento e d'altra parte la classe non si può ritenere tale nel vero senso storico se non esprime il partito. La soluzione è più semplice di quanto non sembri, basta scrollarsi di dosso la veste dell'attivista: il movimento reale, oggettivo, s'incarica di rendere unico il processo di sviluppo sia della combattività di classe, sia della presenza del partito. Di qui l'affermazione dirompente dell'appena sorto Partito Comunista d'Italia nel 1921, non contro l'Internazionale, ritenuta ancora in grado di rigettare saldamente le istanze opportuniste, ma come messa in guardia rispetto a un pericolo reale:
"Anche in movimenti parziali delle masse è indubbio che la preparazione rivoluzionaria del partito può cominciare a tradursi in azioni preordinate... Ma credere che col gioco di queste forze si possano spostare le situazioni e determinare, da uno stato di ristagno, la messa in moto della lotta generale rivoluzionaria, questa è ancora una concezione volontarista che non può e non deve trovare posto nei metodi della Internazionale marxista. Non si creano né i partiti né le rivoluzioni. Si dirigono i partiti e le rivoluzioni, nella unificazione delle utili esperienze rivoluzionarie internazionali, allo scopo di assicurare i migliori coefficienti di vittoria del proletariato nella battaglia che è l’immancabile sbocco dell’epoca storica che viviamo" (Partito e azione di classe, corsivo nostro).
Se dunque la classe presuppone il partito, ed il partito non può "costruirsi" senza la classe, come dicono alcuni con linguaggio edilizio, sulla base della volontà di individui e di gruppi, non si corre il rischio di cadere in una sorta di impotenza esistenziale? Se, come si dice in un testo della Sinistra (Proprietà e capitale) prevedere il futuro sarebbe poco e volerlo sarebbe troppo, come uscirne?
"La uscita dialettica da questa doppia tesi (che il proletariato può e non può, è la prima classe che tende alla società aclassista, ma non ha la luce che alla specie umana risplenderà dopo la morte delle classi) sta nel doppio passo contenuto nel Manifesto dei Comunisti. Primo tempo: partito; secondo tempo: dittatura. Il proletariato massa amorfa si organizza in partito politico e assurge a classe. Solo facendo leva su questa prima conquista si organizza in classe dominante. Egli va alla abolizione di classe con una dittatura di classe. Dialettica! La capacità di descrivere in anticipo e di affrettare il futuro comunista, dialetticamente non cercata né nel singolo né nell'universale, è trovata in questa formula che ne sintetizza il potenziale storico: il partito politico attore e soggetto della dittatura" (Riconoscere il comunismo).
Il potente lavoro della Sinistra Comunista "italiana"
Descrivere in anticipo il futuro comunista e affrettarlo può sembrare un lavoro troppo arduo per i tempi che corrono e per le forze disponibili oggi. L'accelerazione dipende da molti fattori e perciò da molte incognite, ma ogni dinamica che possa essere prevista ci permette di predisporre oggetti e comportamenti, quindi metteremo un abito pesante se dovremo andare in montagna, o prepareremo il tavolo con i piatti fondi e i cucchiai se in pentola bolle la minestra. Non sembri banale. Secoli di storia della filosofia sono passati mentre si discuteva sulle cause finali, su quelle efficienti o sui potenziali anticipati. Comunque la nostra corrente risolveva il problema della "prefigurazione" affermando che il terreno doveva essere preparato:
"Il partito nella sua vita interna, una volta storicamente ricondotto alla dottrina di origine, risanato nell'organizzazione con l'eliminazione degli strati corrotti, rinsaldato nell'azione con decisioni tattiche dal respiro mondiale e rivoluzionario, e per ciò stesso assicurata la sua dinamica centralista, è in un certo senso una anticipazione della società comunista in cui il dilemma tra decisione del centro e decisione della base perderà di senso e non si porrà più" (Struttura, § 115).
Come si vede, intorno al problema dell'anticipazione vi sono molte condizioni e non manca il riferimento a una situazione favorevole per rispettarle. Ma una delle condizioni è che il partito non sia un aggregato di tessere, né in senso burocratico né in senso di materiale da mosaico che al massimo può fornire una forma inerte. Il partito è un essere sociale vivente:
"Esso vive ed opera nell'interno della società di classe e subisce le determinazioni e le reazioni dei suoi urti contro il nemico di classe e dei controurti di questo. Più volte mostrammo che nei momenti decisivi l'indirizzo non è cercato da consultazioni e congressi e nemmeno dai voti di istanze ristrette e comitati centrali. Lasciamo negli statuti questo banale ingranaggio della conta dei voti e dei pareri individuali, noi proponevamo; ma consideriamo che l'unità del partito non è quella di un cumulo di sabbia o altra sostanza granulare, di una colonia di esseri simili, quale la primitiva madrepora nel banco di corallo o il singolo uomo nella banalità dell’anagrafe e della statistica. Il partito è un organo nel senso integrale che si applica a quelli viventi. È un complesso di cellule, ma non tutte sono identiche, né uguali, né della stessa funzione, né dello stesso peso" (ibid.).
Negli anni '50 del '900 non si usava ancora parlare di complessità, di olismo e di teoria dei sistemi e le straordinarie anticipazioni contenute nella citazione derivano da decenni di storia tribolatissima e quindi estremamente dinamica di uomini immersi in un ambiente ostile e costretti ad affinare armi non solo di sopravvivenza contingente ma di riproduzione per il futuro partito. Una condanna così totale dell'insulso principio democratico non era mai stata formulata:
"Non tutte le cellule né tutti i loro sistemi condizionano l'energetica o al più la vita di tutto l'organismo. Tale nell'insegnamento di Marx e Lenin, nel materialismo dialettico, è la valutazione delle società umane e dei complessi sociali, contrapposti alla sciocca filosofia borghese che proietta tutta la società nell'individuo e non ammette che nella società sono le potenze e capacità di sviluppo all'individuo contese e negate, e che esse non risiedono in un individuo speciale e di eccezione, ma nella ricchezza delle relazioni fra uomini, gruppi di uomini, classi di uomini" (ibid.).
Ma veniamo alle condizioni. Il rapporto fra partito e classe è di interdipendenza, l'uno è condizionato dall'altra e viceversa:
"Nella dinamica storica il proletariato è una classe per sé se esprime una guida teorica e pratica, il suo partito" (Passione e algebra, 1994).
E per collegarci tramite il lungo ponte fra generazioni:
"La classe presuppone il partito, perché per essere e muoversi nella storia la classe deve avere una dottrina critica della storia e una finalità da raggiungere in essa". (Partito e classe, 1921).
Nessuno può essere in disaccordo con affermazioni del genere, a meno che non condanni per principio il concetto stesso di partito. Infatti tale concetto è dettato dall'esperienza storica del rapporto fra borghesia e proletariato fin dai loro albori, e non da una aprioristica "idea" di partito. La classe "esprime il partito" e "la classe presuppone il partito" sono frasi che rappresentano bene la suddetta interdipendenza. Solo se noi inseriamo il concetto in una scansione temporale, ci troviamo in un vicolo cieco, come nel caso del circolo vizioso cui già abbiamo accennato (non si esce dalla situazione odierna rimanendoci dentro): introducendo un prima e un dopo, come può la classe esprimere il partito se lo deve presupporre? Da quando il proletariato di Londra o quello della Slesia diedero il segnale che una nuova classe si era presentata alla ribalta della storia per rovesciare il mondo, sorse la consapevolezza della necessità del partito.
Ma la classe proletaria esiste fisicamente anche senza il proprio partito. Solo che non è una classe per sé ma per il Capitale. Le sue vicende, in collegamento con l'esperienza storica, possono o no esprimere il partito formale, il quale non è una sua parte indifferenziata ma il suo organo di direzione politica e organizzativa. E qui, se ci colleghiamo alla citazione di poco fa sulla differenza fra i granelli di sabbia e gli elementi interni dell'organo partito, osserviamo che c'è invarianza nelle situazioni alle due scale di osservazione: il partito sta alla classe come un organo vitale sta al corpo del partito. Per la Sinistra, la distinzione tra organo e parte aveva il significato di sottolineare la necessità fondamentale della forma partito nettamente distinta e preminente rispetto a qualsiasi altra organizzazione del proletariato, consigli di fabbrica, sindacati, soviet territoriali e così via. Ovviamente distinzione non può voler dire contrapposizione: un organo vitale è sempre parte del corpo complessivo.
Anche la presenza della Sinistra all'interno di quel costituendo partito comunista unico mondiale che fu la Terza Internazionale degli inizi, va visto come un rapporto organico della parte con il tutto. Quando fra poco passeremo alla descrizione della struttura frattale delle rivoluzioni e confronteremo appunto le parti col tutto e viceversa, occorrerà tenere a mente che la Sinistra non si considerava affatto come un fenomeno "italiano", anche se operava in un paese che era terreno favorevole per le porcherie politiche più logore del mondo e quindi adatto a far sorgere la propria antitesi. Si considerava un elemento integrante di una sinistra mondiale che, pur con gravi errori, tendeva, fin dall'inizio, a rifiutare il politicantismo ancora non sradicato dal movimento operaio rivoluzionario nazionale e internazionale:
"La corretta trasmissione di quella tradizione al di sopra delle generazioni, ed anche per questo al di sopra di nomi di uomini vivi o morti, non può essere ridotta a quella di testi critici, e al solo metodo di impiegare la dottrina del partito comunista in maniera aderente e fedele ai classici, ma deve riferirsi alla battaglia di classe che la Sinistra marxista — non intendiamo limitare il richiamo alla sola regione italiana — impiantò e condusse nella lotta reale più accesa negli anni dopo il 1919 e che fu spezzata, più che dal rapporto di forze con la classe nemica, dal vincolo di dipendenza da un centro che degenerava da partito mondiale storico a partito effimero distrutto dalla patologia opportunistica" (Considerazioni).
Oggi siamo nella condizione di esistenza della classe proletaria in funzione del Capitale e della inesistenza del suo partito formalmente organizzato. Stabilito questo, è utile per l'esistenza stessa di qualsiasi forza che voglia, possa e abbia nel suo programma di superare il capitalismo, collocare nella storia e nei suoi "insiemi", le varie componenti sociali, specie quelle organizzate. Va da sé che in noi è preminente l'interesse verso la Sinistra. Vediamo innanzi tutto, riprendendo tratti programmatici classici, che cos'è che caratterizza l'essenza e l'esistenza del partito rivoluzionario:
1) una dottrina critica della storia,
2) una finalità da raggiungere in essa,
3) una situazione polarizzata della società.
