Biocarburanti addio (forse)

Da almeno sessant'anni sosteniamo che l'unico modo per "fare ecologia" è quello di armonizzare il lavoro dell'uomo con quello della natura nella biosfera terrestre, vale a dire mettere in equilibrio l'energia che arriva dal Sole con quella che utilizziamo, senza ricorrere ai depositi fossili di energia passata, accumulata in centinaia di milioni di anni. Su questa rivista abbiamo cercato di affrontare il problema in modo esteso, con un numero monografico (il 31). Nel frattempo il sistema economico attuale, trovandosi con l'acqua alla gola a causa della pazzesca dissipazione di energia, è costretto ad arrivare su questo terreno. Da una parte produce ideologia conservatrice per salvaguardare sé stesso (teorie della decrescita in ambito capitalistico), dall'altra produce soluzioni materiali che lasciano intravedere la possibilità reale di raggiungere il suddetto equilibrio termodinamico.

La tecnologia dei pannelli fotovoltaici a celle di silicio cristallino in commercio raggiunge ormai rendimenti del 24%, e nei laboratori dei maggiori paesi si stanno facendo esperimenti con tecnologie che sembrano più promettenti ancora. Un laboratorio svedese per esempio sta tentando la strada delle nanotecnologie, ottenendo un rendimento record, per quel processo, del 14%. Un laboratorio federale svizzero ha prodotto celle flessibili a film sottile con un rendimento che supera il 20%. Un laboratorio militare americano ha prodotto celle con strati sensibili a diverse lunghezze d'onda che dovrebbero raggiungere, a esperimenti ultimati, addirittura un rendimento del 50%. Nella società del valore queste cifre di per sé non dicono nulla, dato che vanno messe a confronto con il rendimento in profitto e non in efficienza energetica, ma il limite teorico del rendimento fotovoltaico è l'87%, per cui è una follia lasciare l'iniziativa a sparsi e isolati laboratori pubblici o privati e non indirizzare ogni sforzo sociale in quella direzione.

Ovviamente il capitale è cieco, e invece di puntare tutto sul miglioramento dell'efficienza sta sfruttando le tecnologie consolidate, con il risultato di colonizzare con pannelli fotovoltaici vasti terreni, anche agricoli là dove la legge di regolamentazione non esiste o è ambigua. Cosa che si potrebbe evitare senz'altro se non vi fosse di mezzo la proprietà, pensiamo soltanto alla superficie delle migliaia di tetti esistenti nei grandi agglomerati urbani. Comunque sia, la fisica si sta prendendo una rivincita sull'ideologia e sulle leggi del mercato: l'efficienza energetica incomincia a influenzare visibilmente i profitti e, fatti i conti in unità di misura standard e non in chiacchiere, la folle stagione dei biocarburanti, ex beniamini degli ecologisti d'accatto, sta per tramontare. Ormai è certo: l'insieme dei processi necessari alle piante per crescere e al ciclo produttivo per arrivare al carburante, riduce il rendimento sistemico all'1% circa dell'energia investita. In alcuni casi il rendimento è negativo e la produzione è giustificata solo dagli incentivi statali, quasi sempre legati alle pressioni delle varie lobby sui governi di tutto il mondo.

Ma la follia di questa società energivora non finisce qui. Mentre un motore elettrico ha un rendimento che può superare tranquillamente il 90%, quello a scoppio, dovendo trasformare il moto alternato in moto rotatorio e soprattutto dissipare una gran quantità di calore, non supera normalmente il 25%. Eppure l'intossicazione ideologica e chimica della (cosiddetta) civiltà dell'automobile continua a farci pensare che sia buona cosa mettere nei serbatoi miscele con distillati di mais, canna, bietola, palma, ecc., mentre ricerche minuziose hanno rivelato che sarebbe addirittura meno dissipativo usare tali distillati direttamente nelle turbine delle centrali elettriche e viaggiare con automobili a batteria (ammesso e non concesso che i maledetti scatolotti siano di qualche utilità).

Prescindiamo dallo spreco energetico, manteniamo per assurdo i folli dati attuali e postuliamo che sia possibile produrre in massa le celle fotovoltaiche realizzate sperimentalmente nel laboratorio americano. In Italia, anche solo coprendo la superficie dei tetti esistenti, con un rendimento del 50% si ricaverebbe tanta energia da soddisfare il suo fabbisogno attuale.

Rivista n. 33