Modo di produzione asiatico?
Stabilità strutturale e morfogenesi nelle forme sociali di transizione
"A grandi linee i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come età che marcano lo sviluppo della forma economica sociale… La forma della proprietà comune spontanea [non è] specificamente russa. È la forma originaria la cui esistenza troviamo presso romani, germani, celti, e della quale si trova tuttora un campionario in India, sia pure allo stato di rovine. Uno studio più particolare delle forme di proprietà comune asiatiche dimostrerebbe come dalle differenti forme della proprietà comune spontanea risultino differenti forme del suo dissolvimento" (Marx, Per la critica dell'economia politica, Introduzione del 1859).
"Non può accampare pretesa a chiamarsi dialettico e marxista chi non sa leggere, ogni qualvolta si discute del passaggio da precapitalismo a capitalismo, i taglienti enunciati del passaggio da capitalismo a comunismo. Essi sono tutti capiti a rovescio non solo dagli opportunisti ma anche dai gruppetti delle sinistre eterodosse che svelano ad ogni tratto la loro soggezione reverenziale per i 'valori' capitalistici di libertà, civiltà, tecnica, scienza, potenza produttiva, tutti termini che noi, con Marx originario, non vogliamo ereditare, ma spazzare via con odio e disprezzo inesausti" (PCInt., Dottrina dei modi di produzione, 1958).
L'importanza dello studio sulle transizioni
Il presente lavoro si inquadra in una serie che riguarda tutte le transizioni da una forma sociale all'altra. Nel n. 26 della nostra rivista ci siamo occupati delle transizioni in generale individuando quella che abbiamo chiamato "struttura frattale delle rivoluzioni". Nel numero 27 scorso, seguendo i classici e traendo materiale dalle nuove scoperte archeologiche, è stato trattato l'argomento della prima grande transizione, quella che Gordon Childe chiamò "rivoluzione neolitica" e che per noi è dolorosa e tragica — seppur rivoluzionaria — transizione dal comunismo originario alle più antiche società divise in classi e alla nascita dello Stato. Questa grande transizione copre, tra le diverse aree del mondo, un periodo di millenni. Le sue radici affondano nei primi tentativi di allevamento e agricoltura; il suo percorso termina con l'avvento delle prime società di classe. In mezzo, specie nel tratto finale, vi sono forme ancora comunistiche per quanto riguarda produzione e distribuzione, che convivono ormai con palesi forme di divisione sociale del lavoro, quindi con proto-classi già in grado di maneggiare strumenti di centralizzazione che prefigurano lo Stato quando ancora non è emersa la proprietà giuridica. Sopravvivenze di tutte le forme che precedono il capitalismo si conservano anche oggi, nonostante la guerra spietata che la società borghese conduce contro i residui di comunità umane. Un'avvertenza: chiameremo società comunista quella originaria e quella futura, sviluppata, e comunistica ogni altra società non comunista ma con caratteri evolutivi tipici sia di quella originaria che di quella futura.
Abbiamo affermato fin dal sottotitolo nella copertina del precedente numero di n+1 che la prima grande transizione, quella dal comunismo (originario, spontaneo) alle società di classe e poi al capitalismo, avrà necessariamente un riscontro speculare e quindi invariante con la seconda transizione, quella dal capitalismo al comunismo (sviluppato, progettuale). Ora, ogni fenomeno speculare, o simmetrico, può essere trattato con i medesimi metodi, formule, schemi, ecc., ed è proprio questo genere di invarianza che ci permette di individuare nelle due suddette grandi transizioni dell'umanità alcune leggi riguardanti il trapasso, senza le quali non potremmo capirne la dinamica e quindi prevederla. Abbiamo inserito in apertura una citazione della nostra corrente a questo proposito; se nonostante ciò qualcuno pensasse ancora che ci stiamo inventando una teoria nuova lo rassicuriamo con una bordata di artiglieria pesante:
"Non è necessario scrivere la storia reale dei rapporti di produzione per analizzare le leggi dell'economia borghese… Ma l'analisi corretta di questi rapporti, in quanto essi stessi divenuti storicamente, conduce sempre a prime equazioni che rinviano al passato che sta alle spalle di questo sistema, come per i dati delle scienze naturali. Queste rievocazioni, insieme alla giusta concezione del presente, ci danno la chiave del passato. Inoltre, questa giusta concezione ci permette di scoprire il movimento del divenire e i punti che lasciano presagire l'abolizione della forma di produzione attuale e prefigurano la società futura" (Marx, Grundrisse, p. 439 ediz. in bibliografia; qui però modifichiamo con la più chiara traduzione di Gianni Sofri in Il modo di produzione asiatico, anch'esso in bibliografia).
Marx non abbandona mai il proprio metodo. A dispetto di chi vorrebbe vedere nel suo lavoro una concezione "unilineare" della storia, egli va continuamente dal complesso al semplice e viceversa, dal concreto all'astratto e viceversa, dal presente al passato e viceversa, in una indagine sempre dinamica che non si limita a fotografare un fenomeno al tempo dato ma è attenta al suo divenire e all'emergere di forme nuove. Ogni società umana si riproduce attraverso il lavoro, la produzione, la distribuzione e, superata la fase comunista originaria, lo scambio; ma è il modo che distingue le società, non il fatto. Le rivoluzioni non sono altro che la transizione da un modo all'altro. Il semplice elenco delle quattro forme sociali nella citazione d'apertura è già di per sé uno schema che rappresenta la successione dei modi in un tempo relativo e non quella dei fatti in un tempo assoluto.
Il lettore avrà notato che il sottotitolo di questo lavoro contiene il titolo dell'opera di René Thom sulla teoria della catastrofi (Stabilità strutturale e morfogenesi). Se una società tende a darsi strumenti sempre più potenti di autoconservazione, cioè di stabilità, com'è che dalle vecchie società scaturiscono quelle nuove? La forma economico-sociale primaria, comunista, è estremamente stabile per milioni di anni e presenta un'invarianza quasi totale, sorprendente, per i vari periodi e in tutto il mondo, dal paleolitico fino all'età del bronzo avanzata. Da questa forma ne nascono diverse, certune stabili per millenni, altre a sviluppo relativamente rapido, come quella secondaria antico-classica, schiavista. La prossima forma sarà comunista, ma passerà (sta passando) attraverso una transizione di tipo particolare. Tutte le transizioni ("schiavismo -> feudalesimo", "feudalesimo -> capitalismo", ecc.) hanno alcuni caratteri invarianti, ma quel che ci interessa maggiormente sottolineare è l'analogia fondamentale, per quanto rovesciata, fra la prossima transizione e quella dal comunismo originario alle società classiste. Ciò perché, come è stato reso evidente con il ricorso alla "struttura frattale delle rivoluzioni", c'è una bella differenza fra la transizione "comunismo -> società di classe" (e soprattutto viceversa) e il passaggio da una società di classe di tipo a ad una società di classe di tipo b. I testi di riferimento sono pochi ma fondamentali. Di Marx: il frammento sulle Formen nei Grundrisse, L'Ideologia tedesca e Per la critica dell'economia politica con Prefazione e Introduzione; di Engels: L'Antidühring e L'origine della famiglia della proprietà e dello Stato; della Sinistra Comunista "italiana": Dottrina dei modi di produzione. Questi sono i pilastri portanti, ma ad esempio tutti i testi della Sinistra Comunista che affrontano il problema delle transizioni, compresi quelli sul tentativo russo, sono dei potenti necrologi della società capitalistica nella sua fase agonica. Parte di questo materiale è in bibliografia. Esso sarà utile perché molti, allontanandosi dallo schema originario di Marx, hanno piegato l'argomento "asiatico" a varie esigenze politiche, ideologiche e persino economiche.
Unicità delle n forme sociali classiste nella serie storica
Anticipiamo al lettore che noi collocheremo il cosiddetto modo di produzione asiatico in una scala temporale e strutturale diversa da quella normalmente adottata. Si tratta di un "ritorno a Marx" per dimostrare, utilizzando i suoi parametri, quanto sia devastante l'approccio "politico" (che alcuni direbbero "umanistico", "filosofico" o "illuminista") rispetto alla corretta interpretazione materialistica della storia. E siccome la storia è fondamentalmente una dinamica che volge dal passato al futuro, non capire questa dinamica significa non capire il futuro. Non a caso l'ufficialità marxista quasi al completo è incatenata alla situazione entro la quale si esprime. In URSS, ad esempio, a causa del vincolo con gli aspetti "asiatici" dello zarismo stalinista, si giunse a negare per via ideologica l'esistenza di un modo di produzione asiatico. Non fu criticata solo la logica della definizione ma si escluse l'esistenza di quel modo di produzione particolare. Fu adottata, a maggioranza democratica, una concezione secondo la quale le società precedentemente considerate sotto il segno del dispotismo orientale fossero in realtà e in varia misura feudali. Ma il feudalesimo conosce già la proprietà privata, le classi, il mercantilismo, l'accumulazione finanziaria, lo stato, e dura in Europa fino alla Rivoluzione Francese e oltre.
Al di fuori dell'URSS il modo di produzione asiatico è stato a volte collocato entro la forma secondaria che contiene quella antico-classica, pienamente proprietaria e classista, insieme con le forme germanica e slava che però propriamente classiste non sono. Ciò sembrerebbe lecito, dato che la forma asiatica non è più comunista ma non è ancora feudale e tantomeno capitalista. In effetti alcuni passi di Marx potrebbero far pensare che egli stesso risolvesse così il problema degli insiemi logici. Ma, nei testi specifici che abbiamo citato poco fa, la forma asiatica non è posta entro quella antico-classica bensì utilizzata come esempio della dissoluzione di una forma nell'altra. Quando la dinamica di questa dissoluzione si blocca e la forma da transitoria diventa stabile abbiamo la sua asiatizzazione. L'insieme di una forma secondaria quadripartita (antico-classica, asiatica, germanica e slava) non sarebbe coerente, e non renderebbe conto della specificità delle società non ancora proprietarie e classiste. In particolare la forma asiatica si sovrappone parzialmente a quella comunista primaria e alle tre della forma secondaria; ma dal punto di vista logico non appartiene all'insieme secondario, come mostriamo con lo schema semplificato della figura.
Prendiamo le due citazioni che abbiamo posto ad apertura di questo articolo: nella prima la forma asiatica è distinta da quella antica; nella seconda la scansione storica è data da un codice binario: comunismo sì, comunismo no. In entrambe non c'è posto per forme ibride, anche se nella storia ne sono esistite e ne esistono. Il guaio è che oggi vediamo la forma asiatica, sia a livello "imperiale" che a livello di residua comunità di villaggio, come rovina, come rudere di una forma più antica, com'è scritto chiaro e tondo nella prima citazione. Dobbiamo dunque analizzare la forma originaria per capire le sue rovine, così come le sue rovine ci hanno permesso di intuire una forma originaria prima che l'archeologia ce ne desse conferma.
Andiamo al testo da cui è stata tratta la seconda citazione e prendiamone un'altra assai significativa:
"Se le forme o modi sociali col capitalismo sono state n, in tutto esse sono n + 1. La nostra rivoluzione non è una delle tante, ma è quella di domani; la nostra forma è la prossima forma. Il comunismo diverrebbe in teoria la forma n + 2, se comparisse una forma di più che sia già post-capitalismo e non sia ancora comunismo; comunismo con tutti quei precisi caratteri che abbiamo sviscerati partendo dai caratteri differenziali tra il capitalismo che intorno ci appesta e le forme a cui esso è seguito. Se così fosse, non sarebbe giunto un secolo e più fa il momento storico per fondare il sistema invariante della rivoluzione, come dottrina, come partito, come combattimento… Il principio dell'unicità di serie storica dei modi pre-comunisti vale anche a buttare da parte ogni dottrina della costruzione del socialismo in un paese solo partendo dalla forma n - 1 ossia dal pre-capitalismo feudale, prima che un esempio pieno del trapasso da n a n + 1 (che non può darsi che in campo internazionale) si sia presentato. Con tale falsa dottrina cade quella delle vie nazionali al socialismo, per cui da paese a paese l'itinerario sia di un numero diverso di termini, varie unità in meno o in più di n."
Trattando la forma asiatica secondo i suoi caratteri storici e non secondo quelli contingenti attuali (le "rovine"), abbiamo la possibilità di evitare l'errore tragico — commesso in modi diversi da Trotsky, da Stalin e da Gramsci — di teorizzare forme ibride. Che porta sempre a giustificare una maturazione dell'esistente attraverso attività di tipo intermedio, dal parlamentarismo all'egemonismo operaio, dai programmi di transizione al socialismo in un solo paese. Naturalmente nella realtà le forme ibride esistono, anzi, tutta la complessa realtà è sfumata e caotica; ma in uno schema teoretico i raggruppamenti in insiemi devono essere logici, e la logica della scaletta storica è quella di Marx nella prima citazione. Come vedremo, molti di coloro che hanno affrontato la questione hanno ingarbugliato notevolmente le cose proprio per non aver tenuto presente questo criterio, primo fra tutti colui che pretese di darle una sistemazione definitiva, Karl Wittfogel.
Il lettore che ci ha seguito nel nostro lavoro passato ha ormai pratica del fatto che si può applicare alla storia una specie di "topologia sociale" in base alla quale le invarianze ci permettono una suddivisione delle successioni storiche fino a limiti normalmente considerati arbitrari. Tanto per fare un esempio: se, nella serie storica delle guerre mondiali, la Prima e la Seconda sono ben determinate da un inizio e una fine entro periodi di "pace" da schieramenti contrapposti su fronti precisi ecc., la Guerra Fredda, pur avendo caratteri molto più sfumati, ha tuttavia coperto un periodo abbastanza preciso, configurandosi come una Terza Guerra Mondiale. Essa s'è infatti combattuta tra due blocchi imperialisti su teatri caldissimi come la Corea, il Vicino Oriente e il Vietnam, ha prodotto il doppio o il triplo dei morti rispetto alla Seconda Guerra Mondiale e ha mobilitato partigianerie locali, nazionali e globali in confronto alle quali quelle del passato sembrano uno scherzo. Basti considerare il titanico sforzo militare dei Vietcong, appoggiati da Hanoi, Mosca e Pechino, contro Washington e i suoi fantocci, cioè contro la forza armata più mostruosa che sia mai esistita. E il teatro di guerra coreano, che si configura come vera e propria guerra interimperialistica cui le altre guerre, come quella del Vietnam, si collegano perfettamente, senza soluzione di continuità. Non essendo la Guerra Fredda, dal punto di vista marxista generale, diversa da una "calda", ed essendo "globalizzata" più di quella del 1939-45, non abbiamo avuto nessun problema a collocarla come Terza Guerra Mondiale in sequenza con la Prima e la Seconda. Anche perché guerre come quella del Vietnam, che avevano ancora un contenuto rivoluzionario borghese "popolare", finirono per essere inglobate nella generale guerra interimperialistica di cui la Corea fu un esempio eclatante. Ricordiamo che la Corea del 1945 era la prima potenza industriale del continente asiatico, con un numeroso e potente proletariato in grado di scioperare a fianco di quello giapponese; e che la rivendicazione nazionale non si manifestava però in alcun contesto rivoluzionario, essendo le frazioni della borghesia locale oscillanti fra un imperialista e l'altro. In ultima analisi, la nostra periodizzazione segue il criterio materialistico di ricavare la ragione dei conflitti dalle condizioni geostoriche e non da ciò che dicono i protagonisti di sé stessi: la Terza Guerra Mondiale è stata un processo di stabilizzazione del capitalismo in fase di globalizzazione, il cui baricentro si stava storicamente spostando verso l'Asia.
