Verso la singolarità storica
Teoria marxista della conoscenza, macchine intelligenti e natura organica del partito rivoluzionario

"L'accrescimento della produttività del lavoro e la massima negazione del lavoro necessario è – come abbiamo visto – la tendenza necessaria del capitale. La realizzazione di questa tendenza è la trasformazione del mezzo di lavoro in macchinario. L'evoluzione del mezzo di lavoro a macchinario non è accidentale per il capitale, ma è la trasformazione e il riadattamento storico del mezzo di lavoro ereditato dalla tradizione in forma adeguata al capitale. L'accumulazione della scienza e dell'abilità, delle forze produttive generali del cervello sociale, rimane così – rispetto al lavoro – assorbita nel capitale, e appare quindi come proprietà del capitale, e più precisamente del capitale fisso, nella misura in cui esso entra nel processo produttivo come mezzo di produzione vero e proprio". (Karl Marx, Grundrisse)

La macchina e il sistema di macchine

Le macchine sono parte integrante della storia del capitalismo in quanto indispensabili all'aumento della produzione e al drenaggio di plusvalore. Divenute intelligenti e autonome, non solo modificano la struttura produttiva ma anche l'assetto sociale in quanto rendono irreversibilmente superflua gran parte della forza lavoro.

Per Marx ogni manifestazione della conoscenza presuppone l'insieme delle conoscenze date in una società. Così l'arte greca presupponeva la mitologia greca, che a sua volta attingeva al mondo materiale della produzione e riproduzione. Quindi anche la scienza greca doveva presupporre i rapporti sociali della Grecia: se l'arte è una forma di linguaggio e quest'ultimo è un mezzo di produzione, la scienza non può certo essere da meno. Perciò arte e scienza, che al tempo dei Greci non erano separate come oggi, non potevano essere indipendenti rispetto alla mitologia/società. Marx fa l'esempio dell'Iliade: sarebbe possibile Omero nell'epoca della carta stampata? E Achille nell'epoca delle armi da fuoco?[25]

La mitologia di oggi è la scienza. Essa fornisce un quadro completo della società in cui viviamo, di essa non possiamo fare a meno. Alcuni credono in essa come si crede in una religione. Altri la considerano un pericolo, una malattia dell'umanità. Anche se siamo scettici, o critichiamo alcuni suoi risultati, o constatiamo quanto poco serva ad alleviare i disastri del capitalismo, la scienza ci obbliga a vivere al suo ritmo. Portiamo uno smartphone in tasca, usiamo automobile e computer, ne siamo totalmente circondati e dipendenti. Da quando abbiamo scheggiato la prima pietra con gesto intenzionale per ottenere un risultato previsto, il percorso è segnato: noi e la tecnologia siamo costretti a co-evolvere. In qualche modo si è verificata una saldatura irreversibile fra il vivente e il minerale. È inutile che ci lamentiamo o che ci vantiamo di questo risultato: è più proficuo indagare intorno alle sue conseguenze sulla società in cui viviamo, cioè quella capitalistica, per capire quale possa essere il nostro futuro e come ci si arriva.

Ad ogni modo, se Achille è annientato dal fucile, Napoleone è annientato dalla bomba atomica. Cambia la scala, ma quando una vecchia forma viene a contatto con una nuova, l'annientamento di quella vecchia è inevitabile. La scienza ha incominciato da tempo ad "annientare" l'attuale modo di produzione, e Marx analizzò il sistema automatico di macchine come espressione del cervello sociale, come elemento che contribuisce ad abolire lo stato di cose presente. È ovvio che, se non è possibile un Achille in uno scenario in cui compaiono i fucili (o un Napoleone con la bomba atomica), allora non è possibile il capitalismo in cui compaiano sistematiche, crescenti negazioni del capitalismo. Il mito, in questa società, è la produzione quantitativa, essendo l'aspetto qualitativo legato unicamente al valore d'uso, senza il quale ogni merce sarebbe invendibile. Ma per raggiungere le vette di produttività richieste dalla concorrenza è necessario escogitare mezzi di produzione sempre più sofisticati, veri sistemi di macchine e uomini che ad un certo punto si automatizzano e così facendo si autonomizzano come se vivessero di vita propria.

Il capitalismo è un modo di produzione totalitario, non ammette mezze misure: in un mercato finito, esso riversa una quantità di merci virtualmente infinita. Non vi sono limiti teorici alla quantità di merci che si possono produrre. L'unico freno è nel costo dei fattori di produzione, impianti, materie prime, energia, forza lavoro. I fattori di produzione contribuiscono ad accelerare la corsa quantitativa, sia perché occorre distribuire i costi su un maggior numero di merci, sia perché l'aumento della produzione comporta sempre una diminuzione del valore unitario medio e occorre recuperare con la quantità fisica la perdita che si riscontra in percentuale (ricordiamo la formuletta: saggio di profitto = plusvalore/capitale anticipato).

