L'Italia nell'Europa feudale (10)
Il retroterra storico del capitalismo più antico del mondo
10. Evoluzione della villa come alimentatore del sistema
Una caratteristica costante nell'evoluzione del sistema romano sintetizzato nello schema di figura 10 è la trasformazione ovunque della villa agraria. Mentre la mansio conserva tutto sommato la tipologia originaria e cambia quasi solo in ragione della località in cui sorge (nodo stradale, centro produttivo, bacino portuale) la villa passa dal complesso agrario piuttosto spartano del tempo di Catone alla lussuosissima e grandissima villa del basso impero per finire di diventare, intorno al V secolo, un'azienda fortificata, un castellum. Cosa più importante dal punto di vista economico, essa cambia per quanto riguarda la dimensione del fondo, che aumenta in un processo di concentrazione (acquisto dei terreni adiacenti) e soprattutto di centralizzazione (acquisto di strutture rustiche di altre ville o addirittura di ville al completo). Il processo di centralizzazione è fondamentale per la formazione di una figura sociale inedita che si impone all'inizio del IV secolo, quella del colono, tanto estranea alla consuetudine e al diritto che Costantino deve regolamentarla con leggi apposite. Nel passaggio dalla villa alla curtis dovremo ritornare su questo argomento.
Le ville suburbane, che all'inizio erano più dipendenze campestri della casa in città che non aziende agricole, lo diventano ingrandendosi con terreni anche lontani se non li trovano adiacenti. Nella figura 18 si nota ad esempio una villa, inizialmente di modeste dimensioni, alla periferia di Roma, con la domus del proprietario e l'area consueta degli edifici funzionali all'attività agricola. Pur essendo essa molto antica (le prime fondazioni risalgono al IV secolo a.C. e la planimetria visibile è del II secolo d.C.), il modulo, ingranditosi nel tempo, è sostanzialmente quello standard, anche se sono assenti (perlomeno non si vedono) gli ambienti termali. Le ville suburbane come questa, facilmente raggiungibili, erano dedicate per lo più all’otium, o a luogo di rappresentanza per stipulare affari (negotia), difficilmente erano sprovviste della parte agraria. Nell'immagine si vede bene che quest'ultima può essere funzionale a un grande hortus piuttosto che a un piccolo fundus, il quale, sotto la responsabilità di un colono, poteva essere altrove. Se non fosse per gli edifici rustici annessi, la parte padronale di una villa di campagna sarebbe del tutto simile a una delle ricche case metropolitane dei possidenti. Tra l'altro, essendo la grande villa romana parte integrante del sistema di mansiones, entrambe le strutture, con le loro funzioni a volte sovrapposte, si sviluppano in simbiosi con la rete stradale.
Per il cittadino romano la terra rappresentava un richiamo atavico irresistibile, ma anche la fonte di reddito più importante, tanto che nel primo periodo imperiale inizia la tendenza alla monocoltura da esportazione. Nella figura 19 ci troviamo di fronte a una situazione capovolta rispetto a quella della villa precedente, cioè a un precoce (I secolo d.C.) rovesciamento della consuetudine: una villa suburbana di Pompei esclusivamente agraria e per di più dedicata solo alla produzione del vino, in una zona dove ne sorgevano molte altre, per via della particolare fertilità delle falde del Vesuvio. Gli alloggi del dominus, con relativi ambienti termali ridotti al minimo, non sono staccati ma integrati (sempre che il proprietario seguisse ancora la tradizione di coltivare direttamente la terra). Il grande numero di anfore vinarie interrate, il torchio, i locali di vinificazione rivelano che probabilmente questo possedimento non era dedicato solo alla monocoltura della vite, ma era attrezzato per fornire a terzi un servizio di spremitura, torchiatura e fermentazione. Era sicuramente la pars massaricia di un complesso più grande con la sua brava divisione tecnica e sociale del lavoro. Spesso questa forma di conduzione viene chiamata col termine moderno di "azienda". Per una volta non protestiamo, l'importante è sapere che non siamo ancora in modo di produzione capitalistico. Nel basso impero l'azienda, con questo tipo di specializzazione, si estenderà rivelandosi come l'espressione di una specie di modo di produzione agrario proprio nel periodo di massimo caos dovuto alle invasioni barbariche. Le ville, e soprattutto le fattorie specializzate, si doteranno di fortificazioni e torri. Con tutta evidenza tali rinforzi non erano sufficienti contro i barbari, potevano al più essere utili contro razzie di bande isolate. I barbari anzi, specie i Vandali in Nordafrica e i Longobardi in Italia, dovettero apprezzare la ricchezza monetaria fornita da queste aziende mediante il tributo. Almeno fino a che non impararono a battere moneta in proprio copiando quella bizantina.
