Realtà e non-teoria della conoscenza

Carlo Rovelli, La realtà non è come appare
Raffaello Cortina Editore, 2014, pagg. 241, euro 22.00

L'autore non ha dubbi: nella sua carrellata sulla storia della fisica, fino al tentativo di unificare la teoria della relatività con la meccanica quantistica, si schiera dalla parte della teoria standard, indeterminista. Del resto, da quando le opzioni alternative sono cadute, di esse si può parlare solo in senso storico. La "realtà" è conoscibile? Il problema sta in quelle virgolette. La realtà non c'è più, o almeno non è quella che si crede. Non solo non è quella che "appare", come è detto nel titolo, cosa già risolta a iniziare da Galileo per finire alle moderne neuroscienze, ma neppure quella che dovrebbe essere l'obbiettivo conoscitivo della scienza.

Oggi Rovelli, al pari di qualunque altro fisico, è costretto ad affermare quattro cose: 1) che la nostra concezione del reale va cambiata; 2) che non si sa come cambiarla; 3) che il fisico Richard Feynman aveva ragione quando affermava che nessuno può dire di aver capito la meccanica quantistica; 4) che siccome funziona alla grande, è meglio lasciare le domande sui "perché" a quando ne sapremo di più.

La galoppata storica fra grandissime scoperte che fanno parte di una teoria universale della conoscenza è scritta con piglio sicuro, non banale e nemmeno per iniziati. Ciò che più ci interessa nel consigliarlo, è che il testo può servire da campo di esercitazione per riflessioni sulla nostra teoria della conoscenza. Non che la scuola di Marx abbia inventato una scienza comunista, scemenze da proletkult, ma certo ha insistito fin dal 1844 sul fatto che non si sarebbe arrivati da nessuna parte se l'uomo non l'avesse fatta finita con i dualismi anima/corpo, pensiero/materia, discreto/continuo, umanesimo/scienza e così via. La meccanica quantistica potrebbe essere la strada buona per superare dualismi, anche se li conserva al proprio interno. La discretizzazione della realtà non ha infine dimostrato, paradossalmente, che l'universo intero è composto di parti in relazione continua?

Rovelli ha l'accortezza di agganciarsi tutte le volte che può alle forme di conoscenza che hanno preceduto la scienza moderna, per esempio la filosofia antica. Così il percorso diventa più chiaro, perché si tocca con mano la necessità di integrare conoscenze "sparse" in un tutto al solito più potente che non la somma delle parti. Sarà questo ormai un luogo comune, ma quando si viaggia in terra di confine come con la meccanica dei quanti, tutti possono contribuire alla conoscenza e Rovelli ne cita molti, dal filosofo greco al matematico d'oggi.

I limiti della fisica contemporanea sono messi in evidenza. Se scompare la differenza fra concetto di campo (sfera del continuo) e quello di materia (sfera del discreto), come possiamo immaginare la realtà? Soprattutto, come facciamo ad accettare, dal punto di vista della nostra co-evoluzione con la "materia sensibile", il fatto che tutto sia "fluttuazione"? È oggettivamente difficile accettare il "fatto" che una particella sia allo stesso tempo onda o materia per rivelare la propria natura solo quando la osserviamo. Più difficile ancora, per i nostri poveri sensi, è accettare l'interpretazione più radicale della MQ (che non è quella dell'autore): indipendentemente dalla realtà, la teoria ci informerebbe soltanto sulle cose che accadono, non su quelle che sono. E siccome l'osservatore fa parte della realtà, quest'ultima potrebbe essere semplicemente l'informazione che egli possiede su di essa.

Rivista n. 37