Donald Trump e l'isolazionismo americano
Naturalmente quando si parla di isolazionismo a proposito degli Stati Uniti bisogna tener presente che il massimo paese imperialista del mondo è isolazionista in un modo molto particolare. Con 800 basi militari costruite nei punti strategici del mondo e una serie di accordi commerciali privilegiati, il termine "isolazionismo" si può usare solo per descrivere l'atteggiamento di Washington nei confronti dei propri interessi. Quando negli anni '80 le merci giapponesi a basso prezzo invadevano l'America, e addirittura si aprivano stabilimenti di automobili straniere sul suolo americano, non era solo Trump a dire che il Giappone uccideva l'industria americana. Oggi lo stesso accade con la Cina e, con qualche sfumatura anti-immigrati, anche con il Messico. Trump non è che un megafono del malcontento: la Cina, con l'acquisizione di una parte del debito americano, sarebbe protagonista del più grande furto di denaro di tutta la storia degli Stati Uniti. Ma si potrebbe rimediare adottando un protezionismo duro a base di tariffe e di penalizzazione per le aziende che praticano l'outsourcing, specialmente giganti come Apple, Boeing, Ford. Ovviamente nessun americano pensava alle conseguenze mondiali quando negli anni '80 comprava le auto giapponesi più efficienti e a metà prezzo rispetto a quelle americane. Così come oggi non pensa che una realtà commerciale mostruosa come Walmart, con oltre due milioni di dipendenti e migliaia di punti vendita tiene bassi i prezzi in tutto il paese fornendosi per lo più in Cina: il consumatore compra dove conviene, e le conseguenze sul mercato e sulle relazioni fra stati le lascia agli economisti e ai politici. Così personaggi come Trump, per avere successo, possono tranquillamente ripetere ciò che pensa e dice ogni americano.
Non è così strano che l'abbiano votato. Il significativo diagramma qui accanto la dice lunga sul preteso isolazionismo e quindi protezionismo degli Stati Uniti. Dal 1990 al 2016 la bilancia commerciale americana è stata sempre in deficit, e siccome la Cina ha invece una bilancia in attivo è naturale che da qualche parte finisca il surplus. Del resto non c'è niente di più sicuro, per un creditore, che detenere beni o capitali del debitore per averlo sotto controllo. I titoli del debito pubblico americano sono l'equivalente di questi valori. Propositi come quello di rinegoziare il trattato commerciale North American Free Trade Agreement con Messico e Canada (NAFTA), o il Trans-Pacific Partnership (TPP) con 11 paesi dell'Asia/Pacifico, o il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) con l'Europa, lasciano il tempo che trovano se le aziende americane non "fanno come i cinesi", se cioè non pagano e non fanno lavorare alla cinese gli operai americani. Certi processi sono irreversibili, più potenti dei capi di stato americani. La Worl Trade Organization (WTO) prevede infatti che l'anno prossimo il commercio crescerà meno del PIL; ed è la prima volta in 15 anni.
Trump non farà tutto quel che dice di voler fare e dovrà in parte tradire chi l'ha votato. Il Peterson Institute for International Economics (PIIE) calcola che se la presidenza Trump metterà in pratica il suo programma anche solo nei confronti del Messico, provocherà la perdita di 6 milioni di posti di lavoro nei due paesi. The Economist da diversi numeri conduce una campagna feroce contro Trump. Il neopresidente è già sotto tutela. Non farà tutte le sciocchezze promesse in campagna elettorale perché consiglieri interessati, gli stessi che l'hanno appoggiato per farlo diventare presidente, gli faranno capire quali dei punti del programma elettorale andranno perseguiti e quali invece scartati. Ma le condizioni economiche lasciano poco spazio alle manovre. Come si dice negli ambienti militari cinesi, Donald Trump è il personaggio ideale per transitare gli Stati Uniti dal primo al secondo posto fra le potenze mondiali.