Ancora sulla transizione

Nel 1992, mentre preparavamo la pubblicazione cartacea degli scritti della nostra corrente, raccogliemmo in volume tre articoli sulle transizioni da un modo di produzione all'altro nella storia della specie umana. Nel primo dei tre, che dava il titolo alla raccolta (Dottrina dei modi di produzione) era specificato che non si poteva comprendere la dinamica storica presente senza comprendere quella del passato. Le transizioni avvenute in tutta la storia umana erano la chiave per capire la prossima. Se, vi si diceva, l'insieme dei modi di produzione del passato è n, la società futura sarà n+1, perché ingloberà tutte le precedenti; per capire la storia dell'uomo e delle sue forme sociali, occorre mettersi in n+1, quella che le riassume tutte. E vi si affermava addirittura che chi non capiva l'importanza delle transizioni passate per la definizione di quelle successive non poteva dirsi comunista. Stavamo scrivendo le prefazioni per ogni testo che andava in stampa e ci sembrò indispensabile spiegare che cosa significava quella notazione matematica e collegarla all'importanza attribuitale nel testo. L'argomento era così gravido di implicazioni che non solo ce ne occupammo in detta prefazione ma decidemmo di fare un lavoro specifico da presentare in un libro. E n+1 sarebbe diventato il titolo della nostra rivista. Raccogliemmo una gran quantità di materiale, frutto di ricerche, letture, riunioni e corrispondenze, e per un certo numero di anni lasciammo decantare il tutto senza riuscire a dar corpo a un testo completo. Riprendemmo lo studio dell'argomento dopo un periodo di tempo piuttosto lungo e il risultato cominciò a comparire sulla rivista.[66] La corrispondenza che segue è un contributo giunto dall'estero dopo che chi ci scrive ebbe modo di consultare i materiali preparatori in vista della pubblicazione. Il testo è stato scritto direttamente in un italiano abbastanza buono, perciò abbiamo corretto evitando interventi invasivi.

 

Il lavoro che si sta svolgendo sulle grandi transizioni della storia dell’umanità è formidabile e le conseguenze che ne possiamo trarre sulla "fine della preistoria umana" sono veramente vivificanti. L'avanzamento di questo lavoro deve essere una preoccupazione costante e quando sarà maturo si dovrà pubblicare integralmente in un grosso volume.

Sarò in viaggio per diverse settimane, quindi ho con me soltanto ciò che è sul computer. Vorrei esporre alcune "mie" riflessioni riguardo al percorso seguito entro questo lavoro collettivo. Da Marx sappiamo che la specie si pone solo problemi ai quali può rispondere. Nei loro primi passi gli uomini si sono dotati del principale strumento per rispondere: l’istinto. Quello umano non è come quello animale. Per noi è un piano di vita che copre tutta la storia passata, presente e futura della specie. Il comunismo nel quale siamo vissuti per milioni di anni, ha continuato ad esistere dentro di noi e nelle varie fasi della storia della proprietà e delle classi, quella che va dalla prima grande transizione a quella prossima. Sul piano storico è molto breve e non ha avuto il tempo per cancellare l'istinto comunista. Per questo dico che l'umanità si pone, tramite Marx, la domanda sulla società futura comunista: perché ha già la risposta. La transizione dal comunismo originario a quello sviluppato, quei tre o quattromila anni di società di classe, determina tutta la storia futura della nostra specie, ma perché nel frattempo il comunismo non è scomparso, come se la storia potesse "sospenderlo". Anche n+1 ha fatto un lavoro sulla "persistenza" del comunismo nella storia. Questo è giusto ma credo che bisogna aggiungere una cosa: durante la prima transizione, quando incominciano a formarsi le classi e la proprietà, gli uomini non sapevano ancora nulla di classi e proprietà. Vedevano che la loro vita stava cambiando, probabilmente ci sono state delle rivolte, ma non potevano a quello stadio di sviluppo capire quali fossero le leggi di questo sviluppo, come mai la proprietà si era formata e come mai una classe l'aveva usata a scopo di dominio. Se non ci fosse stato l'istinto del comunismo che si manifestava in qualche angolo di società, non ci sarebbero state rivoluzioni. Come dice la Sinistra, tutte le rivoluzioni sono comuniste, vanno verso la Terra Promessa, contro le condizioni esistenti. E questa stessa mia ultima frase in realtà è di Marx ed è la definizione di comunismo. Se non ci fosse questo istinto l'umanità andrebbe incontro a una degenerazione, si estinguerebbe addirittura. Ogni giorno nascono 75.000 bambini che non sanno niente di proprietà, di capitale, di classi e strillano che vogliono mangiare.