Sappiamo per certo che gli antichi adoperavano macchine, anche sofisticate. Alcune erano fini a sé stesse, costruite per curiosità o divertimento, la maggior parte erano invece costruite in quanto utili. Ma non esistevano dispositivi che, collegati in qualche modo, dessero vita a sistemi di macchine. Questi comparvero con il capitalismo e si svilupparono precocemente entro la forma feudale. I sistemi di macchine automatiche esistenti al tempo di Marx all'interno dell'industria rappresentavano già una rete abbastanza evoluta, in cui elementi meccanici trasmettevano energia e informazione utili alla realizzazione di merci. Ed esistevano forme di rete come quella stradale, ferroviaria e telegrafica. Insomma, l'evolversi delle tecnologie da un certo punto in poi ha fatto delle macchine un sistema e, quest'ultimo ha iniziato fin da subito a diventare automatico e programmabile, quindi autonomo. C'è una grande differenza fra il computer e le calcolatrici di Pascal o di Leibniz, ma la differenza si assottiglia molto comparando il computer a macchine programmabili come la calcolatrice di Babbage-Lovelace o il telaio Jacquard a schede perforate, entrambi prodotti della rivoluzione industriale.

Perciò assumiamo come valide le osservazioni di Marx sui sistemi di macchine e cerchiamo di individuare quale possa essere la natura della transizione di fase che stiamo vivendo: dall'automazione in quanto motore del gigantesco aumento storico della produttività, alla robotizzazione in quanto cambiamento qualitativo entro un sistema sociale che strutturalmente non la può sopportare. Il ragionamento è noto ed è "al limite". Vale a dire che si può disegnare uno scenario teoreticamente esatto portando alle estreme conseguenze ciò che già agisce nella società odierna. Ad esempio, possiamo agevolmente capire che cosa potrebbe succedere al capitalismo se la robotizzazione fosse totale, se gli operai fossero completamente sostituiti da macchine.

Ovviamente il capitalismo salterebbe in aria molto prima di giungere a quel punto. Onde evitare la comparsa di elementi ideologici che possono inquinare la tranquilla descrizione e comprensione del modello che stiamo per descrivere, facciamo un esempio pratico: tutti sanno che in un paese moderno tipo l'Italia lo stato assorbe con il fisco, mediamente, più della metà del reddito. Si dice allora che, considerando l'arco di un anno, fino a giugno-luglio si è lavorato per lo stato e solo di lì in poi per sé. Lo stesso ragionamento si fa in campo ecologico: calcolando un ciclo di rinnovo annuale di materie prime, energia, ecc. diciamo che l'umanità, nel 2016, ha consumato tutte le risorse rinnovabili del pianeta già a settembre. Con gli stessi criteri possiamo disegnare un modello che ci indichi il grado di avanzamento dell'automazione/robotizzazione nel sistema produttivo, cioè il grado di liberazione di forza lavoro. Al tempo di Marx l'operaio lavorava mediamente per sé in una metà della giornata lavorativa, nel corso dell'altra metà lavorava per il capitalista. Luciano Gallino calcolava che oggi in una moderna fabbrica di automobili, l'operaio lavora una quarantina di minuti per sé e il resto lo devolve al "padrone", il quale, a sua volta, dovrà distribuire detto "resto" in forma di interesse, rendita, spese morte come amministrazione, magazzinaggio, ecc.

Il capitalismo non è ancora collassato perché, come hanno osservato empiricamente gli economisti, finora c'è stato un effetto sostitutivo: la forza lavoro liberata dalla produzione peculiare di un'epoca, è andata a coprire nuovi mercati della forza lavoro stessa. Ma nel frattempo non si è fermato il ricorso a macchine sempre più sofisticate e a sistemi sempre più integrati, per cui si è passati da una disoccupazione reale tipica del 5% ad almeno il triplo, e nel caso dei giovani anche al decuplo. È persino banale osservare che l'umanità non ha beneficiato affatto della liberazione dal lavoro, che anzi è diventata una piaga sociale che si accompagna ad un aumento della sovrappopolazione relativa e anche assoluta.

Non è una "questione" sindacale

Finché ci sarà il capitalismo, l'eliminazione del tempo di lavoro non si potrà trasformare in tempo di vita. Mentre miliardi di persone hanno come unica prospettiva quella di entrare a far parte della sovrappopolazione assoluta (di essere cioè non "disoccupate" ma senza possibilità di occupazione), le macchine incominciano a diventare non solo protesi amplificatrici delle nostre capacità ma strumenti sostitutivi. Questo aspetto del nuovo macchinismo non è affrontabile con i vecchi schemi sindacali o riformisti.

Quanto precede è materia apparentemente lineare, e sembra semplice da comprendere e da risolvere. Alcuni propongono di diminuire un po' l'orario di lavoro, varare piani per l'occupazione a basso costo, intraprendere lavori pubblici, diversificare le tipologie dell'occupazione tramite formazione professionale, ecc. In realtà una tale liberazione di forza lavoro nasconde cause profonde che non possono essere esorcizzate con espedienti da tardo keynesismo (il Keynes originale era per l'aumento controllato dei salari in quanto ciò avrebbe soddisfatto la "propensione marginale al consumo" ossia la spendibilità di un sovrappiù fornito alle fasce sociali a reddito basso; mentre un aumento del reddito del capitalista non avrebbe che alimentato il settore finanziario, cioè speculativo).

