Donald Trump e la miseria relativa crescente
The Economist, la rivista che rappresenta il capitalismo liberista classico, nel numero successivo all'elezione di Donald Trump dedica all'evento ben 11 articoli. Il personaggio, benché si dichiari liberista, non vi è trattato benevolmente, anzi, in uno degli articoli ci si domanda se gli incubi possono avverarsi, in un altro si prospettano disastri sull'economia, in un altro ancora ci si chiede quanto il mondo politico internazionale potrà sopportare un programma esplicito di liberismo misto a protezionismo e nazionalismo. Gli Stati Uniti non possono certo permettersi una politica con le caratteristiche di quella annunciata, e quindi il neopresidente sarà condizionato dalla catena del potere di cui è solo l'anello più in vista. Come successe all'attore Reagan, al "perseguitato" Clinton e, per altri versi, a Obama con i suoi tentativi riformisti. Perciò non ci sarebbe da aspettarsi un qualche esplosivo cambiamento se non fosse che gli Stati Uniti stanno peggio di quel che fanno intendere, e lo stesso capitale americano pretenderà misure drastiche nell0 sforzo di mantenere una già troppo minata leadership mondiale.
L'Istituto di ricerche del Crédit Suisse ha pubblicato un Global Wealth Report incentrato sulla distribuzione della ricchezza da possesso (da non confondere con il reddito). Ne risulta un quadro un po' diverso in confronto ad altri studi e specialmente rispetto allo slogan che fu di Occupy Wall Street "We are the 99%" scandito contro l'1% che detiene il grosso della ricchezza mondiale. Ovviamente la suddivisione in 99 e 1 è del tutto simbolica e lo spostamento verso il basso delle fasce di ricchezza pone alcuni milioni di ex benestanti nella condizione di abbandonare l'ideologia del libero mercato e di maledire anch'essi la vampiresca fascia dell'1%.
Lo studio riporta che il 20% della popolazione adulta mondiale possiede meno di 248 dollari, il 50% meno di 2.222, il 90% meno di 71.560 e il 99% meno di 744.400. La differenza rispetto ad altre rilevazioni di dati è dovuta al fatto che l'istituto svizzero calcola la proprietà immobiliare come ricchezza invece che come reddito. Agli estremi della scala, poveri e ricchi sono nelle proporzioni di sempre, ma nelle fasce intermedie, dove la proprietà immobiliare è più diffusa, il 10% dei loro membri possiede da solo l'89% del valore. La ricchezza totale così calcolata ammonta quindi a 256.000 miliardi di dollari: 3,4 volte il PIL mondiale. Se si divide tale cifra per il numero di adulti che abitano il pianeta, risulta che ognuno possiede mediamente 52.819 dollari, un quarto del costo di una casa popolare.
Sembra comunque tanto, ma quella media nasconde una distribuzione perversa anche dal punto di vista capitalistico perché, come segnala un altro studio, metà della ricchezza mondiale è posseduta da 62 persone. La concentrazione della ricchezza in così poche mani è la conseguenza di una espropriazione massiccia delle classi medie, specialmente nei paesi più ricchi. A livello mondiale, nel 20% più basso della piramide, la metà degli adulti ha ormai una "ricchezza negativa", essendo indebitata. Ciò sta succedendo a gran velocità anche nei paesi ricchi: la maggior parte degli americani ha debiti che minano il valore della ricchezza posseduta, e ben 21 milioni hanno ormai debiti che superano la loro ricchezza. Ora, nel mondo, il 40% di coloro che fanno parte del 10% superiore e il 18% di coloro che fanno parte dell'1% superiore è americano. Ciò vuol dire che gli americani sono esposti non solo nelle fasce basse (come quelle a cui le banche avevano concesso mutui subprime, portandogli poi via la casa), ma anche nelle fasce intermedie, che sono quelle per le quali la casa è spesso l'unica ricchezza, acquistata per investire oltre che per abitare. Perciò, oltre ad essere in pericolo per i debiti, le case americane non rappresentano più il classico serbatoio nel quale mettere al sicuro il denaro. Anzi, diventano garanzia per i debiti, il che vuol dire ipoteca, immissione sul mercato in caso di morosità, abbattimento ulteriore dei prezzi. La casa americana aveva già comportato la nazionalizzazione di fatto del mercato dei mutui; ora, con la "crisi" che non accenna a tramutarsi in ripresa (le ottimistiche cifre americane sono considerate truccate anche dagli alleati degli USA), la middle class americana, un tempo in grado di fornire diagrammi positivi all'economia dei consumi, è indebitata fino al collo e va comprensibilmente in fibrillazione. È chi ha qualcosa da perdere che si agita per primo, magari votando per un candidato presidenziale che promette di ritornare ai bei tempi, quando persino il proletariato di fabbrica era inserito nelle classi medie del reddito.