Essendo un parroco…
Leggo sempre con grande interesse la vostra rivista (formato email), tuttavia, essendo un parroco, temo che la mia comprensione, mancando dei necessari requisiti scientifici di analisi, sia di carattere più intuitivo, affidata cioè ad una serie di suggestioni e alla loro connessione sulla base di una mia presunta comprensione dei dati da cui scaturiscono, piuttosto che nascere da una riflessione pienamente consapevole dei propri mezzi e capace di utilizzarli al meglio. Ciò nonostante, la mia formazione classica e la mia preparazione prevalentemete filosofico-teologica mi spingono, anche solo per semplice desiderio di comprendere, ad addentrarmi in territori non ben conosciuti e di competenza di altre caste sacerdotali (perdonatemi la battuta). È a questo proposito che pertanto vorrei invocare il vostro aiuto attraverso qualche domanda che possa chiarire maggiormente ciò che per me chiaro non è affatto.
1. Si può affermare che nella vostra visione della storia sia in opera una certa teleologia? Mi sembra, infatti, di aver capito che, a vostro giudizio, tutto, mi riferisco all'attuale fase storica, si stia muovendo secondo una certa direzione, che tutto sia orientato inevitabilmente al compimento di un piano, come se vi fosse un ordine (nel senso dinamico di progetto autoattuantesi) immanente, una razionalità che tutto dirige, naturalmente secondo una logica dialettica, per il momento accessibile soltanto a pochi, ma che un giorno, quando saranno tolti i termini antitetici, si paleserà nella sua "gloriosa" realizzazione. Naturalmente tutti i termini che indicano movimento esprimono (mi veniva da dire: "chi più, chi meno, un certo livello di finalismo", ma evidentemente questa espressione è una sciocchezza, dal momento che il "fine" o c'è o non c'è) un certo finalismo. C'è, insomma, una direzione, un senso sia come orientamento sia come significato. La direzione implica sempre una scelta e la scelta, quando è veramente tale, è mossa sempre da uno scopo. La fine è il fine. Interessante, a questo proposito, mi sembra anche la frase da voi riportata al termine di un articolo del 2008 e cioè: "Lo stesso istinto degli animali, che si riduce ad una prima forma di conoscenza quantitativamente bassa, regola il comportamento su eventi futuri da evitare o facilitare: uno studioso della materia ne dà questa bella definizione: "L'istinto è la conoscenza ereditaria di un piano specifico di vita". (Proprietà e Capitale, 1948).
2. Indipendentemente dalla prima domanda, in cui potrei aver completamente travisato il vostro pensiero (se così è, desidererei sapere dove il travisamento è più grave e perché), mi piacerebbe sapere se gli attuali sconvolgimenti, l'attuale crisi economico-politico mondiale segni soltanto il passaggio drammatico ad una nuova fase in cui i termini dialettici (insiti nel sistema capitalistico, e giunti ad una fase parossistica nell'attuale stadio terminale (?) siano destinati a permanere in forma diversa oppure se c'è qualche segno certo che indichi il superamento totale dell'attuale stato di cose. Prendendo per buona quest'ultima ipotesi quali sono le forze principali (si indichino perlomeno i nomi delle più importanti) della reazione, della conservazione? Quale è il loro piano e a che cosa porta? Quali sono le forze di liberazione attualmente operanti in Italia-Europa e nel resto del mondo? La loro azione di protesta attualmente ha un senso oppure ciò che deve accadere, il collasso del sistema, per le sue contraddizioni interne non più controllabili, accadrà indipendentemente da qualsiasi intervento esterno? Può il Capitalismo, anche in questa fase di evidente degrado operare dei correttivi che gli consentano di restare in gioco, anzi, di continuare ad avere ben salde nelle mani, attraverso sistemi più subdoli e sofisticati, le redini del potere? Non siamo forse, e molto più prosaicamente, soltanto davanti all'ennesima, inevitabile (quante ce ne sono state nel corso della storia!), per quanto problematica, fase di ridefinizione degli equilibri geopolitici? E dunque l'attuale crisi globale vede la sua causa fondamentalmente nel ridefinirsi dei ruoli di forza da parte delle attuali potenze mondiali? In sostanza, quali sono gli scenari che vi prefigurate per il prossimo futuro e quali i protagonisti in opera? Il mio pensiero è pessimistico e sapete perché? perché un vero cambiamento potrebbe verificarsi soltanto qualora entrasse in azione un dato che però mi sembra assente dal vostro sistema interpretativo della realtà. Lascio a voi il compito, poi non così difficile, di identificarlo.