Il moderno impatto della tecnologia sulla produzione e sulla vita della popolazione non può più essere affrontato con richieste immediate da parte dei sindacati ai capitalisti. Marx, nella stessa pagina da noi citata in apertura, dice che un uomo che tornasse bambino sarebbe un rimbambito, mentre l'umanità bambina dei Greci offre a noi un'arte che ci dà emozioni nonostante lo sviluppo sociale successivo. La produttività è l'arte dell'umanità odierna, e quest'ultima non può tornare bambina se non regredendo a livelli e modelli produttivi del passato. Tale regressione tuttavia è del tutto incompatibile con l'esigenza costante del capitalismo di aumentare la produttività. Sarebbe la sua morte. Il guaio è, per i capitalisti, che se si lascia il sistema a sé stesso sarà ugualmente la morte. Non per caso il capitale ha tentato la via del controllo statale, cioè del fascismo: il caotico movimento dei capitali privati andava disciplinato, e ciò fu fatto in tutto il mondo. Ma una volta constatata l'efficacia del modello, si è passati dal controllo dello stato sul capitale al controllo del capitale sullo stato. Marx non ha dubbi: questo passaggio è uno dei sintomi della morte del capitalismo. Al suo tempo morte potenziale, oggi morte effettiva. La nostra corrente ha sistematizzato l'analisi di questo fenomeno ("il cadavere ancora cammina")[26] individuando l'estrema contraddizione di una società fondata sul capitale ma costituita da capitalisti senza capitale (l'insieme degli addetti alla soddisfazione delle sue esigenze) e da capitali senza capitalisti (l'insieme dei capitali privati raccolti nella società e raggruppati in grandi masse gestite da funzionari, fondi pensione, fondi d'investimento, fondi bancari):

"La intrapresa privata capitalistica è ormai interamente mimetizzata. Non ha proprietà immobiliare titolare, non ha stabilimenti e fabbriche, non ha sedi fisse, non ha titolari certi, ha cantieri volanti e macchinario relativamente insignificante rispetto ai colossali movimenti di affari. Non ha nemmeno capitale finanziario, che lo stato e per esso la banca mette a sua disposizione sulla sola base della commessa. In essa avviene l'idillio moderno più dolce tra l'iniziativa privata e il monopolio statale. Per i nove decimi è in questa forma che in pace e in guerra oggi il capitale, più che mai anonimo come Marx lo descrive, infesta l'umanità".[27]

Ci sono aziende, in cui sono occupati complessivamente milioni di salariati, che sono già degli organismi cibernetici il cui funzionamento è affidato a un accoppiamento di cervelli biologici ed elettronici. Walmart, catena commerciale con 2,2 milioni di dipendenti, deputa già il proprio funzionamento a una complessa rete di sensori-attuatori che dalla miniera, dal campo, dal negozio o dal consumatore finale mandano segnali a un centro di elaborazione il quale, a sua volta, indirizza le attività. Negli ultimi anni sono stati pubblicati innumerevoli lavori che affrontano l'argomento da diversi punti di vista. Naturalmente al centro dell'attenzione c'è la tecnologia in quanto essa, come figlia della scienza, produrrebbe sconquassi; o, secondo scuole opposte, sarebbe in grado di salvare l'umanità dalla miseria e dalla conduzione di una vita senza senso. Dall'insieme di queste opere si capisce bene che il capitalismo è agli sgoccioli. Può non scomparire subito spazzato via da una rivoluzione, ma non è che uno zombi, incapace di organizzare decentemente la propria sopravvivenza. In questo senso la "disoccupazione" di cui stiamo parlando non è più materia da trattativa sindacale. O meglio, ci sarà comunque un tentativo di risolvere il problema attraverso organismi e metodi del passato, ma nessuno al mondo sarà in grado di modificare la senescenza del capitalismo. Il processo è irreversibile, anche se si ammanta di macchine dalle brillantissime prestazioni, in grado di sostituire uomini a scala mai vista.

Pochi mesi fa il giornale della Confindustria ha pubblicato una serie di opuscoli (poi offerti in CD) sulle "nuove tecnologie", dalla robotica all'utilizzo di montagne di dati, dalle nanotecnologie alle reti, ecc. L'intento era quello di infondere ottimismo, dato l'impatto ritenuto favorevole e rivitalizzante della tecnologia su quest'epoca in cui le macchine riempiono ormai l'orizzonte a partire dalla vita quotidiana. Ma c'era da essere ben poco ottimisti dal punto di vista della produzione di plusvalore, scopo primario del modi di produzione attuale. Semmai proprio la raccolta di quegli opuscoli dimostrava che sarà sempre più difficile ricavare plusvalore da una situazione di saggio del profitto decrescente. Abbiamo ricordato all'inizio come il plusvalore derivi dalla differenza fra l'intera giornata lavorativa e quella sua parte che serve all'operaio, sotto forma di salario, per riprodurre sé stesso. La quota di plusvalore sarà pure alta, ma ci dev'essere una popolazione che possa acquistare l'immensa mole della produzione possibile. E quando un operaio lavora mezz'ora per sé e più di sette ore per altri, potrà acquistare ben poco in più rispetto a ciò che ha già.

La marcia delle macchine intelligenti

La sostituzione degli uomini con macchine intelligenti e l'interazione di nuovo tipo fra uomo e macchina, producono effetti in campo ideologico e scientifico. L'umanità incomincia a porsi domande inedite sul proprio futuro. Ciò significa che il futuro agisce più che mai sul presente.