In altri termini, le questioni che ci poniamo oggi sulla prima grande transizione, mentre siamo a cavallo della seconda, contengono la chiave (mediante il marxismo) per capirla e affinare di conseguenza il discorso sulla "fine della preistoria umana" di cui parlava Marx. In effetti l'umanità è comunista, e oggi lo è non nel senso primitivo ma nel senso modernissimo di "saggi di comunismo" anticipati che abbiamo visto diverse volte. Il capitalismo è ancora nella preistoria umana perché non ha ancora consentito di liberare il comunismo sviluppato. L'archeologia ci mostra delle rotture di passaggio fra le forme sociali, ma ci mostra anche una continuità negli invarianti (famiglia, lavoro, denaro, proprietà, stato) che passano sotto trasformazione da un'epoca all'altra. Non ci sono dubbi che siamo nella preistoria umana, ma vediamo questi saggi di comunismo, oggi più evidenti che mai, e quindi ci chiediamo se sono il prodotto di una "creazione dal nulla" o il risultato di processi materiali. Anche la persistenza istintiva è un processo materiale. Abbiamo dei caratteri innati, un linguaggio, una memoria, una coscienza che gli animali non hanno (qualunque cosa essa sia).

Voglio alludere qui a una delle sistematizzazioni della sinistra benché sia apparsa sotto forma di corrispondenza fra compagni. Non abbiamo qui la documentazione, ma certo riconoscerete i testi. Bisogna premettere che siamo negli anni '50 del secolo scorso. Da una parte abbiamo un'area del pianeta capitalisticamente matura per la rivoluzione comunista, nella quale si possono prendere misure immediatamente comuniste; dall'altra abbiamo aree a sviluppo differenziato, in genere molto arretrate rispetto all'area matura, dove le misure da prendere possono essere anche quelle della rivoluzione borghese. Vi è stata la rivoluzione russa, in cui il proletariato si assumeva anche compiti borghesi, definita da Lenin stesso come "speciale". Vi può essere anche uno scenario con un'area dove la rivoluzione ha vinto, il partito comunista è al potere, ma è accerchiata dalla controrivoluzione. È del tutto evidente che, nonostante viviamo in un pianeta a forma capitalistica dominante, le sovrapposizioni di forma sono notevoli. Se da una parte le transizioni, ad analizzarle secondo la forma dominante, sono nette, dall'altra presentano aspetti di continuità, come nella dissolvenza incrociata di un film.

Ora, trasportiamo queste caratteristiche al tempo della prima transizione. Prendo come esempio l'area cinese e quella indiana attuali. Si può fare perché in quelle aree persistono caratteri arcaici che assomigliano a quelli presenti alla prima transizione. Mantengono con essa un rapporto simile a quello che Lenin vedeva tra Russia e Germania: sono due pulcini differenti che nascono nell'uovo d'acciaio del più evoluto. Ognuno da solo non riesce a nascere, ma se si mettono insieme raggiungono la forza sufficiente per spaccare il guscio d'acciaio. Era il 1920, quindi la parabola non rappresentava ancora la tattica del fronte unico (anche se quest'ultimo era già nei fatti fin dalla fondazione dell'IC nel 1919).

Penso che il paragone sia valido perché Marx parla dell'Asia come della matrice di tutte le forme sociali che si sono succedute. Infatti i Greci e i Romani hanno origini orientali, così come i Germani che hanno portato dall'Oriente la lavorazione dell'acciaio damascato, la staffa per il cavallo e l'ordinamento feudale. Il fatto che l'India fornisca un così grande contributo alle civiltà altrui senza trattenere per sé i frutti è certamente il segno di una persistenza di comunismo primitivo degenerato. Anche la Cina ci presenta, accanto alla forma asiatica ben sviluppata, forme ibride comuniste (grandi comunità di villaggio) e pseudo-feudali (i signori della guerra).

