Un libro che mancava

Sandro Saggioro, Né con Truman né con Stalin. Storia del Partito Comunista Internazionalista (1942-1952). Colibrì, 2010. 413 pagine, euro 22.

Il Partito Comunista Internazionalista si formò durante la Seconda guerra Mondiale ad opera soprattutto di ex militanti del Partito Comunista d'Italia ai quali si erano aggiunti lungo il percorso elementi vari, alcuni provenienti anche dall'antifascismo democratico e dalla guerra partigiana. Una storia della sua lunga parabola, conclusasi nel 1982 dopo alterne vicende, non esisteva ancora. Né con Truman né con Stalin ha qualche ombra che vedremo subito, ma ce lo prendiamo così com'è con tutta la sua importante documentazione. Lo collocheremo nel metaforico scaffale dal quale tutti peschiamo materiale per ottenere insiemi più completi.

Il libro giunge al 1952 e l'autore si ripromette di continuare l'esposizione fino al 1970 e oltre, ma non è certo per questo limite temporale provvisorio che sentiamo la mancanza di una storia esaustiva. Il fatto è che il cumulo di minuziosa documentazione relega in secondo piano e rende praticamente invisibile a un lettore che non sappia già che cosa cercare, il significato profondo della lotta interna alla Sinistra Comunista "italiana" evidenziata dal libro. Come mai questo travaglio politico non ha risparmiato neppure per un minuto le varie organizzazioni che vi si rifacevano? Come mai una corrente che era essa stessa il frutto di una battaglia ferocissima, prima per l'Internazionale Comunista intesa come partito unico mondiale, poi contro la sua degenerazione, non poté evitare problemi di fronte ai quali doveva pur essere ben temprata? Queste sono domande che un giovane lettore si pone certamente nel corso della lettura, ma la risposta non c'è.

La lotta interna, in apparenza insignificante, era in realtà ancora un riflesso di quella che era stata una lotta titanica per la coerenza rivoluzionaria del costituendo partito mondiale della rivoluzione. I grandi e piccoli scontri sui temi che furono e sono in discussione furono e sono il prodotto dello scontro fra la vecchia società che sta morendo e la nuova che sta emergendo. Se non si capisce questo, battaglie, scissioni e persino assassinii politici sono declassati a misera contesa politica fra correnti o fazioni di partiti che vanno e vengono.

Lo scontro fra chi intendeva anticipare la società nuova a costo di rimanere in ombra per decenni e chi cercava un risultato immediato o persino il successo fu violentissimo. Erano passati appena vent'anni dalla sconfitta del '26 e il Partito Comunista Internazionalista aveva velocemente ripristinato 13 federazioni e 72 sezioni. Le sue forze militanti effettive equivalevano grosso modo a quelle del nuovo partito togliattiano, ma il lavoro e il centralismo ispirato a criteri organici (o "biologici") mutuati dal futuro rappresentarono un fattore di drastica selezione. Alcuni vecchi compagni ne erano perfettamente consapevoli: "C'era troppa gente sbandata dalla guerra" ci dicevano. Da una parte, il partito togliattiano si immedesimò totalmente nel ciclo borghese della ricostruzione riuscendo a dichiarare, nel 1947, due milioni e mezzo di iscritti; dall'altra, all'interno dei gruppi internazionalisti, pesò più che mai il riflesso della controrivoluzione. Oggi sono praticamente scomparsi tutti i partiti e i gruppi di allora, ma lo scontro mortale fra passato e futuro è quello di sempre, non potrà più cambiare.

Rivista n. 29