Il rattoppo sincretista parte da Bari

Nichi Vendola ha iniziato la scalata ai piani alti. Tutti i mezzi sono buoni, a partire dal più collaudato, la demagogia. Che va bene per il popolo dei giovani, per quello degli industriali leghisti e degli operai di Melfi. A ognuno il linguaggio che si merita. Buon animale politico nel senso corrente, Nichi ha letto qualche classico, filosofeggia con moderazione, si tiene aggiornato sulle tendenze fra ecologismo e "società liquida", usa la langue de bois della politica luogocomunista ma aggiornata (e col sorriso in faccia, non come l'inquietante D'Alema). L'exploit di successo è stata però la reinvenzione di quello che una volta si sarebbe chiamato al massimo "laboratorio politico" e al quale si dà ora il nome più proletario di "fabbrica", anzi, al plurale, fabbriche, com'è plurale il popolo che lo ama. Commovente come un brianzolo del Sud, sa che nelle fabrichètte si va a lavurà, quindi chiama il popolo interclassista dei gruppuscoli, degli studenti e dei precari ad essere corresponsabile di accordi con le multinazionali e con i poteri locali per l'installazione di marchingegni eco-energetici, sloggiando i contadini cui sono offerti 70 centesimi al metro quadro per i loro terreni, dove non conviene più coltivare grano. Ecologia sopra tutto.

Le fabbriche del consenso alimentate a demagogia funzionano sempre. Sfruttando l'indissolubile intreccio sociale, che non è certo una prerogativa del Sud, e dato che ovviamente non c'è produzione, il modello non è quello dell'industria ma dell'azienda col suo mercato. Gli spazi urbani sono quelli pagati dalla Regione, dirigenti e quadri sono legati al Capo in quanto parte di una struttura che ha le sue radici nel governo e sottogoverno locale. Non è troppo strano che questo modello abbia attirato i disobba (o ex, chi riesce più a seguire i sommovimenti dei visceri individuali…), i quali sono scesi in Puglia assai incuriositi dall'esperimento, forse speranzosi di clonarlo nel Nord, dove partecipano già abbondantemente a intrecci consociativi. E chi se ne frega degli immigrati del CPT locale, per la cui conduzione Nichi era stato investito dalle male parole proprio dei disobba. L'importante è accaparrarsi, attraverso qualche riformetta locale e soprattutto bandi pubblici, un po' di consenso da parte dei giovani, per lo più precari disperati, in molti casi spinti a imboccare la strada della micro-imprenditoria, favorita da piani di finanziamento studiati a tavolino non certo per aumentare il PIL ma in funzione elettorale.

Mentre qualcuno straparla di un esperimento di valenza nazionale e addirittura europea, i ragazzi ultraprecari del centro storico e delle periferie non coinvolti dall'intreccio scherzano, minimizzando, sulle "fabbriche di fichi", con riferimento a quelle del mercato della frutta nel quartiere Libertà. Non si può prendere sul serio nulla della politica corrente quando in dieci anni se ne vanno dalla Puglia 121.000 lavoratori, la disoccupazione media è al 14%, quella giovanile al 32%, gli immigrati sono trattati come schiavi (altro che "lavoro nero"!) e la percentuale degli incidenti mortali sul lavoro in confronto agli occupati è il doppio che in Lombardia.

La famiglia, che al Sud più che al Nord è ancora una cellula primordiale di gestione della proprietà privata, un salvagente di estremo soccorso, è l'ultimo tenue diaframma che separa dalla catastrofe. Non è strano che il sincretismo vendoliano si accompagni all'allargamento dei vincoli interpersonali, che le "fabbriche" assomiglino a federazioni di famiglie da sottobosco politico più che a industrie, che la società regredisca a livello precapitalista fingendo di superare quello capitalista.

Rivista n. 28