Un altro esempio di periodizzazione che può essere considerata arbitraria da alcuni ed esatta da altri la troviamo nel libro di Engels L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, dove si tratta di società che non conoscono la famiglia, cui seguono quelle caratterizzate dalla famiglia monogamica, quelle con classi proprietarie e quelle con struttura classista statale dove è ben delineata una classe dominante col suo strumento di potere. L'arbitrio in questo caso consisterebbe nella successione temporale, dato che vi sono ancora oggi sopravvivenze di società del primo tipo. L'accenno a una periodizzazione a-temporale alla maniera di Engels lo fece Bruno Rizzi (La burocratizzazione del mondo), che fu militante della nostra corrente per poi allontanarsene: vi sarebbero state quattro fasi nella preistoria dell'umanità (nella quale ancora viviamo), una matriarcale, una patriarcale, una feudale e una mercantile. Al di là dell'incongruenza logica dell'assunto, poiché anche la società feudale e quella mercantile sono patriarcali, la periodizzazione "funziona", pur se assistiamo in alcuni casi, persino in piena epoca borghese, a interessanti sopravvivenze di matriarcato utili a capire quello arcaico. Gordon Childe tentò, sulla base di una lettura di Morgan, di Marx e dei nuovi dati archeologici disponibili negli anni '20 del secolo scorso, una grande periodizzazione che non fosse solo tipologica: stato selvaggio (paleolitico), barbarie (neolitico), civiltà (urbanesimo e scrittura). Al di là delle fondamentali differenze che ci distanziano dalla sua visione politica (simpatizzò per lo stalinismo), gli va riconosciuto il merito di avere sviscerato la dinamica del divenire sociale antico, e individuato, prima che fossero pubblicati i Grundrisse, un carattere specifico della rivoluzione urbana, cioè della grande transizione dalle società comunistiche a quelle proprietarie e classiste: il crescente utilizzo sociale e organizzato del surplus, sottratto all'uso privato e destinato all'uso comunitario. Per suffragare le proprie ipotesi egli sintetizza un modello basato su quattro archetipi primari, Egitto, Sumer, Indo e Maya. Il semplice apparire di una sovrapproduzione caratterizza anche l'uomo paleolitico, che sapeva conservare le eccedenze di carne affumicata e conosceva lo scambio del sovraprodotto tra le singole comunità; ma il modello primario offre la chiave per capire gli effetti stabilizzatori o propulsivi derivanti dalla gestione sociale di tali prodotti. Si potrebbe dire che Childe fu un evoluzionista antigradualista, tanto che una sua descrizione delle transizioni è assai simile a quella schematizzata dalla nostra corrente con l'immagine delle fasi a cuspide (Teoria e azione nella dottrina marxista, Appendice). Egli scrive:
"La curva all'insù [della storia] si risolve in una serie di avvallamenti e di creste. Ma in quei campi che l'archeologia e la storia scritta possono coprire, nessun avvallamento si abbassa fino al livello del precedente, ciascuna cresta supera l'ultima che la precede" (Il progresso nel mondo antico, p. 303).
Da notare che il titolo italiano dell'opera è diverso da quello originale, che suona meno gradualista (What happened in History, ossia "Che cosa accadde nella storia"). Curiosamente, se trasponiamo lo schema appena descritto da una rappresentazione cartesiana a una di fasi (forza produttiva sociale sulle ordinate e periodizzazione in fasi invece che in tempo continuo sulle ascisse), abbiamo sia le cuspidi della nostra corrente, sia la struttura frattale descritta nel n. 26 della nostra rivista.
Dissoluzione delle n forme nella forma n+1
Questo modo di periodizzare la storia è anche quello di Marx, il quale, non interessandosi affatto a un'impostazione storiografica rispetto all'evoluzione umana, cerca i caratteri delle forme sociali e soprattutto i modi del loro divenire nella dissoluzione di quelle più antiche in quelle "successive". L'aggettivo richiede le virgolette in quanto non indica un tempo che scorre in un luogo ma una scala di fasi nello sviluppo della forza produttiva sociale. Il tempo scorre continuo, l'evoluzione umana è rappresentabile solo con schemi discontinui di fase.
In Marx la prima descrizione della serie storica la troviamo ne L'Ideologia tedesca, dove sono messe in successione le forme di proprietà: tribale, antica, feudale e capitalistica. Esse corrispondono allo sviluppo naturale della divisione sociale del lavoro e quindi dei rapporti di classe; sviluppo che la "cosiddetta storiografia obiettiva" non prendeva nemmeno in considerazione, separando le situazioni storiche dalla reale attività umana, come se esse piovessero dal Cielo sulla Terra. Nel testo non compare ancora alcun accenno a un "modo di produzione asiatico". Essendo dedicato alla critica della "filosofia della frase", l'esigenza descrittiva di un modello materialistico, a partire dalla critica a Feuerbach, lascia in sottofondo le forme della dinamica evolutiva. Ma essa in quanto tale è inconfutabilmente presente, e costituisce addirittura uno dei capovolgimenti rispetto all'ideologia tedesca, dato che nei domini dell'Assoluto l'evoluzione non era di casa. Sta di fatto che più tardi, nella sezione dei Grundrisse dedicata alle forme che precedono quella capitalistica, Marx si occupa specificamente di transizioni e di processi evolutivi, facendone un argomento di studio approfondito fino alla fine della sua vita. Con i Grundrisse egli avvia soprattutto una ricerca minuziosa sulle condizioni per la transizione da determinate forme a quelle "successive", in particolare da quella originaria, comunista, a quella antica, e da entrambe al feudalesimo in quanto base del capitalismo. Si capisce bene, nonostante il linguaggio da appunti, che è sempre più attento alla dinamica, al processo, rispetto alla tipologia delle forme, che però adesso cita in abbondanza come esempi esplicativi. Principalmente si concentra sulla transizione originaria perché è in essa che risiede il nocciolo di tutte le transizioni avvenute fin qui nella storia: la dissoluzione per fasi del rapporto dell'uomo con i propri mezzi di produzione. La "forma orientale" è presa ad esempio come sopravvivenza sia del rapporto comune con la terra, sia del rapporto con gli strumenti di lavoro nell'artigianato corporativo medioevale. Infatti, nella dissoluzione delle società antica e feudale in quella borghese, le categorie (proprietà, denaro, lavoro, mezzi di produzione) non scompaiono, cambiano "solo" contesto sociale, in rapporto alla forma assunta dalla proprietà. La vera differenza sta dunque fra le società proprietarie e quelle senza proprietà, fra quelle che scambiano prodotti (sia pure semplicemente a livello di valore d'uso) e quelle che hanno solo un ciclo vitale metabolico dove il prodotto è immediatamente consumo (non ha cioè che utilità d'uso, come l'aria che respiriamo).
È in tale contesto che si può afferrare appieno il significato della scaletta tracciata ne L'Ideologia tedesca e precisata in Per la critica dell'economia politica: modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese "possono essere qualificati come epoche progressive della formazione sociale economica". Progressive, dunque in successione qualitativa, cioè distinte da caratteri diversi, separate da una spaccatura storica eliminabile unicamente con l'eliminazione della proprietà. Infatti, se l'invariante delle società di classe è la proprietà, le società non proprietarie vanno distinte da quelle proprietarie. Per quanto apparentemente banale, dettata da normale buon senso, questa proposizione aiuta assai bene a capire l'immensa portata di un'altra, collegata: con la fine del capitalismo termina la preistoria dell'uomo e inizia la sua storia, si passa dal regno della necessità a quello della libertà. Marx non vuole insegnare storia come un professore borghese, vuole capire e farci capire la dinamica completa che porta inevitabilmente allo sbocco della rivoluzione in atto:
"La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti" (Marx ed Engels, Manifesto).
Il capitalismo è il coronamento delle n forme sociali proprietarie. Con le caratteristiche sue proprie, antitetiche rispetto a quelle delle società precedenti e descritte perfettamente fin dal 1848, esso si pone come fattore della seconda grande transizione, lo sbocco, il salto a n+1. Nei Grundrisse, al capitolo sulle forme precapitalistiche, la parte dedicata alla società comunista originaria e alle forme di transizione che segnano la dissoluzione del rapporto naturale fra uomo e mezzi di produzione è quella più ampia. Marx ricorre di continuo a dimostrazioni con escursioni fra le varie forme ed epoche, senza un ordine preciso al di fuori di quello che mostra una dinamica fra la condizione iniziale (comunismo originario) e condizione finale (dominio reale del Capitale autonomizzato sulla forza lavoro). La società antica classica è nominata più che altro nel contesto di esempi a sostegno della tesi principale (la dissoluzione), e la società feudale principalmente come supporto per ulteriori esempi di sopravvivenze comunistiche; mentre la forma "asiatica" è utilizzata più volte come prova che è esistita la forma originaria evocata dalle sue sopravvivenze attuali o antiche.
Nella società antica, germanica, feudale, slava, ecc., l'uomo è ancora variamente legato al suo mezzo di produzione o alla terra; tra l'uomo e lo strumento c’è ancora un rapporto di tipo naturale anche se man mano imbastardito da rapporti sociali che evolvono verso il perfezionamento della divisione sociale del lavoro, e quindi verso una società classista sempre più pura. Nei vari passaggi c'è continuamente bisogno di introdurre elementi di controllo sulla produzione sociale a fini di appropriazione privata, ma nonostante ciò permangono brandelli di comunismo straordinariamente persistenti. La chiave di lettura è facilmente individuabile non appena il lettore si lasci condurre da Marx lungo il percorso che questi stesso imbocca, non tanto utilizzando la storia per stabilire quale sia stata la successione delle forme sociali, quanto indagando intorno alla successione delle forme sociali per ricostruire le sequenze che la storiografia di allora (e in parte ancora di adesso) non poteva vedere. Non c'è storia che non sia lotta fra classi e rivoluzione che non sia scontro fra modi di produzione.
Inadeguatezza di una definizione
Una ricerca sull'annosa questione del "modo di produzione asiatico" non può prescindere da uno sguardo, nel nostro caso forzatamente limitato, all'opera di Karl Wittfogel, specie al suo libro del 1957, Il dispotismo orientale. Nelle ottocento e più pagine l'autore si preoccupa di ricavare da determinazioni materiali due definizioni storico-sociali che poi utilizza come fondamento di una teoria "asiatica": la "società idraulica" e il "sistema burocratico-manageriale". In appoggio alla sua tesi, egli chiama a testimoni Marx, Engels e Lenin, rimproverando però loro — non senza robuste forzature — di aver sostenuto in un primo tempo l'esistenza di un modo di produzione asiatico e poi di averlo abbandonato per strada. Ciò può apparire vero, ma non per le ragioni che immagina Wittfogel (la necessità di non offrire il fianco alle teorie antistataliste di Proudhon e Bakunin). Semplicemente le società "asiatiche" non rientravano nella classificazione di quelle proprietarie classiste (antica, feudale e borghese), e nemmeno in quelle comuniste precedenti, cioè lo stato selvaggio (paleolitico) e la barbarie (neolitico), secondo l'antropologia di allora; epoche oggi distinguibili con ben altre sfumature permesse dall'archeologia e dalla paleo-antropologia moderne. Proprio a proposito di paleo-antropologia, non è un caso che Engels, dopo aver letto Morgan, non sfiori neanche il tema del dispotismo asiatico ne L'origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato e parli invece di società patriarcali con lavorazione comune della terra, tipiche di varie aree geografiche e di varie epoche. Eppure sei anni prima, nell'Anti-Dühring, aveva preso in considerazione il dispotismo asiatico come forma più rozza dello Stato. Il fatto è che Marx ed Engels avevano utilizzato una "categoria", quella dell'asiatismo, presa in prestito dagli economisti della loro epoca o precedenti, tra gli altri John Stuart Mill, James Mill e Adam Smith. Non si erano affatto ricreduti, erano semplicemente ritornati alle loro stesse considerazioni iniziali, quelle contenute nei Grundrisse al capitolo sulle forme che precedono il capitalismo, là dove si dice chiaramente che l'aggettivo "asiatico" è utilizzato per definire sia la società cinese sia quella indiana, egizia, incaica o messicana, con analogie persino con l'Olanda e la Lombardia, se non fosse che queste ultime società avevano già espresso una moderna forma di Stato. Ancora nel 1881, nella celebre sequenza di lettere a Vera Zasulič, Marx parla delle comuni di villaggio europee ed asiatiche nel senso di un residuo di forme sociali più arcaiche, delle quali, come aveva detto nella prefazione a Per la critica dell'economia politica nel 1859, vediamo solo le rovine; è evidente che c'è un legame sia con la citazione da noi riportata in apertura, sia con i Grundrisse.
Le definizioni "modo di produzione asiatico", "dispotismo orientale" o "società idraulica" possono avere tutte una propria legittimità, ma ciò che dà loro un senso è la reale attività umana che vogliono descrivere. Esiste certamente un "dispotismo orientale", ed esistono "società idrauliche", ma non è lecito estendere i concetti a situazioni in cui è perlomeno fuorviante parlare di dispotismo: come nel caso degli antichi Egizi; o degli imperi Mongoli e Turchi, dove l'idraulica non c'entra nulla, sebbene ci si trovi di fronte a società perfettamente asiatiche. Nel primo caso si commette l'errore di "giudicare" un "regime" sulla base di un confronto con la visione ellenistica del mondo, o peggio quella liberale moderna che ovviamente gli Egizi non si potevano neppure sognare. Nel secondo si vede un miraggio idraulico nelle steppe indotto da una concezione da "ideologia tedesca": secondo Wittfogel infatti la società mongola successiva alla morte di Gengis Khan fu di tipo dispotico orientale anche senza i classici caratteri idraulici, dato che si era sviluppata nelle steppe desertiche; avendo però i Mongoli invaso l'idraulica Cina, ne adottarono la forma sociale e, volgendosi poi con l'Orda d'Oro a Occidente contro i principi di Kiev, asiatizzarono la Russia riportandola indietro rispetto al "proto-feudalesimo" locale. E ciò senza neppure scavare un solo fosso d'irrigazione.
Le contraddizioni sono tante. Ad esempio potremmo chiederci, in margine alle considerazioni "idrauliche", se fosse più "dispotica" la dominazione dei principati proto-feudali russi, quella degli eredi di Gengis Khan o quella successiva degli zar che instaurarono, a partire da Ivan III il Grande, un tipo di Stato mongolo-bizantino. Gli storici sono concordi nel riconoscere che Gengis Khan, il più "asiatico" e il meno "idraulico", non fu il despota sanguinario della leggenda ma comandò saggiamente sia le orde di invasori, un tempo scatenate, sia i grandi imperi assoggettati.
Wittfogel entra ovviamente in una dura polemica con lo schieramento stalinista il quale, consapevole dei marcati residui asiatici della società sovietica ereditati dagli zar e addirittura dalle comunità di villaggio che precedettero la dominazione mongola, tende a cancellare politicamente la questione, come d'altra parte era successo per altre "questioni", dalla linguistica alla biologia. Poco per volta in URSS viene negata l'esistenza di un "modo di produzione asiatico", fino alla dichiarazione della "liquidazione definitiva della famigerata teoria" (1950). Ora, il marxista Wittfogel, una volta diventato anticomunista, come tutti i pentiti si scaglia con odio particolare verso ciò che al pari di tanti ritiene comunismo, cioè lo stalinismo. Nell'odio è abbondantemente ricambiato, ma nella foga polemica egli dimentica, quasi con venatura razzista, che il dispotismo europeo, dai Cesari a Hitler, non ha nulla da invidiare a quello asiatico; e che, anzi, il macedone Alessandro Magno quando conquistò la "dispotica" Persia si accorse immediatamente che la presunta barbarie del nemico era una leggenda inventata dai Greci e provvide ad integrare nell'impero l'intera struttura "asiatica", dalla Mesopotamia ai confini dell'India. Semmai fu il mondo greco a non reggere la scomparsa prematura del conquistatore, non quello persiano, che era più antico, esteso, stabile e soprattutto unitario.