Una volta gli operai distruggevano le macchine che li buttavano fuori dalla fabbrica. Oggi dovrebbero distruggere tutte le fabbriche e la catena logistica che le unisce, perché da molto tempo ormai la vera macchina non è più un "pezzo" di officina ma l'officina stessa, integrata in un vasto e complesso sistema. Tale "trasformazione" era già in corso nel XIX secolo, ma la tradizione voleva ancora la macchina come sostituto dell'operaio, non come parte di un sistema in grado di cambiare il mondo. L'evolvere dei sistemi è un processo in cui emergono nuove "configurazioni" intorno a un elemento mutante, uomo o macchina che sia. È dunque il passaggio da livelli di ordine inferiore a livelli di ordine superiore, dove per "inferiore" e "superiore" non si intende il gradino di una scala gerarchica ma la conquista di un grado ottimale di adattamento al contesto. Come in tutte le rivoluzioni, scientifiche o sociali, ad ogni livello (o epoca, forma economica, ecc.) gli uomini utilizzano gli strumenti tipici del loro ambiente per sviluppare quelli adatti all'ambiente che verrà. Ciò equivale a dire che l'ambiente futuro è già presente in quello attuale, che certi strumenti rappresentano anticipate forme a venire, come abbiamo scritto nella Home page del nostro sito su Internet citando i Grundrisse di Marx. Nelle transizioni di fase, ciò che era ottimale diventa obsoleto, oppure, se adatto, diventa un elemento di rottura che aiuta il nuovo livello a nascere. Le macchine intelligenti di oggi sono di questo secondo tipo.

La società attuale è particolarmente sensibile al cosiddetto sviluppo. Affinché il capitalismo possa dare il meglio di sé stesso (per i capitalisti, ovviamente) è necessario che gli elementi significativi della sua struttura crescano. Non importa come, se con la reintroduzione della schiavitù in chiave moderna o con sofisticati robot, basta che crescano. Ritornando per un attimo agli esempi riportati in precedenza, quello delle tasse per pagare le quali si lavora mediamente sei mesi all'anno, quello dello sciupio delle risorse rinnovabili consumate ogni anno già entro settembre e quello della ripartizione della giornata lavorativa in mezz'ora per l'operaio e sette ore e mezza per il capitalista, vediamo che il problema della crescita incomincia a diventare insolubile. Il prelievo fiscale si può aumentare e rendere maggiormente progressivo, ma vi è un limite oltre il quale si innesca un "effetto droga", per cui il sistema economico tende all'assuefazione richiedendo dosi sempre più alte fino all'overdose che lo uccide. Il consumo di risorse ha un limite fisico che è quello della finitezza del pianeta. Il drenaggio di plusvalore ha un doppio limite: 1) la durata della giornata lavorativa non può superare le ore di lavoro effettivo cui si devono sommare le ore per la rigenerazione della forza lavoro (perciò il punto significativo che separa il lavoro necessario dal pluslavoro può muoversi entro una dozzina di ore al massimo); 2) questo sistema cozza contro la matematica certezza che da pochi operai non si può estrarre la stessa quantità di plusvalore che si estrae da molti. Non solo le macchine sostituiscono uomini (e lo faranno ancora finché esisterà il capitalismo), ma impongono sempre nuovi modelli di produzione, più razionali, automatici, veloci.

Di fronte a questo tipo di certezze, l'umanità incomincia a pensare che vi possano essere problemi di sopravvivenza del capitalismo così com'è oggi, e lo fa per il momento rimanendo all'interno del sistema capitalistico, immaginando che con qualche cambiamento tecnico, organizzativo, politico ed economico si possa portare il sistema a una crescita controllata, o addirittura a fare a meno della crescita. Si tratta semplicemente di una illusione basata sul nulla, come insegna, appunto, la marcia della scienza e della tecnologia in quanto supporti alla produzione. Il capitalismo è un sistema basato sulla legge della retroazione positiva: il valore in ingresso nel ciclo produttivo deve trasformarsi in più-valore in uscita. E quindi non può, semplicemente, trovare un equilibrio. Sarebbe capitalisticamente insensato, per l'immane macchina produttiva che ricopre ormai gran parte del pianeta, riportare il sistema ad un output uguale all'input. Scambiare un libro con un libro diverso ha un senso, ma scambiare 100 dollari con 100 dollari è solo tempo sprecato dato che non c'è una differenza quantitativa. Il modo di ottenere questa differenza tra ingresso e uscita dipende oggi dalla struttura dell'intera società, dalla forza esercitata da milioni di capitali liberi sui loro possessori, perciò necessariamente al di fuori di ogni controllo, come dimostra la crisi sistemica in cui il mondo capitalistico si trova dal… da quando? Dal 1970, dal 1975, dal 1987 o dal 2008?[28] Quando è iniziata l'era del capitale-morto-che-cammina? Marx osservò che la sua autonomizzazione rispetto al capitalista che ne è proprietario significa dichiarazione di morte potenziale. Oggi c'è poco da aggiungere: la sua sopravvivenza è una questione puramente politica che riguarda il potere, non le ormai esauste "spinte propulsive".