Questa triade esclude che si possano "costruire" partiti rivoluzionari indipendentemente dall'esistenza delle tre condizioni. Esse sono invarianti, nel senso che formano un sistema di relazioni indivisibili: se ne manca una sola il partito non c'è, e non si può ovviare all'inconveniente con il libero arbitrio. Al partito non si può sostituire l'idea di partito. Di conseguenza il partito che nel dopoguerra aveva ripreso l'eredità del PCd'I si esprimeva cautamente, a volte con un filo di ambiguità, sulla denominazione. Da una parte rivendicando sé stesso come partito, dall'altra definendo la propria rete come "i nostri gruppi" che devono essere consapevoli di lavorare per "il partito vero di domani". Era un'espressione del partito storico, un'espressione della classe dei primi del '900, ma non il partito della rivoluzione di fine millennio. Era una potente macchina da lavoro. Aveva pochi agganci formali con la classe e molti con il suo futuro. Ci ha lasciato un patrimonio teorico ineguagliabile, ma, secondo le sue stesse rigorose definizioni, non era "il" partito.
Il partito comunista come oggetto di storia.
Il fisico Feynman, di fronte a un libro di scuola che mostrava diversi tipi di macchine e attribuiva il loro movimento all'energia applicata, disse che al posto di "energia" si sarebbe potuto scrivere "quel-che-ti-pare", tanto l'affermazione era vuota di contenuto pur apparendo ragionevole. E commentava che il mondo accademico era pieno di stupidaggini del genere, per cui c'era una vera e propria epidemia di "scienza cargo". Egli aveva derivato l'espressione da un episodio marginale avvenuto nel Pacifico durante la Seconda guerra Mondiale: gli indigeni di un'isola, vedendo atterrare gli aerei da trasporto (cargo) pieni di viveri e materiali, avevano costruito un simulacro di aereo per propiziare ulteriori atterraggi. La scienza-cargo è la scienza del quel-che-ti-pare e utilizza un simulacro di linguaggio.
Il linguaggio politico è pieno di orpelli inutili, ma soprattutto è pieno di linguaggio-cargo e di espressioni quel-che-ti-pare. Il che del resto non è una novità, se Marx, citando Goethe, scriveva: "È appunto dove mancano i concetti che si insinua al momento giusto una parola". Vedremo fra poco che nella struttura frattale delle rivoluzioni sono contemplati solo gli eventi che lasciano traccia assumendo forme individuabili, le quali però possono benissimo essere interamente descritte con il linguaggio-cargo. E quest'ultimo non può ovviamente comparire in uno schema.
Un esempio che alcuni di noi hanno vissuto all'interno del PCInt. (Programma Comunista) negli anni '80 è quello della famigerata teoria del divario fra la curva della situazione oggettiva, in ascesa, e quella della capacità soggettiva della classe, stagnante. Nessuno può negare che un eventuale schema visualizzi proprio curve siffatte. Ma il partito di allora ne trasse la conclusione che, come elemento catalizzatore in grado di rovesciare la prassi e ormai ben saldo sulle questioni teoriche, avrebbe dovuto fare un salto nella fase attiva e dare il suo contributo all'avvicinamento delle curve, alla riduzione della forbice. D'altra parte non era scritto anche nelle sue tesi che "il partito è nello stesso tempo prodotto e fattore di storia"? La situazione sociale sembra esplosiva; un grande movimento si sviluppa a partire dalla Francia nel '68 per estendersi in altri paesi; in Italia nel '69 l'autunno caldo vede il proletariato in agitazione per mesi; negli anni seguenti c'è fibrillazione dappertutto e nascono nuovi soggetti politici organizzati; gli americani sono costretti a lasciare il Vietnam; dopo la Guerra del Kippur esplode la più grande crisi internazionale del dopoguerra. Insomma, c'è energia che muove le masse… e non ci si accorge che le condizioni sono comunque sfavorevoli, che vengono ripescati i vecchi temi terzinternazionalisti anche da parte di un estremismo operaista sedicente alternativo. L'energia c'è davvero, ma la proposizione scientifica che la dovrebbe spiegare si riduce a un quel-che-ti-pare e la scienza-cargo permea tutta la società lasciandola tale e quale. È in tale quadro che quel partito si dà una spiegazione della propria natura rispetto al visibilissimo movimento, all'energia applicata e sentenzia sulla propria collocazione nella storia: il partito è sì prodotto della storia, ma è contemporaneamente suo fattore. La citazione originale con il suo contesto rende giustizia alla serietà del lavoro pregresso e dimostra la vacuità di quello che chiamammo "il nuovo corso". Ma non ci interessa rispolverare questioni morte e sepolte, ci interessa definire una situazione per collocarla in uno schema generale dello sviluppo rivoluzionario. Ecco il brano originale nel contesto dell'intero paragrafo:
"Come patrimonio della Sinistra si potrà ritrovare in tutte le polemiche condotte contro la degenerazione del Centro di Mosca questa evidente tesi marxista: il partito è al tempo stesso un fattore ed un prodotto dello svolgimento storico delle situazioni, e non potrà mai essere considerato come un elemento estraneo ed astratto che possa dominare l’ambiente circostante, senza ricadere in un nuovo e più flebile utopismo. Che nel partito si possa tendere a dare vita ad un ambiente ferocemente antiborghese, che anticipi largamente i caratteri della società comunista, è una antica enunciazione, ad esempio dei giovani comunisti italiani fin dal 1912. Ma questa degna aspirazione non potrà essere ridotta a considerare il partito ideale come un falansterio circondato da invalicabili mura" (Tesi di Napoli, 1965, § 13).
Una dozzina di anni dopo il gruppo erede della Sinistra avrebbe elevato arbitrariamente sé stesso da oggetto di storia inscindibile dall'ambiente in cui si è immersi, a soggetto. Cos'è che muoveva le masse? Una non definita energia sociale. C'era vero scontro di classe? Sì, lo dicevano le masse stesse. Se il partito esisteva significava che era prodotto da condizioni materiali che imponevano la sua esistenza, e di conseguenza solo la sua azione poteva essere fattore di liberazione verso lo sviluppo ulteriore. Ecco, c'erano le condizioni materiali. Termine che non vuol dire nulla se non è riferito a una dinamica veramente rivoluzionaria, che prevede almeno il distacco dai luoghi comuni della controrivoluzione stalinian-borghese. Che è esattamente come il quel-che-ti-pare di Feynman. Infatti la verifica sperimentale è evidente: l'ideologia del '68-'77 è stato marxismo-cargo purissimo, da manuale.
Le nostre considerazioni non vanno lette tanto come una critica quanto come una constatazione sulla strada della ricerca delle condizioni di esistenza del partito. Qui assumiamo come paradigma un partito da noi conosciuto assai da vicino ma avremmo potuto assumere qualsiasi altra organizzazione. Ci saremmo solo complicati la vita per via dei relativi programmi assai più confusi, incongruenti, spesso ridicoli, a volte inesistenti. In fondo dire che "il partito è prodotto della storia" è come dire che esso è il prodotto della natura. D'altra parte è anche vero che tutti i gruppi nati e morti in quel paio di lustri sono stati effettivi "fattori di storia", avendo mobilitato (o seguito?) migliaia e migliaia di persone.
Ma non è tutto questo che può essere collocato nei grandi schemi storici del cambiamento. La traccia lasciata è troppo flebile. Perché il vero partito dovrà essere il prodotto del "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", cioè del comunismo. Il movimento che, già all'interno del mondo borghese, forgia i propri strumenti formali (fatti di uomini organizzati secondo un programma) per far saltare le catene che impediscono l'ulteriore sviluppo della forza produttiva sociale. Niente di tutto ciò si è visto nel secondo dopoguerra in Occidente. L'unico dato rivoluzionario è stato il compimento — non sempre lineare e conseguente — delle rivoluzioni nazionali anticoloniali.
Il partito comunista come soggetto di storia.
Fin dai primi anni di scuola si insegna ai bambini che si possono fare operazioni di aritmetica solo entro insiemi coerenti, sommando o sottraendo mele con mele ecc. Abbiamo visto che parlando di partito come prodotto della storia e definendo "storia" anche il movimento reale verso il comunismo entro la società capitalistica, giungiamo alla definizione coerente: "il partito comunista è il prodotto del comunismo che avanza". Non resta ora che vedere come si può continuare con l'altra metà del discorso: "il partito fattore di storia", rimanendo ancorati al fatto che se si fanno operazioni sul comunismo bisogna rimanere entro questo insieme coerente.
È innegabile, come dicevamo poco fa, che il partito, qualunque partito, sia "fattore di storia". Questo per l'assunto iniziale secondo cui nessuno può evitare di disturbare l'universo. Ad esempio lo facciamo anche battendo sulla tastiera del computer, non tanto perché scriviamo qualcosa che n lettori leggeranno mobilitando o meno i loro neuroni e modificando i loro comportamenti, quanto per il fatto in sé, dato che ogni piccola spinta sui tasti modifica fisicamente le linee di forza entro le quali essi sono compresi. Rimane dunque assodato che, anche se parliamo di influenze deboli, incapaci di modificare i grandi schemi della storia, ne parliamo come base materiale per le occasioni in cui invece i grandi schemi si modificano eccome. Se così non fosse, se non ci fosse una base materiale, sarebbe utopistico parlare di "rovesciamento della prassi" come invece facciamo.
Un esempio in negativo può aiutare a comprendere quali siano le linee di forza che permettono o meno lo sviluppo del partito. Abbiamo visto la famigerata teoria delle curve a forbice che mostrerebbero un "ritardo" dell'elemento soggettivo rispetto a quello oggettivo. È una teoria vecchia, risalente a Trotsky, almeno nella forma: "ci sarebbero tutte le condizioni rivoluzionarie ma purtroppo manca il partito (o è debole, impreparato, guidato da incapaci o traditori, ecc.)". Si tratta di un controsenso mascherato da osservazione ragionevole. Leggiamo in un testo della nostra corrente:
"Non esiste automatismo nel campo dei rapporti tra economia capitalistica e partito proletario rivoluzionario. Può accadere, come succede oggi, che il mondo economico e sociale borghese sia sconvolto da formidabili scosse, senza per questo che il partito rivoluzionario abbia possibilità di ampliare la sua attività. Dicendo che esiste una situazione obiettivamente rivoluzionaria, ma è deficiente l'elemento soggettivo della lotta di classe, il partito, si sballa un'assurdità patente. È invece vero che in qualunque frangente, anche quando tutto sembra franare e andare in rovina, la situazione non sarà mai rivoluzionaria, ma controrivoluzionaria, se il partito rivoluzionario di classe sarà deficitario, male sviluppato, teoricamente traballante (Attivismo, 1952).
