La gratificazione assente

Cari redattori, mi capita spesso di ricevere delle e-mail di propaganda di sinistra e da qualche amico un po' depresso. L'ultima di queste mi ha spinta a scrivervi, perché avrei delle domande generiche da rivolgervi, da vero neofita. Si tratta di una di quelle e-mail tipo catena di sant'Antonio, con l'invito finale a spedire il testo a più destinatari possibile. Questo era una "vibrata protesta" contro i tentativi di ingabbiare Internet in una serie di controlli, tra l'altro utilizzando alcuni articoli del Codice Rocco, come il divieto di organizzazioni internazionali, l'invito alla disobbedienza alle leggi, l'istigazione all'odio fra le classi. Ma dài, davvero ci sono articoli del genere? In sintesi: i governi avrebbero paura di Internet e vorrebbero limitare il "diritto di espressione" su quel mezzo.

Non mi impressiona l'eventuale progetto di censura, né il fatto che ci siano leggi così cretine da proibire l'incitamento alla lotta di classe, come se l'incitamento funzionasse quando la lotta non c'è e la repressione funzionasse quando la lotta c'è. Mi impressiona il fatto che qualcuno ricorra a una catena di sant'Antonio per lanciare una mobilitazione in difesa della libertà di pubblicazione. Perciò ho avuto l'impulso di rispondere qualcosa, un po' per istinto rabbioso, e anche perché, ultimamente, i riflettori sono puntati proprio su Internet, sul suo ruolo, sulle sue potenzialità, sulle sue esternazioni, e forse mi interessava rassicurare il mittente e tutti coloro che avrebbero ricevuto la risposta sul fatto che censurare per mezzo di leggi nazionali Internet è un problema tecnico non indifferente. Ai governi conviene lasciare perdere gli inutili divieti e cercare di cavare dei dati dall'universo dei network.

Non ho risposto e ho lasciato perdere. Che avrei potuto dire o fare? Ho anche pensato che fosse meglio inviare il link a n+1, che si leggessero gli articoli sul tema, poi non ho fatto neanche quello. Nell'epoca delle Reti, c'è ancora gente come quel padre che diceva alla figlia diretta in America: quale sarà il tuo indirizzo e-mail quando arriverai laggiù? Ovviamente per il "lavoro politico" non c'è solo Internet, ma non scrivo per chiedere lumi sul solito "che fare?" bensì per un dubbio di tipo pratico su cui ho sbattuto il muso mentre ero tentata dalla "divulgazione della Verità". A parte gli scherzi, mi chiedo e vi chiedo: il programma rivoluzionario è uno, ma le interpretazioni tante. Anzi, più che interpretazioni si sono formate delle "credenze": Uno crede in Lenin, l'altro crede in Mao, un terzo crede nel fronte unico, e così via per il centralismo organico, quello democratico, il realismo socialista ecc. Quando si discute, a voce o via e-mail, non si cava un ragno dal buco, non serve a niente, ognuno rimane dov'era, irremovibile come un paracarro antico. Sarà mai possibile spezzare questo incantesimo? Fa quell'impressione anche a voi? E come affrontate il problema? Vi pregherei di non pensare che il mio sia un delirio di onnipotenza, che, povera ragazza, io pensi con atto eroico di essere portavoce di qualcuno o qualcosa senza che nessuno mi abbia chiesto niente. Vi assicuro: non credo che gli eroi abbiano i sudori freddi quando svolgono la loro missione. Ma la storia della e-mail di cui sopra non è un caso isolato: ogni santo giorno capita che "si vorrebbe o dovrebbe spiegare qualcosa a qualcuno" e siccome propendo per il "si dovrebbe" faccio quello che posso e nemmeno bene, credo.

Lo so bene che il problema non è quello di "svegliare le coscienze", ma vedo che anche voi non ve ne state zitti; la rivista e i siti testimoniano una diffusione del vostro programma, cosa che fate certo con ogni altro mezzo. Il fatto è che, al di là dell'apparenza individuale, io sto in realtà divulgando un sistema logico che appartiene ad un percorso di ricerca lunghissimo, il vostro, e probabilmente lo sto facendo in modo poco pertinente. Dunque mi trattengo e limito per la paura di disfare, in poche parole, il lavoro intenso e preciso di una comunità intera.