Sta di fatto che in Dispotismo orientale l'aggettivo del titolo non serve a distinguere un dispotismo da un altro ma a definire il dispotismo tout court. Nell'opera nessuno viene risparmiato, compresi Marx, Engels e Lenin, accusati di avere per primi affossato la teoria idraulico-asiatica. Cosa non vera, ma dall'annoso dibattito, su tutti i fronti, non esce luce che possa illuminare la questione. Persino la notevole documentazione raccolta da Wittfogel mostra bene quanto l'autore si debba arrampicare sui vetri per realizzare disperati insiemi logici a dimostrazione dei suoi preconcetti "dispotico-manageriali". Tuttavia, a parte il fallimento di questa operazione, risulta manifesto, a partire dalla documentazione stessa, il materiale divenire di una forma sociale straordinariamente resistente attraverso le epoche. Essa, asiatica o idraulica o agro-manageriale che sia, ci offre indicazioni preziose sulla generalissima dinamica storica che va dall'insieme unitario da noi chiamato n all'insieme da noi chiamato n+1.
Di fronte a quella che Marx definisce una rovina sopravvissuta alla società antica, non abbiamo da far altro che trovare l'invarianza nel tempo con un metodo analogo a quello di Morgan ripreso da Engels: se la famiglia ottocentesca degli Irochesi era strutturata secondo legami di parentela a prima vista incomprensibili, può darsi che questi legami fossero il ricordo di una struttura estinta che invece li spiega. Se la società cosiddetta asiatica è stata fino all'ultimo strutturata in modo da non essere riconducibile allo schema delle società proprietarie di classe, può darsi che essa fosse il ricordo di una struttura estinta, preistorica, non più comunista ma non ancora inquadrabile nella forma che già conosceva proprietà e classi. Nonostante l'evoluzione differenziata, i rapporti sociali dei modi di produzione cosiddetti asiatici riproducono forme antichissime, che si ricollegano a quelle delle transizioni dalle società comunistiche a quelle proprietarie e classiste ricordate nel numero scorso della rivista.
Non vogliamo qui insistere sulla critica a un Wittfogel. Egli non era interessato a questo tipo di ragionamento. Tuttavia, benché la sua opera monumentale non ci serva per trarre conclusioni sulla vera natura delle società che egli definisce "idrauliche", "asiatiche" o "burocratico-manageriali", l'enorme quantità di materiale per così dire catalogato è utilizzabile per eventuali ricerche. Da parte nostra non possiamo far altro che ripetere ciò che i critici hanno già scritto pur con molteplici e a volte opposte motivazioni: il "modo di produzione asiatico" non è solo asiatico ma è comune a popoli come i Maya, gli Aztechi o gli Egizi, che in Asia non sono; non tutte le società "asiatiche" sono agro-manageriali, ad esempio non lo sono gli imperi turchi pre-ottomani, i Mongoli, gli Arabi beduini; non tutte sono imperi idraulici e non tutte sono a struttura gerarchica piramidale, ad esempio i Mongoli, i Persiani, i Turchi. Ovviamente i critici spesso sorvolano sul fatto che Wittfogel è perfettamente consapevole di queste contraddizioni, tant'è che tenta di superarle chiamando in causa i caratteri generali anche in mancanza di quelli specifici (cioè una società può avere caratteri "idraulici" pur non caratterizzandosi specificamente per una regolazione centrale delle acque). Ciò è legittimo, per quanto in altre situazioni gli storici e gli archeologi abbiano escogitato termini più sfumati, come nel caso di tombe etrusche di stile definito non "orientale" ma "orientalizzante".
Marx mette in guardia contro chi traspone categorie attuali nelle società che attuali non sono. Il concetto di "dispotismo orientale" non è moderno, ma è europeo occidentale, e lo si usa per società che non sono né europee né occidentali. Lo abbiamo ereditato dai Greci, che avevano degli schiavi e consideravano dispotico un impero come quello dei nemici persiani, dove secondo l'etica greca nessuno era libero e perciò tutti erano schiavi. Gli Egizi consideravano asiatici tutti i popoli che stavano a Oriente, così i Greci, dai quali la leggenda asiatica passa ai romani e, attraverso i secoli passa alla cultura nostra, che affronta l'asiatismo come fenomeno culturale, tecnico, sociologico e non come modo di produzione materiale con caratteri particolari rispetto ad altri modi di produzione. Questo aspetto eurocentrico è ben visibile in Wittfogel. Egli assume la leggenda e la concezione storiografica che in epoca capitalistica si sono mescolate, col risultato di nascondere, da una parte, la natura delle grandi transizioni delle quali il modo di produzione cosiddetto asiatico è un prodotto, e di esaltare dall'altra il succedersi di varie "civiltà" e "culture", analizzate da un punto di vista marcatamente ideologico. Il quinto capitolo de Il dispotismo orientale è significativamente intitolato: "Terrore totale, sottomissione totale, isolamento totale". Curiosa la dimenticanza di ogni riferimento al "dispotismo occidentale" borghese, democratico o fascista che sia.
A parte l'ideologia, constatiamo per il momento che la forma cosiddetta asiatica è l'estensione di una società precedente ancora comunista, è una particolare forma sociale in cui alle origini struttura e sovrastruttura coincidono, non essendoci ancora separazione tra valore d’uso e valore di scambio, ed essendoci armonia tra produzione e riproduzione dell’uomo e della sua comunità. Se per Lenin la sovrastruttura capitalistica è ormai un involucro che non corrisponde più al suo contenuto, la forma asiatica delle origini è invece un involucro che corrisponde ancora al suo contenuto.
La società omeostatica-cibernetica di Needham
Prima di affrontare l'utilissima quanto rigorosamente esatta formulazione di Joseph Needham, studioso inglese di storia della scienza in Cina, ritorniamo per un momento allo schema di Marx:
comunismo originario -> società classiste -> comunismo sviluppato
Ovvero dalla preistoria alla storia, ovvero dal regno della necessità a quello della libertà. Dove si colloca il modo di produzione asiatico? Non nel comunismo originario, non nelle società classiste e tantomeno nel comunismo sviluppato. Marx ci dice che esso è tra il comunismo originario e la società antica, quindi ci dà una collocazione precisa. Ma nello schemino da noi sopra tratteggiato tra il comunismo originario e la società antica, la prima delle società di classe, non c'è che una freccetta che indica un passaggio, una transizione. Certo, la freccetta l'abbiamo messa noi. Se pure ci basiamo sulla stessa notazione di Marx a proposito dell'accumulazione del Capitale (D -> M -> D'), lo schema senza altra spiegazione è sicuramente arbitrario. Ma d'altra parte abbiamo già citato la formula binaria comune a Marx e alla nostra corrente: comunismo sì, comunismo no, 0/1, dove il terzo non è dato. Ma che razza di transizione può mai essere una forma sociale che dura 3.000 anni come quella egizia? O come quella cinese che dura di più ancora? È evidente che è necessaria una spiegazione "forte".
Una prima spiegazione la dà lo stesso Marx, quando definisce le società "asiatiche" self-soustaining, in grado di auto-sostenersi. Si tratta di società nelle quali il surplus prodotto rientra nel consumo interno e serve sia per riprodurre il sistema, sia per mantenere strati sociali di amministrazione e controllo. La formula brutale, ripresa da Engels, è: società di rapina, verso l'esterno con le razzie, verso l'interno con le imposte. È un giudizio morale, poco armonico rispetto al lavoro scientifico abituale ai due rivoluzionari, ma rende l'idea. Oggi sappiamo che la razzia ha avuto funzioni addirittura redistributive e che è meglio non chiamare "burocrazia" l'amministrazione delle società self-soustaining, per quanto complessa; mentre l'ammasso redistributivo, finché esiste in quanto tale, non è da confondere con un ministero delle finanze. Il concetto di auto-sostentamento è fondamentale per introdurre a un discorso sistemico sulla natura delle società "asiatiche". Il termine stesso dà l'idea di un sistema che possiede meccanismi autoregolatori in grado di assorbire fluttuazioni e controllare eccessi e carenze. Insomma, un sistema che possiede dei sensori in grado di stabilizzarlo.
Tutte le società antiche sembrano essere passate attraverso una fase del genere, e le moderne sopravvivenze dello "stato selvaggio" mostrano un residuo di stabilità dovuto a un feedback con l'ambiente naturale. Ma anche la modernissima società capitalistica ha bisogno di autocontrollo, pur non riuscendo ad ottenerlo data la sua congenita, anarchica dissipazione. Tolte l'anarchia e la dissipazione, rimarrà la grande capacità organizzativa scientificamente impostata dalla grande industria. Nella Critica al programma di Gotha, Marx delinea una società di transizione al comunismo sviluppato che è, appunto, self-soustaining, cioè stabilizzata dalla conoscenza e dal controllo che ha di sé stessa riguardo all'utilizzo delle risorse e del surplus accantonato per rinnovare le scorte. Qui ci occupiamo di una dinamica che va dalla preistoria agli imperi, alla società di transizione verso il comunismo; e la ricerca di un'invarianza per definire un insieme chiamato "modo di produzione asiatico", ma che necessiterebbe di un altro nome, si fa problematica. Riassumendo, ecco la situazione in cui ci troviamo: un concetto che fu espresso per la prima volta dagli illuministi di metà '700, quello di "dispotismo asiatico" (visto allora come regime benevolo), diventa, con gli economisti a cavallo dell'800, modo di produzione particolare dell'Oriente; e così viene ripreso da Marx ed Engels. Tuttavia, nonostante il concetto stesso fosse da essi accantonato a favore di una ricerca basata su dati reali (cfr. Quaderni antropologici su Morgan e Maine), i marxisti continuano ad adottarlo o a negarlo, alcuni contravvenendo alle leggi d'invarianza, altri negando una forma sociale che pure è esistita.
Noi vogliamo rompere con la vecchia questione avvalendoci dell'osservazione cristallina non di uno storico, o di un antropologo, di un sociologo o di un marxista, ma di uno scienziato buon conoscitore di storia della scienza cinese. Mentre Wittfogel considera la burocrazia come elemento centrale del "crudele" dispotismo orientale, Needham (che fu specialista in embriologia e morfogenesi), parte proprio dalla burocrazia per demolire questo errore ideologico. Egli afferma infatti che è insensato attribuire all'amministrazione quel ruolo malefico, anzi, nei millenni passati essa ha svolto un ruolo positivo in quanto straordinario strumento di organizzazione sociale. Oggi è sconcertante sentir parlare della burocrazia in termini positivi, ma occorre riandare alla funzione delle antichissime amministrazioni che con la loro attività, prima ancora che ci fosse la scrittura, assunsero una funzione regolatrice su società anche complesse, contribuendo alla "invenzione" della parola memorizzata per via non biologica (cfr. l'ultimo numero della rivista). I sistemi amministrativi delle società più antiche erano straordinariamente efficienti, e dovevano esserlo perché da essi dipendeva la conservazione e la distribuzione del prodotto sociale, quindi la riproduzione dell'intera società. Tali sistemi erano comunque lo strumento portante che la società utilizzava per conoscere sé stessa attraverso la contabilità, per conoscere cioè quel che veniva prodotto e distribuito in base alla registrazione delle forze produttive e dei mezzi di produzione. Sulla scorta dei dati raccolti, l'amministrazione era in grado di emettere informazione verso i centri esecutivi, i quali avevano così uno strumento per consolidare la situazione esistente quando la riproduzione sociale funzionava, o di modificarla quando essa presentava problemi.
Insomma, la burocrazia dei sistemi più antichi riceveva degli input ed emetteva degli output in base ai quali i regolatori del sistema intervenivano per stabilizzare il sistema stesso. Needham, buon conoscitore di altre società antiche, specie quella egizia, oltre che di quella cinese, rifiuta per esse il concetto di stagnazione economico-sociale riferito al loro funzionamento, e invita a considerarne invece le notevoli capacità omeostatiche ("cibernetiche, se volete") dovute a criteri amministrativi oggettivamente più efficienti e meno "dispotici" di quelli europei dall'antichità a oggi. Il sistema omeostatico-cibernetico cinese (come qualsiasi altro sistema analogo) era basato su uno strato aristocratico composto da numerosi letterati e amministratori nient'affatto passivi di fronte al potere centrale, capaci di non rispettare gli ordini dell'imperatore, il cui potere era assoluto unicamente in teoria. Nella realtà tutta la vita sociale era regolata in base alla storia, alle convenzioni e alle interpretazioni dell'una e delle altre che di epoca in epoca erano date dai letterati e dagli amministratori stessi. Solo un'economia di crescita può essere giudicata "stagnante" quando non si sviluppa in modo esponenziale: applicare l'attributo a una società senza economia, almeno come la si intende in Occidente, non ha alcun senso.
Ricordiamo che cibernetica è un termine inventato da Ampère intorno al 1830, ha radice greca che rimanda al timoniere di una nave e vuol dire "scienza del governo". Qualunque sistema, semplice o complesso, che abbia un sensore per ricavare misure sull'ambiente, e in base a queste regoli il proprio assetto, è un sistema cibernetico. Gli organismi viventi sono i sistemi cibernetici più complessi. Subito dopo vengono le società esistite finora, meno complesse (nel senso di organiche) dei singoli organismi che le compongono. La società comunista futura, sviluppando al massimo il suo cervello sociale, sarà un organismo cibernetico più complesso dei singoli organismi che la comporranno.
Needham si dichiara certo che la superiorità iniziale della scienza e della tecnologia cinesi, durata quasi tre millenni (dal 1200 circa a.C. al 1600 d.C.) ha un legame stretto con la forma sociale omeostatica. Il tipo di società che abbiamo sommariamente descritto si era data un meccanismo amministrativo di natura completamente diversa rispetto a ciò che hanno sperimentato le civiltà successive. Per raggiungere l'equilibrio (e non la crescita), è necessaria una struttura di comando di tipo "consapevole", progettuale. Per questo i responsabili del governo erano letterati e non militari, per di più con cariche non ereditarie, revocabili in qualsiasi momento. Una volta realizzate le opere utili alla società, l'autorità centrale aveva il compito di sovrintendere a un funzionamento "automatico" delle comunità di villaggio e dei rapporti fra di esse e con il centro. Il sistema era considerato ben funzionante quando il governo imperiale non doveva intervenire che il minimo indispensabile. Ciò è anche il portato di millenni di Tao, "la dottrina non insegnata", che Bertrand Russell riferisce di aver sentito formulare in Cina con queste parole: "Produzione senza possesso, azione senza autoaffermazione, sviluppo senza dominio". L'assenza di interferenza (wu wei) è il concetto portante dell'amministrazione cinese antica. Il miglior magistrato era quello che meno s'interponeva negli affari della società, il miglior medico era quello con meno lavoro e la principale preoccupazione dei vari clan era di sbrigare localmente le proprie faccende senza interpellare le gerarchie superiori. Il Governatore Ideale sedeva "con lo sguardo rivolto a Sud" ed esercitava la sua virtù in tutte le altre direzioni senza dover muovere un dito affinché "i diecimila esseri fossero ben governati". Il concetto di progresso non era contemplato, anche se la società cinese non era certo priva di evoluzione tecnica e ideologica.