Engels ebbe il coraggio di dire che il comunismo avanza anche obbligando i borghesi a "lavorare per noi". Ora, lasciando perdere la generica "storia", se mele vanno con mele e comunismo va con comunismo, allora il partito è un prodotto del movimento reale ecc. — cioè del comunismo — all'interno della società borghese… che da prodotto si trasforma in fattore per elevare il movimento stesso a livello superiore. Sembra macchinoso, ma è un po' come in un disegno di Escher, di immediatezza visiva, in cui una mano disegna sé stessa facendo ricorso a uno strumento che è la matita. Il partito in quanto tale non è per niente fattore di comunismo (anzi, a volte, se non è il partito, è fattore di anticomunismo). È il movimento reale del comunismo presente che produce a) il partito comunista e b) il proprio movimento futuro. Come si vede il soggetto è e rimane sempre il comunismo. Nelle situazioni favorevoli il partito diventa soggetto e, "rovesciando la prassi", rende evidente con la propria azione la necessità della propria esistenza fisica in quanto forza indispensabile per spezzare la macchina statale borghese e giungere alla dittatura del proletariato, tutte premesse indispensabili per il salto verso il comunismo. Ma va tenuto costantemente presente che la rivoluzione non prende ordini da nessuno (nemmeno da una qualsiasi forma di partito comunista): la rivoluzione i compiti li dà, non li riceve (cfr. Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia). Per questo essa impone sulla scena storica la forma "partito comunista" e quando si è servita di essa (come della dittatura del proletariato e dello Stato) la lascia estinguere,
"a meno che non si intenda come partito un organo che non lotta contro altri partiti, ma che svolge la difesa della specie umana contro i pericoli della natura fisica e dei suoi processi evolutivi e probabilmente anche catastrofici" (Tesi di Napoli).
Come abbiamo anticipato a proposito del rapporto partito-classe, anche per quanto riguarda il partito prodotto o fattore non si tratta di stabilire delle sequenze temporali, prima o dopo un qualche evento o processo, e sulla base della sequenza stabilire magari che occorre agire in qualche modo per una sua inversione. Si tratta di comprendere che:
a) i diversi episodi della storia del partito comunista sono il prodotto del programma del comunismo che è andato a precisarsi lungo tutto l'arco plurimillenario della vita della specie, precisamente il famoso movimento reale; il quale movimento in certi momenti specifici (crisi economiche, guerre, ecc.) mette alla prova i propri strumenti umani, e mostra come
b) ogni singolo episodio di questa storia abbia la precisa funzione di critica (in quanto superamento) di tutte le esperienze precedenti, a partire dagli albori della nostra storia di specie, con lo specifico scopo di spazzare via (dittatura del proletariato) gli ostacoli che si oppongono al salto definitivo verso una vita organica, veramente umana.
Cammino evolutivo di un sistema complesso
L'esistenza del partito, la sua funzione, il suo rapporto con la classe e con la società non possono prescindere dalla dinamica del sistema che lo ha generato e di cui fa inevitabilmente parte. Come mostra il grafico n. 1, un sistema generico tipo evolve nel tempo aumentando la propria complessità e facendo emergere elementi stabilizzanti che la mitigano.
Durante un periodo più o meno lungo di relativa stabilità, il sistema riesce a neutralizzare le perturbazioni, ma ad un certo punto elementi pregressi provocano una crisi di instabilità durante la quale i vari elementi del sistema sono sottoposti a tensione, come un gas surriscaldato in cui aumenti progressivamente il movimento delle molecole. La rottura, o biforcazione catastrofica, è preceduta da uno stato caotico in cui ogni minima fluttuazione può essere estremamente amplificata da fenomeni di feedback positivo. Il futuro del sistema diventa imprevedibile se non si conosce la storia delle condizioni al contorno che hanno provocato lo stato attuale (René Thom, determinista; gli indeterministi sostengono invece che il sistema diventa imprevedibile e basta). In tale stato, una fluttuazione più ampia o una sincronia di condizioni catapultano il sistema ad uno stadio superiore il quale procede in un nuovo stato stabile.
Un sistema come quello capitalistico può rimanere stabile, cioè in equilibrio omeostatico, mediante l'autoregolazione dei propri flussi di energia (retroazione negativa, come nel termostato: keynesismo, patto sociale) per un certo periodo, fino al momento in cui i cicli stabilizzanti non vanno in crisi; la retroazione, da negativa diventa positiva (ad esempio sovrapproduzione e speculazione), le perturbazioni si accumulano, ed il sistema esplode in una biforcazione catastrofica verso un nuovo livello di stabilità. L'importante è ciò che succede nel periodo di fluttuazione caotica: in esso si osserva un fenomeno detto di nucleazione, vale a dire che una regione del sistema improvvisamente si auto-organizza in un nuovo ordine fino a raggiungere, via catastrofe, il nuovo assetto, il quale viene di nuovo stabilizzato da una serie di cicli di retroazione.
Citiamo questo esempio di funzionamento di sistema complesso perché la genesi e lo sviluppo del partito rivoluzionario assomigliano molto alla genesi delle regioni caotiche che si auto-organizzano verso il livello superiore. Anche se normalmente di fronte ai sistemi complessi la maggior parte di coloro che li studiano trae conclusioni indeterministiche, il fatto che vi sia una regolarità nel comportamento degli stessi sistemi complessi dimostra che indeterministici non sono. Infatti la regolarità indica un inesorabile loro cammino verso la catastrofe o verso il nuovo livello organizzato. L'incertezza sul risultato di una biforcazione è di tipo locale, verte cioè sulla riuscita o meno — ad esempio — delle azioni nella leniniana "settimana che non bisognava lasciar passare"; ma l'esito storico è ineluttabilmente proiettato verso il nuovo assetto, come dimostrano tutte le rivoluzioni della storia.
Ovviamente c'è sempre qualcuno che se ne esce con la classica battuta attivistica: se il comunismo è inevitabile, allora tanto vale sedersi sulla riva del fiume e aspettare che arrivi. Questa trita scempiaggine si avvale di un banale trucchetto. Nella realtà a nessuno è dato di sedersi sulla riva del fiume, nessuno "guarda" passare gli altri, tutti annaspano nell'acqua, sia quando è calma, sia quando è turbolenta e il fiume in piena produce vortici, travolge argini, edifici, alberi e… stupidotti attivisti che nel frattempo non hanno nemmeno imparato a nuotare.
Mentre scriviamo si festeggia la caduta del Muro di Berlino. Osserviamo un momento il grafico n. 1: il sistema geopolitico mondiale stava passando da una fase di relativa stabilità a una di piccole turbolenze locali, ognuna del tutto ininfluente sugli aggiustamenti automatici del pianeta con i suoi abitanti e le strutture materiali e sociali da essi realizzate. L'insieme stava però procedendo verso una biforcazione dovuta a fenomeni di retroazione positiva: la politica gorbacioviana in URSS, l'instabilità della Polonia, l'inerzia asfittica della situazione tedesco-orientale, la massa di dollari che stava circolando all'Est, le trasmissioni radiofoniche e televisive senza confini. Bastò un nonnulla (la voce secondo cui si sarebbe potuto transitare oltre il muro) per scatenare le perturbazioni e determinare nientemeno che il crollo di tutto il sistema gravitante intorno all'URSS. Il meccanismo della catastrofe è analogo a quello della Rivoluzione d'Ottobre o, se vogliamo riandare indietro nel tempo, a quello che si mise in moto dalla battaglia di Ponte Milvio in poi, quando Costantino adottò la croce aprendo la via del potere a una piccola e insignificante setta religiosa fra tante più potenti, che in Europa permeò di sé il successivo millennio e mezzo.
Dal comunismo "inferiore" alla gemeinwesen futura.
Quando pubblicammo il libro La Passione e l'algebra ci sembrò utile ricordare nel titolo un'osservazione di Trotsky: è sempre necessario unire il "demone comunista" di Marx che conquista i visceri, con il lavoro sistematico e razionale che porta a considerare la storia dell'uomo al pari di uno dei tanti rami della scienza della natura. Solo un'operazione del genere permette di affrontare i problemi della rivoluzione non più come insieme di azioni dettate dalla volontà soggettiva di individui o di gruppi, ma come un processo naturale che segue un determinato corso, indagabile con i metodi formali della scienza. Saremo ripetitivi, ma che il processo rivoluzionario sia assimilabile al lavoro della natura va ben sottolineato:
"Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà uniformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente".
Così Marx ed Engels nel celeberrimo passo dell'Ideologia tedesca. In esso non è contemplato un soggetto umano specifico che si dedica alla "abolizione" del capitalismo; il soggetto è extraindividuale, è il movimento avanzante della natura, dell'uomo e della sua società. E nel suo avanzare si fornisce man mano di truppe e di strumenti, ovvero di "utensili vivi", come li chiamò la nostra corrente, e di "strutture anticipatrici".
"Con gente priva di presupposti come i tedeschi dobbiamo incominciare col constatare il primo presupposto di ogni esistenza reale e dunque di ogni storia, il presupposto cioè che per poter 'fare storia' gli uomini devono essere in grado di vivere. Ma il vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l'abitare, il vestire ed altro ancora. La prima azione storica è quindi la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni, la produzione della vita materiale stessa, e questa è precisamente un'azione storica, una condizione fondamentale di qualsiasi storia, che ancora oggi, come millenni addietro deve essere compiuta ogni giorno e ogni ora semplicemente per mantenere in vita gli uomini" (ibid.).
Da millenni l'uomo "fa" la propria rivoluzione rispondendo al bisogno di mangiare, bere, abitare, vestire, quindi produrre. Questo è il presupposto. L'enorme complicazione viene con le società proprietarie e stratificate, con la produzione ottenuta con i sistemi di macchine, con lo sviluppo del cervello sociale. Ma tale presupposto è lo stesso da millenni pur cambiando il modo di produrre. Ne consegue che la rivoluzione è il modo sempre diverso che l'umanità escogita per risolvere lo stesso problema. Dunque è davvero il movimento reale che porta al permanente rivolgimento e superamento delle forme particolari del presupposto che rende possibile la vita della specie. L'individuazione di un'invarianza all'interno di alcuni di questi "modi" ci permette di suddividerli in insiemi omogenei al loro interno ma differenziati tra di loro. È una elementare operazione tassonomica, come l'inventario ragionato dei fiori o delle conchiglie. Siamo giunti alla storia come successione di modi di produzione. I quali hanno una loro evoluzione interna, la stessa che è responsabile dello scatto da un modo di produzione all'altro secondo il cammino evolutivo già visto rappresentato nel grafico n. 1.