E così vi espongo i miei dilemmi esistenziali. Intanto, lo saprete, in giro si dice che siete tutta teoria e niente pratica (su di un sito ho trovato questa definizione: "sfornano teoria che altri utilizzano"; lo dicono per denigrarvi, ma se fosse vero mi sembrerebbe magnifico). Siccome mi sembra di aver capito lo storico problema del centralismo organico, per essere "pratici" mi/vi chiedo: in qualità di eventuale cellula di un organismo, come farei a relazionarmi con il mondo esterno? Uno qualsiasi di voi che si trovasse a parlare con "quelli di fuori" dovrebbe avere una responsabilità accertabile. Esiste un metodo codificato nel movimento n+1? Un manuale di istruzioni? Come si riducono al minimo le fesserie? Per proteggersi dalle fesserie ci si può sempre rifugiare nel mutismo, ma il rischio è di finire a vivere un una bolla di vetro come i protagonisti hippies di Zardoz. E in qualche caso si rischiano anche le mazzate! Ma ancora, per essere pratici, come si proietta n+1 verso il mondo? a che livello? quali sono i gradi di questo processo, se esiste? Ovviamente una parte di esso non e' controllabile... siamo delle "cellule impazzite", ci lasciate liberi nella matrice e forse, in nome di n+1, qualcuno di noi le spara grosse. L'importante, certo, è che il corpo del sistema rimanga compatto; se qualcuno vuole approfondire può scoprire subito l'errore. Mi sbaglio? Vorrei solo capire se esiste questa parte per l'oggi, così come esiste il programma politico preciso per agire concretamente per la società futura. Ditemi se "n+1" concepisce un approccio del genere. Di solito non mi lascio trascinare in discussioni senza senso, ma non sapete che fatica ogni volta... Mi viene una voglia impellente di sabotare. Per il resto ascolto con molta attenzione e dopo trovo risposte nelle interessanti conversazioni con elementi della vostra/nostra community.

Qualche tempo fa discutevo con uno dei militanti, appunto, a proposito della responsabilità nel sostenere dei punti di vista quando si è in mezzo ad altri, quando si fa uno sciopero, un picchetto, un'assemblea. Mi diceva che, se si fa parte di un organismo politico di cui, in quell'occasione, si è il rappresentante per caso, è naturale che ci si muova secondo i presupposti programmatici generali, ma nessuno può avere la formula sul comportamento immediato. Se si fa parte di un movimento di tipo sindacale, ad esempio, l'istinto basato sul possesso di basi teoriche dirà che le chiacchiere e i comizi sono inutili, mentre l'obbiettivo è essenziale e ci si muove con analogia militare per raggiungerlo. Ok, fin qui va tutto bene. Ma se l'occasione è tale per cui il discorso va oltre all'obbiettivo immediato? Allora è inevitabile che emerga il militante dell'organismo politico. Leggo la definizione su di un vocabolario autorevole: militante, attivista di un movimento. Ecché vor dì? Cosa attivi? Te stesso? E per far cosa? Se saltano fuori i militanti è finita, si va al dibattito, al parlamentino. Un programma politico presuppone che tutti lo seguano, o almeno milioni. Come dite sempre, mica si può risolvere il problema dell'adesione a un programma col metodo democratico.

Si pubblicano articoli impressionanti per la loro struttura logica, ci si attrezza con una spessa corazza di consapevolezza e si fa ordine dentro ai cervelli, e poi? Difficile immaginare che tutto questo possa servire solo ad aspettare dietro alla porta che qualcuno si accorga di n+1. Non vorrei sembrare critica, probabilmente sto solo elencando scemenze, ma c'è un abisso fra la produzione teorica e il riscontro sul terreno della partecipazione. È questo che la mente non riesce a capire. Ecco, forse sto solo cercando di capire. Spero che questa e-mail non assomigli alla lettera di una novizia alla madre badessa per capire il senso della clausura. Non ditemi per favore che ho perso un'occasione per stare zitta. Grazie per la pazienza e per l'immenso supporto!

