Lezioni di presente

"Lezioni di futuro". Il Sole 24 Ore, 15 fascicoli, e-book euro 5,49.

Lavoro monumentale, indice promettente, quasi 1000 pagine, panoramica completa sul futuro del capitalismo. Robot, big data, materiali intelligenti, sharing economy, vita sintetica, pianeta sostenibile, fabbrica digitale, internet delle cose, intelligenza artificiale, fisica delle particelle, moneta virtuale, segreti del cervello, missioni nello spazio, intelligenza collettiva, l'era delle startup. Che futuro?

Diciamo che l'impostazione di questo lavoro riflette quella del giornale cui è allegato: lo scopo è analgesico, rassicurante, neurotonico. In ogni numero monografico si spiega "come funziona" una data tecnologia e ci si domanda "che cosa ci si può fare". Il messaggio è: attenti, le nuove tecnologie non sono solo una curiosità, c'è un sacco di gente che ci guadagna fior di quattrini. Normale. Ciò che non è tanto normale, almeno per noi che ne diamo una lettura "orientata", è l'entusiasmo per la robotica, l'automazione, la smaterializzazione dei prodotti, da parte del giornale della Confindustria quando ormai anche i sassi sanno che l'insieme di questa modernità tecnico-scientifica erode le basi fondamentali su cui si regge il capitalismo. C'è una letteratura su questo. Ricavare denaro vero da un mondo virtuale?

Ora, è facile argomentare: sì, va bene, la robotica e l'automazione sono le cause principali della caduta tendenziale del saggio di profitto; tuttavia, appunto, 1) è "tendenziale" e 2) lo stesso Marx elenca una serie di "cause antagonistiche" potenti, in grado di annullare la legge. Ma leggiamo bene: l'annullano temporaneamente, perché anche le controtendenze in ultima analisi si trasformano nel loro contrario. Comunque l'impianto dell'opera è ottimistico, non guarda in realtà tanto al futuro quanto al presente, a che cosa bisogna fare subito per cogliere l'occasione. Se guardasse davvero al futuro, almeno qualcuno degli autori si chiederebbe che cosa potrebbe succedere in un mondo che producesse solo con macchine, computer e programmi, come in parte succede già. Il profitto risulta da uno scambio fra denaro e forza lavoro, lavoro vivo, non lavoro morto come quello che è cristallizzato nella macchina.

In ognuno dei 15 fascicoli a tema, intorno a pochi articoli centrali si snoda una serie di pagine integrative. È certo un manifesto per stimolare i lettori del giornale che si presume abbiano qualcosa a che fare con il capitalismo, gli investimenti, l'innovazione, la concorrenza e il profitto. Del resto il direttore lo dice: "L’economia ne verrà modificata. La società ne sarà trasformata. La cultura si dovrà adattare. E i soggetti del cambiamento saranno quelli che ne avranno consapevolezza: le imprese, le famiglie, le autorità politiche e amministrative". I robot sono dunque arrivati. A dire il vero è dalla metà dell'800 che affiancano l'operaio e sempre più spesso lo sostituiscono. Anzi, ormai nella produzione materiale l'operaio è decisamente un sovrappiù, rimane in fabbrica solo dove sarebbe troppo costoso sostituirlo. Nel progetto, nel calcolo, nell'amministrazione l'uomo è in via di sostituzione, anche perché le macchine costano sempre meno e soprattutto perché finiscono per costituire sistemi automatici integrati che costruiscono sé stessi. Ma le macchine non mangiano, non abitano case, non comprano merci, non vanno al cinema, non intascano un salario, e se anche partorissero… macchinette, queste non mangerebbero ecc. ecc.

Le macchine e la tecnologia valgono poco e producono molto abbassando il prezzo unitario delle merci prodotte. Il mercato della robotica vale una trentina di miliardi di euro all'anno in tutto il mondo. La Banca Centrale Europea sta emettendo 80 miliardi di euro al mese nel tentativo di salvare l'economia della sola Europa e non ci riesce. Oltre alla robotica aggiungiamo tutte le altre branche riguardanti quelle che sono considerate le nuove frontiere del Capitale, dal fermento delle startup alla quarta rivoluzione industriale, e non arriviamo alla quantità di denaro fittizio che la BCE "crea" in un anno. Davvero, si può parlare di fiducia nelle nuove tecnologie solo per ammazzare il capitalismo, non per salvarlo.

Tutto ciò che si può elencare a proposito delle "nuove tecnologie" contribuisce a svalorizzare capitale, anziché valorizzarlo. È perlomeno curioso che il giornale della Confindustria si butti a pesce sull'argomento senza l'ombra di un dubbio. La robotica, come le altre tecnologie in sé, sono ormai parte di un processo unico; è tutto il mondo che si muove al ritmo di un fenomeno che non è più adeguato chiamare "innovazione". Il motivo comunque c'è ed è una cecità congenita di fronte ai fenomeni sociali. Se invece di analizzare un intero sistema basato sulle nuove frontiere tecnico-scientifiche ci si limita a ciò che succede a una sola industria, è evidente che possiamo escogitare un modello di valorizzazione del capitale investito in cui il profitto può essere agevolmente massimizzato. Da una fabbrica completamente affidata a tecnologie d'avanguardia e senza neppure un operaio possiamo effettivamente ricavare plusvalore senza passare attraverso lo sfruttamento di pluslavoro. A tale scopo è sufficiente che il prezzo di costo del prodotto (capitale anticipato per il suo ciclo produttivo) sia inferiore al prezzo di produzione (valore medio di tutte le merci di quel tipo in un dato mercato, oggi praticamente il mondo). Da molte fabbriche dello stesso tipo la cosa si farebbe sempre più difficile, dato che esse ad un certo punto incomincerebbero ad essere un fattore del prezzo di produzione stesso, facendo intervenire la legge della caduta del saggio di profitto (troppo capitale costante anticipato rispetto al valore calante dell'unità di merce). Da una completa trasformazione di tutte le fabbriche del mondo non si ricaverebbe plusvalore ma semplicemente una produzione fisica, perché non esisterebbe più una classe operaia, diventata del tutto superflua (per assurdo: o completamente mantenuta o completamente eliminata).

Immaginiamo il percorso "storico" del plusvalore: dapprima una società "primitiva" dove tutti consumano tutto ciò che producono (zero plusvalore); in ultimo una società dove nessuno produce ma tutti consumano ciò che è prodotto dalle sole macchine (di nuovo zero plusvalore). In mezzo, un arco storico in cui vi è pluslavoro-plusvalore, il quale raggiunge un apice ad un certo grado di sfruttamento. Disegnata questa curva su assi cartesiani, abbiamo per forza di cose una parabola.

Naturalmente macchine che simulassero perfettamente gli uomini biologici (androidi) simulerebbero anche l'effetto del pluslavoro. Ma una tale "perfezione" sarebbe impossibile, perché dovrebbe simulare anche la libertà di vendersi sul mercato, mentre la macchina, nel sistema attuale è proprietà di qualcuno, come lo schiavo. E lo schiavo, se produce, fornisce soltanto un surplus per il padrone, mai plusvalore (differenza fra lavoro pagato e non pagato) che diventa capitale.

Rivista n. 39