Legge dei ritorni accelerati esponenziali

Il capitalismo non morirà perché ucciso dal proletariato cosciente ma, come tutti i modi di produzione, perché ha raggiunto da tempo la fase finale del suo ciclo di vita e, in tale condizione, scatenerà la forza che lo dovrà seppellire: il proletariato diretto dal suo partito. La legge dei ritorni accelerati non è altro che la trasposizione "tecnica" della legge dell'accumulazione. È questa la legge che obbliga il capitalismo a realizzare macchine sempre più intelligenti. La loro tendenza all'autonomizzazione è una conseguenza evolutiva.

La legge della retroazione positiva produce, in tutti i fenomeni ad essa soggetti, una crescita esponenziale. In natura tale tipo di crescita non esiste se non per tempi limitati. Può esservi crescita esponenziale per un dato periodo, ma poi, inesorabilmente, sopravviene o un collasso o un andamento asintotico. Per quanto riguarda il futuro del modo di produzione capitalistico, basterebbe che gli economisti (e anche coloro che si riferiscono al marxismo) leggessero le ricerche condotte da molti borghesi sul carattere cumulativo della conoscenza,[29] specie in ambito tecnico-scientifico, per concludere che esso è praticamente morto. Ah! Esclamano i marxisti tutti d'un pezzo: ma allora voi siete di quelli che aspettano il crollo spontaneo del capitalismo, per cui niente rivoluzione, niente insurrezione, niente presa del potere, niente dittatura del proletariato, ecc. ecc. L'accusa è quasi esatta, ma il punto fondamentale studiato da Marx è il carattere transitorio dei modi di produzione e delle società che vi corrispondono. Nel loro succedersi, è presente una dinamica perfettamente riconducibile a leggi fisico-sociali, dinamica che permette di prevedere con sicurezza la fine del capitalismo. Questa sicurezza fa sì che, dal punto di vista scientifico, non abbia alcun senso chiedersi quale possa essere l'agente killer. Sappiamo che il proletariato sarà il "becchino" di questa società morente, ma non è necessariamente il proletariato ad essere la causa della morte. In scienza non si preparano teorie su ipotesi, si cercano leggi e le si adopera per capire la realtà. Il peggior nemico del capitalismo è il capitalismo stesso. Sono i suoi meccanismi contraddittori, la sua parabola a rendimento decrescente. Sempre, nella storia, un vecchio modo di produzione muore quando si affaccia una nuova forma dal rendimento sociale più alto. E la classe che prende il posto di quella che dominava assume un programma adeguato alla transizione, partecipa a questa, si dà un organo politico conseguente.

I sacerdoti della scienza attuale, gli entusiasti del "progresso" possibile anche se non realizzato (ma il comunismo è possibile subito, con i mezzi che abbiamo oggi), non pensano per adesso a una società completamente nuova, ma descrivendo ciò che in teoria è realizzabile le danno corpo.

Raymond Kurzweil è uno di questi.[30] Inventore, scienziato, epistemologo, futurologo, prevede una svolta epocale non appena la scienza permetterà di realizzare macchine che utilizzano un'intelligenza artificiale simile alla nostra. La svolta avverrà quando questa situazione di passaggio sconvolgerà completamente l'attuale paradigma della conoscenza. Il problema da risolvere, per adesso, è la debolezza della nostra intelligenza nel capire il suo stesso funzionamento. Con un ausilio artificiale, noi supereremo questo scoglio e riusciremo finalmente a comprendere noi stessi. Solo che a quel punto ci troveremo con un'intelligenza diffusa di grado superiore sia all'intelligenza biologica, sia a quella artificiale. Avremo qualcosa di completamente nuovo in grado di apprendere, auto-replicarsi e così via. Senza limiti, perché un'intelligenza del genere potrà permeare tutta la materia dell'universo e renderla capace di "coscienza".

Ciò sarà possibile attraverso lo sviluppo dell'attuale intelligenza delle macchine perché il feedback delle nuove invenzioni, e perciò delle nuove possibilità di computazione, è di tipo esponenziale, comporta una accelerazione della macchina in corsa per la simulazione del cervello. Tutto ciò non appoggia, nell'autore, su alcuna evoluzione o rivoluzione del sistema che dovrebbe esprimere tale potenza. Semplicemente, egli auspica che il sistema attuale rimanga democratico (nella forma occidentale) in modo da permettere una ricerca libera da influenze ideologiche. In questo ambiente, come in un brodo di coltura, il nostro cervello potrà superare la propria debolezza relativa e sviluppare quelle capacità che, acquisite in milioni di anni, affinate con l'esperienza, come la capacità di astrazione e soprattutto di modellizzazione della realtà, fanno di noi degli esseri biologici diversi da altri esseri. Astrazione e modellizzazione sono le premesse per lo sviluppo di una conoscenza e quindi di una coscienza più vasta e potente di quella attuale, ma è grazie all'ausilio delle macchine che noi potremo realizzare questa sintesi tra biologico e artificiale.