Secondo Needham l'equilibrio omeostatico della Cina antica era il risultato di un ordinamento sociale più razionale di quello europeo. Per converso, l'irrazionalità dell'ordinamento europeo, l'instabilità intrinseca del sistema, portava al bisogno di innovamento e quindi all'esplosione scientifica del XVII secolo. Sostiene l'autore, utilizzando una bella immagine, che di lì in poi la concezione galileiana del mondo avrebbe avuto il sopravvento su quella leonardesca, alla quale la Cina sarebbe rimasta legata (vedremo in seguito le implicazioni della biforcazione Leonardo-Galileo). Sul perché la Cina non seguì la strada dell'Europa Needham sembra dare una risposta semplicissima, da uovo di Colombo: non ne aveva bisogno. E questa è probabilmente proprio la chiave per capire le transizioni e le società che ne sono l'espressione: la società in cui stiamo vivendo è catastroficamente instabile e ha un assoluto bisogno di armonizzazione. La quale però è impossibile in un sistema a crescita esponenziale che ha anche bisogno di vari plus (pluslavoro, plusprodotto, plusvalore, sovrappopolazione, ecc.).
L'antico Egitto, esempio di omeostasi della forma comunista primaria. Genesi di una struttura "cibernetica" statuale
Quando abbiamo letto per la prima volta la definizione di Needham contro l'utilizzazione del concetto di "stagnazione" per spiegare la stabilità millenaria della società cinese, abbiamo avuto un sussulto. Nella concezione organica di partito sostenuta dalla nostra corrente, l'esempio che si fa di solito è quello dell'organismo biologico:
"La sostituzione dell'aggettivo organico a quello democratico non è motivata solo dalla maggiore esattezza di una immagine di tipo biologico rispetto alla sbiadita immagine di natura aritmetica, ma anche dalla esigenza solida e di lotta politica di liberarsi dalla nozione di democrazia" (Appunti per le tesi sulla questione dell'organizazione, 1964).
Se si aggiunge il potente concetto di "doppia direzione" (Tesi di Milano, 1966) all'interno della struttura biologica, cioè fatta di organi, cellule, neuroni, ecc., otteniamo quella che abbiamo con sicurezza definito concezione bio-cibernetica del partito. Questa definizione ha disgustato solo stupidi politicanti che non hanno capito un accidenti del divenire della forma partito nel corso della rivoluzione verso il comunismo, cioè verso la società veramente umana. Il vederla utilizzata da parte di uno scienziato per spiegare una società antica ci ha ovviamente subito ricordato la teoria delle obbligate "capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo" e della genesi dei transfughi di classe, esposta dalla nostra corrente (Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica, Fiorite primavere del Capitale) ma già presente in Marx (Manifesto). Needham si dice simpatizzante marxista, cosa che, per l'epoca in cui scrive, è politicamente poco rassicurante. Se gli concediamo invece una simpatia per la lettura dei testi originali di Marx la faccenda cambia parecchio e il collegamento si fa veramente interessante. Egli infatti cita i Grundrisse e commenta:
"Una delle grandi questioni che si pongono a questo riguardo è se Marx ed Engels considerassero [il modo di produzione asiatico] qualitativamente diverso da quelli dei vari tipi di società tradizionalmente definiti del resto del mondo, o solo quantitativamente diverso. Non è ancora chiaro se essi lo concepissero essenzialmente come una situazione 'transitoria' (anche se in alcuni casi capace di stabilizzarsi per un lungo periodo di tempo) o se essi concepissero il 'burocratismo' come un quarto, fondamentale tipo di società" (Scienza e società in Cina).
Una lettura appena un po' approfondita dei testi che stiamo citando in questo articolo chiarisce facilmente che Marx ed Engels consideravano qualitativa la differenza fra il modo di produzione asiatico e gli altri modi di produzione, e consideravano transitoria una condizione che in alcuni casi segnava il passaggio alla forma sociale successiva ma in molti casi si omeostatizzava ed era in grado di durare immutabile per millenni. Ovviamente anche i millenni sono transitori e, in una visione che abbracci l'intero divenire della specie umana, dovrebbe essere chiaro che ogni forma sociale ha dimostrato la propria necessità (determinazione materiale), per cui la coesistenza ad esempio della forma omeostatizzata cinese con quella in continua rivoluzione europea occidentale mostra la loro complementarietà, come se per millenni l'una non potesse esistere senza l'altra. Da questo punto di vista l'annosa discussione, sclerotizzata sulla mera forma posta in scaletta temporale con altre in quanto "modi di produzione" separati, è di una povertà teoretica disarmante, nella quale cadono sia Wittfogel che i sovietici da lui criticati. In realtà la vittoria totale della forma capitalistica sull'intero pianeta è la prova sperimentale che siamo già entrati nell'ultima transizione. Nascondere l'immenso passo dietro una cortina fumogena di pseudo dimostrazioni con radice ideologica è opera reazionaria. Questa straordinaria ricchezza dello sviluppo umano implica un intrecciarsi di forme originali diverse e persino contraddittorie: mentre la forma Inca si è fissata su un quasi completo comunismo primitivo prima di soccombere alla civiltà europea, l'Egitto e la Mesopotamia hanno anticipato Atene e Roma, rappresentando l'evoluzione verso la legge del valore pur senza svilupparla.
Il grado di complessità raggiunto da queste forme sociali le obbliga a dotarsi di un sistema organizzativo in grado di controllare l'energia sociale e l’accresciuta produzione. Ma non lo possono fare se non spingendo al massimo rendimento i caratteri della vecchia forma. Se noi affermiamo che ogni forma sociale nuova porta in sé elementi della vecchia e al tempo stesso contiene elementi che anticipano quella successiva, affermiamo anche la necessità materiale del prossimo trapasso. In tale contesto generale dimostriamo che ciò è realistico non solo perché "è sempre successo", osservazione induttiva utile ma non scientifica, ma perché ciò è successo sulla base di una concatenazione necessaria, dato che ogni anello della catena entra nel precedente e nel successivo.
L'Egitto antico ci servirà come esempio di società omeostatica e cibernetica, essendo considerato comunemente una classica civiltà idraulica, quindi, con estensione wittfogeliana, asiatica, burocratico-manageriale, dispotica. La sua economia si basava in effetti sull'acqua del Nilo, che rendeva possibile un filo di verde nell'immensità di un deserto a precipitazioni zero. Un'occhiata su Google Maps dà l'idea precisa della situazione, e quella di oggi non è molto diversa da quella di cinquemila anni fa, a parte la diga di Assuan, una mostruosità che nessuna società organica avrebbe potuto immaginare. Per produrre l'8% dell'elettricità egiziana, essa trattiene l'intera piena del Nilo, per cui il limo fertile si deposita sul fondo del grande invaso senza raggiungere i campi. A causa della grande superficie del lago artificiale, al sole del deserto l'acqua evapora prima di passare dalle turbine, si satura di sali minerali e, adoperata in seguito per irrigare le colture, rovina il terreno, obbligando i contadini a trattarlo con emendanti chimici. Wittfogel inserisce l'Egitto nelle società idrauliche propriamente dette, nelle quali massimi sono il dispotismo, il controllo della produzione, le opere pubbliche e il prelievo in natura come reddito dello Stato. L'Egitto in realtà non fu una società idraulica nel senso della teoria omonima. Non vi furono opere di sistematica canalizzazione e di regolazione delle acque paragonabili a quelle della Cina, della Mesopotamia, dell'India, di Ceylon o della Cambogia. Anche se gli Egizi erano capaci di costruire grandiosi canali (ad esempio quello che alimenta il lago di Al Fayyum), la loro agricoltura fu irrigua in modo naturale, perché l'acqua non dovette essere portata da lontano, era lì, nel grande fiume, e a volte era persino troppa.
La lenta ondata di piena arrivava nell'Alto Egitto a giugno, bagnava in successione tutti i distretti amministrativi spostandosi verso il Delta, raggiungeva il suo massimo a settembre e rientrava completamente a novembre. La regolarità del fenomeno, collegata alle osservazioni astronomiche, provava agli egizi l'armonia universale di Maat. La piena ottimale era di otto metri con il rilascio di una dozzina di centimetri di limo fertile. Questo era prodotto dalla metabolizzazione delle particelle minerali e organiche in sospensione nell'acqua sotto il sole africano dopo 6.700 chilometri di viaggio. Un'esperienza millenaria permetteva di ricavare, dalla semplice misura di questi due parametri (con i nilometri), un'esatta previsione sui raccolti, la quale, a sua volta, serviva a definire le condizioni di prelievo, ammasso e distribuzione. Gli Egizi, quindi, sgombravano le terre agricole durante la piena, si dedicavano a lavori di varia utilità pubblica (ad esempio la piena favoriva il trasporto su zatteroni della pietra, dalle cave ai cantieri) e poi ritornavano ai campi, sui quali nelle annate migliori potevano ottenere fino a tre raccolti nonostante utilizzassero strumenti e tecniche neolitiche. Quando la terra ritornava asciutta e l'acqua troppo bassa, l'irrigazione era ottenuta con pozzi o con elevatori d'acqua a contrappeso (shaduf ).
Tutta la civiltà egizia antica gravitava intorno a questo semplice meccanismo, tanto da rappresentare, con una vivissima immediatezza, quello schema astratto che serve nei procedimenti scientifici quando l'osservatore si trova davanti a una realtà complessa: un vero paradigma. Ora, essa, come tante altre, aveva come retroterra una società comunista di cacciatori-raccoglitori, un passaggio agricolo originario ancora comunista, con poca differenziazione sociale, e infine una struttura economico-sociale di transizione, ancora con marcati caratteri comunistici, probabilmente in contatto con la Mesopotamia del IV millennio a.C. (sono state rilevate e classificate delle analogie nella produzione materiale). In altri termini, il passaggio dal paleolitico al neolitico è seguito da uno scatto storico peculiare, dalle comunità di villaggio federate alle prime realizazioni urbane dell'area. A differenza che in altre situazioni sociali simili, da questa struttura di transizione nasce di colpo, in modo non ancora ben compreso, la civiltà egizia quasi così come la conosciamo, con la sua produzione basata sulle piene del Nilo, la sua estetica, la sua scrittura, la sua struttura sociale. E quel che appare più strano è che essa si omeostatizza subito, si fissa con i suoi caratteri specifici che permangono anche dopo la conquista romana. Una storia che copre ininterrottamente quasi 3.500 anni con poche variazioni, e comunque non sostanziali, per ciò che riguarda il lavoro che stiamo facendo.
Abbiamo detto che la preistoria egizia è come quella di tante altre civiltà dove è dominante la forma primaria, cioè quella comunista d'origine. Come in tante altre civiltà, avviene una transizione, in cui la nuova forma sociale si afferma per mezzo di alcuni caratteri di quella antica. Ad esempio, la nuova società egizia si impadronisce della struttura agraria redistributiva preistorica (sono già presenti cretule amministrative e abbozzi di scrittura) e la inserisce in un nuovo contesto di divisione sociale del lavoro: nel IV millennio a.C. un faraone (Narmer o Menes o Re Scorpione) viene rappresentato in una celeberrima tavoletta mentre sconfigge nemici, abbatte mura di fortezze e riceve dal dio Horus seimila prigionieri, il tutto descritto non solo in modo figurativo ma con scrittura geroglifica già perfettamente leggibile. Questo per dire che, come spesso è testimoniato dall'archeologia, si fa strada una società nuova, che ha dei sovrani, delle città con le proprie strutture difensive, eserciti con numerosissimi soldati, quindi gerarchie militari e politiche, insomma una forma sociale già pronta per maturare verso il successivo passaggio alla proprietà privata, alle classi e allo Stato.
Tuttavia questo passaggio non avviene. La società egizia sarebbe addirittura molto meglio strutturata di altre per passare alla forma secondaria antica classica, proprietaria, schiavistica, che scambia con denaro e si costituisce come Stato. Invece essa si blocca allo stadio di transizione. Non è più comunista ma non diventa proprietaria e classista. Persino la famiglia, già patriarcale monogamica, rispecchia ancora la condizione matriarcale preistorica, con un rispetto per la donna che non ha riscontro nelle altre società antiche. A causa dell'isolamento dovuto ai deserti circostanti, la società egizia, pur intrattenendo scambi "commerciali" con paesi anche lontani, non entra in contatto con forze esterne in grado di sconvolgerne l'assetto e non produce classi o comunque strati sociali in grado di rappresentare il cambiamento. La regola storica secondo cui il gruppo umano che meglio rappresenta la forma sociale non è il fautore della rivoluzione vale anche per l'Egitto; in questo caso però non vi è altra forza esterna in grado di assumersi il compito, come fecero i Romani contro i Cartaginesi, i barbari contro i Romani, i Macedoni contro i Greci, ecc.). Delle prime due dinastie sappiamo poco, ma dalla terza in poi la documentazione è abbondantissima; e l'invarianza pressoché totale delle dieci dinastie dell'Antico Regno ci permette di tracciare uno schema sociale che corrisponde perfettamente al prototipo astratto del modo di produzione asiatico, o dispotismo orientale, o società idraulica che dir si voglia. La Cina come vedremo sarà l'altro esempio paradigmatico.
In Egitto non esisteva la proprietà giuridica e il semplice possesso era una concessione del faraone, cioè della comunità. Soprattutto apparteneva al faraone la terra ed essa veniva data in usufrutto o come premio per un servizio reso alla comunità. I contadini auto-costruivano la propria casa in mattoni di fango e paglia intonacati ed essa era un tutt'uno con la terra. Anche la casa urbana, costruita con la stessa tecnica, era posseduta dai cittadini a titolo di usufrutto. L'usufrutto veniva tramandato ai figli, e in caso di estrema necessità poteva essere alienato in cambio di altri beni; ma la "vendita" era sempre considerata una sciagura da evitare. La produzione alimentare era programmata, registrata, in parte raccolta all'ammasso e ridistribuita tramite il tempio. La maggior parte della produzione non alimentare riguardava oggetti di uso domestico e strumenti di lavoro, il resto era di carattere pubblico o rituale (ad esempio l'artigianato di pregio era destinato al faraone, ai templi e alle tombe). Durante le piene del Nilo la maggior parte degli egizi, compresi gli appartenenti agli strati sociali superiori, dedicavano le rispettive competenze a lavori di carattere pubblico. Alcuni lavori sociali di grande respiro (fondazione di città, scavo di necropoli, spedizioni alla ricerca di minerali e metalli) erano eseguiti da squadre numerose e specializzate di operai pagati in natura. Non esistevano i classici poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Non esisteva il denaro: gli scambi avvenivano in forma di dono reciproco fra sovrani o di baratto fra semplici valori d'uso, e solo dopo la metà del II millennio a.C. compare il riferimento a una massa virtuale (che cioè non veniva usata materialmente nelle transazioni) d'argento o di rame. Non esisteva lo Stato, a meno di non chiamare così, indebitamente, l'organismo centrale di produzione e distribuzione incarnato dal faraone e dal tempio-magazzino.
La comunità di villaggio comunista in Egitto va in crisi molto precocemente, e già durante la IV dinastia (quella delle grandi piramidi, 2600 a.C.) è sostituita da un sistema centralizzato che s'impernia su di un preciso "catasto" gestito dal tempio, sistema in cui la terra non è più della comunità bensì della società intera, quest'ultima strutturata in modo del tutto "artificiale", cioè progettato. Sulla terra non lavorano più famiglie contadine che si relazionano tramite la comunità di villaggio ma squadre di "dipendenti" del centro organizzatore. L'intero paese diventa un'organizzazione unitaria in cui le comunità locali non sono più autosufficienti ma vanno a far parte di un complesso sistema redistributivo.
