I 366 morti di Lampedusa

E le altre migliaia, il cui numero esatto non sapremo mai. Il presidente della Commissione Europea Barroso ha detto: "Non possiamo accettare"; il papa: "È una vergogna"; il presidente del Consiglio Letta: "Un dramma europeo". Tanto per citarne alcuni. Pochi giorni dopo un'altra tragedia, altre decine di morti. Uno stillicidio continuo. Facciamo attenzione alle parole: non possiamo accettare che muoiano? È una vergogna che anneghino? È un dramma che vengano in Europa? Il linguaggio rivelatore di questi coccodrilli dalla lacrimuccia facile ci mostra che essi non prendono neppure in considerazione le origini del fatto; inaccettabile, drammatico, vergognoso che dir si voglia. Gli aggettivi sono riservati al fatto di annegare, non importa se si tratta di esseri umani con una storia, se c'è un perché partono e annegano, se si sa da dove arrivano e soprattutto da che cosa fuggono. Perché in effetti fuggono, pur sapendo di rischiare la morte. Governanti e addetti ai lavori discutono su come evitare che partano e che arrivino, annegando o meno.

Arrivano da ogni parte, dal Nordafrica, dall'Afghanistan, dalla Siria, dalla Somalia, dall'Eritrea, dal Sudan, dall'Africa nera. Lasciano terre in cui non si può più vivere, non solo perché c'è fame (c'è in tanta parte del globo) ma perché i loro paesi sono in sfacelo, sono lo specchio di un mondo in cui non c'è più Stato, struttura elementare di produzione e distribuzione. Chi smisterà, separandoli, i migranti per pura miseria, i profughi di guerre lontane, i perseguitati politici? Comunque i quattro quinti dei rifugiati non hanno alcuna possibilità di viaggiare e sono raccolti in campi costruiti dalle organizzazioni internazionali in zone limitrofe a quelle da cui sono fuggiti. Muoiono in massa per stenti e malattie, ma non fanno notizia. Intanto a Lussemburgo i ministri degli interni si radunano e nominano una task force che dovrà occuparsi del problema; certamente verrà formata una commissione che presenterà un rapporto all'ufficio tal dei tali ecc. ecc. Alla fine salteranno fuori un paio di motovedette e di aerei da ricognizione per avvistare gli annegandi prima che anneghino. Il risultato si sa già: se i migranti avranno meno certezza di morire, aumenteranno di numero, è matematico.

C'è un legame stretto fra le rivolte arabe e la migrazione. Dopo le manifestazioni del 2011 gli arrivi in Italia sono raddoppiati raggiungendo i 64.000 nell'anno. È aumentato il numero delle rotte scelte dai contrabbandieri di migranti e sono aumentate le difficoltà a stabilire accordi con i paesi di partenza che spesso non hanno una struttura che si occupi del problema. La miseria e il disfacimento degli stati sono dunque le cause congiunte delle migrazioni, e la burocrazia che dovrebbe occuparsi dei migranti è solo un modo per giocare allo scaricabarile. Gli italiani dicono che è un problema europeo, gli altri europei che è un problema italiano, dato che a Berlino, Londra o Stoccolma si spende di più e ci si occupa meglio degli immigrati. Gli inglesi, che se ne intendono, hanno anche accusato gli italiani di non avere sensibilità nei confronti dei loro ex colonizzati. I tedeschi hanno fatto notare che a Roma si dovrebbe essere meno schizzinosi, ci si dovrebbe cioè ricordare degli ottanta milioni di italiani all'estero, discendenti da emigranti che furono in condizioni non troppo diverse rispetto a quelle del boat people d'oggi.

Come si vede, solidarietà e comprensione regnano sovrani fra gli europei. Ma dopo i battibecchi qualche ufficio di Bruxelles ha partorito la proposta sensazionale che chiude il becco a tutti: i paesi dell'Europa del Sud, che saranno sempre più coinvolti dal fenomeno migratorio via mare, dovrebbero aiutare l'economia di quelli d'origine dei flussi migratori al fine di fissare i potenziali migranti sul loro territorio. Per far ciò, Italia, Francia, Spagna, Grecia, ecc. dovrebbero acquistare da quei paesi prodotti agricoli e manufatti. Tradotto in termini pratici è come dire che gli agricoltori europei, già foraggiati con 60 miliardi di euro in sovvenzioni perché non riescono a vendere il proprio surplus di alimenti, dovrebbero acquistare alimenti in Africa per facilitare la produzione dei loro diretti concorrenti. L'agricoltore di Pachino, che non riesce a vendere i suoi pomodori perché assillato dalla valanga di quelli cinesi che arrivano in Italia, dovrebbe acquistare i pomodori tunisini?

Rivista n. 34