Se l’istinto del quale abbiamo parlato prima ha un senso, lo troviamo sul confine sfumato che separa le forme sociali. Il comunismo, non potendo morire nonostante l’alienazione crescente dovuta all’intensificazione degli scambi, immancabilmente trova la soluzione per il passaggio alla forma successiva. Qui risiede il paragone fra l’India antica e la Russia del 1917. In entrambi casi il comunismo porta alle estreme conseguenze la forma politica adatta a sé stesso, forma che la società nascente usurpa, adopera, fa sua. La centralizzazione della produzione, della distribuzione e della contabilità attraverso magazzini collettivi diventa stato. È una delle cose più chiare dell'archeologia. E nella forma asiatica ciò è particolarmente evidente perché non c'è l'ulteriore sviluppo, la società si cristallizza.

In Cina, specialmente, vi sono periodi sia antichissimi che più vicini a noi, in cui la conservazione dei caratteri comunisti non ha più nulla di primitivo e non è ancora stato, benché incominci ad essere "esterna" ai bisogni della popolazione. Il concetto di "impero" in Cina va trattato con attenzione, perché l'imperatore era il garante della conservazione di strutture antiche. Quello che ho chiamato "istinto" collettivo si può vedere molto bene nella struttura del cosiddetto impero incaico. Là per l'ultima volta con tale estensione e con tali caratteri, il comunismo primitivo/sviluppato (mi sia permessa la contraddizione) ha lasciato testimonianze della forza vitale di quello che in tutta l'infanzia della umanità non era ancora un vero "modo di produzione" ma un organismo sociale con i suoi organi, le sue cellule, il suo sangue, il suo metabolismo. Essendo una forma comunistica meno ibridata, è quella che più di tutte ha sofferto con l'impatto di forme sociali più evolute. Non l'ha salvata l'istinto ma anzi l'ha affossata, perché si è trovata di fronte a un qualcosa cui non poteva rispondere, una civiltà aliena che non faceva parte del piano di specie. Contro la quale non c'erano difese.

Continuando il percorso, vorrei citare due brani fondamentali. Non avendo però le citazioni originali sottomano, cerco di esporle a memoria.

Prima citazione. Nelle note di letture di Marx su James Mill, c’è un passaggio dettagliato dove egli mostra che l’anarchia della produzione ha le sue radici nello scambio o baratto. La sua dimostrazione è similare a quella del primo libro del Capitale quando dimostra in maniera irrevocabile che, benché il capitale si caratterizzi per la riproduzione allargata, l’ineluttabilità delle crisi è già iscritta nella riproduzione semplice. Il baratto, dice, è l’inizio dell’alienazione e con esso si arriva inevitabilmente alla produzione per la produzione che raggiunge il suo massimo nella follia capitalista.

Seconda citazione. La Sinistra, come sempre, rende le posizioni marxiste ancora più pungenti. Non si può più parlare di comunismo a partire dal momento in cui le comunità primitive incominciano a scambiare uomini, surplus e soprattutto beni raccolti o prodotti appositamente per lo scambio.

Il comunismo primario copre il periodo nel quale c’è un’unità organica della specie. Quest’unità sparisce quando gli uomini cominciamo a barattare in modo non occasionale. Certo ci furono molti baratti occasionali prima che questa pratica si stabilisca in modo continuo in tale o tale posto. Marx spiega che entro il tessuto di comunità ancora comuniste alcuni popoli come gli ebrei si specializzarono in quest’attività. Ma il punto fondamentale qui è che il comunismo non conosce lo scambio o baratto fra gli uomini. Possono rimanere isole comuniste, ma a condizione di non scambiare niente, né all’esterno, né all’interno. La conoscenza di queste isole (come gli Inca) è importantissima per verificare le nostre posizioni teoriche e dunque verificare il nostro schema sulle successioni, ma l’umanità nell’insieme con lo scambio entra nell'epoca dell’economia, nel senso dell'alienazione crescente dell’uomo.

