Antiche civiltà senza coscienza?

Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza, Adelphi 1984.

L'evoluzionista Richard Dawkins scrisse di questo lavoro: "O è del tutto spazzatura, o è il lavoro di un vero genio, non c'è via di mezzo". E se fosse geniale spazzatura? Intendiamoci: con questo ossimoro non intendiamo mancare di rispetto a una ricerca tutto sommato affascinante. Ma non possiamo neanche far finta di niente di fronte a troppi "secondo me" non supportati da prove.

Il neuro-filosofo Daniel Dennett criticò Jaynes per questa mancanza di scientificità, ma ritenne che tutto sommato fosse più importante focalizzarsi sulla tesi centrale, cioè sul fatto che in un certo periodo dell'antichità l'uomo non possedesse una coscienza, comparsa solo più tardi. Dennett ricorre alla metafora del cervello come organo computazionale per aggirare il problema di una troppo rapida evoluzione dal prima al dopo-coscienza: il cervello-hardware può non evolversi così in fretta come si evolve il software in esso contenuto. Anche il neuro-psicologo Steven Pinker si chiede come può essere che solo noi umani abbiamo capacità di astrazione, e come sia possibile che si evolva questo qualcosa di intangibile in un cervello fatto di materia. Dennett e Pinker sono autori di due monumentali opere scientifiche, il primo sulla coscienza, il secondo sulla mente. Noi scegliamo di recensire il libro poco scientifico di Jaynes perché ci sembra che l'ipotesi del crollo di una mentalità e la nascita di un'altra dopo un'epoca di sconvolgimenti sociali corrisponda al cambiamento della sovrastruttura ideologica in seguito al rovesciamento di un modo di produzione. L'ipotesi evolutiva ci sembra inadatta e quella psichica meno ancora.

Difficile riassumere in poche righe 582 pagine densissime di riferimenti e di momenti letterari, ma ci proveremo. La tesi centrale è questa: intorno al XII-XI secolo a.C. un cataclisma sociale provoca vasti movimenti nelle popolazioni del Mediterraneo e del Medio Oriente. Il fatto è attestato dall'archeologia. Prima di questo cataclisma sociale l'uomo, perlomeno quello mediterraneo, avrebbe agito in modo "oggettivo", cioè si sarebbe rapportato alle cose e ai suoi simili in modo diretto, a-ideologico, come se non avesse posseduto una volontà propria. Nel volgere di pochi secoli avrebbe perso questa caratteristica e agito in modo "soggettivo", avrebbe cioè assunto capacità ideologica di mediazione fra sé stesso, gli altri e la natura.

La mente bicamerale è così chiamata in riferimento ai due emisferi del cervello, uno con capacità analitiche, quantitative, l'altro con capacità sensibili, qualitative. Questa mente evolve, o comunque cambia, lasciando traccia del cambiamento nelle espressioni letterarie prodotte direttamente in quell'epoca o che perlomeno ne conservano il ricordo, in Mesopotamia, Israele e Grecia. Una comparazione fra Iliade e Odissea, scritte secondo l'autore a distanza di secoli, è piuttosto convincente. Molto meno i riferimenti mesopotamici e biblici.

Il tutto è raccontato con linguaggio coinvolgente e l'effetto che se ne ricava è assolutamente ambiguo. Come osserva Dawkins, si rimane incerti tra il capolavoro scientifico e il romanzo pretenzioso. Sicuramente nel Crollo sono anticipate conclusioni cui le neuroscienze sarebbero arrivate 20 o 30 anni dopo (il libro è del 1976). Il materiale messo a disposizione del lettore è molto, ma, come s'è detto, la tesi centrale non convince. Una fase di passaggio fra modi di produzione diversi può fare a meno del cervello bicamerale e delle voci imperative attribuite agli dei: sono sufficienti le sconvolte condizioni di vita, la comparsa di nuove figure sociali come sovrani, oligarchi, tiranni e soprattutto proprietari privati con schiavi. L'effetto che fa il trovare tanta documentazione indirizzata a soluzioni tutto sommato per niente scientifiche e tanto ideologiche è un po' come la sofferenza che si prova quando si legge il volumone di Wittfogel sul dispotismo orientale. Con l'aggravante che qui si va a trafficare con la mente, la coscienza, il sé, categorie che finora nessuno è riuscito a definire e che tuttavia da millenni forniscono materiale per affabulazioni infinite. Non ci fa nessun effetto leggere in Jaynes la sua professione di fede antimarxista (chiaramente deducibile anche senza la sua ammissione); è invece piuttosto singolare che negli anni '70 del secolo scorso, in piena epoca di scientismo imperante, egli si scagliasse proprio contro lo scientismo, facendolo derivare da quello che chiama "materialismo medico", sotto il quale raduna Hegel e Marx, il behaviorismo e la psicanalisi, tutte le teorie insomma che pretendono di guarire l'umanità dal male oscuro che la pervade. Come di consueto, l'ennesimo rigetto del marxismo è dovuto non a conoscenza diretta della teoria originale ma all'immagine distorta che ne ha dato la controrivoluzione. Da questo punto di vista la definizione di teoria "medica" ci sembra persino interessante: è vero che all'epoca del tentativo rivoluzionario 1917-1926 la tattica rivoluzionaria era considerata come la medicina per una società malata, prescritta da un'Internazionale-medico!

Il Crollo ha avuto la sfortuna di essere presentato come un saggio scientifico. Probabilmente avrebbe avuto più successo se fosse stato concepito come un interrogativo provocatorio contro la scienza di quest'epoca mistificatrice. Su Internet, ad esempio, le ricerche di Jaynes hanno un seguito notevolissimo ma, come è successo al povero Tesla e ad altri, vengono a volte incanalate in ambienti esoterici. La scienza ufficiale, accademica, ha rigettato il tentativo di Jaynes con motivazioni che potremmo ritorcere contro di essa. Infatti è noto che per entrare nella casa della scienza non occorrono tanto buone credenziali quanto la capacità di mettersi d'accordo con chi vi abita. Il libro fu dunque criticato, sminuito, dimenticato come studio magari affascinante ma senza "requisiti" scientifici. In effetti Jaynes non poteva pretendere di entrare nella casa proclamando:

"La scienza, nonostante tutta la sua pompa di attualità, non è diversa da alcune fra le più disprezzate pseudo religioni epidemiche. […] Curiosamente, nessuno di questi movimenti contemporanei ci dice qualcosa su come dovremmo essere una volta che siano eliminate le carenze della nostra nutrizione o una volta che sia abolito lo Stato, o che la nostra libido sia stata investita nel modo giusto, o che sia stato messo ordine nel caos".

Per Jaynes, tutti i movimenti odierni presentano un carattere messianico e le loro teorie basate su di una innocenza perduta non sono altro che una persistenza distorta di mente bicamerale. Anche Marx, dice, si riferisce a "un'infanzia sociale dell'umanità" quando individua il comunismo originario. E conclude: tutti noi crediamo normalmente che la coscienza sia una giusta percezione dell'ambiente e delle relazioni, ma non è così. Bertrand Russel sbaglia quando lo afferma. L'enunciato: "Io vedo un tavolo" non significa percezione = conoscenza, significa solo percezione. Bisogna servirsi in qualche modo di quel tavolo, farlo entrare in una dinamica e descriverla con un linguaggio. Ecco, l'avevamo detto che il libro si muove su un piano ambiguo: coscienza = percezione + azione + linguaggio, è Marx. Consciousness is impossible to describe, except through metaphor and analogy, but behavior became more predictable once people could refer to each other's conscious minds as a collection of knowable parts.

Rivista n. 33