La macchina cibernetica egizia inseriva il suo sensore (nilometro) nell'ambiente (terra coperta dall'acqua del Nilo); l'informazione raccolta era passata a un attuatore (tempio) che predisponeva i propri magazzini per ricevere e distribuire di conseguenza le derrate mediante un'accurata gestione delle scorte (Bibbia, leggenda di Giuseppe, circa 1600 a.C.); i visir e i funzionari locali erano il sensore secondario di controllo: come nella società cinese, tutto andava bene quando non avevano niente da fare, cioè quando l'autoregolazione del sistema funzionava a dovere. Il sovrano era il depositario del programma di vita, il garante della catena input-output. Marxisticamente (Ideologia tedesca), non erano le idee del sovrano a dominare dispoticamente sulla società per renderla omeostatica, ma era la società con energia potenziale omeostatica a darsi dispoticamente uno strumento come il sovrano per poter ottenere un'energia cinetica. Una dittatura delle condizioni materiali sulla società, nella quale l'attuale concetto di dispotismo non esisteva, perché tutti, compreso il faraone, erano dipendenti da Maat, cioè dalla catena vitale che legava la società e la natura alla cosmologia primigenia passata nel mito. La proprietà, le classi, lo Stato sono categorie che appartengono a un altro tipo di società, quelle che sono riuscite a dissolvere questa catena vitale, dissolvendo con essa anche il rapporto fra l'uomo e la terra, fra l'uomo e tutti i suoi strumenti di produzione.
È arduo cercare di riassumere in pochi paragrafi la complessa forma sociale egizia, ma questi cenni sui suoi fondamenti possono bastare per proseguire il discorso. I caratteri della società egizia sono gli stessi che con molta evidenza Marx descrive nella sua ricerca sulla dissoluzione del rapporto fra il produttore e il suo mezzo di produzione, e "suo" in questi casi antichissimi vuol dire disponibilità famigliare sulla base della proprietà comune. Infatti nella tipica forma asiatica o dispotica orientale assunta da Marx come paradigma della transizione, cioè della dissoluzione della forma primaria comunista, la proprietà è di tutti attraverso il sovrano, il quale a sua volta è la rappresentanza della divinità:
"Se l'unità è il proprietario e il presupposto effettivi della proprietà comune, allora può presentarsi come qualcosa di particolare che sovrasta la molteplicità delle comunità particolari effettive, nelle quali allora il singolo è in fact privo di proprietà. La proprietà, cioè il rapporto con le condizioni naturali del lavoro e della produzione in quanto corpo oggettivo del singolo, si presenta a quest'ultimo mediata dalla concessione dell'unità complessiva, realizzata nel despota come padre delle molte comunità. Il plusprodotto appartiene così, di per sé, a questa unità suprema. Perciò nell’ambito del dispotismo orientale e nell'assenza di proprietà che giuridicamente sembra caratterizzarlo, esiste in realtà questa proprietà tribale o comunitaria, prodotta per lo più mediante una combinazione di manifattura e agricoltura all’interno della piccola comunità. La quale in tal modo diviene assolutamente self-sustaining e contiene in sé tutte le condizioni della riproduzione e della produzione eccedente. Una parte del suo pluslavoro — sotto forma di tributi e di lavori collettivi a glorificazione dell’unità — appartiene alla comunità superiore, che esiste come persona, cioè come despota sovrano; una parte appartiene al sistema tribale idealizzato, ossia alla divinità (Marx, Grundrisse, "Forme che precedono…").
È ovvio che se la proprietà è di tutti, anche se lo è tramite il sovrano e il dio, è come se non fosse di nessuno. Le società "asiatiche" altamente organizzate come l'Egitto antico, la Cina, il Messico, sono a uno stadio superiore rispetto a quello tribale sintetizzato da Marx, e proprio per questo è interessante notare come permangano in esse, nonostante tutto, invarianze comunistiche notevoli. Tramontato per sempre il comunismo originario, ci troviamo comunque di fronte a forme sociali particolari, che conservano la produzione e la distribuzione comuni in assenza di proprietà privata, ma che hanno sviluppato una notevole capacità di piano in grado di mobilitare in modo centralizzato un'enorme energia collettiva. E ciò è testimoniato chiaramente in Egitto non tanto dalle grandi opere monumentali, quanto soprattutto da una società dell'abbondanza, che poteva offrire ai propri membri quello che oggi si chiamerebbe un alto livello medio di vita e ai propri operai salariati una casa in proporzione migliore di quelle attuali, una dieta alimentare migliore in assoluto di quella dell'operaio odierno e una tomba in una necropoli (questione allora importantissima).
Schemi di transizione come macchine per conoscere
Scrive Needham a proposito della Cina, che una società siffatta è più razionale di quelle che non giungono ad un piano centrale e non attivano degli strumenti moltiplicatori di energia. Come abbiamo già ricordato, naturalmente in Egitto giocano a favore l'esistenza del Nilo (Erodoto disse che l'Egitto era un dono del grande fiume), l'isolamento dovuto al deserto che tiene alla larga i nemici esterni, il clima che, in simbiosi con il fiume, permette fino a tre raccolti all'anno. Sta di fatto che il "successo" di un simile tipo di società, connesso alle condizioni materiali in cui essa si sviluppa, spiega di per sé le ragioni per cui si blocca il "progresso": non ce n'è bisogno. Tutto quello che c'è già viene portato alla perfezione permessa dalla tecnologia esistente in modo da fornire alla società tutta la dotazione di cui necessita. Needham lo osserva a proposito della Cina, ma possiamo generalizzare: tutto ciò che è necessario alle società stabilizzate è la macchina leonardesca, geniale, efficace. Essa non è in grado di aiutare la società a fare il salto verso il sistema galileiano, dove l'osservazione della prassi si rinforza con le basi della teoria scientifica, ma è sufficiente alla produzione e riproduzione sociale. Il primo imperatore di tutta la Cina, Qin Shi Huangdi, nel III secolo a.C. faceva costruire per proprio diletto automi meccanici, il cui funzionamento non era diverso da quello delle macchine costruite secondo la scienza cinese applicata alla quotidiana produzione-riproduzione.
La società si stabilizza (omeostatizza) perfezionando anche gli strumenti (cibernetici) per la propria continuità, tanto che le due sole rivolte di cui si abbia notizia nell'Egitto antico scoppiano per ristabilire l'ordine e la stabilità messi in pericolo, non per rivoluzionare il sistema. Il salto alla scienza di tipo galileiano è tentato per la prima volta nel mondo ellenistico, ma questo risultato si perde ancor prima che l'Europa entri nel Medioevo, per "rinascere" alla fine del XVI secolo (Russo, La rivoluzione dimenticata). Il salto non poteva avvenire in società di quel tipo, cioè impostate su meccanismi di feedback negativo (sensori di regolazione come il termostato), bensì solo in quelle che per ragioni materiali diventavano instabili, cioè impostate su meccanismi di feedback positivo (sensori di amplificazione come quelli che fanno crescere in modo esponenziale la popolazione o la produzione di valore). Non a caso le società omeostatiche sono stabili anche dal punto di vista demografico, mentre le società che innescano la crescita economica esponenziale incominciano ad avere anche una demografia a sviluppo esponenziale. La Cina oscilla intorno ai 60 milioni di abitanti per 2.000 anni a partire dal III secolo a.C., grosso modo la stessa popolazione che aveva l'impero romano al suo apice; dopo la caduta di Roma la popolazione dell'ex impero cade a 20 milioni, la sua curva sale impercettibilmente in Europa per mille anni, incomincia la sua ascesa esponenziale intorno all'XI secolo per impennarsi infine nel XVII secolo a una scala incomparabile rispetto ai secoli precedenti. Tutto ciò in significativa coincidenza con la nascita del mondo borghese moderno che supera la tecnologia leonardesca per adottare la scienza galileiana. Alla soglia del XIX secolo, per effetto della generalizzazione della produzione e degli scambi, anche la popolazione della Cina esplode, raggiungendo i 200 milioni, tanto che Marx la ritiene già matura per la rivoluzione borghese.
Needham si dichiara in disaccordo con Wittfogel quasi su tutto, ma gli riconosce il merito di aver perlomeno cercato di individuare una ragione materiale per il verificarsi dell'asiatizzazione, cioè della stabilizzazione millenaria. Nel caso specifico, aggiungiamo noi, Wittfogel si è ostinato con la regolazione idraulica, ma, essendovi società asiatizzate senza acqua, qualunque ragione materiale è legittima purché spieghi l'avvento di un sistema stabilizzato e dei suoi strumenti cibernetici più o meno affinati. Chiamarlo "modo di produzione asiatico" a questo punto è ininfluente, l'importante è sistemare questa forma sociale di transizione solo là dove è consentito, cioè tra la forma primaria comunista e quella secondaria antico-classica, proprio là dove la incastra Marx, sia nelle Forme che precedono ecc. quando affronta il problema della dissoluzione-transizione, sia in Per la critica dell'economia politica, dove affronta l'ultimo stadio della preistoria umana, quello capitalistico. Solo questa collocazione spiega l'accanimento di Marx sia nella ricerca delle più significative differenze tra i modi di produzione, sia nel disvelamento di queste differenze attraverso la ricerca sulla dissoluzione dei rapporti comunistici come base per quelli capitalistici.
In quest'ottica si afferra nella sua pienezza la ragione per cui Marx nelle Forme insiste sui rapporti antichi e sulla loro dissoluzione per passare ai rapporti capitalistici trattando quelli intermedi, schiavistici e feudali, solo di passaggio. La cosiddetta forma asiatica diventa quindi la chiave per comprendere la Grande Transizione, quella che abbiamo indicato come comunismo primitivo -> società di classe -> comunismo sviluppato ovvero, in un'altra formulazione nota: n -> n+1. La forma asiatica non è comunista, non è classista proprietaria e a rigore non è neppure un ibrido fra le due, è piuttosto utilizzata da Marx come in matematica si usano i simboli delle operazioni: servono a sommare, sottrarre, moltiplicare e dividere ma non fanno parte dei numeri. Dal punto di vista della proprietà collettiva la forma asiatica è comunistica; dal punto di vista della stratificazione sociale è già classista e statalizzata. In ultima analisi, assume un significato specifico a seconda del contesto in cui è evocata. Marx infatti la adotta come "macchina per conoscere", sia nelle Forme che ad esempio, 24 anni dopo, nella corrispondenza con Vera Zasulich, più volte elaborata e mai spedita, a parte una breve sintesi (cfr. bibliografia).
Wittfogel naturalmente si pone la domanda sul perché alcune società si asiatizzino e altre no, compilando il catalogo minuzioso delle relative tipologie; nonostante le apparenze, egli compie un'operazione filosofica sulle cause prime giungendo ad elencare insiemi logici ideali. Marx indaga sul come alcune società conservano il ricordo dell'assenza di proprietà, di classi e di Stato, e scopre la dinamica della dissoluzione del rapporto fra uomo, terra e mezzi di produzione adducendo a verifica sperimentale tutte le società che realmente sono state interpreti di questa dissoluzione/transizione; egli compie un'operazione scientifica ed elenca gli insiemi storico-materialistici delle società che si sono bloccate sulla transizione, alcune scomparendo senza aver conosciuto ulteriore evoluzione, altre durando millenni, altre ancora degenerando in forme tardo-imperiali.
Proviamo immaginare una ucronia del tipo: quale forma sociale sarebbe scaturita dall'unione dell'ellenismo macedone e dell'asiatismo persiano se Alessandro non fosse morto così giovane (cioè se fosse sopravvissuto un centro unitario in grado di amministrare l'immenso impero)? L'esercizio non è banale: significa attribuire alla società ipotizzata o un regolatore a feedback negativo (asiatico) o uno a feedback positivo (ellenistico), dato che non è possibile applicarli entrambi. La risposta in fondo è semplice e praticamente obbligata: più un sistema sociale è grande e complesso, più avrebbe bisogno di essere self-sustaining, cioè di basarsi su di un funzionamento automatico sensibile all'informazione che dalla periferia va al centro e viceversa. I diadochi non riuscirono a ellenizzare i resti dell'impero, furono invece asiatizzati, come lo fu già Alessandro man mano che procedeva verso Oriente. L'impero egizio e quello mesopotamico ingoiarono i greci Tolomeo e Seleuco, sopravvivendo uguali a sé stessi per diversi secoli. L'asiatizzazione non dipende dalla grandezza del sistema osservato, ma i grandi sistemi imperiali si asiatizzano sempre.
Invarianza alle diversissime scale
Ma allora anche il grande sistema imperialistico globalizzato in salsa americana è destinato ad asiatizzarsi? E la prossima fase di transizione al comunismo sviluppato, non sarà forse omeostatizzata anch'essa, dato che funzionerà secondo un progetto sociale, cioè un piano centralizzato di produzione e distribuzione? Per dare una risposta dobbiamo prima affrontare la sorprendente invarianza di forme alle più diverse scale.
Noi non ci prefiggiamo di dimostrare che il cosiddetto modo di produzione asiatico esiste, contro coloro che stabilirono la sua non-esistenza; né ci prefiggiamo di criticare coloro che come Wittfogel lo vedono ovunque si possano scorgere caratteri analoghi a quelli delle civiltà idrauliche. Sul piano della ricerca a largo raggio non è da buttar via lo schema secondo cui le civiltà idrauliche propriamente dette produrrebbero la forma dispotica orientale, mentre altre civiltà, che idrauliche non sono, assumerebbero gli stessi caratteri per altra via, o clonando gli originali (come i Mongoli che riproducono la forma cinese asiatizzando la Russia) o instaurando in proprio forme sociali analoghe (come i Maya, i Minoici, i Micenei, gli Ellenici, i Romani, gli Arabi, ecc.). L'opera di Wittfogel, come quella di Needham e di altri, è una miniera di dati. Ma per noi non c'è dubbio che il criterio di classe, quello della dissoluzione degli antichi rapporti comunistici e del trapasso alle società proprietarie e classiste rimane il punto di riferimento fondamentale. Per trovare prove sui caratteri invarianti del modo di produzione cosiddetto asiatico e per mostrare che questi caratteri non si trovano tanto nell'idraulica, nel dispotismo o nella burocrazia manageriale, quanto nella struttura materiale della produzione-distribuzione centralizzata, prenderemo in esame, dopo l'esempio da manuale rappresentato dall'Egitto antico, due condizioni agli antipodi, la più minuta e la più vasta che conosciamo, ovvero una realtà locale del neolitico mediterraneo, che scompare, e una analoga dell'immensa Cina, che si preserva preludendo con la sua evoluzione alla grande omeostatizzazione d'Oriente. Può sembrare una piccola provocazione, ma invitiamo il lettore a confrontare con noi in situazioni estreme due metodi per la ricerca delle leggi d'invarianza a proposito di un modo di produzione. Del resto nessuno si sorprenderebbe oggi nel trovare un'invarianza capitalistica fra il piccolo Lussemburgo e gli Stati Uniti.
Incominciamo col collocare da una parte Wittfogel, i negatori delle sue teorie e tutti gli antropo-storiografi catalogatori di fatti più che di relazioni; da tutt'altra parte Carlo Marx e la lettura che la Sinistra Comunista fece dei suoi Grundrisse, capitolo sulle Forme che precedono la produzione capitalistica. La realtà locale cui abbiamo accennato è una di quelle del neolitico insulare mediterraneo, che ha notevoli invarianti nonostante la distanza e l'isolamento dei vari insediamenti. Si trova in Corsica, ed è rappresentata da modesti abitati megalitici situati in genere sulla sommità di uno sperone roccioso. La scegliamo sia perché è sufficientemente tipica sia perché abbiamo avuto l'occasione di discuterne con un archeologo che ha partecipato agli scavi. È tipica non solo perché in Corsica sono stati trovati un centinaio di siti riferibili alla stessa "cultura", ma perché rappresenta uno dei rami del più vasto movimento di popolazioni che nel neolitico colonizzarono le isole del Mediterraneo e che probabilmente gettarono le basi anche della civiltà etrusca (perciò oggi invece di comunità locale sarebbe più esatto il neologismo glocale, globale/locale). Questa comunità presenta una forma sociale analoga a quella di tutti gli insediamenti neolitici, almeno riguardo ai caratteri fondamentali che ci interessano per il presente lavoro. Dai megalitici villaggi-tempio di Malta ai castellieri sparsi ovunque, alla civiltà nuragica, a quella delle isole britanniche, agli esempi mediorientali e vallindi che abbiamo riportato nel numero scorso, è riscontrabile in modo più o meno evidente quello che abbiamo chiamato "organismo centrale di produzione e distribuzione", che sarà il prototipo per le società più evolute e vaste in grado di trovare ad un più alto livello il loro equilibrio omeostatico.