Anche se la forma asiatica sembra mostrare una certa continuità col comunismo primitivo, la differenza è essenziale e si può dire che il fatto di praticare il baratto è una prova di primo ordine. Il carattere ibrido non è un fatto essenziale: si trovavano isole comuniste in Europa anche al tempo di Marx. Di fatto, anche in presenza di proto-Stato e proto-classe troviamo nella forma asiatica la prima mistificazione vera e propria, che consiste nel mascherare il contributo della società comunista alla forma sociale cosiddetta asiatica. Questa, praticando lo scambio anche senza conoscere la proprietà, si avvia inesorabilmente verso la società di classe. Il confucianesimo nel caso cinese è una forma elaborata della mistificazione di questa prima forma non comunista.

Confucio attribuisce non a caso a grandi personaggi maschili la realizzazione delle grandi opere di Yu per l’irrigazione, come quelle citate nelle bozze. Ma si sa che questa versione si è imposta al prezzo di una cancellazione dell’antica mitologia cinese, fatto che non può che nascondere avvenimenti catastrofici come quelli riportati nelle bozze a proposito del Mediterraneo nel XII secolo a.C. Che diceva il mito? Una donna, Nüwa, ha evitato che il cielo si schiacciasse sulla terra permettendo così la nascita della vita. Gli uomini furono ingrati, la legarono a terra e la uccisero. Dalla decomposizione del suo corpo nacque tutto ciò di cui gli uomini avevano bisogno per vivere. Questo mito esiste in varie versioni in grande parte dell’Asia. Non è difficile discernere l’ambiente matriarcale, l’apporto della società comunista e il passaggio violento alla forma successiva. Nell’opera di Confucio non esiste nessuna allusione a questo mito, ma troviamo nel periodo successivo dei regni combattenti storie di streghe che si dovevano ammazzare per assicurare la vita sociale normale. La distruzione del matriarcato che con abbastanza regolarità marca la transizione del comunismo primitivo alla forma asiatica, si vede poco nei siti archeologici ma abbastanza bene nelle mitologie, un po’ dovunque nel mondo.

È importantissimo stabilire che le società ancora nella fase comunista (cioè che non conoscono lo scambio, di sicuro all’interno ma anche verso l’esterno) hanno anticipato la soluzione di problemi che dovrà risolvere il comunismo superiore. Per esempio gli Inca (benché sicuramente in fase di asiatizzazione quando furono distrutti dagli Spagnoli, ma le loro realizzazioni ci mostrano l'esistenza di una società organica comunista) hanno mostrato la vitalità di questa forma, sottolineata da Marx. Anche i cinesi della forma asiatica hanno costruito, in un periodo molto più lungo, tanti campi a terrazza come quello degli Inca, tanto per fare un solo esempio.

Se avessimo bisogno delle realizzazioni di una forma non comunista, anche fortemente ibrida come quella asiatica per dimostrare la possibilità di una regolazione omeostatica della vita della specie sarebbe rovinata nostra teoria. Certo, quella asiatica è ben più capace di omeostatizzazione delle forme successive. Ma da dove le viene questa capacità? La risposta non è banale come la consueta risposta dei borghesi sulla complessità crescente delle società. Viene "semplicemente" dalla prossimità del comunismo primitivo. Nella stessa maniera che il capitalismo nella sua prima fase assoggetta formalmente i modo di produrre delle forme anteriore alle leggi di produzione capitaliste, la forma asiatica aggrega comunità comuniste senza perturbare il suo funzionamento interno.

Ma, diranno gli scettici, come si applica la formidabile dimostrazione offerta dalla specularità fra la prima e l'ultima transizione, adesso che siamo così lontani dal comunismo primitivo? Qui ancora la risposta è semplicissima: per la stessa ragione di prossimità col comunismo, ma non quello primitivo, bensì quello dell’ultima transizione, quella che già è in atto nel grembo di questo società e detta i suoi passi al zombie capitalista, aspettando che si faccia saltare definitivamente l’involucro dall’ennesimo rappresentante di tutte le società di classe.

