Lotta di classe in Egitto
È un dato di fatto: la rivolta egiziana è incominciata con gli scioperi nelle fabbriche molto prima delle grandi manifestazioni del 2011 e continua nelle fabbriche ancora oggi. Il Cairo, Alessandria, Suez, Port Said, Mahalla, sono in agitazione continua, spesso con l'occupazione di interi quartieri. Ma quello che forse occorre mettere bene in luce è che la rivolta egiziana non si può valutare allineando un episodio dopo l'altro, facendoli rientrare tutti in una arbitraria "primavera araba". Ovviamente si può periodizzare come si vuole, specie quando vi sono fatti riconducibili a una serie precisa, ma nel caso dell'Egitto vi è una continuità storica di lotte proletarie che ci permettono di descrivere le grandi manifestazioni di piazza non come fenomeno principale, per quanto eclatante, con la caduta di Mubarak, ecc., ma come effetto acuto di uno scontro sociale cronico. Da decenni, infatti, il proletariato egiziano è in lotta contro una delle borghesie più avide del mondo. Nel 2007, ad esempio, una lunga serie di scioperi rivendicativi (580, secondo la Egyptian Workers and Trade Union Watch) porta alla formazione di comitati di auto-organizzazione all'esterno dei sindacati governativi.
A Mahalla Al-Koubra viene lanciata per la prima volta la parola d'ordine per la caduta del governo. La politicizzazione dello scontro è fatta risalire agli organismi effimeri nati nella terza città egiziana dopo Il Cairo e Alessandria. Nell'aprile 2008 un altro sciopero porta gli operai a contattare i cittadini fuori dalle fabbriche e a occupare tutta la città. La violenta repressione provocherà un morto e 331 feriti. È qui che nasce il movimento dei giovani "6 aprile", protagonista della comunicazione via Internet della successiva ondata di rivolta (il movimento al suo culmine avrà 70.000 aderenti). Il 1° maggio dello stesso anno, al Cairo, si forma un grande raduno spontaneo di operai davanti al parlamento, contro l'aumento dei prezzi, per il salario minimo e per le dimissioni del governo. La lotta del 2007-8 è il preludio alle oceaniche manifestazioni di piazza Tahrir e alla formazione, il 30 gennaio 2011, del primo sindacato indipendente della storia egiziana tramite l'unione dei gruppi spontanei locali. Il neonato organismo chiama subito allo sciopero generale, che riesce e salda gli operai alla piazza.
È la fine del sindacato ufficiale fondato da Nasser. Il Consiglio Supremo dell'Esercito riconosce il nuovo organismo, ma considera criminale ogni azione collettiva generale di piazza. Nonostante ciò, nel 2011 una Ong calcola che vi siano stati 1.400 scioperi, sempre per motivazioni economiche, ma collegate alla caduta del governo. Nel 2012 il nuovo sindacato dichiara di avere 2 milioni di iscritti. Ovviamente l'ostruzionismo è fortissimo anche da parte degli organi d'informazione. Solo Ahram Online ha degli sprazzi di attenzione "sociale" nel momento della rivolta, ma rientra ben presto nei ranghi. La normalizzazione democratica con i Fratelli Musulmani al governo non ha spento la capacità di organizzazione spontanea e di lotta dei proletari. Anche il partito confessionale al governo deve ormai tenerne conto, per cui non osa spingere la repressione oltre certi limiti. Come ha vinto le elezioni adottando in pieno la parola d'ordine che fu della piazza: "Pane, dignità e giustizia sociale", così, al pari di tutte le borghesie del mondo, tenterà di incanalare il nuovo movimento sindacale nell'alveo delle istituzioni.