Il punto è importante ed è meglio fissarlo perché sarà alla base delle pagine che seguono. In questo paragrafo, infatti, condensiamo il concetto di "struttura frattale delle rivoluzioni" che dà il titolo al presente lavoro. Il grafico n. 1 serve a rappresentare indifferentemente i fenomeni dello stesso tipo che si verifichino a qualsiasi scala. Vale per la scala dell'intera storia umana che va dal comunismo primitivo a quello sviluppato, come vale per ogni singolo modo di produzione. Così all'interno del comunismo primitivo abbiamo la perturbazione che oggi tutti chiamano "rivoluzione neolitica", e all'interno del capitalismo abbiamo la perturbazione scientifico-produttiva che tutti chiamano "rivoluzione industriale". Il capitalismo è una rivoluzione rispetto al feudalesimo, e il passaggio dalla manifattura alla grande industria meccanizzata è una rivoluzione all'interno della rivoluzione. Ogni rivoluzione non è altro che un episodio della rivoluzione a scala più ampia di cui fa parte. Anche il partito formale che Marx definisce "effimero" è un episodio del partito storico, come abbiamo visto. Lo stesso criterio va applicato al cambiamento sociale. Lo potremmo applicare al percorso scientifico dell'umanità: la teoria di Einstein ingloba quelle di Galileo e Newton. Oppure, per dirla in altro modo, le teorie di Galileo e Newton sono casi particolari della teoria generale cui l'umanità è giunta oggi.
In quanto comunisti siamo ovviamente interessati al divenire della nostra specie dal comunismo primitivo a quello sviluppato. Per adesso altre epoche della specie, se pur possibili, non sono ipotizzabili. Citiamo ancora dal nostro La passione e l'algebra un passo che affronta, visualizzando degli insiemi, la successione appena tratteggiata:
"Se le forme o modi sociali col capitalismo sono state n, in tutto esse sono n + 1. La nostra rivoluzione non è una delle tante, ma è quella di domani; la nostra forma è la prossima forma. La serie dei modi di produzione non è progressiva all'infinito, 1-2-3-4 ecc. che sarebbe come dire n+1, n+2, n+3, n+4 ecc. Tale serie è tripartita in grandissime epoche dell'umanità che sono: comunismo primitivo; epoca delle società proprietarie; comunismo sviluppato. Applicando gli invarianti alle forme di produzione troviamo che le tre epoche rappresentano degli "insiemi" che sono sovrapponibili solo a coppie: il comunismo primitivo ha in comune con il comunismo sviluppato solo il fatto di non conoscere la proprietà, ma il comunismo sviluppato conosce la produzione di surplus che invece è conosciuta solo dall'epoca intermedia. D'altra parte sembrerebbe che le due prime epoche non abbiano nulla in comune, mentre sono abbinate dialetticamente da Marx per il fatto di rappresentare, insieme, l'intera preistoria umana".
Il testo continua mostrando che "l'avvento del comunismo rappresenta la fine della preistoria umana". Notare la suddivisione, questa volta bipartita: preistoria umana = tutte le epoche in cui la nostra specie non riesce a fare della propria esistenza un progetto ma è preda di forze casuali; storia = epoche in cui la natura e l'umanità che ne fa parte procedono secondo un progetto organico. Questa osservazione è in Engels, Dialettica della Natura. Troviamo la bi/tripartizione anche in un testo della Sinistra già citato:
"Le violente scintille che scoccarono tra i reofori della nostra dialettica ci hanno appreso che è compagno militante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società in putrefazione e vede e confonde sé stesso in tutto l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura fraterna nella armonia gioiosa dell'uomo sociale" (Considerazioni sull'attività del partito quando la situazione è sfavorevole).
Una glossa telegrafica: 1) scintille = accumulo graduale di potenziale elettrico fino a ionizzare l'aria che diventa conduttiva e fa scoccare la catastrofe; 2) con l'arco millenario (società di classe) che collega le due epoche comuniste la serie tripartita diventa in effetti bipartita; 3) la cancellazione del milite dall'anagrafe borghese non è virtuale ma reale tramite la modifica materiale dell'ambiente.
Soffermiamoci un attimo sulla serie storica per mettere a fuoco il rapporto temporale esistente fra le tre grandissime epoche di cui si compone, e che ci permette di parlare con fondatezza di serie bi/tripartita (grafico n. 2): a) comunismo primitivo, almeno due milioni di anni; b) società di classe, non più di cinquemila anni; c) comunismo futuro, n milioni di anni.
Il Grafico n. 2 mette in evidenza che il tempo di b è insignificante rispetto al tempo di a e al tempo di c. Ma rispetto a quanto detto fin qui la cosa non deve meravigliare: il tempo delle società di classe, o "proprietarie", non è altro che un brevissimo, pur se doloroso, tempo di transizione catastrofica nel rivoluzionario e permanente movimento reale che va dal comunismo primitivo alla realizzazione della comunità umana, la Gemeinwesen globale. Il grafico, che ovviamente può essere solo di tipo qualitativo, è utile anche per mostrare che siamo di fronte a un salto unico in un unico tempo ("tempo caratteristico" di b) da a a c, ossia che siamo di fronte ad un comunismo di natura che scatta in un tempo minimo ad un comunismo di industria (inteso come nei Manoscritti e nei Grundrisse di Marx) tramite lo sviluppo intermedio della forza produttiva sociale.
Il grafico n. 3 evidenzia le relazioni nel tempo fra le grandi epoche della tripartizione. Notare, per quanto riguarda le società di classe, l'influenza in doppia direzione dell'antico sul futuro e viceversa (potenziali anticipati), mentre fra comunismo antico e futuro il flusso è univoco.
Struttura frattale delle rivoluzioni.
Dal punto di vista della storia della nostra specie abbiamo dunque un'unica grande rivoluzione che porta ad auto-maturazione l'unità organica originaria del comunismo primigenio collegandola al comunismo superiore. La fase di transizione fra la preistoria e la successiva storia va intesa con sicurezza come un'unica fase di transizione durata poche migliaia di anni, un tempo relativo brevissimo, che ha permesso alle società "proprietarie" di sviluppare al massimo la forza produttiva sociale. Dunque, la rivoluzione è il movimento continuo che si snoda lungo un certo tempo. E l'evento del livello massimo ha a sua volta eventi interni che si snodano lungo frazioni di questo tempo, e così via per tutti i livelli intermedi fino al livello minimo, ad esempio un'esplosione di lotta classista di poche settimane.
Dopo aver osservato nel suo insieme tutto il processo, cerchiamo ora di metterne a fuoco solo una singola parte, ed esattamente la fase di transizione che comprende tutte le società classiste e proprietarie. Vedremo che questo salto, il cui corso fin qui poteva sembrare lineare, mostrerà un caotico turbinio di molteplici specificità individuali, locali, aggreganti, ecc. a prima vista incomprensibili. Siccome però sappiamo, come saprebbe un fisico o un biologo, che non c'è caos da cui non emerga una qualche forma di ordine, cercheremo di individuare appunto delle regolarità o forme o leggi. Come diceva la nostra corrente, piazzeremo nel caos un detector per captare informazione. Sapendo che non siamo accademici pseudo-indipendenti, che apparteniamo a una classe e che abbiamo una teoria conseguente, il nostro detector sarà giocoforza orientato, come un contatore Geiger è fatto per captare radiazioni o uno sniffer militare per annusare le molecole di ammoniaca lasciate dal sudore di un nemico.
Dentro un'unica grande rivoluzione millenaria scorgeremo una serie di modi di produzione, cioè di altre rivoluzioni diciamo di secondo livello. Da quanto detto fin qui non dovrebbe apparire strano. Così non apparirà strano individuare un terzo livello, ad esempio quello già accennato della rivoluzione industriale all'interno della rivoluzione borghese. O addirittura un quarto, come ad esempio il passaggio dal vapore alla rete elettrica, o dalla rete elettrica alle reti informatiche e al cervello sociale generalizzato. Da questo punto di vista il nostro particolare sniffer individuerà non tanto il nemico generico e ben riconoscibile quanto il nemico che ha saltato il fosso e anche senza saperlo lavora per noi, come diceva Engels, mettendoci a disposizione teorie delle catastrofi, della complessità e dei sistemi con la loro evoluzione. È importante? Un individuo no, due neppure, ma se si versa sabbia a un granello per volta su un mucchio di sabbia è sempre l'ultimo granello che fa collassare il mucchio e provoca una frana (transizione catastrofica). Il comunismo ha il suo esercito proletario, ma uno dei segni più sicuri della rivoluzione che avanza è il moltiplicarsi dei transfughi delle altre classi, come topi che abbandonano la nave che affonda.
Dall'arco millenario ai granelli individuali rilevati dal nostro detector insieme a strutture emergenti dal caos, abbiamo la possibilità di trattare l'unica rivoluzione di specie come una gigantesca struttura a dimensione frattale, al cui interno si ripetono, in un processo di autosomiglianza, tutta una serie di rivoluzioni parziali la cui caratteristica specifica è di essere un'immagine ridotta dell'intera struttura. Rivoluzioni parziali di n livelli, imposte dalla necessità di superare vecchi e parziali equilibri a favore di nuovi equilibri a loro volta parziali, quindi transitori.
La geometria frattale, secondo l'aneddotica corrente, ha un inizio preciso, quando Benoît Mandelbrot, osservando la curva storica dei prezzi del cotone, notò che tratti di essa avevano la stessa forma dell'insieme, il quale mostrava un fenomeno di auto-somiglianza. Di qui la matematizzazione e l'ampliamento delle conoscenze in questo campo. In realtà lo stesso Mandelbrot ammette che l'aver messo a punto e anche utilizzato a fini pratici una nuova geometria non è tutto merito suo. L'aver recuperato a un discorso unitario innumerevoli pezzi separati preesistenti è un merito, ma senza di essi "un uomo solo non avrebbe potuto far fronte a un simile impegno". Tanto di cappello per questo omaggio anti-individualista al cervello collettivo della specie.
Il termine deriva dal latino fractus, spaccato, frantumato, irregolare. I frattali sono forme geometriche molto differenti rispetto a quelle della geometria euclidea. Possono essere regolari o no senza che cambi la teoria soggiacente. Ad esempio un triangolo equilatero sui lati del quale siano costruiti altrettanti triangoli più piccoli e regolari, somiglierà a un fiocco di neve il cui ingrandimento manterrà la regolarità iniziale, mentre in un cavolfiore romano le singole protuberanze saranno approssimativamente simili all'insieme ma non uguali. La geometria frattale fa ricorso agli aspetti qualitativi degli oggetti e dei fenomeni della natura ma, partendo da ciò, permette di sviluppare una maggiore conoscenza anche quantitativa degli stessi.