La Sinistra Comunista è stata l'unica corrente che ha dato una spiegazione del fascismo collocando il fenomeno in sequenza storica e non solo per le sue caratteristiche sovrastrutturali. È stata l'unica corrente che ha dimostrato come il fascismo abbia agito anticipando (ovviamente come poteva, in contesto capitalistico) le istanze organizzative della rivoluzione. Il fascismo non si contrappone alla democrazia guardando all'indietro ma al comunismo, guardando avanti. L'organizzazione dello stato fascista è l'antitesi della dittatura del proletariato, non della democrazia borghese. D'altro canto l'estremo tentativo di conservazione del capitalismo può avere successo unicamente nell'impossessarsi di forme nuove, non di forme del passato, quelle le ha già provate tutte. Parafrasando Marx, il vampiro ha sete di sangue fresco.

Qui ancora non tengo la referenza esatta per la citazione, ma è sicuramente nella corrispondenza Damen-Bordiga, nel passaggio dove si dice che il piano politico e il piano economico possono divergere. Nella rivoluzione russa, comunista, la base economica era capitalista. Nella storia si possono trovare anche isole comuniste (il comunismo è il programma per la specie) in contesto antico, feudale e anche capitalistico. A questo proposito si pensi all'antica civiltà di Ebla, che poggiava su di una organizzazione tardo-comunista della produzione e della distribuzione, ma era nello stesso tempo in "transizione di fase" e quindi stava già sviluppando un organismo centrale tendente allo stato, per di più praticando lo scambio a larghissima scala.

Per riassumere: si dovrebbe differenziare strettamente il primo periodo comunista dell’umanità, quello in cui la vita era completamente organica, e non sovrapporlo con la forma asiatica anche se questa, come tutte le forme, nasce rivoluzionaria ereditando caratteri comunistici. La continuità della forma asiatica la dobbiamo cercare con le forme di classe successive, fino a quella capitalista, dentro la quale sopravvive. C’è una rottura fra il comunismo e la forma asiatica, e il fenomeno più visibile è la distruzione del matriarcato. Ma c'è anche una rottura fra la forma asiatica e quella antica, e ciò fa della forma asiatica una specie di eccezione difficilmente collocabile nella storia dei modi di produzione. Tutte questo credo che sia in coerenza con la "struttura frattale delle rivoluzioni".

 

Abbiamo letto attentamente le tue note e ne terremo conto, insieme con quelle inviate dagli altri compagni che partecipano alla nostra "redazione diffusa". In generale non ci sono contro-osservazioni, tranne forse l'individuazione da parte nostra di qualche forzatura sulla logica degli insiemi sfumati. Non si capisce infatti perché mai dovrebbe esserci una sovrapposizione di forme a Ebla e non nelle civiltà a struttura "asiatica". Dovremo capire bene che cosa intendi, ma ci sembra che se la forma incaica è tardo-comunistica, a maggior ragione lo è quella egizia, almeno fino al Medio Regno, o quella ittita, o quella vallinda. Comunque è un problema che si può risolvere facilmente con l'estensione delle già esistenti parti esplicative del testo. È da tenere presente il nocciolo della nostra ricerca: la testarda persistenza di elementi di comunismo nonostante la dissoluzione della forma primaria (comunismo) e l'affermazione di quella secondaria (società antico-classica) attraverso la grande biforcazione "asiatica".

Rimane una vecchia questione, già affrontata più volte in passato nel corso del lavoro comune e risolta solo in parte, cioè quella dello "scambio" in contesti non capitalistici. Ci siamo finora attenuti a una scaletta basata sugli insiemi logico-diacronici (eventi analoghi non simultanei e a differente sviluppo nel tempo) di Marx che, integrati con le nuove evidenze archeologiche, sono:

1) paleolitico e mesolitico o comunismo originario (Morgan, Engels, Childe: stato selvaggio); assenza di proprietà, di classi, di stato; c'è sicuramente un'industria litica con produzione in serie di oggetti (amigdale, raschiatoi, bulini, punte di lancia e di freccia) ma non c'è specifica produzione di surplus, anzi, questo viene sempre annientato (olocausto, dono, festa); è presente unicamente il baratto primario, cioè riguardante oggetti esistenti in natura e materiali trovati o cercati (selce, ossidiana, ocra, conchiglie);

