Di nuovo Germania

Quando dietro al muro di Berlino gli eventi precipitarono, inattesi, e in frenetico susseguirsi presentarono su un piatto d'argento l'opportunità dell'unificazione tedesca, la Germania non si trovò impreparata: un governo tecnicamente abile decise quasi immediatamente la parità del marco est e ovest varando velocemente misure economiche per sostenere l'impatto dell'acquisto di 18 milioni di cittadini. Ma la borghesia tedesca, di cui quel governo era il rappresentante, non fu in grado di cogliere l'incredibile opportunità. Sconfessando il proprio governo, quando si trattò di venire al sodo e di dimostrarsi "all'altezza della storia" come andava dicendo, trattò i nuovi territori e i loro abitanti con estremo disprezzo, facendo tabula rasa della loro economia e delle loro infrastrutture. Un tale disprezzo contagiò subito la popolazione dell'ovest, già poco propensa a sacrifici in nome della storia, innescando rancori quasi etnici fra tedeschi, i quali incominciarono a definirsi a vicenda, in tono spregiativo, ossis e wessis (un po' come qui terroni e polentoni). È in questo ambiente che una classe dominante bottegaia, per niente in sincronia con la potenza tedesca, inviò i ragionieri della Treuhandanstalt, l'agenzia incaricata di "privatizzare" i nuovi arrivati. Fu colonizzata l'ex DDR trattata come terra di conquista militare (Vae victis, sorella Germania!). Furono acquisite d'imperio 8.500 aziende con 4 milioni di lavoratori al solo scopo di chiuderle, provocando un aumento della disoccupazione, già altissima, di 2,5 milioni di unità. Furono immessi sul mercato 24.000 chilometri quadrati di terreni. Fu concesso ai privati l'intero patrimonio immobiliare pubblico. Furono regalate le reti di distribuzione (negozi, supermercati, pompe della benzina, farmacie, ecc.).

Inchieste successive dimostrarono che tale devastazione non sarebbe stata affatto necessaria, ma il Capitale, si sa, funziona secondo il principio schumpeteriano della "distruzione creatrice". Intanto la borghesia tedesca era ulteriormente ingrassata senza muovere un dito. Acqua passata? No, non stiamo parlando di contingenze ma di storia, come amava dire il presidente di allora. La Germania, al solito, non riesce a gestire la propria potenza. Potrebbe essere la vera struttura portante dell'Europa, ma ha nei suoi confronti lo stesso atteggiamento che ebbe con i territori inglobati nel 1990. La stessa cecità programmatica le impedisce di avere una leadership da vero paese imperialista. È stata posta a capo di un movimento interimperialistico complesso come una federazione continentale, ma non tenta nemmeno di svolgere questa funzione, isolandosi come uno staterello qualsiasi in un egoismo masochistico. Prendiamo la crisi: la Germania aveva tutta la potenza necessaria per pilotare il gruppo trainante europeo (cioè sé stessa, la Francia e l'Italia). Senza tanti strombazzamenti, la crisi greca sarebbe stata risolta discretamente commissariando Atene e avviando subito la realizzazione di un fondo per assorbire con titoli europei le "eccedenze" di debito dei paesi sotto stress. Stiamo ragionando nell'ottica borghese: fin dalle prime avvisaglie greche occorreva concentrare la potenza su di un punto focale. In Germania non lo si è nemmeno pensato e di fatto lo si è impedito con un atteggiamento da maestra che mette in castigo il discolo. Avviando così una reazione a catena.

La crisi cipriota ne è un derivato minore, ma è altrettanto significativa di quella greca: un minuscolo paese con gravi "sofferenze" bancarie, aggravate da consistenti depositi esteri un po' torbidi. Altra crisi da chiudere subito, in silenzio, con l'accordo fra i paesi suddetti e la Germania come leader forte. Anche in questo caso strombazzamenti moralistici. Nullità politica totale. Suvvia, Cipro che fa tremare l'Europa "germanica"! Senza contare che i media tedeschi si sono subito scagliati contro le speculazioni cipriote degli oligarchi russi che avevano depositi per 25 miliardi di euro; ma solo lo Spiegel ha tentato di spiegare che le banche tedesche venivano subito dopo, con 7 miliardi. Che ci facevano i miliardi del gigante nelle banche del nano? Si chiedono gli altri paesi, che già da tempo suonano la grancassa dell'egoismo tedesco, del risorto nazionalismo, della "crudeltà" addirittura. La risposta è semplice: l'accumulo di capitale tedesco nelle partite correnti si tramuta in credito nei confronti degli altri paesi (326 miliardi di euro nel 2012) e questo surplus dovrà pure andare da qualche parte. Ma non c'è niente da fare: la Germania si avvia ad essere di nuovo il capro espiatorio delle crisi capitalistiche. E la "crudele" Merkel non è ancora figura sufficientemente rappresentativa.

Rivista n. 33