Questo salto di paradigma, alla Thomas Kuhn,[31] permetterà di eliminare la distinzione fra macchina e umano; e la realtà fisica, descritta come insieme di informazione, non sarà distinta dalla realtà modellizzata, dato che anche quest'ultima non è altro che informazione organizzata. Tali vertici di fiducia nella scienza rasentano la pura speculazione filosofica, e il contrasto fra l'apparato scientifico e le banalità che scaturiscono da un'aderenza senza mezzi termini alla forma capitalistica rasentano il ridicolo. Kurzweil prevede ad esempio che fra un mezzo secolo esisteranno farmaci che ci permetteranno di mangiare a volontà senza ingrassare. Non ci metteremo a criticare questi risvolti della fede nel capitalismo, fenomeno che coinvolge non solo i borghesi dichiarati ma anche quelli infiltrati nelle file del proletariato. È invece interessante notare come dall'interno della borghesia si liberino delle tendenze prodotte dalla morente forma attuale. Per noi è del tutto evidente che, se prescindiamo dalle venature ideologiche e da alcune ingenuità, ci troviamo di fronte alla descrizione di una società basata su un'intelligenza estesa, un cervello sociale, in grado non solo di conoscere sé stesso, ma di adoperare questa conoscenza per pianificare la ricerca di campi inesplorati, fino a identificarsi nell'ambiente-universo per renderlo capace di "rovesciare la prassi", cioè di progettare il proprio futuro secondo la legge dei ritorni accelerati esponenziali.

Se togliamo quel po' di utopia e di fantascienza, la descrizione dell'intelligenza universale può ricordare non solo il cambio di paradigma ma anche il cambio della forma sociale. La singolarità è un evento catastrofico, una biforcazione, una cuspide nella storia dei modi di produzione: è in ogni senso una rivoluzione. Solo un'intelligenza che esista già può suggerire una distruzione così totale del vecchio paradigma, al punto di ipotizzare addirittura la colonizzazione intelligente dell'intero universo. E un'intelligenza già presente oggi per noi è il partito storico, anticipatore della società futura, suggeritore, a una minoranza mutante, di teorie sul cambio di paradigma. Per immaginare un'intelligenza integrata uomo-macchina a livello di neuroni e cellule artificiali bisogna fare i conti con la realtà dei quanti, elemento sfuggevole e troppo somigliante a una scienza che necessita anch'essa di una transizione di fase. Comunque sia, realizzabile o meno, la singolarità di Kurzweil è certo un prodotto di ciò che essa stessa sta affermando. Un paradosso logico, una autopoiesi in atto, del resto dichiarata.

Crescita della potenza di calcolo

Le macchine intelligenti diventano sempre più intelligenti sia con l'aumento della potenza di calcolo, sia con l'evolvere delle domande che richiedono potenza di calcolo per le risposte. La singolarità prevista da alcuni scienziati si presenterà certamente, ma non quando constateremo che le macchine ci hanno superato in intelligenza, bensì quando costruiremo macchine in grado di rispondere alla domanda: in quale contesto sociale una macchina più intelligente di noi può sviluppare la sua potenza al fine di catapultare l'umanità oltre il punto di svolta?

La teoria dei ritorni accelerati è molto comoda, spiega un po' di tutto. In effetti è vero che l'avvento del computer ha comportato una fantastica accelerazione delle prestazioni, spiegabile con il riflesso della potenza di calcolo sui tempi che occorrono per influenzare la realtà esistente.

"Negli anni '20 avremo gli strumenti di raccolta dati e di calcolo necessari per creare modelli dell'intero cervello e simularlo, il che renderà possibile combinare i principi di funzionamento dell'intelligenza umana con le forme di elaborazione intelligente delle informazioni che abbiamo derivato da altre ricerche sull'intelligenza artificiale. Avremo i vantaggi derivati dall'intrinseca potenza delle macchine per l'archiviazione, il recupero e la rapida condivisione di enormi quantità di informazioni. Saremo allora nelle condizioni di implementare questi potenti sistemi ibridi su piattaforme di calcolo che supereranno di gran lunga le capacità dell'architettura, relativamente fissa, del cervello umano".[32]

La potenza di calcolo non è una proprietà del calcolo ma della struttura e dell'architettura dei componenti preposti al calcolo. Vale a dire della tecnologia e del suo sviluppo. Se è così, e crediamo che sia così, allora la potenza di calcolo non è altro che lo stato dell'arte della tecnica di realizzazione dei microcircuiti. Giustamente la si misura indirettamente con il numero di transistor che si riesce a incidere su di una piastrina di silicio. Questo vuol dire che l'aumento del numero di transistor comporta una miniaturizzazione crescente dei circuiti, tanto da avvicinare la tecnologia necessaria alle dimensioni del mondo atomico. Inoltre la velocità di calcolo ormai entra in conflitto con la velocità della luce, dato che il percorso di un segnale sul supporto che lo veicola (bus) può rallentare le prestazioni di un processore. Tutto sta ad indicare che non siamo troppo lontani dal limite fisico della tecnologia esistente, e che la commistione fra "nato" e "prodotto" può essere davvero vicina.[33] Metteremo in simbiosi cellule biologiche e atomi minerali? Le prime sono costituite dai secondi e, come si sa, non c'è nessuna differenza fra due atomi di carbonio o di idrogeno, l'uno proveniente da un tessuto biologico, poniamo, e l'altro dal mondo minerale. Si parla di "computer a DNA" oppure "quantistici". Può darsi che gli scienziati e i tecnologi riescano a copiare il vivente e/o a migliorare il computer quantistico (ne esistono alcuni prototipi nei laboratori), di fatto il nato e il prodotto a questo livello già collaborano. Abbiamo dunque due identità interessanti: a livello di fisica macroscopica quella fra materia ed energia; a livello di fisica atomica quella fra atomi, siano essi appartenenti a un corpo biologico, siano essi appartenenti al mondo inanimato. Ciò significa che il fenomeno "vita" è per principio un tutto con il fenomeno "non vita", benché ancora oggi siano ritenuti completamente separati.