Abbiamo visto che le basi agrarie della romanità, fin dalla formazione dei miti fondanti, sono all'origine della "villa" come ossatura del modo di produzione romano. È la terra che produce la ricchezza, e ogni patrizio, all'origine, è coltivatore in prima persona con tutta la cerchia della familia. Il buon romano classico passa più tempo sul campo che nel disbrigo degli affari in città; perciò la villa incarna nello stesso tempo il principio di proprietà e quello di libertà. Un po' come se, in piccolo, fosse la rappresentazione di quell'altro caposaldo etico che è il cursus publicus (il supervisore centrale della rete fondata sulle mansiones e annessi). Concettualmente, la figura del dominus della grande villa dell'epoca imperiale è uno sviluppo di quella del paterfamilias atavico, ma praticamente egli è ormai un volgare accumulatore di un denaro che si porta dietro la maledizione di non potersi valorizzare tramite il lavoro. C'è tutto un mondo che lo impedisce, e quel mondo dovrà essere distrutto. Così come era successo per il Tesoro cui era impedito il passaggio a Capitale, la villa diventa l'esplosivo che fa saltare il sistema di villa. Non essendo più semplice fundus, né tantomeno hortus come nelle XII tavole del diritto antico, la villa diventa il luogo dove la produzione, per la prima volta, è frutto del lavoro differenziato svolto da classi differenziate. Dove il dominus è padrone, lo schiavo non è più parte della familia se non formalmente, il fattore e i lavoranti non sono più schiavi, e i braccianti fissi o stagionali sono i nuovi proletari. Non la canaglia che mangia pane a sbafo e si accoltella al circo nelle città, ma il futuro pilastro della nuova economia. Ci vorrà molto tempo, ma intanto si vedrà che la figura feudale del "servo della gleba" dovrà essere riesaminata già a partire dalla sua funzione nella villa, quando ancora il lavoratore legato alla terra non era chiamato così.
Tipologie di villa
La villa dunque evolve. Fondi rustici vedono aggiungersi la parte residenziale del dominus, e viceversa ville residenziali diventano produttive. Le rovine di figura 20 mostrano un’evoluzione di questo secondo tipo. Nelle foto aeree sono individuabili due corpi distinti, un tempo interpretati come due ville separate, oggi accettati come parti di una stessa villa. Questa era stata fondata come residenza di campagna, posizionata su di un promontorio e con il mare su tre lati, con ampi locali e un complesso termale lussuoso. Il suo sviluppo come villa rustica aveva comportato l'aggiunta di una dipendenza in riva al mare (forse per facilitare l'imbarco dei prodotti) e l'adozione di un impianto termale di più modeste dimensioni e finiture. La bipartizione netta per ristrutturazione è simile a quella della più celebre villa di Desenzano (BS). Questo tipo di villa viene quasi sempre abbandonato nel periodo dei regni barbarici e non si trasforma in curtis sia a causa della vicinanza del mare (pericolo di razzie), sia per la poca disponibilità di terra.
Quando invece la terra c'è, la villa rustica (e a un certo punto le ville sono tutte aziende agrarie) si espande. In un primo tempo aggiungendo strutture intorno a sé, poi figliando strutture agrarie separate o tramite acquisti. La tipologia della villa rustica secondaria si caratterizza per le strutture non troppo estese e piuttosto fragili. Intorno al solito grande cortile, si dispongono le zone abitative e quelle per la produzione. La zona termale è ridotta al minimo o manca del tutto, il che sembra indicare la presenza dei soli lavoranti con il fattore. Questo tipo di struttura agricola era l'elemento fondamentale della produzione agraria romana e diventerà la cellula produttiva delle curtes altomedioevali con il nome di "manso". Le ville erano talmente numerose che ne vengono trovate in continuazione, nonostante l'antropizzazione pesante del territorio. Di solito non vengono portate alla luce, anche quando rivelano di essere non solo rustici secondari ma veri e propri complessi come quello di figura 21. Sotto un campo coltivato, in prossimità di un importante nodo stradale antico in Provenza, è perfettamente leggibile un vasto fabbricato che, data la posizione, è certamente una villa ad uso mansio. In alto a destra sono evidenti gli impianti termali. L'indagine magnetometrica indica che gli edifici si estendono ulteriormente sotto al campo incolto (in alto nella figura) in modo simmetrico. La parte visibile del cortile interno misura 50 metri di lato.