2) neolitico o comunismo originario (Morgan, Engels, Childe, barbarie inferiore); assenza di proprietà, di classi, di stato; comparsa dell'agricoltura, dell'allevamento e quindi di un surplus che rende possibile la trasformazione della divisione tecnica del lavoro in divisione sociale; industria litica e ceramica con produzione in serie di oggetti; inizio della dissoluzione del rapporto uomo-terra-mezzi di produzione; specifica ricerca di materiali esistenti in natura (prime cave e miniere) al fine di realizzare uno stock barattabile; idem per il surplus artigianale e agricolo-pastorale, quindi estensione del baratto e formazione di un proto-mercato, sebbene non esista ancora il concetto di valore e tantomeno lo scambio tra equivalenti;

3) calcolitico o comunismo originario di transizione (tardo neolitico età del rame/pietra; Morgan, Engels e Childe: barbarie superiore); il periodo più complesso e difficile da "insiemizzare"; i caratteri sono gli stessi del neolitico ma con alcune differenze sostanziali: nascono la metallurgia (il minerale di rame fonde a 1.100°C, occorre un forno a fuoco soffiato con mantice), l'urbanesimo propriamente detto e gli scambi generalizzati non solo fra comunità locali ma fra estesi insiemi centralizzati di più comunità; gli elementi comunistici permangono molto visibili anche se si forma una radicata divisione sociale del lavoro; lo scambio incomincia ad essere "valutato" attraverso unità di misura virtuali (1 vitello o un maiale = 3 capre o 20 galline e viceversa, forma-valore semplice);

4) bronzo (Morgan ed Engels: società antico-classica, Childe: civiltà o "rivoluzione urbana"); in realtà le evidenze archeologiche mostrano "civiltà (cioè non-barbarie) calcolitiche come quella vallinda, e comunistiche come quella incaica; se si utilizza il paradigma megalitico l'età del bronzo è comunistica, se si utilizza quello omerico-miceneo è proto-classica; è solo nell'età del bronzo che compare la forma valore sviluppata (1 vitello, 1 maiale, 3 capre o 20 galline = 1 certo peso di rame o d'argento, o d'oro); nel bronzo antico lo scambio è ancora secondo valore virtuale, cioè il metallo è solo un riferimento astratto, non viene posato sul bancone di vendita; nel bronzo recente troviamo infine il denaro metallico monetato come equivalente universale (Lidia, VI secolo a.C.). comparire

5) Marx pone la forma asiatica fra il comunismo originario e la società antico-classica. Ciò pone problemi diacronici, ma facilmente risolvibili. Più difficile invece descrivere il nesso fra la forma asiatica e tutte le forme di transizione vistosamente ibride (Minoici, Vallindi, Egizi, Eblaiti, ecc.), tutte con scambio sviluppato.

Il problema sta nella semantizzazione moderna della parola "scambio": in un organismo vivente ogni organo e ogni cellula "scambia" molecole e quindi energia con l'ambiente in cui si trova; e tutto l'organismo "scambia" qualcosa con l'ambiente. Si tratta ovviamente di un flusso di reciprocità dove il valore non c'entra nulla, a meno di non considerare una generale equivalenza termodinamica che però non rientra nel discorso che stiamo facendo. In generale lo scambio di tipo economico può esistere solo dove esistono differenze. Fra due comunità si possono scambiare eccedenze il cui valore d'uso è prossimo allo zero per l'alienante e molto alto per l'acquirente; ma per lo stesso movimento all'interno di ogni comunità non ha senso parlare di "valore", circolano oggetti utili a tutti e basta. Perciò da una ventina di anni utilizziamo il termine "metabolismo sociale" per indicare il movimento organico di materia ed energia all'interno della società comunista, sia essa primordiale che sviluppata.

Va anche ricordato che un articolo della nostra serie "Manifesto politico" (o di Forlì), comparso sul n. 1 della rivista, tratta proprio di un esempio anticipato di questo metabolismo sociale, cioè di rapporti comunisti integrali visibili già nella società capitalista: entro la fabbrica l'operaio parziale partecipa a un flusso di materia ed energia senza che intervenga in alcun punto della catena di eventi uno scambio di valore.

