L'urlo di Ahmed terrorizza anche l'Oriente
C'era da aspettarselo: le rivolte del Maghreb e del Medio Oriente hanno impressionato Pechino. Nel discorso di presentazione del bilancio statale, il primo ministro Wen Jiabao, pur evitando di nominarle, ha accennato alla necessità di risolvere i problemi provocati dalle continue rivolte (in Cina migliaia ogni anno) dovute allo sfruttamento bestiale, all'espropriazione illegale dei contadini e ai soprusi da parte delle gerarchie locali del partito-governo.
Due giorni prima i media avevano diffuso, forse non casualmente, i risultati di un sondaggio sulla soddisfazione dei cinesi rispetto alla vita quotidiana: solo il 6% di essi aveva risposto in modo affermativo. Sempre non casualmente, nello stesso periodo c'era stata una chiamata anonima via Internet per un flash-mob intitolato "rivoluzione dei gelsomini". Non è strano quindi che il governo abbia deciso di aumentare del 16% le spese per istruzione, sanità e sicurezza sociale e del 30% quelle per l'edilizia popolare. Tanto per essere sicuri, visto che la felicità è aleatoria ma la repressione per adesso funziona, il governo ha anche approvato un aumento del 13,8% della spesa per la polizia e del 12,7% per le forze armate.
La chiamata per il flash-mob potrebbe essere una trappola: in molte città tutti i luoghi indicati per i raduni ("per passeggiare") sono stati riempiti di poliziotti, specie in borghese. Poiché la chiamata è valida per tutte le domeniche, a tempo indeterminato, la scena si va ripetendo creando tensione. I giornalisti stranieri accorsi sono stati malmenati dalla polizia e da allora obbligati a chiedere un permesso quando devono avvicinare un cinese. Naturalmente si sono vendicati nei loro reportage, ricordando che in Cina quando la popolazione si convince che il potere centrale non rispetta più l'armonia fra il cielo e la terra, esplode una rivolta generale. E siccome il sondaggio sulla soddisfazione avviene nel momento in cui la corruzione, la violenza e la lotta interna di potere sono sempre più feroci, è stato facile evocare la rivolta di piazza Tienanmen, paragonarla a quella di piazza Tahrir, in Egitto, entrambe avvenute a causa di situazioni analoghe.
Quello che terrorizza però in Cina non è la richiesta di democrazia contro i tiranni: il proletariato è forte, combattivo, determinato e organizzato dalla disciplina spontanea di fabbrica. Mentre gli sbirri più o meno altolocati gridano contro "le persone con secondi fini che vogliono gettare il paese nel caos", non si fermano gli scioperi, e l'agenzia di stampa ufficiale Xinhua pubblica una stridente e inusuale critica che arriva da Singapore: Pechino non avrebbe capito la posta in gioco perché sta sprecando "risorse colossali per imporre la stabilità sociale" mentre costerebbe meno investire all'interno del paese per migliorare le condizioni di vita della gente. È probabilmente un segnale d'allerta diretto a qualcuno al momento indaffarato nella lotta politica ai vertici. Nessuno ascolterà l'appello riformista, la posta in gioco non si legge nei capitoli del bilancio di spesa.