Qui facciamo un uso elementare della geometria frattale, per il fenomeno di auto-somiglianza, ma attraverso di essa riusciamo a descrivere alcuni aspetti della realtà non affrontabili con altre discipline. Il solo fatto che si possa ipotizzare una struttura frattale in certi fenomeni ci consente di collegare osservazioni su campi che sembravano irrimediabilmente separati. Come dice Mandelbrot, nello scorrere turbolento dell'atmosfera "si aggira forse un orribile oggetto frattale che ancora non riusciamo a rendere visibile", ma se o quando lo sarà, potremo capire meglio i fenomeni atmosferici (meteorologici o climatici).
In alcuni sistemi dinamici complessi esistono oggetti frattali che si comportano come "attrattori strani" e hanno la capacità di modificare lo stato dei sistemi stessi. E l'autosomiglianza si può estendere a fenomeni fisici: ad esempio in prossimità del punto critico della transizione di un liquido a gas, in quest'ultimo sono presenti goccioline di liquido entro le quali sono presenti bolle di gas che a loro volta contengono goccioline di liquido secondo una geometria frattale che per il momento non ha spiegazione. L'ironia di Mandelbrot sull'orripilanza di un oggetto geometrico invisibile deriva forse dalla riluttanza scientifica verso tutti quei fenomeni che resistono all'interpretazione a causa di una mentalità consolidata nei millenni.
Intorno al "nostro" orribile oggetto frattale
Ci sono militanti comunisti assolutamente refrattari a discorsi che escano dal linguaggio politichese luogocomunista, ma ancora recentemente c'erano scienziati che consideravano poco più che giochini le ricerche sul caos, sulla complessità, sulle catastrofi o sui paradossi logici (un celebre matematico disse che leggere le ottocento e passa pagine del libro di Hofstadter Gödel, Escher, Bach sui fenomeni ricorsivi era una pura perdita di tempo). Ma la riluttanza scientifica è niente in confronto alla riluttanza politica verso il comunismo, che è di ben altra portata in quanto ha effetti sociali non confrontabili: la società capitalistica non può ammettere di essere transitoria, cioè di dover morire. Perciò, venendo al "nostro" campo, è da un paio di secoli che un "orribile oggetto" si aggira per l'Europa (e il mondo), invisibile come un fantasma, come svelarono per la prima volta Marx ed Engels nel 1848 terrorizzando i borghesi.
Ma da quel momento — e oggi l'hanno capito finalmente anche alcuni dei borghesi proprio grazie ai caotici, ai complessisti, ai sistemisti, ai catastrofisti ecc. — la storia umana poté essere trattata come una scienza. Il trapasso da una forma sociale all'altra (o transizione di fase) può essere sottoposto ad analisi. Le forme stesse possono essere delimitate in base alle loro caratteristiche specifiche e rappresentate graficamente in una serie (frattale) per rendere più immediata la rappresentazione del loro succedersi a seguito delle relative rotture rivoluzionarie (catastrofi).
Inoltre le nuove metodologie e formalizzazioni ci dicono che l'analisi di un oggetto, ovvero lo studio delle sue componenti locali, non può mai prescindere dalla visione globale che colleghi l'oggetto stesso con le "condizioni al contorno" che contribuiscono alla dinamica di un sistema. A meno che non si voglia appositamente operare un isolamento dell'oggetto per studiarlo in condizioni di laboratorio con metodo riduzionistico. Ma con la società non si può fare, essa stessa è il laboratorio e bisogna osservarla in tutta la sua dinamica complessità globale anche quando si siano individuati i fenomeni locali e le leggi che li governano. Allora possiamo affermare che la conoscenza di un processo rivoluzionario, così come quella di un qualsiasi sotto-processo che si realizzi al suo interno, è comprensibile, ovvero è analizzabile, solo alla condizione di riunire tutte le determinazioni locali in una sintesi globale del tipo di quella riportata nei grafici nn. 1, 2 e 3, e di lì, con percorso a ritroso, analizzare i singoli aspetti. Trovarsi in uno sciopero locale e saperlo analizzare con lo schema globale della millenaria rivoluzione umana può essere di inestimabile aiuto quando il fenomeno da locale dovesse trascendere a globale. Anche uno sciopero qualsiasi è lo zoom frattale di un livello superiore. Ma facciamoci aiutare da Marx:
"Gli economisti del XVIII secolo incominciarono sempre con il Tutto vivente, con la popolazione, la nazione, lo Stato, molti Stati, ecc.; ma finirono sempre col trovare, analiticamente, alcuni determinanti rapporti astratti, generali, come divisione del lavoro, denaro, valore, ecc.. Non appena questi singoli momenti furono più o meno fissati e astratti, cominciarono i sistemi economici che dal semplice risalirono fino allo Stato, alla scambio fra le nazioni e al mercato mondiale. Quest’ultimo chiaramente è il metodo scientificamente corretto. Il concreto è concreto, perché è sintesi di molte determinazioni, dunque, perché è unità della molteplicità. Nel pensare, il concreto si presenta dunque come processo della sintesi, come risultato, non come punto di partenza, pur se effettivamente proprio il concreto è il punto di partenza e, quindi, è tale anche per l’intuizione e la rappresentazione" (Introduzione a Per la critica dell'economia politica, 1857).
Dallo schema globale del grafico n. 2 passiamo a un lavoro della nostra corrente datato 1951 (Teoria e azione nella dottrina marxista), dal quale ricaviamo un dettaglio dello schema stesso operando un ingrandimento del tratto cortissimo b, società proprietarie di classe):
Il semplicissimo grafico n. 4 ci mostra sia le repentine e catastrofiche transizioni di fase, sia l'autosomiglianza dei processi che interessano un dato livello posto all'interno del livello superiore, e viceversa. I grafici di questo tipo descrivono delle fasi ma, forzando un poco, possono essere intesi anche come diagrammi cartesiani con l'asse orizzontale che segna un tempo arbitrario e quello verticale che segna la forza produttiva sociale liberata dalle rivoluzioni. È anche visibile una somiglianza con il grafico n. 1 omeostasi/turbolenza che, come si vede dalla forma, all'interno dei diagrammi a fasi sarebbe parte di una sequenza.
Senza entrare nel merito delle varie forme di produzione con i loro caratteri peculiari, e volendo rimanere all'interno del tentativo di rendere graficamente il nostro "orribile oggetto frattale", possiamo inglobare il grafico n. 4 nel grafico n. 2 e avere (grafico n. 5) una visione più dettagliata "verso il concreto". Lo schiavismo (b1), il feudalesimo (b2) e il capitalismo (b3), diventano visibili entro l'unico grande salto b, dove si evidenzia come la nostra specifica rivoluzione (interna a b3), che distruggerà il capitalismo, non è una delle tante ma quella decisiva che porrà fine alle società di classe. Nello stesso tempo il grafico n. 5 ci mostra come la grande transizione al comunismo sviluppato appartenga a quel grande oggetto frattale che è la generale rivoluzione di specie, che ha un suo corrispettivo solo nella grande transizione dal comunismo primitivo alle società proprietarie di classe (separatori verticali punteggiati). Inoltre si può osservare come tutto il tratto b, che comprende le forme proprietarie precapitalistiche b1 e b2 , faccia parte anch'esso della nostra rivoluzione, in quanto riconosciamo e rivendichiamo l'intero arco a → c con la mediazione del periodo intermedio fatto di insiemi auto somiglianti, "fratti" ma simultaneamente collegati nel continuo temporale della dinamica storica.
Quando si cercò di indagare sulla natura estremamente complessa di quello che oggi si chiama "insieme di Mandelbrot", il quale era generato però da una iterazione matematica elementare, fu necessario sviluppare nuova matematica. Ogni figura del frattale sembrava una molecola, a volte connessa alle altre a volte fluttuante. In realtà ogni figura era legata a un reticolo che la univa a tutto il resto, simulando la complessità della chimica organica (tanto che lo stesso Mandelbrot vi accennò come ad "un polimero del diavolo"). La nuova matematica dimostrò che ogni frammento dell'insieme, non importa quanto piccolo o quanto grande, non importa in quale parte del tutto, avrebbe comunque mostrato, a un ingrandimento o a una riduzione, sempre nuovi frammenti autosomiglianti. E nello stesso tempo ogni frammento auto somigliante dava luogo, attraverso il reticolo che tutto collegava, a complesse figure di infinita varietà.
Va ricordato, come negli esempi riportati in precedenza, che nella struttura frattale ricavata da un triangolo l'autosomiglianza può dare solo triangoli, così come in quella del cavolfiore può dare solo cavolfiori, ovvero è escluso che possa dare una qualsiasi altra figura, anche all'interno della ricordata "infinita varietà". Se al posto delle figure suddette inseriamo la "nostra" figura, l'orribile oggetto frattale che si aggira come un fantasma per l'Europa e il mondo, vedremo che l'autosomiglianza nelle transizioni catastrofiche e nei percorsi che portano ad esse esclude la genesi di partiti e rivoluzioni attraverso "costruzione" arbitraria. Lo impedisce il reticolo che tutto collega e che tutto informa (anche nel senso di "mette in forma").
Operiamo ora uno zoom su di un particolare del grafico n. 5 che comprenda la forma capitalistica (b3) e quella comunista (c) evidenziando la rottura (r), cioè la turbolenza caotica che fa scattare il sistema da un livello all'altro. Avremo la configurazione del grafico n. 6, a proposito del quale, benché abbia forma diversa, non potremmo far altro che ripetere le stesse cose dette a proposito del grafico n.1, quello del cammino evolutivo di un sistema complesso a qualsiasi scala. Abbiamo cioè un'autosomiglianza così forte che ci permette di confrontare un insieme frattale, che è geometria, con un sistema evolutivo che è fisica della complessità, termodinamica, teoria dell'informazione.
Ciò che a prima vista sembra illeggibile, e che la limitata (perché interessata) intelligenza borghese riesce al massimo ad attribuire agli "irrazionali egoismi" di ogni individuo che agisce sul libero mercato, ora è evidente. Ripartiamo dunque da questo livello di astrazione (grafico n. 6), analizziamo la storia tutt'altro che lineare della fase omeostatica del capitalismo (fluttuazioni con retroazione negativa che le ammortizza) e delle sue contraddizioni che portano alla turbolenza e allo scatto (r) al livello superiore comunista (c); non c'è solo una somiglianza con lo schema del grafico n. 1, ma anche con quello del grafico n. 2 della serie tripartita (comunismo → forme proprietarie → comunismo) e quello del grafico n. 5, dove compare l'intero percorso con lo zoom sulle società proprietarie. Tutti i processi parziali verso una rottura catastrofica sono somiglianti, il che ci permette di disegnare lo schema n. 7 con ulteriore zoom sul capitalismo, dove r1, r2, r3, r4, non sono altro che diversi episodi della presente e unica catastrofe rivoluzionaria che seppellirà il Capitale. Lo schema potrebbe essere commentato in due modi.