Kurzweil fatica a districarsi fra i concetti che gli servono per dimostrare il percorso che ci porterà al cambio totale di paradigma; si perde in dimostrazioni di tipo economico, come la diminuzione del costo in dollari della capacità di elaborazione espressa in dati quantitativi; è in tutto e per tutto inchiodato alla società in cui vive, ma ciò nonostante è portato dalla sua stessa materia di studio a immaginare l'intelligenza che fra appena una trentina d'anni sarà in grado di permeare di sé l'universo intero.

E se rovesciassimo tale concezione? Materialisticamente parlando, tenendo conto delle determinazioni che hanno condotto la materia vivente ad essere quello che è, compreso il nostro cervello (individuale e sociale), non è esatto parlare di intelligenza umana che conquista l'universo. L'affermazione è troppo smaccatamente antropocentrica e fa il paio con il principio antropico, cioè quello secondo cui l'universo sarebbe predisposto per produrre e accogliere l'uomo. Se pensiamo che materia ed energia sono la stessa cosa e che gli atomi di un cervello o di una galassia sono gli stessi, non è difficile arrivare alla conclusione cui arrivò già il poeta Leopardi, "la materia pensa".[34] Non c'è bisogno di aspettare la singolarità tecnico-scientifica, il sorpasso dell'intelligenza artificiale su quella biologica, la diffusione del cervello umano trasformato e potenziato alla scala dell'universo: la materia pensa perché non c'è nessuna differenza fra "essa" e "noi". E quindi non pensa attraverso di noi che le forniamo gli strumenti ad un certo punto del nostro sviluppo di bipedi pensanti, ma pensa perché è fatta così, perché, riservatasi il tempo necessario, ha messo insieme atomi indifferenziati in un contesto materia-energia equivalente. Noi siamo già nell'universo pensante di Raymond Kurzweil.

Non è la crescita della potenza di calcolo che ci proietterà fra le galassie ad immedesimarci con esse. Al contrario. Il fatto che siamo già una piccola parte integrante di milioni di galassie ci dà la possibilità di avere un qualcosa che chiamiamo potenza di calcolo. Una volta che questa sia emersa, noi non facciamo che potenziarla, e adesso lo facciamo con ciò che il nostro cervello ha rinchiuso in una macchina. Ripetiamo spesso che a livello di fenomeni complessi, e quindi anche della società umana, vi è un caos deterministico entro il quale specifici elementi di ordine emergente finiscono per manifestarsi secondo processi autocatalitici, cioè di auto-organizzazione.[35] Se parliamo della nostra collocazione in un mondo capace di auto-organizzarsi fino al grande salto della singolarità in cui il nato e il prodotto si saldano in un tutto unico, dobbiamo necessariamente immaginare la nostra stessa evoluzione come fase preparatoria (qualche milione di anni) della quale siamo agli sgoccioli. Siamo cioè allo stesso punto in cui la nostra corrente ha incominciato a descrivere "l'arco millenario" che unisce le due sponde del comunismo, quello originario e quello sviluppato, al di sopra del baratro rappresentato dalle forme sociali non comuniste. Tutto è pronto. Persino gli scienziati, sacerdoti del mito scientifico del capitalismo, ci sfornano libri su tale passaggio. E scrivono date, nel nostro caso il 2045, entro le quali dovrebbe scomparire il mondo attuale.

Anche noi abbiamo scritto delle date. Non abbiamo scomodato la fisica, la matematica, l'informatica o altre discipline. Abbiamo solo preso le cifre degli incrementi anno su anno della produzione industriale dei maggiori paesi lungo un secolo e le abbiamo copiate in un foglio elettronico, di quelli che regalano quando si compera un personal computer. Poi abbiamo chiesto alla macchina di tracciare un grafico. Ne è risultato un diagrammone a forma di imbuto. Le curve convergevano verso la data del 1975 dove collassavano. Si appiattivano poi intorno allo zero sincronizzandosi. Procedevano verso il 2008 con alti e bassi, sempre sincronizzate e sempre intorno allo zero, collassando di nuovo. Da allora sono piatte, non si discostano dallo zero. L'incremento della produzione industriale anno per anno esprime l'andamento del saggio di profitto, la cui formuletta è un condensato dei rapporti di classe. Per sapere che cosa ci riserva il futuro abbiamo preso altre cifre, precisamente quelle dei tre parametri descritti nei capitoletti precedenti: efficienza fiscale dello stato; impronta ecologica e aumento della produttività. Con un procedimento il meno "nasometrico"[36] possibile abbiamo unito le curve e abbiamo ricavato una data: 2030.[37]