 

Cara compagna, è ovvio che gli stati provino ad estendere il loro controllo su Internet. Prova ne è che il Pentagono ha dichiarato la rete zona di combattimento e sembra che la CIA sia diventata azionista di Facebook (peraltro già finanziata da lobbies destrorse americane). Ma gli stati controllavano anche gli spostamenti, il telefono e la posta prima di Internet. Giustamente parli di "illogicità" nel voler sottomettere a leggi nazionali uno strumento universale. Prova ne è che nel "marasma sociale" esploso nel 2011 nessuno stato è riuscito a bloccare le notizie dei manifestanti, così come non ci sono riusciti gli sbirri cinesi a Hong Kong. Bella l'immagine della censura sul web contro l'istigazione alla lotta di classe: il rischio è di suscitare qualcosa di peggio che l'istigazione. Ma non è già successo con il software libero? Nessuno ha potuto fermare lo scambio peer to peer. Ricordiamo cos'era il colosso IBM? Ebbene oltre a cedere il business dei PC, sui suoi server è caricato Linux, che ha sconfitto i lucrosissimi OS proprietari.

Fin qui il motivo scatenante di ciò che nella tua e-mail viene dopo e che è un vero e proprio paradigma della contraddizione sociale: il confronto che ognuno di noi è costretto a fare tra l'immenso lavoro di Marx, Engels e altri giganti, e la meschinità lillipuziana dell'esistenza sotto il dominio del Capitale e della sua ideologia. E veniamo dunque al quesito: può una cellula individuale di un organismo relazionarsi con il mondo "esterno" e trasmettere per conto suo informazione che fa parte del "sistema logico" di una intera comunità che lavora da decenni? Se abbiamo capito bene, la risposta non è difficile. Prima di tutto non c'è il manuale di istruzioni per l'uso della macchinetta n+1. Non esistono regole codificate per la comunicazione interna ed esterna. Va bene la trasmissione analogica (comportamento), quella digitale (testi), il tam-tam, i segnali di fumo, Internet, e il teletrasporto di Star Trek se esistesse. La sottoproduzione di fesserie (l'eliminazione è impossibile) si raggiunge con la partecipazione. Non nel senso banale di "andare alle riunioni", ma nel senso profondo di "sentirsi partecipi di", appartenere a qualcosa, programma, comunità, lavoro, chiamala come vuoi. Detto questo, però, l'importante è, appunto, non fare la fine di quelli di Zardoz. Se si riesce a raggiungere il senso della comunità senza la celestiale chiusura zardoziana (che comunque ha bisogno di bestie-sbirri), allora la comunicazione viene di conseguenza.

La comunicazione, anche quando è spiegazione razionale, è insufficiente. Non ci sarebbero più cristiani, stalinisti, opportunisti, no-gobal, buddisti, figli dei fiori, utopisti vari, esoterici, satanisti, ecc. ecc., se bastasse spiegare che ognuna di queste credenze si fonda sull'irrrazionale. Il fatto è che la maggior parte dell'umanità preferisce fare a meno di spiegazioni. Abbiamo appena fatto circolare nella nostra rete alcune lettere di un giovane pieno di dubbi, allegando la nostra risposta. Ebbene, cosa c'è di razionale in tutta la sua voglia e nello stesso tempo impossibilità di capire un mondo che secondo lui è privo di senso? Se non si collega l'insensatezza con la struttura del capitalismo si rimane in un vicolo cieco perché il capitalismo si può battere, l'astratta insensatezza no. È vero: il tentativo rivoluzionario del 1917 è fallito elevando lo stato a leviatano assassino e il partito a una sua appendice invece di estinguerli. Oggi ne subiamo le conseguenze. C'è una forte "apparenza" di razionalità in quelle lettere, ma l'umanità non ha mai potuto rispondere al quesito principe che l'uomo si è posto di fronte a tutti i "governi": chi controlla il controllore? È un paradosso infinito che assomiglia al gioco dei "perché" tanto gradito ai bambini.

