L'uomo è ciò che mangia

Ludwig Feuerbach scrisse che l'uomo è ciò che mangia. Sosteneva che è impossibile credere nel dualismo anima/corpo perché siamo fatti della materia che ci circonda. Mangiare meglio fa pensare meglio. L'uomo è un organismo fisico input-output, entra cibo ed esce… pensiero. Beh, esce anche quello che oggi si butta via e i cinesi di una volta, ammirati da Bebel, restituivano alla terra portandolo dalle città alle campagne. Liebig riteneva che la riproduzione chimica dei fertilizzanti naturali fosse il loro equivalente. Ciò era vero, ma nell'800 si pensava a un emendante, non a un sostituto totale. Oggi la sostituzione della chimica al letame è completa e si galoppa verso la sostituzione anche del cibo a monte. La recente bistecca artificiale non è che una delle tappe di questo percorso. Dovremmo pure essere contenti: spariranno i crudeli allevamenti intensivi e di conseguenza i fattori di uno dei peggiori fenomeni inquinanti e di fame, dato che la cara bistecca è il risultato di una immane dissipazione di cibo primario, soprattutto cereali e soia.

Dov'è il problema? Basta non mangiare carne, d'allevamento o artificiale che sia, si vive benissimo senza. Giusto: è insensato mangiare troppa carne, non è sano mangiarne, anche poca, di quella che ci propinano. Facciamone a meno e non se ne parli più. E già che ci siamo, facciamo a meno di tutta la schifezza prodotta dalla grande industria alimentare. Torniamo alla natura. Mangiamo sano, mangiamo tutti. Abbasso la Bayer e la Monsanto. Abbasso chimica e cibo transgenico. Non si può non essere d'accordo. Però un momento: che cosa mangiamo se rifiutiamo chimica e OGM? Non è che occorrerebbe rifiutare ben altro?

Molti ricorderanno una campagna pubblicitaria di qualche anno fa. "Niente chimica, tutto prosciutto". Ecco, quello è il paradigma su cui si basano le campagne di marketing. Nessuno si sognerebbe una pubblicità basata sul dato autentico: "Prosciutto di Parma, tutta ottima chimica". Eppure noi stessi siamo un laboratorio chimico, naturalissimo. Non è la chimica che ci rovina. E nemmeno la mutazione genetica dei cibi. Nel supermercato vediamo allineati sugli scaffali esclusivamente cibi dovuti a selezione artificiale. Riso, pomodori, grano, mais, cavoli, agrumi. Tutto. Voltiamo le spalle e avviamoci verso gli scaffali del reparto "Bio". Ci sono gli stessi prodotti, solo con confezione diversa o di provenienza diversa. Costano solo di più, in cambio di una garanzia quasi sempre fasulla, come dimostrano diverse inchieste e analisi. Il segreto è nel nome che tutto accomuna: merce. E ogni denuncia per frode puzza semplicemente di concorrenza. Comunque nemmeno l'orticello privato ci salva: semi e piantine sono tutti transgenici, l'ambiente fa il resto.

Mangiamo pure prodotti "a chilometri zero", ma poi non andiamo in estasi per Eataly, che esporta cibo in tutto il mondo. Sensibilizziamoci pure alle campagne dell'equo e solidale, ma leggiamoci anche qualche libro sulla natura autoreferenziale, parassitaria e colonialista del sistema ONG. Andiamo pure a convincere un contadino africano a non usare semi ibridi, ma non cadiamo dalle nuvole se questi non ci ascolterà, non vorrà produrre tre volte di meno per fornire prodotti esotici "bio" ai nostri capricci. Elogiamo pure l'etica slow food, ma confrontiamo i costosi ristoranti per avventori ben pasciuti con le cucine da campo dei lager per profughi sparsi nel mondo. Vogliamo mangiare naturale? Semplicemente non si può. Piantiamola di frignare sulla natura perduta: noi siamo natura, se vogliamo il capitalismo mangiamo la merda che cuciniamo a noi stessi. Senza illusioni.

Rivista n. 34