Sperando nella Vostra cortese attenzione, e in attesa di un'altrettanto cortese risposta, Vi saluto cordialmente e con gratitudine. Mi scuso anticipatamente per l'eventuale disturbo che arreco, ma desidero veramente conoscere la vostra opinione. Grazie.
Non ci capita tutti i giorni di stabilire una doppia direzione con un parroco, la cosa non ci stupisce e al contrario stimola la nostra curiosità. Le tempistiche con cui rispondiamo alla corrispondenza non sono dovute a disinteresse, ma ad un incalzare del lavoro che spesso si accumula.
Per quel che riguarda invece i requisiti scientifici necessari alla comprensione del nostro lavoro, possiamo tranquillamente affermare che essi non sono poi così importanti o, meglio, possono aggiungersi in un secondo momento: "È con l'intuizione che l'umanità ha sempre avanzato perché l'intelligenza è conservatrice e l'intuizione è rivoluzionaria. L'intelligenza, la scienza, la conoscenza hanno origine nel movimento avanzante (abbandoniamo l'ignobile termine di "progressivo"). Nella parte decisiva della sua dinamica la conoscenza prende le sue mosse sotto forma di una intuizione, di una conoscenza affettiva, non dimostrativa; verrà dopo l'intelligenza coi suoi calcoli, le sue contabilità, le sue dimostrazioni, le sue prove. Ma la novità, la nuova conquista, la nuova conoscenza non ha bisogno di prove, ha bisogno di fede! non ha bisogno di dubbio, ha bisogno di lotta! non ha bisogno di ragione, ha bisogno di forza! il suo contenuto non si chiama Arte o Scienza, si chiama Rivoluzione!" (Relazione sulla teoria della conoscenza, Firenze 1960).
La prima domanda posta, se nella nostra visione della storia sia in opera una certa teleologia, rende necessario un chiarimento di tipo terminologico: preferiamo usare la parola teleodinamica (da télos=fine, scopo + dýnamis=forza in potenza, movimento dei corpi in relazione alle cause che lo determinano) per definire quello che la nostra corrente di riferimento, da Marx a Bordiga, ha espresso e che va inteso non in senso mistico bensì materialista.
Effettivamente una "certa teleologia" la possiamo ritrovare anche in alcune teorie scientifiche. Stuart Kauffman, uno dei più noti tra i teorici della complessità che si riuniscono al Santa Fe Institute, dispiega nel suo libro A casa nell'universo una poderosa teoria del divenire della vita organica che è, oggettivamente, una visione teleologica (dice press'a poco: "noi umani, i previsti già nell'ordine primitivo dell'universo") e la estende, e qui viene il bello, a tutto, compresi i sistemi sociali.
Per un approfondimento del tema rimandiamo alla lettura sul nostro sito, alla sezione "Lavori in corso", del semilavorato: Riunione sul finalismo (Torino, 27 settembre 2002 - registrazione).
Riguardo al punto due e alle numerose domande in esso contenute, sgombriamo subito il campo affermando che gli attuali sconvolgimenti economici e politici mondiali non sono frutto di una crisi congiunturale del capitalismo, ma piuttosto l'espressione di una crisi strutturale. Le oscillazioni nella produzione di valore hanno sempre attanagliato il capitalismo. Ciò a cui assistiamo oggi è l'esasperazione della contraddizione, insita nel sistema stesso, fra la crescita esponenziale infinita e un mondo a dimensioni finite.