Curioso il passo in cui sembri fare il verso ai nostri critici finendo poi per crederci anche tu, come si evince dal finale. Non abbiamo manuali del militante. L'indottrinamento, l'educazione delle masse come dicevano i rappresentanti dell'ultima rivoluzione (degenerata), non è nel nostro codice genetico. Abbiamo certo un programma, anche nell'accezione di progetto, ma siamo certi che un partito-anticipazione della società futura non si "costruisce", ma si forma e si sviluppa in base alla possibilità di convergenza fra la situazione reale e il programma stesso. Grazie tante, dirai tu, e allora che si fa? si aspetta? Questo ce lo chiedono gli avversari, e intanto, loro che non aspettano, ci offrono chiara la misura dei loro successi rivoluzionari. L'unico approccio che n+1 conosce, ed è l'unico che è coerente col programma, è mirare ad avere risultati quantitativi per mezzo di quelli qualitativi. E per adesso non siamo smentiti: chi si avvicina a noi, anche solo per leggerci, è attratto dalla differenza.

Il mutismo non è una soluzione, anzi. Se si ha un minimo di convinzione che la sottoproduzione di fesserie in n+1 funziona, e c'è anche quel minimo senso di appartenenza, bisogna buttarsi. Il "meglio" verrà dopo. Nessuno calcolerà il "rating" di perfezione di qualcun altro. Quando ci vediamo alle nostre riunioni generali tre o quattro volte all'anno non è per "ascoltare" delle relazioni che qualcuno prepara, ma per mettere in moto una conoscenza collettiva, anche rischiando le fesserie. Ci penseremo dopo a correggerle. Si diceva prima che è impossibile eliminarle del tutto. Meno male. L'imperfezione stimola al suo superamento, così come nella teoria dell'informazione l'unica possibilità evolutiva di un sistema risiede non nell'informazione già esistente, palese, ma nel "rumore", cioè nel caos. L'istinto come criterio di comunicazione è ottimo, esso è analogico, caotico, molto promettente. Per il mondo vivente esso è "il piano di vita delle specie".

Noi siamo soddisfatti un po' perché consapevoli, di più perché a istinto ci sentiamo a posto con il cambiamento. Che cos'è il "militante"? Mah, noi su questo tema abbiamo scritto una "Lettera ai compagni" intitolata Militanti delle rivoluzioni. Non ci va bene la definizione del vocabolario. "Attivista" è appunto colui che attiva o si rende attivo. Giustamente, per che cosa? Come diceva Amadeo Bordiga, sono tutti capaci a muovere il culo per qualche giorno o anno. È muovere il mondo che è difficile. Nessuna rivoluzione ha mai prodotto gente che aspetta dietro alla porta. Vediamo le tre ultime (due e mezza per la verità): i cristiani hanno formato la loro comunità "altra" negando quella esistente e raccogliendo la loro storia-memoria-programma in testi canonici; i borghesi hanno dato vita alla loro comunità commerciale e produttiva esprimendo un programma che diffondevano di salotto in salotto (che non era quello che intendiamo oggi) e scrivendo l'Encyclopédie, vera artiglieria contro l'ancien régime; i proletari non hanno niente, ma hanno la possibilità di anticipare la società futura tramite la comunità-partito, basata anch'essa su un programma storico. Nessuno ha aspettato nascosto dietro la porta, tutti, da San Paolo a Lenin, hanno contribuito a sviluppare una comunità anticipatrice, con la sua rete verso il cosiddetto esterno. "Nella misura in cui i reali rapporti di forza lo consentono", aggiungono le nostre tesi. Altrimenti si cade nella velleità dell'attivista, quello del vocabolario.

Il problema della chiusura sembra tremendo ma non lo è. All'inizio i protagonisti delle rivoluzioni ricordate erano quattro gatti, in tutti e tre i casi. Intorno a loro c'erano masse indistinte e spesso infide. Il successo delle rivoluzioni non è mai stato un problema di numero ma di coerenza con il cambiamento in corso. I numeri vengono dopo. Certo, ci chiediamo tutti cosa fare per farci conoscere e, non preoccuparti se anche a te succede. Ma, appunto, non c'è altra soluzione che quella di essere coerenti con il cambiamento in corso.

Rivista n. 37