Uno di questi insediamenti è il sito di Filitosa, sufficientemente leggibile da richiamare i turisti: esso fu abitato con continuità dal neolitico del V millennio a.C. all'età del ferro. I suoi primi abitanti furono cacciatori-raccoglitori. Avevano certamente qualche nozione di agricoltura e avevano già ricavato un luogo vivibile e protetto adattando le rocce esistenti con un minimo di strutture scavate o costruite. Usavano strumenti di selce e di ossidiana, conoscevano la ceramica e barattavano qualche loro prodotto con altre comunità (sono stati trovati utensili di ossidiana sarda e conchiglie marine). Intorno al IV-III millennio a.C. gli abitanti di Filitosa rimaneggiarono il sito, fortificarono la collina con un muro di grossi massi, costruirono un villaggio di capanne, tre edifici probabilmente rituali e un magazzino comune o più magazzini, se così s'interpretano stretti ambienti a "diverticolo" (corridoi a gomito terminanti in una cella) ricavati nelle massicciate. In questo stadio la loro produzione era già prettamente agricola ed era praticato l'allevamento di animali addomesticati.
All'inizio del II millennio a.C. furono innalzati dei menhir, dapprima pietre appena sbozzate, poi antropomorfe con i tratti ben distinguibili e le armi in vista, alte anche tre metri, alcune d'aspetto volutamente fallico. Verso il 1500 a.C. un'invasione o, secondo versioni recenti, una rivolta interna, portò alla distruzione del sito e all'abbattimento dei menhir, faccia in giù, segno dell'avvento di un culto meno legato alla natura, più astratto, conforme a una nuova divisione del lavoro. Il sito venne subito ricostruito con nuove modalità utilizzando materiale di reimpiego, compresi alcuni dei menhir, spezzati e inseriti nelle nuove mura. I tre edifici di culto vennero rialzati a forma di torre, alcuni ipotizzano a scopi unicamente cultuali e non militari, altri a scopi cultuali e militari insieme, legati alla conservazione e difesa delle derrate. Oggi i menhir superstiti sono stati eretti sul posto e quelli di reimpiego, estratti dalle massicciate megalitiche, sono stati collocati in posizioni forzatamente arbitrarie. Per quanto le rovine siano ormai scarse e per di più sistemate appositamente per la visita turistica, la loro suggestione è notevole e vi si respira un'aria di comunità antica.
Per confronto si veda la planimetria del sito di Cucuruzzu (abitato a partire dal II millennio a.C.), sempre in Corsica, dove a nostro avviso si notano meglio i caratteri di tempio-magazzino fortificato (il villaggio neolitico non compare in figura): la massicciata che si vede in alto a sinistra è attraversata da cinque feritoie di ventilazione che collegavano l'esterno con un ambiente (granaio?) a ridosso della massicciata stessa nel quale sono stati trovati resti di travi bruciate. Entro la massicciata in basso a sinistra sono ricavati tre stretti corridoi a diverticolo. In quella a destra, di forma vagamente quadrilatera è ricavato un corridoio con due nicchie che sbuca in due celle poste anch'esse a diverticolo. Le frecce indicano i due ingressi. Intorno, sotto le cavità naturali di alcuni massi entro la cinta, sono stati scavati ambienti che presentano tracce di utilizzo come magazzini o depositi. Insomma, granai ventilati per i cereali e cantine fresche per le derrate più deperibili.
Queste comunità si formano con pieni caratteri comunisti originari e sviluppano una divisione tecnica del lavoro che comporta un'autorità centrale, degli addetti al culto e/o dei responsabili della produzione-distribuzione. Il ciclo è pienamente vitale, ogni membro della comunità è in rapporto diretto con la terra e con i propri mezzi di produzione. Il ricordato evento militare sconvolge la situazione precedente e si manifesta una primitiva divisione sociale del lavoro. I tre edifici monumentali a torre sono di difficile interpretazione benché a nostro avviso gli archeologi che vi vedono aree di culto legato all'ammasso delle derrate protetto militarmente si avvicinino di più a quella che doveva essere la loro reale funzione (che alcuni attribuiscono anche ai villaggi nuragici). Con la difesa militare del sistema di produzione-distribuzione, e la virtualizzazione di entrambi in una forma di culto, compaiono gruppi che rappresentano l'autorità, ed è notevole che, almeno a Filitosa, ciò non comporti un cambiamento della struttura funzionale del sito, anche se alcune parti vengono ingrandite. Probabilmente il culto antico lascia il posto a nuove forme di religiosità (menhir abbattuti), ma per quattromila anni l'organismo centrale di produzione-distribuzione rimane invariato. In Sardegna, dove la tipologia megalitica è analoga ma più sviluppata e gli insediamenti sono più vasti e numerosi, gli scavi archeologici permettono di ricavare molta più informazione:
"In nessun villaggio nuragico, a qualsiasi fase appartenga [dal 1200 al 900 a.C., n.d.r.], si osserva una differenziazione significativa nelle strutture o nelle suppellettili e la stessa identità totale si riscontra fra i manufatti che si rinvengono nei vari ambienti di nuraghe, torri, cortili, antemurali, ecc. e quelli raccolti nel villaggio. Le sole eccezioni riguardano maggiori o minori indicazioni sulla specializzazione di alcuni vani: opifici, laboratori, forni, vani per la panificazione" (Ichnussa, pag. 317).
Tutto ciò sembra confermare la persistenza di una forma sociale comunistica fin nella tarda età del bronzo, nonostante a quella data fosse già sviluppata una precisa divisione tecnica del lavoro e probabilmente anche una divisione sociale, pur limitata al ceto religioso-militare. Queste comunità furono distrutte, in Corsica e in Sardegna, quasi certamente dall'impatto con Fenici e Cartaginesi, a confermare l'affermazione di Marx, secondo cui le società omeostatiche possono essere spezzate solo dall'intervento di fattori distruttivi esterni, in questo caso un micidiale proto-mercantilismo (Roma stessa fu sconvolta da eventi esterni; lo annotano sia Marx che Wittfogel, questi per parlare di asiatizzazione dell'impero).
Le comunità di cui stiamo parlando erano piccolissime, contavano qualche centinaio di individui, con "opere pubbliche" e magazzini coerenti con la loro potenza riproduttiva, ed erano tutte basate su di un'economia che, pur mancando di opere idrauliche, aveva certamente sviluppato fin dai primordi il "dispotismo" di un'autorità centrale e una "burocrazia manageriale" stabile per millenni (magazzino vuol dire contabilità). Erano di tipo asiatico come verifichiamo ad esempio per l'immensa Cina imperiale, o la domanda non ha senso? La risposta è quasi ovvia, se si ha presente il paragone fatto poco fa tra il piccolo Lussemburgo e la grande America, paesi entrambi capitalistici. È interessante ad ogni modo ricordare che verso l'inizio del II millennio a.C. l'intera civiltà megalitica dell'Europa centro-settentrionale subisce anch'essa un trauma militare con l'arrivo di popoli pastori da Oriente. Scompaiono le grandi tombe di pietra a sepoltura indifferenziata dei clan e compaiono piccoli tumuli individuali. I defunti non sono più sepolti in posizione distesa, supina, ma in posizione arcaica, fetale. Tuttavia le due forme sociali si integrano, si forma un'economia agro-pastorale con ceramica senza tornio, nasce un nuovo linguaggio; e la forma sociale omeostatica, all'inizio soccombente sotto l'invasione dei dinamici guerrieri delle steppe, si prende la rivincita! Il processo dura circa mezzo millennio e infine si conclude, verso il 1400 a.C., con l'affermarsi del nuovo popolo dei Germani, i quali si organizzano per villaggi federati e
"sogliono scavare luoghi sotterranei e li ricoprono di uno spesso strato di letame, rifugio d'inverno e deposito di biade, poiché ambienti di tal fatta mitigano il rigore del freddo e ogni volta che interviene un'incursione del nemico i luoghi aperti vengono devastati, quelli scavati e nascosti non vengono scoperti" (Tacito).
Come si vede non è difficile constatare l'analogia con altre forme sociali di transizione. Il letame presuppone armenti, le biade (orzo, cereali) presuppongono agricoltura, i magazzini ammasso, che in questo caso è in luogo nascosto mentre altrove è in luogo fortificato. Se aggiungiamo le disgustate considerazioni di Tacito su quanto i Germani fossero completamente insensibili a tutto ciò che invece un romano trovava essenziale (oro, orpelli estetici, lavoro, gerarchie del potere, proprietà privata e persino schiavitù), mentre erano invece sensibili al dono e si dedicavano spensieratamente alla caccia, all'ozio e alla guerra, abbiamo un'idea di una società di transizione non ancora statualizzata (per poco, dato che le legioni di Roma con i loro accampamenti fissi costruiti come città portano scompiglio nella vecchia forma, tanto che Tacito ad un certo punto scrive: "Ma ormai abbiamo insegnato loro a ricevere anche denaro").
Un villaggio neolitico cinese di 9.000 anni fa
Spostiamoci in Cina, per prendere in esame un villaggio neolitico che mostra caratteri analoghi a quelli mediterranei; caratteri che però, alla successiva biforcazione storica, non scompaiono lasciando il posto a società antitetiche come avviene in Europa ma si stabilizzano. Non cambiano qualitativamente, estendono "soltanto" i loro caratteri a sistemi più vasti. Come nel caso dell'Egitto di Narmer (3200 a.C.), la Cina della leggendaria dinastia Xia (2200 a.C.) nacque di colpo dall'unificazione di vari territori. L'artefice sarebbe stato l'imperatore-ingegnere Yu che per primo incanalò le acque del "diluvio". Mille anni dopo, quando sotto la dinastia Zhou le acque regolamentate non erano più mito ma realtà, il sistema idrico venne chiamato jingtian che vuol dire campi-pozzo. Vi era un regno proto-feudale dell'attuale Shanxi chiamato Jing (pozzo) e l'ideogramma per pozzo è ?. . Questo segno compare nei testi divinatori Shang, la più antica scrittura accertata, con i nove quadratini chiusi da una cornice. Secondo alcuni sinologi che si riferiscono a Confucio e a Mencio, il segno richiama l'antica suddivisione delle terre, dove gli otto quadrati esterni rappresentano quelle assegnate dalla comunità alle famiglie o ai clan e il quadrato centrale la terra di uso collettivo (quindi una forma di rapporto precedente all'ager publicus romano trasmesso, attraverso i Germani, nella società medioevale). Il sistema jingtian a otto comunità agricole e uno spazio collettivo era l'unità economica ideale minima dell'antico sistema; le barrette indicherebbero "argini e fossati" che non solo servivano a regolamentare le acque e a segnare i confini fra le terre distribuite dall'autorità centrale ma erano anche testimonianza della necessità di quest'ultima: argini e fossati che attraversano terre di molti villaggi devono essere progettati e gestiti centralmente. E infatti le comunità locali antiche sapevano scavare pozzi, serbatoi, argini e fossati per sé, seguendo una disciplina collettiva, sia che fosse rappresentata da un singolo capo o da un organo collegiale, consiglio di anziani o altro. Ma quando esse si univano in una rete di relazioni, doveva sorgere un'autorità di livello superiore, con compiti più estesi rispetto a quella locale precedente, un centro motore di attività inter-comunitarie in grado di estendere anche lo scavo di pozzi, serbatoi e canali. È a questo punto che l'amministrazione incominciava a vivere di vita propria, e da organica diventava prima collegiale e poi centralizzata attraverso un sistema gerarchico di funzioni. Una volta stabilizzato a questo modo il sistema, la sovrastruttura ideologica trasferiva nel passato la forma sociale raggiunta, inventando il mito del "primo" imperatore, l'ingegnere idraulico che per "primo" aveva eretto argini e scavato fossati. Naturalmente succedeva pure il contrario: forti reminescenze del reale passato comunitario sopravvivevano in un mito che l'archeologia oggi si incarica spesso di svelare.
Non c'è ovviamente una continuità diretta fra il villaggio neolitico cinese che esamineremo e gli "imperi idraulici" successivi, ma mentre in Europa l'invarianza omeostatica scompare, in Cina e in altre società si mantiene, anche se mascherata da sovrastrutture macroscopiche simili appunto a burocrazie manageriali o a stati dispotici. Il villaggio in questione è quello di Jiahu, vicino alla moderna Wuyang, provincia di Henan, un sito scoperto nel 1962, esteso su di un'area di 5,5 ettari, abitato per 1.300 anni (dal 7000 al 5700 a.C., quando viene sommerso da una piena e abbandonato). I primi 400 anni mostrano una cultura unica, specifica, i restanti 800 ne svelano una differente, scoperta per la prima volta a Peiligang e riscontrata in molti altri siti. Come a Filitosa, non è chiaro se vi sia stata una sostituzione della popolazione o se la cultura di Peiligang sia un'evoluzione rapida di quella di Jiahu e si sia diffusa poi ad altri siti. Qui comunque fin dagli inizi non si viveva più di caccia e di raccolta, diventate sporadiche; si coltivava il miglio e il riso, si praticava l'allevamento e si sapevano conservare le derrate. Era già conosciuta una forma di proto-scrittura divinatoria, graffita su gusci di tartaruga e ossi, simile a quella attestata — e riconosciuta come scrittura — che si utilizzerà cinquemila anni dopo sotto la dinastia Shang (1750-1100 a.C.). Sono stati trovati gruppi di ciottoli rotondi, forse segni di conto, e numerosi flauti in osso di gru, alcuni ancora perfettamente funzionanti. Era conosciuta la birra, segno che l'alimentazione aveva superato lo stadio della mera sussistenza. Le due culture di Jiahu sono definite entrambe "egualitarie" dagli archeologi. La forma sociale sarebbe dimostrata dalle 45 case e 300 tombe non particolarmente diversificate. La vita era regolata da un organismo centrale di produzione e distribuzione, con stoccaggio delle derrate come mostrerebbero 370 fosse-cantina, simili a quelle di Mehrgarh analizzate nel numero scorso. Le fonti archeologiche parlano di artigianato sviluppato e addirittura di "pubblica amministrazione". In relazione a ciò, nel periodo della cultura Peiligang si manifesta una suddivisione della comunità in aree specializzate: abitazioni, laboratori artigiani, magazzini. Si precisa quindi una divisione tecnica del lavoro cui si accompagna anche la comparsa di una divisione sociale, testimoniata dalle emergenti differenze tra gli arredi di alcune tombe.