Il comandamento unico del Capitale è la produzione di plusvalore attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro, la sua realizzazione attraverso il mercato, il reinvestimento in attività che producano altro plusvalore e così via. Il che significa che ad ogni ciclo il capitale anticipato deve diventare di più, sottostando ad una fisiologia di crescita cui non si può sottrarre. I vari riformisti (di destra e di sinistra) parlano a vanvera perché nel capitalismo l'equilibrio non esiste, ed anzi un eventuale disinvestimento (o decrescita) porterebbe alla morte il sistema; a ciò, quindi, che il riformista non vuole affatto. I governi, dal canto loro, non riescono più a gestire il Capitale e sembra piuttosto che sia quest'ultimo a controllare l'azione dei primi e a dettar legge.
Al pari delle società protostoriche capaci di perfezionare gli strumenti di organizzazione che diventarono Stato nelle società classiste, così l'ultima società classista, il capitalismo, porta alle estreme conseguenze lo Stato stesso, condizione oltre la quale potrà esserci soltanto un contro-Stato che porterà sé stesso all'estinzione (cfr. Critica al programma di Gotha, K. Marx).
E se i sintomi del collasso a venire si fanno sempre più evidenti, allo stesso tempo possiamo scorgere con maggior nitidezza i segni "certi" del superamento di questo sistema, tutte quelle anticipazioni della società futura senza le quali sarebbe donchisciottesco ogni sforzo nella sua direzione. Di molte se ne può leggere sui numeri della rivista, ma vogliamo segnalare anche un video che si trova su YouTube - il lungo documentario Moving Forward – e che ci sembra ben dimostrare come la società futura agisca sul presente: con tutte le cautele del caso, constatiamo che nel filmato vengono sviluppati gli stessi argomenti dei punti programmatici del nostro "manifesto politico" presente nella Home Page del sito. La conoscenza di specie è in grado di mostrare precise anticipazioni del futuro, anche attraverso chi si professa anticomunista.
Gli uomini non rinunciano mai a ciò che hanno conquistato, ma ciò non significa che non rinuncino mai alla forma sociale in cui hanno acquisito determinate forze produttive. Tutto al contrario. Per non essere privati del risultato ottenuto, per non perdere i frutti della civiltà, gli uomini sono forzati a modificare tutte le loro forme sociali tradizionali non appena il modo delle loro relazioni sociali non corrisponde più alle forze produttive acquisite. Di qui rivolte, lotte e rivoluzioni.
Di fronte al vecchio che cerca in ogni modo di resistere all'avvento del nuovo, in questi anni stanno prendendo piede movimenti antiformisti che nel loro operare mettono in seria discussione l'esistente: dalla Primavera araba ad Occupy Wall Street, fino alle più recenti vicende in Turchia, Brasile, Egitto, quella che stiamo analizzando è un'onda sismica la cui energia sotterranea è la stessa per tutti i differenti fenomeni di superficie: dove qua crolla un muro, là si apre una voragine e altrove cade una frana.
Il movimento Occupy ha dimostrato l'esigenza della riappropriazione della socialità, della comunità umana (Gemeinwesen), del ritrovarsi per condividere ciò che è necessario per vivere. Quanto accaduto a New York con la nascita Occupy Sandy, una rete di mutuo soccorso per portare aiuto in quei quartieri colpiti dall'uragano dove gli apparati statali non intervenivano, prova che al venir meno del Welfare State si fanno avanti reti alternative, sistemi di auto-aiuto e di mutua assistenza. Insomma, sembra proprio che, come dicono (dicevano) gli occupiers, un altro mondo non solo è possibile, è inevitabile.