Energia "pulita"

Nel 2015, per la prima volta, gli investimenti nell'energia solare hanno superato quelli nell'energia ricavata dalla combustione di gas e carbone. Entro il 2016 gli Stati Uniti li raddoppieranno e la Cina, che possiede già più impianti solari di qualsiasi altro paese nel mondo, triplicherà la potenza installata entro il 2020. Molti paesi si stanno incamminando sulla stessa strada. Tutto bene dunque? Non volevamo tutti quanti sganciare l'economia dalla servitù delle fonti energetiche non rinnovabili? No, non va tutto bene, l'energia dal Sole costa, e il boom degli investimenti si è alimentato con aspettative esagerate (e con aiuti statali).

Secondo il Wall Street Journal si sta creando una situazione pericolosa (flirting with disaster): un'analisi dei debiti (una dozzina di miliardi di dollari) della più grande azienda del mondo nel campo delle energie rinnovabili, l'americana Sun Edison, mostra che questa è non solo a rischio di bancarotta, ma è sotto inchiesta da parte della Commissione Federale per il Controllo della Borsa. Sembra che abbia racimolato capitali da investimento con elaborate operazioni di ingegneria finanziaria, il che fa subito venire in mente sia i mutui subprime che hanno innestato il disastro nel 2008, sia i recentissimi indebitamenti delle aziende che operano nel settore delle nuove tecnologie per l'estrazione del petrolio e del gas.

La spagnola Abengoa, seconda azienda del mondo nello stesso settore, ha evitato la bancarotta (anch'essa per debiti pari a una dozzina di miliardollari) solo perché i tre quarti dei suoi creditori hanno garantito una temporanea dilazione in cambio di un piano rigoroso di rientro del debito. Anche in questo caso, all'origine della quasi-bancarotta vi è un'emissione di titoli compositi (yeldcos) venduti sul mercato come altamente redditizi. Ovviamente, quando il prezzo del petrolio è crollato le fonti rinnovabili hanno perso in competitività, secondo la legge della rendita, per cui il rendimento dei suddetti titoli è calato. Ma non è stata questa circostanza a provocare l'insolvenza, bensì il fatto che detto calo ha spinto gli investitori a "vedere" il bluff. Accecati dal successo iniziale, i grandi produttori di impianti hanno dato per scontato che l'accesso al credito fosse illimitato, per cui l'emissione di titoli non era più una semplice ricerca di capitali sul mercato al fine di investire nella cosiddetta economia reale, ma pura speculazione nell'ambito del capitale fittizio.

Così non rimane nulla a garantire il capitale originario e quello investito ex novo: Sun Edison riteneva di essere praticamente sottostimata quando in borsa aveva raggiunto i 32 dollari per azione; mentre scriviamo è quotata sotto 1 dollaro. Secondo The Economist tutte le aziende che operano nelle fonti rinnovabili o delle nuove tecnologie petrolifere sono in condizioni critiche. Sun Edison aveva proposto di acquistare la Vivint Solar, controllata da Blackstone, uno dei più grossi gestori di capitali privati del mondo. Per condurre l'operazione si proponeva di usare come serbatoi di capitale altre aziende controllate, che comunque si erano subito rese conto di non essere altro che un terreno di scontro per operazioni sulla loro pelle e avevano rifiutato la manovra. Da questo punto in poi gli intrecci si erano fatti troppo complessi per essere gestiti con cognizione di causa, mentre la struttura del debito assomigliava sempre più a "una "gigantesca torta a strati". I principali clienti, quelli che avevano mezzi più adeguati per capire gli intrecci, come ad esempio Hawaiian Electric, avevano incominciato a disdire i contratti, minacciando di far crollare tutto il sistema. Il quale però sta aggrappandosi all'ormai collaudato salvagente virtuale. "Siamo troppo grandi per fallire", dicono Sun Edison e Abengoa. È vero. E anche Blackstone, il fondo d'investimento privato che investe in migliaia di aziende muovendo capitali nell'ordine di grandezza del PIL di uno stato, lo sa. Probabilmente avrà la sua convenienza a non far fallire nessuno, ma certo presenterà un conto salato.

Rivista n. 39