Sedici anni, numero quaranta
Approfittiamo del numero a cifra tonda per fare alcune considerazioni redazionali su questa nostra attività in "doppia direzione", espressione che compare nelle Tesi di Milano a proposito del coordinamento centrale del lavoro e dell'azione politica. Per noi un periodico doveva rispondere agli stessi criteri: fin dal progetto iniziale (riconducibile alle Note sulla discussione in corso a proposito della nostra stampa, gennaio 1980), abbiamo stabilito che non doveva essere un'emittente a senso unico (come la radio o la televisione), ma strumento di lavoro, capace di riverberare le attività della rete da un nodo all'altro, appunto, in doppia direzione. Se le molecole che componevano l'organismo "n+1" fossero riuscite ad essere fedeli al mandato delle Tesi, avrebbero spontaneamente sincronizzato le dinamiche individuali alla dinamica del tutto, come scrivevamo. Ciò avrebbe permesso un lavoro collettivo non di facciata ma profondamente interconnesso: la nota serie storica di studi "ad argomenti concatenati" sarebbe continuata.
Così è stato. È vero, abbiamo dovuto superare dei momenti di crisi, dovuti in massima parte al fatto che il vecchio paradigma terzinternazionalista era duro a morire. Ma possiamo, dopo 36 anni dal documento citato e 16 dall'uscita del primo numero della rivista, essere soddisfatti. Ce lo confermano i lettori, che ci seguono con una costanza incredibile tenendo conto dell'oggettiva, paludosa situazione. Ovviamente il lavoro di "n+1" non si svolge soltanto attorno alla rivista, anzi, quest'ultima è il "deposito" finale del lavoro svolto localmente. Ad essere precisi non è nemmeno corretto introdurre il concetto di "locale" perché proprio la doppia direzione elimina la differenza fra globale e locale. Non è soltanto una questione di schema del flusso di lavoro (a rete, a piramide, a grappolo, ecc.), è una questione di funzionamento organico: in un organismo le cellule sono differenziate ma partecipano tutte alla sua vita, senza che vi siano gerarchie di valore.
In Tracciato d'impostazione, del 1946, è scritto che di primo acchito le cose che abbiamo da dire allontanano invece di avvicinare. È naturale: un lavoro come quello che facciamo non è neutro, rompe schemi sclerotizzati, già denunciati dai nostri compagni negli anni '20 del secolo scorso. Tale lavoro non può essere esposto con la langue de bois della controrivoluzione, e chi non ne comprende altre ha per forza qualche problema a digerire la produzione scientifica della Sinistra Comunista cosiddetta italiana. La difesa di quel patrimonio è elaborazione attiva, è lotta, se vogliamo usare un termine usurato come tanti altri, ed essa si svolge in un contesto di massima influenza dell'ideologia dominante.
In Natura funzione e tattica del partito rivoluzionario del 1945, è scritto che è necessario evitare ogni contaminazione frontista con le forze, presenti e purtroppo ben radicate ancora oggi, che furono corresponsabili nel disastro mondiale del primo dopoguerra. È, se vogliamo, l'argomento che collega l'articolo sul Biennio Rosso che compare nel presente numero a quello comparso nel numero scorso sulla guerra Russo-polacca nel contesto politico del II Congresso della III Internazionale. Ed è possibile – il nostro lettore sarà ormai abituato a questi arditi collegamenti – anche una lettura "concatenata" con gli articoli sulla teoria della conoscenza, se non altro per l'imperativo che trasmettono: ogni rivoluzione distrugge il paradigma della rivoluzione precedente, in azione come in dottrina.