Senza l'evento catastrofico esterno (la ricordata alluvione) la società di Jiahu avrebbe probabilmente continuato il suo corso mantenendo la struttura produttivo-redistributiva ed evolvendo le proprie forme sovrastrutturali fino a una stabilizzazione omeostatica più complessa. In effetti ciò succede in tutta la Cina neolitica come nel resto del mondo. Forme sociali simili si sviluppano per più tempo lungo il neolitico fino a sfociare nell'epoca leggendaria dei primi imperatori Xia che, canalizzando la valle del Fiume Giallo, diedero il via a una simbiosi tra la comunità comunistica neolitica e il proto-Stato tipicamente cinese che incomincia a teorizzare l'eternità di sé stesso, senza ovviamente neutralizzare il potenziale di rivolta sociale contro le condizioni esistenti. All'epoca storicamente accertata della dinastia Shang (1750-1100 a.C.) il processo è concluso. Comunque la fase iniziale non è specificamente "cinese", ma è analoga a quella che troviamo un po' dovunque, nel grande Egitto come nel microcosmo di Filitosa, nelle comunità proto-urbane del Medio Oriente come in quelle degli indiani sedentari d'America. Poi "qualcosa" viene ad interrompere tale continuità, imponendo uno sviluppo differenziato: alcune società sviluppano il modello omeostatico fin quasi ai tempi nostri, altre scattano in una nuova forma. Tutte le società antiche pre-schiavistiche non proprietarie e non classiste sono a modo loro omeostatico-cibernetiche. Esse metabolizzano in vario modo il surplus, ma sempre sottoponendolo a un feedback negativo, cioè stabilizzante. È solo con la dissoluzione del rapporto uomo-mezzi di produzione che la natura del processo cambia radicalmente: il surplus non è più della comunità, ma diventa un prodotto del lavoro alienato di cui qualcuno si appropria per il consumo diretto e per lo scambio. La produzione rimane sociale ma l'appropriazione diventa privata. Con la trasformazione del feedback da negativo in positivo esplode in Europa lo storico potenziale dell'accumulazione originaria e si forma il capitale moderno.
Tutto il processo non è affatto lineare, e finché non si verifica questa dissoluzione, questa rottura violenta, la società trova la propria stabilità in un'autoregolazione quasi "naturale". In Cina il processo è più complicato che in Egitto. Nonostante le molte analogie, l'unificazione che riesce al primo faraone nel 3200 a.C. riuscirà al primo imperatore di tutta la Cina tremila anni dopo, per di più con un intermezzo che, se non è feudalesimo come alcuni sostengono, è almeno uno spezzettamento del potere centrale che lo ricorda (in Cina vi furono molte spinte alla feudalizzazione in varie epoche, ad esempio con la rivolta di An Lushan nel 755, ma il feudalesimo prese piede in Asia solo in Giappone). Nel frattempo la struttura millenaria omeostatica non cambia. Gli scavi archeologici, portando alla luce palazzi e tombe del primo periodo, stanno mostrando che gli imperatori Xia erano più reali e meno mitici di quanto si supponesse, e sarebbero gli antesignani di quel "dispotismo benevolo" magnificato da Confucio e di cui discutevano gli illuministi della Francia rivoluzionaria. Effettivamente, quando furono scoperti gli ossi divinatori Shang gli studiosi rimasero molto sorpresi nel verificare che su di essi erano incisi ben ventitré nomi di imperatori antichi sui trenta ricordati dalle leggende. Erano quindi personaggi storici, non mitici, e i loro ideogrammi trovati su oggetti della pratica quotidiana la dicono lunga sulla capacità omeostatica della Cina di conservare non solo la forma sociale ma anche una storia antica di millenni. Non a caso proprio Confucio si fece portatore della saggia conservazione omeostatica, prima di tutto inglobando i miti ancestrali nel suo corpo dottrinario.
Il dominio Xia e quello della successiva dinastia Shang si estendevano solo sulla parte nord-orientale della Cina d'oggi, nella valle del Fiume Giallo; i metodi e la struttura "imperiale" erano quelli del ritmo millenario del raccolto, dell'ammasso e del controllo tramite la rete dell'autorità centrale. Una dinastia era scalzata da un'altra per assicurare la conservazione, e ciò avveniva quando la sua incapacità equivaleva alla "perdita del mandato celeste", analogamente a quanto era già successo in Egitto. Gli scontri erano interni e solo più tardi i cinesi conobbero invasioni da parte di popoli esterni, ma la loro struttura era già talmente stabile da inglobare questi ultimi e cinesizzarli, come fecero gli Egizi con gli Hyksos e con i Greci (alcuni autori ipotizzano una antichissima correlazione fra Mesopotamia, Cina ed Egitto, cfr. Ammassari; ciò potrebbe spiegare la persistenza di relazioni con l'Impero Romano e poi con l'Occidente tramite i viaggiatori medioevali, e la penetrazione del mesopotamico manicheismo in Cina e forse Giappone). Gli stessi caratteri sociali li abbiamo visti alla piccolissima scala della comunità di villaggio fin dal neolitico: la struttura omeostatica rimane tale anche di fronte al cambiare delle popolazioni o delle culture dominanti. L'anfratto e la capanna lasciano il posto alla casa, al palazzo e al tempio, tuttavia non subentra un'altra forma sociale di natura sostanzialmente (topologicamente) diversa. La forma omeostatica resiste sia alle rivolte che alle innovazioni: in Cina la rivolta fu endemica (e lo è ancora) e la tecnologia cinese influenzò il mondo antico, ma persino l'introduzione del denaro monetato (XII secolo a.C.) non provocò cambiamenti sostanziali. La forma omeostatica sfrutta dunque la persistenza di elementi comunistici per rafforzarsi ed inglobarli con effetti auto-conservativi a lunga scadenza. Non ovunque il processo si mantiene: mentre le determinazioni del paleolitico e del neolitico generano forme sociali sorprendentemente unitarie in tutto il mondo, dall'età del bronzo in poi si producono notevoli differenze a seconda delle aree. In alcune si stabilisce una continuità, in altre si verifica una rottura e quindi un salto verso forme nuove.
Anche quando i poco evoluti Zhou, provenienti dai territori occidentali, "estinsero" la dinastia Shang relegandola in una piccola entità territoriale e precipitarono il paese in una fase di instabilità, dalla quale scaturì quella forma spezzettata che Needham chiama proto-feudalesimo cinese, non cambiò la forma sociale. Piccoli regni con sovrani locali che facevano da intermediari nella raccolta dei tributi per l'autorità centrale non rappresentavano una differenza sostanziale con la norma millenaria. È vero che nacque una gerarchia di dipendenze (che gli europei avevano tradotto all'occidentale: principe, duca, conte, barone), un modo di assegnazione delle terre e una mobilitazione dei contadini formalmente simili al feudalesimo europeo, ma la struttura sostanziale della società non cambiò, anzi, furono ampliate le opere idrauliche, fiorirono la letteratura, la tecnologia e l'urbanizzazione, che furono la premessa per un movimento storico unitario. Dai venticinque territori autonomi che facevano capo all'imperatore Zhou, nacquero per conquista o per fusione sette "Regni Combattenti" di cui uno, quello di Qin, prese il sopravvento, annesse gli altri sei e unificò per la prima volta tutta la Cina (221 a.C.). Questo avvenne sotto l'imperatore legista Qin Shi Huangdi (famoso oggi per lo stupefacente esercito di terracotta trovato nella sua tomba), il quale portò alle estreme conseguenze la forma omeostatico-cibernetica, tanto che essa divenne il modello per le successive dinastie fino all'ultima, scalzata dalla rivoluzione borghese nel 1911.
Fascismo, globalizzazione e asiatizzazione del mondo
Wittfogel aveva visto la ben comprensibile pagliuzza asiatica nell'occhio della Russia zarista-stalinista ma aveva perso un'occasione per studiare la trave nell'occhio dell'Occidente, cioè l'interessante fenomeno che prese il nome di fascismo dall'esperimento pilota realizzato in Italia. L'accumulazione sotto l'egida dello Stato, che fu caratteristica del capitalismo al suo sorgere, era diventata sua caratteristica anche nella sua decadenza. Nel giro di dieci anni la crisi che attanagliava il mondo capitalistico appena uscito da una tremenda guerra mondiale aveva prodotto una corsa globale al controllo del ciclo economico. Se il fascismo fu l'esperimento pilota, il nazismo fu il suo "perfezionamento" teutonico, il New Deal fu la versione democratica e il keynesismo fu la sanzione teoretica del fatto avvenuto. Di fronte all'asiatizzazione dell'intero Occidente liberale e democratico, lo stesso processo avvenuto in due paesi già "asiatici" per conto loro, come il Giappone e l'URSS, andava messo decisamente in secondo piano.
Al capitalismo piacerebbe un sacco riuscire a mettere davvero in pratica un qualche meccanismo di omeostatizzazione mediante sensibili detector ed efficaci attuatori, e rendere razionalmente cibernetico il sistema dell'anarchia produttiva e distributiva, della concorrenza e del caos organizzato. Giungere cioè ad un fascismo mondiale, con il controllo centralizzato dell'economia e della politica che ne consegue. Far funzionare l'ONU, trasformarla, da un mulino a chiacchiere al pari di tutte le "aule sorde e grigie", in un efficace centro operativo in grado anche di darsi i mezzi necessari, e cioè un potere legislativo al di sopra degli egoismi nazionali, un potere esecutivo con esercito proprio e un potere giudiziario per tanti processi di Norimberga quanti fossero i cattivi fuori norma. Il tutto coadiuvato naturalmente da una polizia planetaria all'altezza del compito. Ma tutto questo il capitalismo non lo può proprio realizzare: la sua rappresentanza politica e militare è ancora nelle borghesie nazionali, concorrenti e quindi nemiche. I capitali in giro per il mondo globalizzato hanno dei proprietari, i quali fanno parte delle rispettive borghesie. Il risultato è quello che abbiamo visto durante questa crisi: ognuno per sé e speriamo che passi. Non è certo una visione di grande respiro, da omeostasi millenaria. Per adesso si asiatizza chi può, cioè il tirannosauro americano, che si adegua velocemente a ciò che scrissero sia Marx che Engels in due documenti distinti quasi con le stesse parole:
"L'assenza della proprietà privata è in realtà la chiave per tutto l'Oriente. Qui risiede la storia politica e religiosa. Ma per quale motivo gli orientali non arrivano ad avere una proprietà fondiaria, neanche quella feudale? Io credo che la ragione risieda soprattutto nel clima, assieme con le condizioni del suolo, specialmente con le grandi zone desertiche, che si estendono dal Sahara, attraverso l'Arabia, la Persia, l'India e la Tartaria, fino ai più alti altipiani dell'Asia. L'irrigazione artificiale è qui la prima condizione dell'agricoltura, e questa è cosa o dei comuni o delle province o del governo centrale. In Oriente il governo ha avuto sempre soltanto tre ministeri: finanze (saccheggio dell'interno), guerra (saccheggio dell'interno e dell'esterno) e travaux publics, cura della riproduzione" (Engels a Marx, 6 giugno 1853; Marx, La dominazione britannica in India, 10 giugno 1853).
Dietro al termine fascismo sta appunto l'esigenza del "lavoro pubblico", in qualsiasi sua accezione, per garantire la riproduzione del Capitale. Si ha l'impressione che oggi ci si stia avvicinando con buona approssimazione ai tre ministeri mondiali, che avranno ovviamente sede nelle due capitali della globalizzazione, Washington e Pechino. Oggi ci pensa lo Stato americano, come tutti i suoi omologhi occidentali, ad eliminare la proprietà per la massa della popolazione: prelevando dalle sue tasche con il fisco quasi la metà della ricchezza prodotta e permettendo il divario crescente dei "redditi" al punto che la proprietà privata che conta è appannaggio del 3 o 4% della popolazione. Ed è la stessa percentuale che paga le campagne elettorali e quindi i governi. Lo Stato cinese del resto non è da meno, con un'accumulazione più rapida e concentrata nei distretti di punta, con una linea di comando più snella ed efficace, quindi con un impatto su operai e contadini più feroce di quello subìto dal proletariato americano (nessuno ha mai contato quanti cinesi sono morti nella costruzione delle leggendarie ferrovie del West). Forse era meno disumano il dispotismo asiatico di Qin Shi Huangdi: almeno non era, come il capitalismo odierno, un vampiro assatanato che sfrutta a morte elevando ipocritamente inni al benessere, alla pace e alla democrazia un giorno sì e l'altro pure, che esporta merce ideologica bombardando i restii.
Tavola di confronto fra le varie forme sociali
Ogni comparazione ha senso compiuto quando le differenze o le analogie sono chiare. Nel nostro caso non è affatto così, perciò occorre definire gli aspetti sfumati. Ma le possibilità di chiarezza si evolvono. Quando Schliemann scavò nei siti di Troia, Micene e Tirinto l'archeologia romantica non era ancora in grado di leggere gli strati. I micro-reperti, i più importanti per conoscere la vita di popolazioni antiche, venivano semplicemente buttati via con la risulta di scavo. Se la lettura di Omero aveva acceso la scintilla per i ritrovamenti, aveva però anche ipotecato pesantemente la comprensione di ciò che veniva alla luce. Le cittadelle fortificate, entro le cui mura non potevano che abitare poche centinaia di abitanti, erano ritenute delle specie di castelli feudali. Gli scavi di Cnosso condotti da Evans più tardi, mostrarono che le costruzioni "palatine" erano in realtà dei grandi complessi amministrativi, la cui planimetria era occupata in gran parte da magazzini. Si pensò a potenti personaggi la cui corte necessitava di abbondanti derrate, ma la grande cubatura dei magazzini era sproporzionata rispetto al numero esiguo degli abitanti del sito. La decifrazione delle tavolette d'argilla svelò che i magazzini erano parte di un sistema diffuso di stoccaggio e che vi era un'amministrazione unitaria per sovrintendere al movimento da un magazzino all'altro e alla produzione e distribuzione del contenuto. Le tavolette contabili si dimostrarono purtroppo auto-referenziali: siccome venivano scritte per un ciclo contabile di un anno e poi distrutte, informavano bene solo su che cos'era successo al momento dell'incendio che le aveva conservate cuocendole. Di conseguenza la concezione dell'intera società cretese fu influenzata dal solo periodo in cui essa scrisse in greco-miceneo.
Oggi è possibile un'analisi più precisa di tale scrittura e quindi capire il significato del gran movimento di prodotti e persone tra magazzini e centri abitati. Le tecniche di scavo e di analisi dell'archeologia attuale ci permettono di approfondire le conoscenze e di correggere i vecchi risultati. Con la ricognizione di superficie su tutto il territorio si raccolgono piccoli reperti fuori contesto ma in quantità tale da consentire la mappatura statistica del territorio stesso. Così alcuni archeologi hanno concluso, sulla base delle nuove informazioni, che la civiltà micenea ricalcasse il modello del modo di produzione asiatico, marcatamente redistributivo (cfr. Privitera, I granai del re). La classificazione ci va bene solo a patto di rilevare che la forma micenea è omeostatica e cibernetica ma non attraverso un sistema centralizzato. Essa non è statualizzata, quindi è più arcaica di quelle egizia e cinese, ricorda piuttosto il comunismo delle federazioni neolitiche di villaggi con centri di culto e di stoccaggio comuni.
La forma micenea si sovrappone dunque a quella minoica, più antica, ereditandone parzialmente i caratteri, messi in ombra dall'esuberante apparato edilizio miceneo e soprattutto dalla mancata decifrazione della scrittura. Questa esuberante attività costruttiva, che in un'isola non troppo grande comprende "palazzi", città e grandi case plurifamiliari apparentemente isolate, sembra sfuggire alla comprensione. Se però è vero che, come dice qualche archeologo, i "palazzi" non sono "regge" ma complessi templari con laboratori e magazzini, abbiamo un'invarianza con tutte le altre situazioni "asiatiche" analizzate nel corso del nostro studio, dai siti neolitici all'impero cinese, dall'Anatolia alla Valle dell'Indo, dall'Egitto al Messico. Il perno centrale è dunque il "palazzo", ovvero la comunità economica templare (nel caso cretese senza la fortificazione, sostituita dalla flotta militare che garantisce la supremazia dell'isola sul mare circostante), cui si affiancano delle riproduzioni a scala ridotta in funzione abitativa e delle città che includono a loro volta "palazzi": come se Creta ci avesse tramandato il catalogo delle invarianze e delle differenze proprio per quanto riguarda un periodo di transizione particolarmente significativo. La forma specifica è minoica. I micenei la assorbono, facendone le basi per la futura Grecia.