Il primo, attraverso le forme della produzione capitalistica: r1 = formazione del capitale mercantile, Repubbliche marinare e Comuni italiani a partire dal X secolo; r2 = prima manifattura e formazione del capitale bancario tra il XIII e il XIV secolo, in Italia, nelle Fiandre e nella zona anseatica; r3 = espansione del commercio mondiale e nascita dell'imperialismo (Olanda, Francia, Inghilterra); r4 = rivoluzione industriale, epoca imperialistica come fase suprema del capitalismo.
Il secondo, attraverso le reazioni delle classi sfruttate: r1 = rivolta del movimento pauperistico urbano in Lombardia nell'XI secolo; r2 = rivolta del movimento proletario dei Ciompi in Toscana nel XIV secolo o dei contadini poveri in Germania nel XVI; r3 = insurrezione di Parigi nel 1871 e proclamazione della Comune; r4 = Rivoluzione d'Ottobre.
Naturalmente queste sono grandi generalizzazioni. Non sempre le fasi storico-economiche ricalcano automaticamente quelle politiche. Tuttavia è possibile con grande approssimazione provare che la struttura frattale aderisce alla storia reale (e viceversa). In un ambito di estrema complessità com'è quello della storia mondiale sarebbe altrimenti un miracolo riscontrare una così forte regolarità e invarianza fra scale diversissime di fenomeni sociali. Bisogna infatti notare che non stiamo parlando di sistemi ampiamente prevedibili, come quelli astronomici che presentano irregolarità alla scala di milioni di anni, ma di sistemi altamente instabili e caotici, imprevedibili alla scala di pochi giorni.
Il partito della Comune di Parigi
Si prenda a questo punto un tratto qualsiasi. Per comodità scegliamo un evento storico che già fa parte della nostra rivoluzione, cioè r3 = Comune di Parigi. Se noi approfondiamo il processo che va dall'armistizio con la Prussia nel gennaio 1871 alla caduta sanguinosa del maggio, osserveremo un andamento frattale anche a quella scala, con rotture crescenti di equilibri instabili fino alla catastrofe finale, cioè la guerra civile aperta come biforcazione dagli esiti militari aperti (vi erano state insurrezioni in altre città francesi e il nuovo Stato si era subito qualificato come internazionale).
La Comune fu certo figlia dell'Internazionale (la prima), come affermò lo stesso Marx, ma anche l'Internazionale fu figlia del movimento reale che di per sé rappresenta la dinamica del comunismo verso un nuovo tipo di società. Come abbiamo già visto per il partito, sia la Comune che l'Internazionale sono due aspetti apparentemente separati dello stesso oggetto frattale, cioè di un unico processo storico. Come primo tentativo di demolizione drastico e radicale dell'esistente ebbe dei limiti, ma quello che ci interessa è che essa si pone nel reticolo di relazioni che fa del grande oggetto frattale un continuum nonostante sia… fratto. Infatti Marx ne tratta come del più grande tentativo di assalto al cielo effettuato dal "nostro" partito. Quando nella realtà, secondo la conta democratica dei voti, gli internazionalisti erano in assoluta minoranza rispetto ad altre forze.
Ecco il limite e la grandezza insieme della Comune: essa tentò di spezzare la macchina dello Stato senza riuscirvi; ma il suo tentativo mostrò ad ogni reale rottura rivoluzionaria di domani quell'obiettivo fondamentale. È questo che fa grande la Comune: essa è nostra non per quello che i suoi dirigenti, capi, hanno potuto credere di sé stessi e della sua natura; essa lo è non per quello che avrebbe potuto essere e non fu; essa rimarrà sempre nostra per quello che oggettivamente fu.
In base a quanto detto in precedenza qualcuno potrebbe qui introdurre la tesi secondo cui la Comune avrebbe rappresentato un esempio di quella famigerata presenza di condizioni oggettive in assenza di quelle soggettive. L'ambiente sociale sarebbe stato a tutti gli effetti maturo e favorevole per la vittoria della rivoluzione ma il partito fu deficitario: persino Marx infatti ammise che vi furono grandi carenze politiche con ripercussioni disastrose sulla condotta militare che costò alla fine cinquantamila morti proletari. Come dire che il corpo era sano e robusto ma la testa non gli corrispondeva. Questa visione della guerra civile rivoluzionaria in Francia, oltre ad essere in contrasto con quella che Marx esprime nella sua analisi complessiva, lo è anche con i processi reali descritti dalla sua struttura frattale.
I comunardi fecero indubbiamente degli errori, ma non è questo il modo di esaminare l'evento fisico in cui tre forze contrapposte si affrontavano: due eserciti borghesi in guerra tra di loro da una parte e il proletariato insorto dall'altra. L'omeostasi era spezzata e grandi fluttuazioni erano in corso rendendo altamente instabile il sistema. Nel febbraio vi furono le elezioni e vinsero a maggioranza schiacciante i cosiddetti rurali, che optavano per il ritorno alla monarchia. La rivoluzione vi passò sopra come un rullo compressore, obbligando le forze borghesi (Thiers e l'Assemblea nazionale) a ritirarsi a Versailles. Voleva dire che fino a quel momento era in atto la tensione rivoluzionaria permanente, quella che Marx individua per la prima volta nel 1848 quando afferma che il partito democratico deve essere sconfitto affinché emerga il partito insurrezionale. La rivoluzione deve bruciare ogni livello raggiunto e scattare a quello successivo, deve in poche parole attivare fenomeni di retroazione positiva, altrimenti prende il sopravvento la retroazione negativa, il termostato della normalizzazione.
A marzo viene proclamata la Comune e vengono requisite le armi di ogni tipo. Gli eserciti in guerra si coalizzano di fatto contro l'insurrezione proletaria. Il "partito" della rivoluzione si comporta in generale benissimo. Organizza sé stesso e i suoi reparti militari, emana decreti di portata rivoluzionaria indelebile. Ma innalza massicce barricate, schiera i suoi militi in attesa dell'inevitabile attacco nemico, piazza le artiglierie in postazioni fisse. In poche parole si schiera in difesa. La rivoluzione è morta in quel momento, tuttavia lascia anche con questo decesso un insegnamento fondamentale: mai nessuna rivoluzione deve combattere in difesa.
Allora: il partito della Comune fu uno strumento adeguato ai suoi compiti? Prendiamo la definizione standard di partito fornita dall'ultima rivoluzione, quella che espresse l'Internazionale Comunista: forte, centralizzato, ben organizzato con una ferrea disciplina, armato della più salda coscienza critica della rivoluzione e di una ben precisa finalità, capace dunque di preparare e dirigere il proletariato nel suo assalto contro il potere statale della borghesia. Un partito del genere nella Francia del 1871 non c'era. Verrebbe quindi da pensare, secondo quanto già detto, che non vi potesse essere rivoluzione, dato che non c'era il partito. E anche secondo certi canoni correnti la situazione era sbilanciata (c'era la situazione rivoluzionaria ma non c'era il partito). Ma sarebbe sbagliato. Marx si incarica di dirci che la Comune fu la più grande azione del partito cui egli stesso apparteneva, anche se fisicamente i suoi rappresentanti non c'erano. È la dimensione frattale della rivoluzione che stabilisce se c'è o non c'è il partito, non l'esito dello scontro. La Comune e il suo partito furono un momento della dinamica complessiva, di nuovo un aspetto particolare della rivoluzione generale. Del resto neppure l'Internazionale Comunista rispose ai caratteri del partito da essa stessa tratteggiati. Ma non si può dire che essa non fu il partito della rivoluzione mentre questa si dispiegava in Europa.
Probabilmente un organismo come quello descritto nelle righe precedenti si vedrà una volta sola nella storia della rivoluzione e del suo partito. Intanto però ci sono già stati almeno due esempi di ampia approssimazione verso quel modello, il Partito Comunista bolscevico e quello fondato dalla Sinistra Comunista in Italia. E, ritornando al Marx di Lotte di classe in Francia, affinché il partito comunista di domani possa avere il sopravvento, dovranno essere successivamente spazzati via i partiti che furono o sono o saranno rappresentanti delle vecchie categorie sociali come il centralismo democratico, il parlamentarismo, il frontismo, ecc., quelli cioè che rappresentarono aspetti particolari nella storia generale del partito e che tentano continuamente di riprodursi. Ciò ovviamente non significa negare l'essenza rivoluzionaria dell'effimero partito formale quando raggiunge la sua più alta espressione entro i limiti di un tratto specifico della rivoluzione.
Da Occidente a Oriente e viceversa
Prendiamo adesso l'ultimo tratto r4 del grafico n. 7, la Rivoluzione d'Ottobre. Qui ci troviamo di fronte a una situazione che, pur essendo prevista da Marx ed Engels fin dal Manifesto, non si era mai verificata prima dell'Ottobre russo. Nel 1848 la prospettiva del partito comunista era quella di appoggiare ogni movimento che rappresentasse la parte più avanzata della società. All'epoca la democrazia rappresentava un obiettivo quasi ovunque, e nel programma dei comunisti ciò era registrato con la precisazione che ovunque occorreva porre davanti a tutto la questione della proprietà.
Mentre in quasi tutta l'Europa occidentale il programma del Manifesto era nel 1917 ormai "criticato" dalla stessa evoluzione dei fatti, in Russia questo non era successo. L'autocrazia asiatico-feudale era a uno stadio arretrato del nostro schema frattale, anche se isole di forte industrializzazione avevano permesso lo sviluppo di un forte proletariato, e il partito comunista si era fatto le ossa sia in condizioni illegali interne difficilissime, sia nell'emigrazione forzata a contatto con il mondo moderno occidentale.
Siccome, giusta l'osservazione di Lenin contro i populisti, il carattere materiale dominante in Russia era il capitalismo e non la vecchia società, ecco che materialmente si venivano a sovrapporre due fasi: quella della rivoluzione democratica borghese e quella della rivoluzione comunista proletaria. Vista sullo schema frattale questa situazione non dà luogo ad alcun problema: due aspetti specifici della stessa rivoluzione osservata da un livello più alto si uniscono e vengono fatti propri dal partito che c'è. E se esso è attrezzato in senso comunista sarà adeguato per fare il balzo al livello superiore comunista; se non lo è rimarrà al livello borghese, che è comunque superiore a quello autocratico e asiatico-feudale. In ogni caso la rivoluzione avanza.