La tipologia della villa varia naturalmente con il tempo, ma sempre, dall'età repubblicana in poi, essa è costituita dai tre settori distinti elencati da Columella: la pars urbana, la pars rustica e la pars fructuaria. Questi ultimi due settori possono essere riuniti fisicamente o di nome, in una pars massaricia. Fisicamente, quando per esempio nella villa in senso lato (cioè tutto il territorio coltivato con i vari complessi ed edifici) la pars urbana con i suoi ambienti le terme i peristili, è separata dalla parte agricola, che diventa un complesso a sé, come nel caso delle figure 18, 19 e 20. Negli altri casi la mancanza di pars massaricia è solo dovuta al fatto che non è stata trovata o era costruita in materiali deperibili, come l'adobe o il legno. Ad esempio, la villa di figura 23 doveva avere una dipendenza in prossimità perché nel complesso scavato finora non sono stati individuati alloggi per l'intendenza domestica né cucine, né dispense.
Nella tarda antichità nascono ex novo grandi ville appositamente progettate come enormi complessi produttivi. Essi sono collocati al centro di possedimenti estesi anche per migliaia di ettari (figura 22) e, a differenza della villa di epoca augustea, sono dedicati a produzione quasi esclusivamente orientata alla vendita e all'esportazione piuttosto che alla sussistenza della familia del dominus, per quanto numerosa, ricca e dedita al lusso. Tipicamente nella villa romana del I secolo si coltivava già un ventaglio ristretto di prodotti, prima di tutto vino di qualità (circa il 30% della terra), olio d'oliva (20%), cereali (20%). Il resto era destinato a ortaggi, frutta e bosco ceduo. Il bestiame era allevato intensivamente e non nei pascoli. Erano spesso presenti peschiere per l'allevamento di pesci d'acqua dolce o di mare a seconda della posizione. Nelle ville tardo-antiche la produzione era più specializzata ancora, e di ciò vi sono evidenze archeologiche molto precise. Vi si praticava anche la vendita diretta, ma la vastità dei magazzini e i locali adibiti a contabilità dimostrano che erano trattate soprattutto grandi partite di prodotti. Se è vero che ciò avveniva addirittura prima dei raccolti, la tipologia e la quantità della produzione a venire ne erano influenzati (la finanza dei futures e dei derivati non era ancora stata inventata, ma certo siamo sollecitati a pensarci!). In Italia dopo il Mille alcune ex ville romane, già diventate curtes in epoca carolingia, saranno acquistate da ricchi borghesi che le condurranno con manodopera bracciantile fissa o stagionale ma libera, e spesso salariata, cosa che indicherà sia l'esistenza di un proletariato stabile, sia precario, un esercito agricolo di riserva antenato di quello industriale.
Le ville che si espandono durante diversi secoli presentano una planimetria assai meno standardizzata rispetto al modello ideale, e ciò permetteva agli architetti di creare effetti scenografici. Quella di figura 23 sorse nel IV secolo sopra le fondazioni di una fattoria più antica, sviluppandosi ulteriormente. Si tratta della villa di Piazza Armerina, in Sicilia, uno dei monumenti romani più conosciuti, grazie alla magnificenza dei suoi mosaici. Data la ricchezza in marmi e decorazioni, fu attribuita in un primo tempo a una famiglia imperiale, ma apparteneva semplicemente a un ricchissimo proprietario terriero, e quindi aveva principalmente funzioni agrarie. Una ricerca basata sul rinvenimento di laterizi marchiati ha portato a una stima di 15.000 ettari la superficie lavorata e controllata dalla villa. Il complesso presenta segni di utilizzo fino al VI secolo quando fu abbandonata a causa dell'invasione vandala. Fu fortificata dai bizantini durante la Guerra gotica. Gli scavi recenti hanno trovato segni di riutilizzo nel secolo X-XII durante le invasioni araba e normanna. Sempre a proposito di transizioni, a poca distanza è stata rinvenuta una mansio augustea, privata, diventata città e rimasta tale fino al IV sec., successivamente regredita a vicus e poi di nuovo città, probabilmente sede di vescovato, data la presenza di una basilica paleocristiana dell'VIII secolo). La villa era sicuramente collegata alla mansio tramite un diverticolo che si innestava alla via consolare Catania-Agrigento.