All'interno dell'insieme "modo di produzione asiatico" in quanto forma di transizione che si è stabilizzata, il sottoinsieme minoico-miceneo è più vicino al comunismo primitivo e quello cinese tardo-imperiale è più vicino alle società di classe. Se ciò dimostra la difficoltà di rappresentare insiemi netti, non ci impedisce tuttavia di tracciare a grandissime linee uno schema comparativo che offra sufficiente informazione.
Forma socialespecifica | Organismo centrale di produzione edistribuzione | Decisioni collegiali(1) | Grandi lavoriidraulici | Schiavi(2) | Proprietà privata(3) | Denaro monetato(4) | Classi(5) | Stato(6) |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Paleolitica | o | |||||||
Neolitico/agraria | o | o | ||||||
Mesopotamica | o | □ | o | □ | □ | |||
Egizia | o | o | ||||||
Cinese | o | □ | o | □ | □ | |||
Indiana | o | o | □ | □ | □ | |||
Persiana | o | □ | □ | □ | ||||
Minoica | o | o | ||||||
Maya | o | o | ||||||
Mongola | □ | o | ||||||
Arabo-urbana | o | o | □ | □ | o | □ | ||
Greca | □ | o | o | o | o | o | o | |
Romana | o | □ | o | o | o | o | o | o |
Feudale | □ | □ | □ | o | o | o | o | |
Capitalistica | o | □ | o | □ | o | o | o | o |
o Caratteri preminenti - □ Caratteri misti - (1) Consiglio di anziani (gherousìa), assemblea (boulé, ecclesia), ecc. - (2) Caratterizzanti il modo di produzione - (3) Libero commercio della terra - (4) Scambiato fisicamente con la merce - (5) Contrapposte in una specifica forma sociale - (6) Organo della classe dominante per garantire lo sfruttamento della classe dominata. Lo schema è assolutamente indicativo, ad esempio il denaro monetato comparve in Cina solo dopo l'impero Qin e sia Roma che Atene conobbero una fase "asiatica".
Realizzando questo schema sommario dei caratteri di un gruppo di società che rappresenti grosso modo la storia umana, vediamo che ne scaturisce una tabella dalla quale balza subito all'occhio quali di essi sono preminenti, quali secondari e quali assenti. Tutte le forme sociali umane, a parte forse quella paleolitica, hanno avuto bisogno di un organismo centrale di produzione e distribuzione. Persino i Mongoli, nomadi e dediti a scorrerie lungo le migliaia di chilometri delle steppe desertiche, hanno dovuto, con Gengis Khan e i suoi eredi, sottostare a questa regola e organizzare centralmente il movimento di merci e derrate che dall'Occidente raggiungeva la Cina e viceversa, dandosi ben tre capitali imperiali. La Grecia esplose con Alessandro, asiatizzandosi, poi fu inglobata nell'impero romano. Roma dovette darsi una struttura formidabile per il controllo del grano che giungeva fin dalle più lontane province. Senza quel grano non sarebbe stato possibile mantenere buona parte degli abitanti dell'Urbe e di molte altre città. Per garantire il proprio funzionamento, cioè la propria sopravvivenza, l'intero sistema romano si omeostatizza non appena supera in estensione la sua soglia critica. Un intervento esterno (la cosiddetta calata dei barbari) romperà l'equilibrio dell'impero; apparentemente è un regresso, ma la società ne risulta rivoluzionata (nuove tecnologie, estensione della villa in feudo, universalità della Chiesa che sostituisce quella dell'impero, agricoltura scientifica) anche se spezzettata. Gli organismi "nazionali" barbarici hanno il sopravvento fino a diventare imperi, e l'impero feudale di Federico II deve darsi un assetto ultracentralizzato, "asiatico" sia per struttura che per estetica delle forme, al fine di ottimizzare le proprie forze contro il Papato e i Comuni (siamo di fronte a una bella contraddizione anti-wittfogeliana: l'impero dalla forma antica e omeostatica viene continuamente perturbato dalla guerra contro i Comuni padani che sono moderni, dinamici ma irrimediabilmente "idraulici"; d'altra parte l'imperatore feudale si appoggia alla rete monacale cistercense, potenza economica universalistica oggettivamente anti-feudale). Anche le monarchie tardo-feudali d'Europa (Versailles, Vienna, Madrid, Caserta, Pietroburgo) si asiatizzano: con il colbertismo e le manifatture di stato, con i modelli omeostatici di economia agraria dei fisiocratici, che consentirono alla nostra corrente di azzardare un'analogia fra il già nominato imperatore Qin Shi Huangdi, che unificò la Cina, con la monarchia di Luigi XIV (cfr. Dottrina dei modi di produzione). Dell'asiatizzazione del capitalismo nazifascista keynesiano con relativo impianto di controllo centralizzato abbiamo già visto all'inizio del capitolo precedente.
Non c'è niente da fare, la maggior parte delle forme sociali umane finora esistite ha come carattere dominante, primario o secondario, l'organismo centrale di produzione e distribuzione. Tuttavia con il capitalismo esplode una contraddizione quale la storia umana non ha mai affrontato: esso entra in contraddizione con la "legge" appena delineata. Da una parte porta alle estreme conseguenze l'evoluzione del piano produttivo con la perfetta organizzazione di fabbrica, con il processo scientifico di sviluppo, ecc. Ma dall'altra è un modo di produzione unitario solo per quanto riguarda le sue leggi intrinseche, non certo per quanto riguarda i rapporti fra i suoi componenti: poiché i singoli capitalisti sono in assoluta concorrenza fra loro, raggruppati sotto bandiere nazionali e divisi da frontiere che vorrebbero rialzare quando sono minacciati e abbattere quando vogliono minacciare. Tutto ciò è coerente con la contraddizione fondamentale, che nessun'altra società ha conosciuto a un simile livello: l'esasperazione della produzione sociale e dell'appropriazione privata. Questo duplice carattere della società capitalistica impedisce non diciamo una sua omeostatizzazione mondiale ma anche un semplice equilibrio all'interno dei vari paesi.
Il metabolismo sociale della forma futura
La forma futura n+1 sarà comunista e chiuderà la serie di n forme che l'hanno preceduta. Come abbiamo visto, l'unità storica delle n forme è riconducibile alla formula di Marx "preistoria umana", ciò che segue sarà la vera storia. La transizione non è di là da venire, la stiamo vivendo.
L'invarianza che si riscontra confrontando i due passaggi fondamentali dell'umanità, 1) dalle società a comunismo primitivo alle società proprietarie e 2) dalla società capitalistica al comunismo superiore, dovrebbe essere ora ulteriormente inquadrabile nel processo evolutivo rivoluzionario globale che ha interessato la nostra specie. Con il confronto tra il sistema omeostatico di funzionamento organico antico e quello potenziale futuro vediamo più chiaramente quale sarà la proiezione nel domani del detto processo evolutivo rivoluzionario. Le peculiari caratteristiche miste, comuni a tutte le società omeostatico-cibernetiche, ci offrono strumenti per capire meglio quella imprescindibile fase di transizione che la rivoluzione scorsa, purtroppo abortita, ha definito "dittatura del proletariato". E che, in bilico tra la vecchia e la nuova forma, vero "potenziale anticipato", ci ha già fornito addirittura indicazioni operative, come dimostra la natura esecutiva del programma rivoluzionario immediato schematizzato dalla nostra corrente e da noi sviluppato come un manifesto politico (cfr. Home page del nostro sito internet). I rivoluzionari non inventano utopie, progettano sulla base di elementi reali. Questi elementi sono fin d'ora visibili come anticipazioni della nuova società, reale come non mai, anche se non ancora liberata dal vecchio involucro soffocante.
Essa si esprimerà al meglio con la definitiva rottura dei rapporti di classe capitalistici. A differenza di quanto successe negli antichi sistemi sociali cibernetici omeostatici, l'attuale modo di produzione troverà proprio nella spinta rivoluzionaria sopita da tempo, e nella potente polarizzazione che ne deriverà, la forza della transizione. Oggi, la società capitalista zombie parrebbe statica e omeostatizzata a causa delle ridotte reazioni sociali interne, ma in realtà essa non ha mai cessato di essere sottoposta alla costante rivoluzione degli strumenti e dei rapporti di produzione. Ciò determina una mostruosa dissipazione di forze ed energie, per cui non mancano mai focolai di lotta, per quanto al momento ancora troppo sparsi ed isolati, almeno in Occidente. A disturbare l'apparente omeostasi del sistema capitalistico quale massima espressione della appropriazione privata dei pochi sul lavoro sociale dei molti non saranno forze naturali incontrastabili come accaduto per Mehrgarh e Jiahu, sommerse da alluvioni, e nemmeno eserciti stranieri alla conquista di nuove terre e popolazioni da sfruttare, come è stato per le civiltà megalitiche o per la Cina. Forze classiste del tutto interne esploderanno, dal momento che il capitalismo ha avvolto interamente il pianeta facendo di sé stesso il proprio più potente nemico.
Il "modo di produzione" della futura forma sociale è già ravvisabile in quel contenuto che, come dice Lenin, disgrega il suo involucro. È visibile anche se non si manifesta ancora, proprio come succedeva all'embrionale forma statale racchiusa nelle società omeostatiche antiche. In realtà già ora si capisce bene che non sarà un "modo di produzione" in successione a quelli precedenti, ma un "metabolismo sociale" riguardante tutte le manifestazioni utili all'armonica riproduzione della nostra specie entro una biosfera non più assurdamente concepita come elemento dualistico, separato, da sfruttare come si sfrutta la forza lavoro. Si capisce, di conseguenza, che la prossima forma sociale sarà preceduta da uno scontro tanto più gigantesco e decisivo quanto più sarà ostinata la permanenza dell'attuale modo di produzione anti-umano. La dinamica generale di tale scontro non è da immaginare, è scritta nel programma rivoluzionario che questa stessa società ha espresso attraverso uomini che hanno colto l'essenza del processo storico materiale: strumento il proletariato, che si riconosce in quanto elemento distruttore attraverso il proprio organo politico, il partito come rappresentante della società in divenire. In Marx ed Engels il comunismo è descritto non tanto nel suo sbocco quanto e soprattutto nel suo percorso.
L'esperienza storica rivoluzionaria comunista ha subìto una temporanea sconfitta, e ciò ha consentito alla controrivoluzione di contaminarne profondamente il linguaggio. Termini come "comunismo" e "partito comunista" non significano più nulla, e non esiste il modo per sostituirli. Non parliamo di "dittatura del proletariato", che evoca spettri orripilanti in grado di stimolare l'omologazione piccolo-borghese di anarcoidi e democratici (ammesso e non concesso che vi sia differenza fra i due gruppi) sotto le bandiere della borghesia. Ben pochi su questo pianeta sono convinti che il comunismo non sia il tetro industrialismo di stato parafascista dell'ex URSS stalinista. E ancor meno sono quelli che vedono nei processi economici e sociali in corso delle potenti mine per far saltare questa società, e liberare la strada per un'altra che non avrà neanche una delle categorie di questa, a cominciare dalla proprietà e dallo Stato. Eppure il filo rosso che lega tutta la storia dal primo ominide al più recente abitante del pianeta, ci dimostra che la storia è storia di lotta di classe e scontro fra modi di produzione, che le vecchie forme si auto-conservano solo sviluppando strumenti che saranno utilizzati da quelle nuove per imporsi:
"Il proletariato si impadronisce del potere dello Stato e anzitutto trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. Ma cosi sopprime sé stesso in quanto proletariato, sopprime ogni differenza di classe e ogni antagonismo di classe e sopprime anche lo Stato in quanto tale. La società esistita sinora, che si muove sul piano degli antagonismi di classe, aveva necessità dello Stato per conservare le condizioni esterne della sua produzione e quindi specialmente per tenere con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione date dal modo vigente di produzione (schiavitù, servitù della gleba, semiservitù feudale, lavoro salariato). Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società é, ad un tempo stesso, l'ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. L'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo successivamente in ogni campo e poi viene meno da sé stesso. Al posto del governo sulle persone appare l'amministrazione e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene 'abolito', esso si estingue" (Lenin, Stato e rivoluzione).
La società nuova, così come tutte le società che si sono succedute finora, utilizzerà gli strumenti auto-conservativi che quella presente si è data (Stato), e li utilizzerà per distruggerla e per imporsi prima di estinguerli. Sarà un rovesciamento della prassi, un piano di specie, il verbo è transitivo! Avremo di nuovo una società omeostatico-cibernetica? Sicuramente, ma con una differenza sostanziale rispetto a tutte quelle precedenti: l'autoregolazione non sarà data da un feedback automatico input-output bensì da una polarizzazione del sistema (attraverso i sensori e gli attuatori) dovuta al progetto complessivo che permette di rovesciare proprio la prassi dei processi automatici, sia conservativi che distruttivi.
Letture consigliate
- Ammassari Antonio, L'identità cinese, Jaka Book – Chinese Literature Press 1991.
- Bailloud Gérard, Fouille d'un habitat néolithique et torréen à Serra-di-Ferro, Corse, Bulletin de la Société préhistorique française, 1969, tome 66.
- Chi Ch'ao-Ting, Le zone economiche chiave nella storia della Cina, Einaudi 1972.
- Childe Vere Gordon, La rivoluzione urbana, Rubbettino 2004.
- Childe Vere Gordon, Il progresso nel mondo antico, Einaudi 1963.
- Engels Friedrich, Antidühring, Opere complete vol. XXV, Editori Riuniti 1974.
- Engels Friedrich, L'origine della famiglia della proprietà e dello Stato, Editori Riuniti 1972.
- Filitosa, Sito ufficiale http://www.filitosa.fr/fr/visite.html.
- Fischer-Fabian Siegfried, I Germani, Garzanti 1985.
- Gernet Jacques, La Cina antica – Dalle origini all'impero, Il Saggiatore 1971.
- Godelier Maurice (a cura di), Marx, Engels, Lenin sulle società precapitalistiche, antologia, Feltrinelli 1970.
- Grosjean Roger, Filitosa, haut lieu de la Corse préhistorique, Centre de préhistoire corse, Coll. Promenades archéologiques, 1975.
- Grosjean Roger, Le complexe torréen fortifié de Cucuruzzu, Corse. Première campagne de fouilles, 1963. Bulletin de la Société préhistorique française. 1964, tome 61.
- Grosjean Roger, Le gisement torréen fortifié de Tappa, Corse. Bulletin de la Société préhistorique française. 1962, tome 59.
- Heichelheim Fritz, Storia economica del mondo antico, I – La preistoria, II – L'antico oriente, Laterza 1972.
- Jiahu, notizie e articoli si trovano su Internet digitando il nome del sito archeologico. Un punto di partenza è la voce di Wikipedia con i suoi link (italiano e inglese). Sul sito della rivista Nature (http://www.nature.com) si può, oltre che leggere un articolo sui flauti di Jiahu e notizie sul contesto archeologico in cui furono trovati, ascoltare anche il loro suono (digitare "Jiahu" nel motore di ricerca interno).
- Licata Ignazio, Introduzione alla cibernetica, autoorganizzazione, emergenza, apertura logica.
- Marx Karl, Grundrisse, Einaudi 1976.
- Marx Karl, Per la critica dell'economia politica, Prefazione del 1859 e Introduzione del 1857, Editori Riuniti 1969.
- Marx Karl, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti 1976.
- Marx Karl, Il Manifesto del partito comunista, Editori Riuniti 1974.
- Marx Karl, L'ideologia tedesca, Opere complete vol. V, Editori Riuniti 1972.
- Marx Karl, Quaderni antropologici, Appunti da Morgan e Maine, Unicopli 2009.
- Marx Karl, Carteggio con Vera Zasulich e bozze, in appendice a Il Capitale, Libro I, UTET 1974.
- Métraux Alfred, Gli Inca, Einaudi 1969.
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