All'interno delle comunità comunistiche non c'era altro, a maggior ragione, che metabolismo sociale. Cosa succedeva invece nei contatti con altre comunità quando il baratto consentiva lo scambio in doppia direzione? Tra le comunità a comunismo pieno del paleolitico nulla di diverso da ciò che succedeva al loro interno oppure tra esse e la natura: all'interno autoproduzione collettiva in ciclo chiuso, il metabolismo è integrale, tutto si consuma; verso l'esterno idem: si raccoglie o si caccia cibo e si lasciano alla natura i prodotti del metabolismo, concime, anidride carbonica, carcasse di individui morti, ecc. Nella logica degli insiemi nasce sempre un paradosso quando si cerca di descrivere un insieme che comprende sé stesso: se tutte le comunità sono comunistiche, l'insieme degli insiemi è comunistico e i confini interni scompaiono (anche se le comunità si fanno la guerra e i vincitori si mangiano i vinti, come dice Engels, metabolizzandoli).

Marx lo spiega nel Primo libro del Capitale, capitolo II: la comunità primigenia non conosce il rapporto di mutua estraneità fra gli individui, e solo nei punti di contatto con altre comunità si manifesta l'esigenza di un confronto fra prodotti, i quali però non diventano merce finché non vi sia il tentativo di sostituire il valore d'uso con quello di scambio. Il solo valore d'uso non è computabile, il valore di scambio sì. Il valore d'uso non ha bisogno del valore di scambio, mentre quest'ultimo ha sempre bisogno di essere abbinato al primo; il prodotto diventa merce nel lungo processo di ricerca dei criteri di computabilità del valore d'uso, nella comparsa del valore di scambio. Prima non c'è merce. Una comunità primigenia che viva in una vallata vulcanica e scambi ossidiana con le conchiglie di una comunità marina che ne abbia in abbondanza non compie un'operazione diversa da quella che avviene giornalmente quando all'interno delle due comunità alcuni membri mettono in comune i prodotti della raccolta e altri quelli della caccia.

I conquistatori spagnoli del Perù raccontano di "mercati" affollatissimi nelle città incaiche di fondovalle verso il mare. In una civiltà quasi integralmente comunistica senza proprietà, classi, Stato e denaro (nemmeno nella forma valore semplice) questi "mercati" non erano altro che "membrane osmotiche" (cioè veicoli di scambio molecolare organico) fra le comunità montane e quelle marine. Ciò ai tempi della Conquista succedeva già da più di 4.000 anni, come hanno dimostrato gli scavi recenti di Caral (2.600 a.C.). Le cronache spagnole parlano di "mercanti" sottoposti al controllo dell'Inca come se il sovrano avesse il "monopolio statale del commercio estero". A parte lo sciocco anacronismo, in realtà l'Inca, come rappresentante della comunità intera, doveva avere il controllo non solo dei flussi interni di cibo e prodotti, ma anche di quelli esterni. E i contatti con "l'estero" avevano la stessa funzione osmotica di quelli ottenuti con i "mercati" interni. Gli spagnoli, non riuscendo a capire come potesse funzionare un "mercato" senza denaro e senza corrispettivi di valore, chiamarono "mercanti al modo degli indios" gli individui che mediavano lo scambio. Prima della Conquista il numero di tali "mercanti" era stabilito dall'Inca e non superava i 6.000 in tutto l'immenso territorio.

Note

[66] Uscirono tre articoli, sui nn. 26, 27 e 28 (Struttura frattale delle rivoluzioni, La prima grande rivoluzione, Modo di produzione asiatico?). Il piano di lavoro ne prevedeva almeno altri quattro: uno sull'avvento della società antico-classica, un secondo sul suo crollo e sull'ascesa del feudalesimo (pubblicato nel n. 35), un terzo sulla vittoria della borghesia, un quarto sulla Seconda Grande Rivoluzione (comunista). Nel frattempo sono stati pubblicati alcuni articoli inerenti: Un'antica forma sociale comunistica già urbana (n.9), Persistenze comunistiche nel corso della storia umana (n. 12), Uno spettro si aggira per la rete (n. 25), Marcati sintomi di società futura (n. 35).

Rivista n. 39