Yen & Yuan, guerra delle valute
Il gigante economico giapponese, nonostante contenda ancora alla Cina il secondo posto fra le economie mondiali, è da trent'anni in camera di rianimazione e non ce la fa a risollevarsi, pur avendo tentato ogni cura possibile. Primo paese al mondo a diventare rentier senza essere paese imperialista dominante; primo paese imperialista di quella potenza a non aver sviluppato il classico sistema industrial-militare in funzione di traino per l'economia; primo a robotizzare talmente la propria sfera produttiva da far intervenire la caduta del saggio di profitto senza l'aggettivo "tendenziale"; primo perciò a soffrire per il blocco delle "cause antagonistiche" alla caduta del saggio di profitto (vedi figura; andamento dei profitti netti, linea nera); primo, infine, ad impostare la propria economia sulle esportazioni basandosi quasi esclusivamente sulla propria potenza produttiva senza giocare sulle svalutazioni competitive. Almeno fino a questo momento.
L'ultima cura tentata per uscire dallo stato comatoso è stata una copia del quantitative easing americano: lo stato ha emesso nuova moneta per acquistare titoli con poco o niente mercato, anche per ritirare quelli tossici che ancora circolano. Per evitare di creare troppa moneta, dal momento che i tassi sono quasi negativi, il governo aveva deciso di aumentare l'IVA per compensare con una entrata l'uscita puramente monetaria. L'economia disastrata non ha retto l'impatto con un dato così negativo, che contribuisce a limitare i consumi. Il governo è caduto e si faranno nuove lezioni. E fin qui si capisce il meccanismo del programma governativo. Nel frattempo la nuova politica monetaria aveva provocato un notevole calo dello Yen nei confronti dello Yuan cinese e del Won coreano (20%), con l'inevitabile effetto di tutte le svalutazioni competitive: drogare artificialmente il mercato a favore delle proprie esportazioni.
Ovviamente Cina e Corea non sono state a guardare e si apprestano a prendere provvedimenti, anche perché negli ultimi due anni avevano aumentato le proprie esportazioni verso gli Stati Uniti (il maggiore importatore del mondo) del 20%, mentre quelle giapponesi erano diminuite del 2%; e ora devono difendere le posizioni conquistate. In passato vi furono guerre delle valute per molto meno. Il Giappone non può evitare la svalutazione, anche perché il calo delle esportazioni è avvenuto nonostante la delocalizzazione del 33% della produzione industriale in Cina e nel Sud Est asiatico; ma il settore delocalizzato fa concorrenza a quel 66% rimasto in madrepatria. La globalizzazione fa brutti scherzi: la caduta dello Yen nei confronti dello Yuan ha provocato un differenziale di prezzi, il che spiega come un solo fornitore cinese (Taobao marketplace) abbia in catalogo più di un milione di manufatti giapponesi da distribuire sul mercato internazionale. Ciò che facevano gli occidentali con le merci cinesi oggi lo fanno i cinesi con le merci giapponesi. E anche nella sfera del turismo si è invertita la tendenza: i bassi prezzi in Yuan convertiti in Yen hanno attirato in Giappone il 27% di turisti in più in un solo anno. Non è la variazione che impressiona: è il fatto che i cinesi vadano in vacanza in Giappone perché è conveniente. Come lo era una volta per gli occidentali nei paesi in via di sviluppo.