Sappiamo che il Partito Bolscevico espresse, con le Due tattiche di Lenin, una formidabile sintesi: non ci sono in Russia forze democratico-borghesi conseguenti, ma c'è un partito comunista che si è sviluppato sulla base del capitalismo moderno e che riteniamo equipaggiato a dovere per affrontare il problema con sicurezza. Ergo, il partito comunista dirigerà la rivoluzione democratica. Nel farlo dovrà neutralizzare le forze inconseguenti o arretrate (piccola borghesia vile e contadiname). A questo punto la rivoluzione non sarà più borghese ma comunista. Dovrà affrontare compiti arretrati, ma sarà comunista e proletaria. La turbolenza provoca fluttuazioni così ampie che il partito salta una fase. La sovrapposizione è stata chiamata dalla nostra corrente "rivoluzione doppia". Nel 1920, nelle Tesi sulla questione nazionale e coloniale, l'insegnamento è recepito e l'Internazionale Comunista lancia l'appello ai popoli colorati: unitevi a noi e vi faremo saltare una fase (nell'originale: "secoli di storia").
Nei testi del nostro patrimonio storico è ripreso il tema della rivoluzione che marcia da Occidente a Oriente (lo riporta il Mehring, che a sua volta attribuiva l'espressione alla Neue Reinische Zeitung). Si sa che Marx ed Engels ritenevano vitale per la rivoluzione in Europa la caduta dello zarismo in Russia. La Rivoluzione d'Ottobre è certo un risultato di tensioni interne, ciò nondimeno il famoso anello debole della catena salta per via di determinazioni che arrivano dall'Occidente. Sempre nello schema frattale è previsto il salto dal livello inferiore a quello superiore, ma il contrario sballa lo schema a partire già dal grafico n. 1, quello del cammino evolutivo di un sistema complesso. Da questo punto di vista è difficile immaginare la rivoluzione vittoriosa in Russia espandersi al livello — poniamo — tedesco. E infatti la nostra corrente non parlò mai di rivoluzione e controrivoluzione in Germania bensì di sola controrivoluzione preventiva.
Se il lettore ha fin qui acquisito un po' di dimestichezza con gli schemi e i rimandi ad essi, provi ad osservare l'ascesa visualizzata nel grande insieme b della rivoluzione di specie a-b-c nel grafico n. 2 e nei suoi sottoinsiemi b1, b2 e b3 del grafico n. 5. L'effetto immediato è di rifiuto istintivo se si immagina un processo evolutivo inverso, cioè da destra a sinistra, "in discesa". Chiediamo scusa per il linguaggio non proprio ortodosso, ma andiamo avanti, ponendo attenzione particolare al processo rivoluzionario r4 = Ottobre 1917 (interno alla rivoluzione b3-r-c: grafico n. 7), dove si vede che se il contenuto politico dell'Ottobre è al culmine del processo, quasi alla fase di transizione, il contenuto sociale è invece addirittura fuori schema (a sinistra del grafico).
Non c'è quindi un modo univoco di parlare della Rivoluzione d'Ottobre per la semplice ragione che essa è ambivalente: se avesse vinto l'anima proletaria la Russia avrebbe saltato una fase politica e ci sarebbe stato modo di accelerare la storia; ha vinto l'anima borghese ed è rivoluzione lo stesso, solo che l'accelerazione è stata forse meno pronunciata e l'aspetto politico è rimasto molto al di qua della transizione. L'Occidente poteva aiutare la Russia; l'inverso era problematico e forse impossibile. Vediamo la citazione completa della nostra corrente sulla direzione geostorica della rivoluzione:
"Marx si guarda dall'applicare a queste diverse direttrici della pressione espansiva russa una stessa formuletta bella e fatta. Il passo che citiamo è grandemente espressivo, se lo confrontiamo con la situazione di oggi [anni '50]. Chiamando il governo attuale di Mosca governo capitalista, non gli assestiamo nessun ceffone; né gli contestiamo compiti rivoluzionari quando, con la sua enorme attività in Asia, economica, commerciale, di costruzione di comunicazioni e di trasferimento su nuovi piani di organizzazione umana delle dormienti sterminate steppe, fa camminare, come diceva Mehring, la rivoluzione da Occidente ad Oriente. Le proclamazioni ideologiche sono sballate, e controrivoluzionarie verso Occidente in modo feroce, ma ciò come per la tendenza ad espandersi della 'gonfia potenza' dell'ottocento, dipende dalle circostanze e non dalla sua propria volontà" (Russia e rivoluzione nella teoria marxista, cap. 16).
Il partito bolscevico al potere rappresentò, nelle condizioni date, la volontà di muoversi verso la rivoluzione comunista mondiale, diventò quindi un nuovo aspetto particolare della storia generale del partito e della rivoluzione comunista. Storia che nel caso specifico si innesta sulle particolari circostanze del moto del capitale verso Oriente. Quando si parla dell'Ottobre, dunque, solo impropriamente si aggettiva la rivoluzione come "russa". In effetti il movimento rivoluzionario che coinvolge aree geostoriche diverse provoca la sovrapposizione dei nostri grafici, e dunque possiamo dire che la controrivoluzione anticomunista staliniana è una perturbazione abbastanza limitata in confronto a alla rivoluzione capitalista staliniana e maoista, che è stata in grado di innescare processi di retroazione positiva allo sviluppo della forza produttiva sociale tali da sconvolgere l'Asia millenaria.
Rimane l'aspetto politico della controrivoluzione, quello sì devastante, anche se è certo che in mancanza di uno Stalin con il suo staff di fucilatori, l'effetto non sarebbe stato troppo diverso. Il capitalismo si è imposto ideologicamente con l'Encyclopédie, ma ha materialmente conquistato il mondo con "sangue e fango": in Occidente, dov'è passato il dominio americano, quello stalinista appare rozzo, primitivo e inefficace. Non era ancora caduto il Muro che già settant'anni di dominio si erano dissolti nel trionfo del mercato, degli arraffoni, dei preti e dei magnaccia.
La mancata rivoluzione (proletaria) in Occidente
La nostra escursione entro il grande oggetto frattale che chiamiamo rivoluzione è quasi terminata. Siamo giunti al culmine della fase suprema del tratto b, alle soglie della decisiva perturbazione r a metà cammino fra la preistoria dell'uomo e la storia dell'uomo finalmente umano. In mancanza di lotta di classe le fluttuazioni del sistema hanno trovato così facilmente il loro feedback negativo che l'omeostasi invece di equilibrio dinamico è diventata palude economica e sociale. Di qui nuove fluttuazioni, più ampie e pericolose, si sono formate. Per la borghesia c'è il pericolo reale di una fibrillazione del sistema, di una sincronizzazione degli eventi in grado di farlo marciare verso una biforcazione/catastrofe con relativa polarizzazione sociale. La crisi in corso ha già dimostrato quanto l'intero assetto capitalistico sia out of control e stia marciando in assetto border line, come stanno dicendo gli economisti meno asserviti. Fuori controllo e ai margini del precipizio: questa è un'immagine abbastanza approssimata alla realtà.
Oggi non c'è più nessuno che parli di rivoluzione in senso reale, sapendo cioè cosa vuol dire, materialmente ed emotivamente, trovarsi dentro al tratto r del più grande cambiamento epocale mai avvenuto. Eppure gli uomini questa sensazione l'hanno già provata e i vecchi compagni del '21 hanno cercato di trasmettercela. Ma la rivoluzione si fermò in Russia, e l'Occidente borghese, socialdemocratico, opportunista tirò un sospiro di sollievo. I nostri grafici però non possono rispondere alla domanda se ci furono rivoluzione e controrivoluzione o se semplicemente la rivoluzione non ci fu. Essi ci dicono "soltanto" in quale punto significativo della grande rivoluzione fummo o siamo, e abbiamo già visto il perché: possiamo immaginare i grafici come uno svolgimento nel tempo su assi cartesiani sulla base di ciò che sappiamo del passato, ma in realtà essi definiscono solo delle fasi, la durata non è rappresentata. Sullo slancio dell'Ottobre, venne costituita a Mosca nel 1919 la Terza Internazionale e, di seguito, si formarono diversi partiti comunisti nei vari paesi europei. L'adesione alla Terza Internazionale fu entusiastica ed inizialmente vi aderirono partiti estremamente eterogenei e difficilmente definibili comunisti sul metro del partito russo o di quello italiano. "Fare come in Russia" divenne uno slogan generalizzato senza alcun legame con i compiti di una rivoluzione che debba rovesciare veramente l'ordine esistente.
Dati i continui scivolamenti dell'Internazionale su questioni non marginali, la Sinistra si domandò se vi fosse una autentica situazione rivoluzionaria in Europa. Era comunque evidente che per la vittoria definitiva della rivoluzione sarebbe stata necessaria la decisa discesa in campo del proletariato internazionale. Ciò non avvenne, e infine
"tutto quello che il proletariato russo ed il partito russo potevano fare da soli, alla data della vittoria civile del 1920-'21, era fatto. E tutto quanto si poteva dare era stato dato" (Struttura, §117).
Sui motivi della ritirata scomposta della rivoluzione in Europa e poi in Russia furono fornite da varie parti risposte contrastanti ma tutte basate sull'attribuirne la responsabilità a "errori" specifici di capi o partiti, vuoi sui rapporti fra teoria e tattica, vuoi sull'incapacità di rintuzzare una borghesia che si stava fascistizzando e induceva la necessità di difendere la democrazia. La sconfitta degli uomini e delle loro organizzazioni venne assimilata tout court alla sconfitta della rivoluzione.
La Sinistra diede tutt'altra risposta: la rivoluzione non può essere sconfitta, può solo procedere più lentamente. Nel saggio Lezioni delle controrivoluzioni è detto magistralmente che, nel corso storico, la rivoluzione avanzante provoca pochi episodi eclatanti ma una controrivoluzione continua. L'essenza della rivoluzione, paradossalmente è nella controrivoluzione. Il nocciolo di questo paradosso lo troviamo in Critica dell'economia politica di Marx, l'Abc per la comprensione del movimento reale ecc.: la rivoluzione avanza nella struttura materiale, la sovrastruttura è una catena che la blocca. Il proletariato spezza la catena e la struttura materiale è liberata. Il comunismo non è un movimento di edificazione ma di liberazione.
In Europa il proletariato internazionale non era sceso in campo perché non era stato chiamato a farlo. Il seguito è il gioco del perché del perché. Avevano forse i russi mirabilmente risolto il problema militare della presa del potere sbagliando le scelte politiche, specie verso l'Europa? Siamo sempre lì, bisognerebbe spiegare che cosa significa "sbagliare" in tale contesto. Nei grandi svolti storici le "scelte" non sono ascrivibili a singoli esecutori di spinte storiche emergenti dal cozzare fisico di masse umane. In Russia era maturata la fase della doppia rivoluzione con doppia accelerazione, mentre in Europa c'era solo una parvenza di rivoluzione: mancava tutto, masse polarizzate univocamente, partiti in grado di raccoglierne le spinte e indirizzarle, programmi atti a sovvertire l'ordine internazionale. Ad un certo punto gli atteggiamenti politici furono addirittura l'effetto e non la causa del declino del potenziale di classe.
