Sovrapproduzione nuda e cruda
Il crollo dei prezzi dell'acciaio e l'enorme sovraccapacità produttiva del mondo preoccupano economisti e governi, anche perché il fenomeno è dovuto al rallentamento dell'economia cinese che da sola assorbiva i due terzi della produzione mondiale. Ma l'acciaio non è una materia prima isolata: nel suo ciclo produttivo entra il carbone, sia come combustibile per gli altiforni, sia come combustibile per le centrali elettriche, dato che la Cina, grande produttore mondiale di carbone, ha basato su di esso buona parte dell'energia di cui abbisogna.
Così, secondo Fitch, un'agenzia di rating, entro due anni, se il trend rimane quello odierno, la Cina denuncerà una sovraccapacità produttiva di 3,3 miliardi di tonnellate su di una produzione mondiale di circa 8 miliardi; e questo nonostante il calo delle importazioni, che nello stesso periodo cambieranno di segno diventando esportazioni. Già oggi il più grande estrattore di carbone, Shenuha Energy, è passato in un anno da 1,2 milioni di tonnellate esportate a 10 milioni.
Anche la produzione di alluminio, che segue gli andamenti dell'acciaio e del carbone (auto, edilizia, ecc. richiedono sia acciaio che alluminio), è vicina alla sovraccapacità interna: oggi di tutto l'alluminio esportato nel mondo la sola Cina ne esporta la metà; e, nonostante l'eccesso di offerta globale, per inerzia degli impianti sta ancora aumentando la produzione. China Hongqiao, il più grande produttore del mondo, produce 6 milioni di tonnellate in più ogni anno, confidando nella concorrenza (alcuni direbbero dumping) che al momento getta fuori mercato i produttori occidentali e giapponesi. Ciò significa che, quando gli stabilimenti recepiranno la contrazione del mercato, ne subiranno effetti moltiplicati. La produzione di alluminio richiede grandi quantità di energia per tonnellata prodotta, perciò anche per questa via la Cina finirà per livellare i prezzi e per condividere la sovraccapacità produttiva.
E passiamo al petrolio. La velocissima saturazione dei mercati dopo l'entrata in funzione delle nuove tecnologie di estrazione del petrolio negli USA, che ha obbligato tutti gli altri paesi petroliferi ad aumentare a loro volta l'estrazione per non perdere quote di mercato, si è riversata anche sulla Cina. Questo effetto era del tutto inaspettato, perché la Cina ha fame di energia, o almeno così si pensava. Invece Shanghai Securities, un intermediatore di strumenti finanziari, stima che vi sia già oggi una sovraccapacità produttiva di 200 milioni di tonnellate. Prova ne sia che, nel settore, persino i più grandi estrattori cinesi stanno passando alle esportazioni, cosa che spiegherebbe almeno in parte il crollo dei prezzi. Le cifre sono basse in termini assoluti, ma le percentuali di crescita sono enormi, dal 30 all'80% all'anno.
L'eccesso di capacità produttiva si sta manifestando anche nell'industria chimica, che in Cina conta 25.000 imprese. Per un meccanismo di concorrenza interna queste imprese sono costrette ad aumentare di continuo la produttività. Il fenomeno è ben conosciuto ed è la dannazione del capitalismo, ma tutto ciò che succede in Cina riguarda grandi numeri e ovviamente produce grandi effetti. Così una quindicina di prodotti base della chimica escono da stabilimenti che non utilizzano che una parte della loro potenzialità produttiva. Solo nel campo del poliestere questa era aumentata del 200% in cinque anni, portando i prezzi unitari così in basso da spazzare via le aziende concorrenti giapponesi. Adesso la produzione esistente satura il mercato, e le stesse aziende di punta rientrano nella media della sovrapproduzione generale.
Nei prossimi anni c'è da aspettarsi un grande impatto nel settore automobilistico. Per il momento la Cina importa molto dall'estero, e la produzione interna è di qualità così bassa che non impensierisce i produttori storici. I numeri sono giganteschi: in Cina si vendono 23 milioni di veicoli all'anno, di cui 18 milioni sono automobili, con una crescita del 12% medio all'anno. È chiaro che con una simile capacità di assorbimento l'industria locale non tarderà ad adeguare gli standard e a precipitarsi sul mercato estero. Se pensiamo che la sovraccapacità produttiva in questo campo fuori dalla Cina è di circa 5-6 milioni di vetture all'anno, si può immaginare cosa succederà in un prossimo futuro, quando anche l'India produrrà automobili a ritmo cinese (e ha già iniziato).