Il problema del controllo nella transizione

Nella concezione corrente della Sinistra Comunista la dittatura del proletariato è la dittatura del partito. Come sappiamo, questo organismo non è – e tantomeno sarà – un partito qualsiasi in lotta contro altri partiti di altre classi ma l'espressione politica del proletariato come "classe per sé", prefigurante l'intera specie umana senza classi eccetera, eccetera. In estrema sintesi, tale situazione transitoria si materializza in un governo particolare, dispotico e totalitario, che emana decreti per raggiungere dei risultati e li fa rispettare con la forza armata. Ora, posta in modo così brutale la questione della dittatura sembra fatta apposta per spaventare le anime candide, dimentiche della violenza attuale e potenziale cui ricorre la borghesia. Quando si usa il termine "dittatura", siamo o no di fronte alla solita violenza di stato? Gli anarchici sono in particolar modo affezionati a questo spauracchio, anche se bisogna riconoscere che il filone italiano dei Costa, Cafiero, Malatesta o Berneri era assai diverso da quello bakuniniano. Tuttavia, parlando di dittatura del proletariato, i problemi non scaturiscono soltanto dal linguaggio ma dalla natura e dalla struttura della nuova società. Come è emerso chiaramente dalla riunione [pubblicata sul n. 33 della rivista col titolo Marcati sintomi… ndr.], scienza e tecnologia hanno una funzione opposta a quella che credono ad esempio i primitivisti e coloro che si oppongono per principio alle tecniche di controllo. Come s'è detto, i sensori posti nei punti nodali di una società che si autocontrolla sono davvero utili ad impedire che si ricada nel pericolo di autonomizzazione dello Stato e perciò di una sua eternizzazione. Una società che abbia i mezzi di controllo tipici degli organismi viventi più evoluti farà meno fatica a "estinguere" il controllo politico, burocratico e poliziesco per sostituirlo con quello che abbiamo chiamato "metabolismo sociale". Il problema vero semmai è un altro: non si corre il rischio di bloccare la dinamica sociale e quindi l'evoluzione della nostra specie? È chiaro che una società in grado di autoregolarsi simulando gli esseri viventi, finisce per omeostatizzarsi, proprio come questi ultimi, attorno a un equilibrio raggiunto, e in linea teorica non si evolve più, o perlomeno si evolve con i ritmi dell'evoluzione in natura. Perciò devono intervenire degli stimoli per evitare che la società perda la dinamica rivoluzionaria, si stabilizzi intorno a uno sviluppo raggiunto, in fin dei conti si sclerotizzi.

 

Le paure di anarchici e primitivisti avevano solide basi materiali, ma non le hanno più. Ovviamente nessuno è esente dall'influenza esercitata da questa società, che è solo l'ultima fra le società di classe; ma il timore che lo Stato proletario si autodifenda in quanto Stato, e non proceda affatto verso la propria estinzione come previsto dalla teoria comunista, è stato amplificato enormemente con la controrivoluzione staliniana in Russia, e a vent'anni dalla caduta del Muro non è più giustificato. Tale timore potrebbe persistere per altre ragioni, ad esempio a causa dell'ambiente capitalistico ultra totalitario d'oggi, nel quale lo Stato è talmente pervasivo da sembrare a prima vista onnipotente. Ma anche in questo caso si può essere ottimisti: dal punto di vista dei rapporti materiali lo Stato ha meno che mai ragione di essere, visto che non è più un leviatano ma una istituzione in disfacimento. Il problema del controllo tecnologico diventa un po' più chiaro se si pensa al fatto che ogni anarchico o primitivista vive in mezzo a controlli cibernetici senza che essi comportino problemi di etica o di negazione di una qualche libertà. Chiunque è libero di regolare a mano la temperatura dell'ambiente in cui vive facendo a meno del termostato, ma poi non si lamenti se contribuisce ad abbassare l'efficienza energetica totale. Il controllo sociale di per sé fa parte della natura di molte specie, fra le quali la nostra. Il passaggio dal comunismo originario alle società classiste ha comportato il passaggio dal metabolismo sociale organico alle gerarchie di potere e alla nascita dello Stato. Il problema del controllo, quindi, si risolve ponendosi dal punto di vista di una classe che rappresenta il futuro, non di quella che difende il passato. La serie delle società di classe ha avuto come strumento di dominio sempre più perfezionato, lo Stato, fino alla sua forma borghese sviluppata. Siccome la classe proletaria liberando sé stessa libera l'intera specie umana dall'esistenza delle classi, lo stato diventa superfluo, quindi sparisce e rimane il controllo. Ma senza le classi il controllo è come il termostato: non solo ci aiuta ad evitare dissipazione, soprattutto funziona da solo.

In effetti i timori per l'auto-conferma dello Stato come elemento di "oppressione sociale" sono come i timori per la realizzabilità della società comunista: essa non è "da realizzare", essa diviene, si tratta di liberarla più o meno in fretta dai residui del capitalismo. Di conseguenza, è vero, il problema grosso che dovrà affrontare la società futura sarà quello di "polarizzare" il controllo affinché le sia impedito di giungere all'omeostatizzazione totale, cosa che di per sé ne limiterebbe la dinamica e ritarderebbe l'estinzione dello Stato. Il termostato, come ogni apparato di controllo, regola uno stato di cose, accende un fuoco quando fa freddo e lo spegne quando fa caldo. In mancanza di altri parametri oltre a quello della temperatura, il sistema si immobilizza su quest'ultima. Per dinamizzare tale sistema occorrono più parametri, più alternative, occorre un'intelligenza che sappia prendere l'iniziativa: e questa può essere data soltanto dall'organismo sociale che rappresenta tutta la specie e il suo ambiente, in grado di applicare "volontà", cioè di progettare il futuro o, come dice la nostra corrente, "rovesciare la prassi". In tal modo il sistema controllato perde le sue caratteristiche di "feedback negativo" (termostato, valvola di Watt, vaschetta del WC) e assume quelle di "feedback positivo" (curva di distribuzione del reddito per cui i ricchi diventano sempre più ricchi, crescita demografica esponenziale, ma anche accumulo di conoscenze che produce più conoscenza, crescita della forza produttiva sociale che produce liberazione di forza-lavoro, ecc.).

Rivista n. 36