La grande villa romana del basso impero non è semplicemente una lussuosa e redditizia azienda agraria ma un elemento preciso nella fase di passaggio fra modi di produzione, ancora entro la forma antico-classica. Sia la letteratura dell'epoca, da Catone a Varrone, sia la manualistica tecnica (prima fra tutti quella di Lucio Columella, I secolo d.C.), sia i ritrovamenti archeologici, dimostrano che la villa racchiudeva fra le sue mura molteplici attività, non solo quelle agrarie. Esse erano svolte da un micromondo che riassumeva in sé diverse condizioni sociali e, soprattutto, non era quello schema classista dualistico padrone/schiavo che tradizionalmente si attribuisce a tutta l'antichità, indipendentemente dai secoli intercorsi fra l'inizio di quel modo di produzione e la sua agonia. Questa varietà di figure "dipendenti" dal dominus non prefigurava affatto la "servitù della gleba", classe mai esistita, almeno come gruppo omogeneo, tipico di un modo di produzione (in realtà è una sintesi inventata dalla storiografia ottocentesca).
Il castellum
L'agronomo Columella suggerisce che la pratica dell'affitto può essere più proficua dell'uso degli schiavi, mentre a Catone (III secolo a.C.) non poteva neppure venire in mente di far gestire ad altri la sua terra in cambio di denaro. Nella villa del III-IV secolo si dedicavano alle varie attività schiavi, lavoratori liberi occasionali, artigiani di ogni mestiere, coloni. Questi ultimi lavoravano la terra utilizzando le attrezzature e gli edifici presenti sul fondo, la forgia, il forno, il mulino, i telai, ecc.; potevano essere fissi o stagionali e il loro statuto era regolamentato per legge. Una formula contrattuale, quella del colono, che alla lunga si impose, contribuendo alla circolazione del denaro, e soprattutto permise ai latifondisti un controllo indiretto sulle terre sparse e lontane, ora date in gestione a un colono della zona. È in questo periodo che la villa si articola maggiormente e sempre più spesso si fortifica. Come testimoniato non solo dalle planimetrie ma anche dai mosaici, vengono costruite torri, rinforzati muri, variata la disposizione dei locali. Ad esempio, nei resti della villa di San Giovanni di Ruoti (PT) si leggono complesse vicende che portano alla trasformazione in castellum, avvenuta evidentemente in fretta e furia, senza rispetto per la razionalità delle planimetrie. Oppure, al contrario, vengono mantenute le simmetrie costruttive allo scopo di rafforzare le difese, come nel complesso di La Olmeda mostrato in figura 24, una grandiosa villa rustica fortificata del I-VI secolo d.C. di cui è stata trovata solo la zona padronale. L'edificio delle terme ha dimensioni monumentali e fa parte a sé stante, collegata con una ampia manica. Complessi del genere, frutto di ristrutturazione o di progetto unitario, sono più frequenti nelle zone di conquista lontane da Roma; spesso diventando, da quando il grano africano è destinato esclusivamente a Costantinopoli, la riserva cerealicola e in genere alimentare di Roma, almeno per quanto riguarda i prodotti conservabili.
Tra tutti questi complessi agrari, ormai condotti in grande stile imprenditoriale internazionale, come provano i numerosi ritrovamenti di monete, uno dei meglio studiati è quello di Nador, vicino a Tipasa, in Algeria (figura 25). In alto, vediamo la grande unità produttiva agraria romana. Il complesso, fortificato, è dedicato esclusivamente a spazi di lavoro e immagazzinaggio di due soli prodotti da esportazione ad alto reddito: vino e olio. Non si tratta del risultato di una ristrutturazione ma di un progetto finalizzato alla produzione. È assente del tutto la casa del dominus o del fattore, probabilmente residenti in una villa vicina o in città. Le due torri rotonde hanno un diametro esterno di ben sei metri e sono verosimilmente horrea, cioè silos, utilizzabili come bastioni in caso di guerra. In basso è raffigurata l'evoluzione del complesso rustico dopo l'invasione vandala. Gli spazi vengono frazionati per ricavare più abitazioni per gli addetti, ma la produzione non viene interrotta. In questo caso l'abbandono non avviene a causa dell'invasione barbarica ma per motivi economici o altro. Più tardi il complesso si trasformerà nel nucleo fortificato di un villaggio (incastellamento).
Questo che abbiamo cercato di tratteggiare è l'assetto produttivo agrario nella fase di passaggio tra il sistema di villa e quello di curtis che, generalizzandosi, si stabilizzerà nel corso dell'impero carolingio. Non è più modo di produzione antico-classico ma ci sono ancora gli schiavi; non è ancora modo di produzione feudale ma c'è già un sistema di dipendenza fra uomini.