"Se errore vi fu e se di errore di uomini e di politici è sensato discorrere, esso non consistette nell'aver perduto autobus storici che si potevano agguantare, bensì nel non aver avuto, da parte del movimento, la forza di dire che l'autobus del potere proletario in occidente non era passato e quindi era menzogna segnalare in arrivo quello dell'economia socialista in Russia. La storia per noi non la fanno gli Eroi, ma i Traditori nemmeno (Struttura § 118, corsivo nostro)".
La Sinistra si serve di un efficace esempio per mostrare la differenza di tensione sociale esistente fra le due aree geostoriche di Russia e d'Europa: mentre in Russia la polarizzazione sociale era al massimo e le molecole umane "si orientavano necessariamente, automaticamente, senza dover faticare per scegliere posizioni", in Europa le molecole erano impazzite e andavano in tutte le direzioni spinte da forze divergenti. Ecco una descrizione di potenza quasi poetica:
"In certi momenti, come in questa sorda fase della civiltà borghese occidentale, l'ambiente storico non è ionizzato e le innumerevoli molecole umane non sono orientate in due schieramenti antagonisti. In questi periodi morti e schifosi l'inerte e fredda molecola si ricopre di una specie di incrostazione che chiama coscienza, e si mette a blaterare che andrà dove e quando vuole, eleva la sua incommensurabile nullità a motore causale di storia. Lasciate però che, come nella Russia della guerra civile, le grandi forze del campo storico si destino, suscitate dagli urti delle nuove forze produttive. È allora che nella nostra immagine l'atmosfera storica, il magma sociale umano, si presentano ionizzati. Le linee di forza del campo si inchiodano sulle loro traiettorie, ogni elemento del complesso va verso il suo polo e si precipita allo scontro con quello opposto. Finisce il mortifero dubbio, va ignobilmente a farsi fottere ogni doppio gioco, l'individuo-molecola-uomo corre nella sua schiera e vola lungo la sua linea di forza, dimentico finalmente di quella patologica idiozia che secoli di smarrimento gli decantarono quale libero arbitrio" (Struttura, §119).
I grandi partiti di massa europei si erano dimostrati impotenti e vennero sopraffatti miseramente dalla controrivoluzione preventiva che non fece alcuna fatica a schiacciarli, rintuzzata solo dal sacrificio dei proletari. La risposta al perché di tutto ciò è di tipo fisico: i bolscevichi erano un piccolo movimento ma molto deciso e organizzato. Di fronte allo sfascio della struttura centrale zarista erano l'unico partito in grado di dare un orientamento alle fluttuazioni caotiche del sistema e si imposero. Per questo i democratici, col senno di poi, parlarono di "colpo di stato". Nei fatti si trattò invece di una biforcazione catastrofica con esito segnato dalla storia pregressa delle condizioni al contorno, le cui tracce si possono trovare agevolmente nelle opere di Lenin e… nei libri sulla teoria delle catastrofi.
Nel ventre della balena
Terminato il cammino sulla traccia dello schema evolutivo della società umana fino alla soglia dello scatto r, non ci resta che gettare uno sguardo al futuro cercando di rimanere ancorati a ciò che già conosciamo con sicurezza e che a grandi linee abbiamo descritto.
L'attuale tratto della rivoluzione ha come indubbio protagonista il declino economico degli Stati Uniti cui si accompagna però una stabile potenza politica e soprattutto militare. Questa situazione non è normale, perché la direzione del moto storico rappresentata dal grande oggetto frattale è irreversibile e non sono contemplate isole che sfidano l'autosomiglianza. Nella serie storica gli Stati Uniti dovrebbero fare la fine dell'Inghilterra, cioè essere soppiantati da un più potente (in tutti i sensi) paese imperialista. All'orizzonte c'è la Cina, ma non ha l'arsenale americano, la capacità di controllare i flussi mondiali di valore e ottocento basi militari sparse per il mondo. I sistemi complessi sopportano queste contraddizioni solo per lasciarle inflazionare a un livello più alto, fino a farle improvvisamente scoppiare, come ci ha dimostrato ad esempio il crollo del Muro e dell'URSS. Il paradosso, che abbiamo già affrontato nel nostro opuscolo sulla globalizzazione, è che il capitalismo è un sistema aperto, mentre il mondo sta diventando un sistema chiuso (ed è forse per questo che nacque nell'inconscio sociale il mito della "conquista dello spazio").
Per l'immaginario anti-imperialista di maniera gli Stati Uniti sono una variante fumettistica del "brigante imperialista" leniniano che, con un armamentario di potenza inaudita, si mette il mondo sotto gli stivali. Questa visione a senso unico tralascia il fatto che gli stessi Stati Uniti subiscono i contraccolpi della loro presenza nel mondo. Non soltanto perché si attirano l'odio delle popolazioni e qualche aereo sulle strutture militari e civili, ma perché essi stessi sono plasmati dall'ambiente che contribuiscono a realizzare. La politica coloniale senza colonie, tipica della nuova potenza in grado di influenzare con "proiezione lontana" i propri interessi, ha provocato effetti interni amplificati rispetto a quanto poteva osservare Lenin al suo tempo. La popolazione americana è stata coinvolta e corrotta dalle proverbiali briciole che cadono dalla tavola imbandita molto più di quella corrispondente inglese. Ma da quando il declino economico ha incominciato ad essere pesante, l'apparato politico militare non è bastato a garantire i flussi di valore, e in un paio di decenni il "mostro imperialistico" ha incominciato a "colonizzare" il… proprio interno. Lo sfruttamento del proletariato, già altissimo in termini di plusvalore relativo (produttività) è enormemente aumentato. L'ipoteca sul lavoro futuro rappresentata dal debito privato interno è schizzata alle stelle, ad una velocità superiore a quella registrata dal debito estero. L'indice del divario fra redditi mostra che poche migliaia di persone detengono quasi tutta la ricchezza disponibile, il che significa che controllano le sorti dell'intera popolazione interna. Scrivemmo nel 2003 analizzando le nuove teorie di dominio partorite dalla banda neoconservatrice chiamata a fare il "lavoro sporco":
"La conseguenza è tremenda: gli Stati Uniti sono una colonia di sé stessi e questo fenomeno è registrato con più forza proprio dalle frange borghesi americane spaventate dagli scenari futuri. Milioni e milioni di americani si sentono prigionieri di uno Stato che non percepiscono come un loro organismo. Per milioni di americani il loro stesso Stato è un alieno, un qualcosa che non fa parte del paese. Non importa se le forme del rifiuto prendono tinte che vanno dal nazismo all'anarchia, con ibridazioni curiose e forme di milizia armata assolutamente particolari: il fatto è che buona parte dell'America si sente colonizzata dall'America" (Teoria e prassi della nuova politi guerra americana).
Per la borghesia americana il controllo interno è diventato una priorità addirittura nei confronti di quello esterno. Lo dimostra la tendenza alla riforma dell'assetto militare federale e statale, che va dai nuovi compiti previsti per la Guardia Nazionale e per la Riserva alla costruzione massiva di strutture carcerarie sempre più simili a campi di concentramento. I compiti di polizia si fanno sempre più militarizzati in senso classico e il resto del mondo viene a sapere delle immense strutture tipo Fort Hood, solo perché un militare fuori di testa (forse) si mette ad uccidere all'impazzata.
Altrove abbiamo sviluppato nei dettagli questi aspetti. Qui interessa ricordarli per sottolineare che il polo scatenante della prossima perturbazione decisiva non sarà da una qualsiasi parte del mondo, magari impegnata in guerre locali per procura, ma dal cuore stesso del capitalismo. La scintilla può scoccare ovunque, ma la polarizzazione che conta sarà intorno ai reofori essenziali, America ed Europa. L'uomo ha bisogno di rivoluzione, come scrisse Marx ad Annenkov, non quando sta marciando verso una meta, ma quando sta per perdere ciò che ha già raggiunto. La rivoluzione sta mettendo a fuoco i puntatori delle sue armi sulla zona significativa, quella più vicina a r, non la più lontana. La zona che ha tutto da perdere e nello stesso tempo trabocca di popolazione superflua che da perdere non ha nulla.
Letture consigliate
- Erwin Schrödinger, Che cos'è la vita, Adelphi, 1995.
- PCInt., Partito e azione di classe, Rassegna comunista n. 4 del 1921.
- PCInt., Tesi di Roma, Rassegna comunista n. 17 del 1922.
- PCInt., Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole, Il Programma comunista n. 2 del 1965.
- PCInt., Tesi di Napoli, Il programma comunista n. 14 del 1965.
- PCInt., Tesi di Milano, Il programma comunista n. 7 del 1966.
- PCInt., Riconoscere il comunismo (antologia di testi vari), Quaderni di n+1.
- PCInt., Russia e rivoluzione nella teoria marxista, Il programma comunista, a partire dal n. 1 del 1952.
- PCInt., Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia, Programma comunista nn. 15 e 16 del 1955.
- PCInt., Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, Programma comunista, a partire dal n. 10 del 1955.
- PCInt., Attivismo, Battaglia comunista nn. 6 e 7 del 1952.
- Amadeo Bordiga, Partito e classe, Rassegna comunista n. 2 del 1921.
- Karl Marx, Ideologia tedesca, Editori Riuniti, Opere complete, vol. V, 1972.
- Karl Marx, Per la critica dell'economia politica, Editori Riuniti 1969. L'Introduzione inedita del 1857 è in appendice.
- Alberto Gandolfi, Formicai, imperi, cervelli, Bollati Boringhieri 1999.
- Benoît Mandelbrot, Gli oggetti frattali, Einaudi.
- Nina Hall (a cura di), Caos, Muzzio.
- Vladimir Lenin, L'imperialismo fase suprema del capitalismo, Editori Riuniti, Opere complete vol. 22, 1966.
- Douglas Hofstadter, Gödel, Escher, Bach, Adelphi 1990.
- n+1, Globalizzazione, opuscolo, 1999.
- n+1, Teoria e prassi della nuova politiguerra americana, n. 11 della rivista, 2003.
- Il sito di un liceo sui frattali: http://www.miorelli.net/frattali/introduzione.html
- Mostra permanente di immagini frattali: http://www.frattali.net/
- La pagina di Wikipedia sui frattali: http://it.wikipedia.org/wiki/Frattale