Può darsi che il nostro procedimento abbia meno capacità di indagine rispetto ai modelli molto potenti di cui dispone la borghesia, ma arriva a un risultato analogo. La differenza sta nel fatto che noi non immaginiamo eleganti vie d'uscita per la parabola che sta percorrendo il capitale. Se la prospettiva è quella descritta, è molto probabile che l'umanità non faccia in tempo ad evolvere fino a sottrarsi alla guerra civile e a imboccare la salvezza dell'intelligenza galattica. A parte gli scherzi, le intuizioni di Kurzweil sono più importanti delle conclusioni che ne trae. Ad esempio egli afferma che l'accelerazione in atto della ricerca sul cervello da parte delle neuroscienze consentirà di accedere alla struttura fine della massa cerebrale; ed è questo il punto di svolta che aprirà le porte alla singolarità, perché è solo conoscendo i processi biologici della nostra facoltà di apprendere che saremo in grado di emularli e di superarli. Raggiunto quel punto, l'intelligenza non-biologica sarà in grado di auto-analizzarsi e di iniziare un ciclo superaccelerato di "riprogettazione di sé stessa" per diventare sempre più potente. Al sorpasso di quel traguardo intermedio, le ricadute sul progresso tecnologico in generale saranno così imponenti che il cervello biologico non incrementato non potrà più comprenderle e sarà tagliato fuori dall'ulteriore progresso. In ciò consisterà il punto singolare della storia umana.

La coscienza e le sue trappole

Il cervello sociale sviluppato dal capitalismo ha già tutti i caratteri necessari alla transizione di fase che ci sta portando al comunismo. Il riflesso del futuro sul presente confonde gli scienziati che non riescono a staccarsi da quest'ultimo. Perciò essi, nello stesso tempo in cui prevedono la singolarità storica, mantengono nel loro bagaglio conoscitivo categorie antiche, come la coscienza (o anima), di per sé capaci di annullare ogni sforzo di spiegare la simbiosi fra il nato e il prodotto. Sarebbe come dire che per muovere il motore di un'automobile si fa rifornimento alla pompa del pensiero.

Nella nostra teoria della conoscenza c'è un'affermazione categorica: l'umanità riuscirà a sapere qualcosa della mente, intelligenza, coscienza o apprendimento solo quando scoprirà come fa l'uomo a conoscere, e lo scoprirà soltanto quando uscirà dalla forma capitalistica. Dall'interno di un sistema di conoscenza non si può conoscere tutto ciò che concerne il sistema stesso. Bisogna spingersi oltre, in un sistema più potente e completo per padroneggiare la conoscenza del livello inferiore. Questo è un piccolo riassunto di passi ben più ponderosi,[38] i quali riecheggiano la famosa "prova di Gödel" che sconvolse la logica matematica nel secolo scorso.

Se dall'interno di un dato sistema non riusciamo ad abbracciare tutta la sua complessità e quindi è necessario spostarsi di livello, vuol dire che l'evoluzione verrebbe meno nel caso in cui la forma sociale non fosse superata. Quindi in un certo senso le rivoluzioni sono necessarie all'evoluzione, almeno per quanto riguarda la nostra specie. Ma se così è, tutto il ragionamento di Kurzweil poggia su basi assai fragili: se è necessaria una rivoluzione per accedere ai gradini superiori della conoscenza, come si arriva alla singolarità storica senza rivoluzione… politica? Si potrebbe obiettare che ragionando in scienza è più che sufficiente una rivoluzione paradigmatica alla Kuhn, ma in questo modo salta tutta la costruzione olistica che sorregge il divenire della singolarità. Una volta richiesto al modello di trattare dati e concetti secondo criteri unitari e invarianti, non è più permesso ritornare a un riduzionismo, per di più dualistico: scienza da una parte, società dall'altra. Intelligenza e coscienza si fondono nel fatto che queste proprietà del cervello sono un insieme di informazione e capacità computazionale. Una configurazione del genere ci permetterà in futuro di "retroingegnerizzare"[39] il cervello fino a fornirgli capacità superiori a quelle naturali al fine di realizzare sistemi intelligenti basati sul binomio cervello biologico e cervello artificiale. Sarà possibile a questo punto riconsiderare la natura della cosiddetta coscienza, emozioni comprese. E siccome non vi sono impedimenti teorici alla cattura di una memoria siffatta, sarà possibile "scaricare" i dati da un cervello umano e trasferirli in un supporto non biologico. Ciò permetterà alla parte artificiale di superare enormemente quella naturale (se la si potrà ancora definire in tal modo).[40]

Se, come dice Kurzweil, l'uomo è "la prima specie davvero libera", in grado di plasmare secondo progetto non solo il mondo circostante, ma anche sé stessa, allora siamo vicini alla scomparsa della selezione naturale di Darwin, dobbiamo dire addio alla forza evolutiva che ci ha plasmati. Che fine fa la "coscienza" in una situazione del genere? Se siamo in grado di capire cos'è il cervello, biologico o meno, e di manipolarlo, siamo anche in grado di superare i limiti della complessità e del caos, di fare previsioni là dove oggi c'è indeterminatezza o dove accadono eventi fortuiti, passibili solo di analisi statistica. Allo stesso modo si potrà superare, per quanto riguarda la coscienza, la necessità di ricondurre il comportamento individuale a un'astrazione generale. Infatti la computabilità estesa può dirci qualcosa anche sulla natura della soggettività, quindi dei settori fino ad ora terreno di studio della psicologia (e viene da chiedersi se scomparirà anche la psicologia, il che non sarebbe un male).

Qui Kurzweil concede qualcosa alla filosofia, che con la scienza c'entra solo nel mondo delle società che operano dualismo fra branche della conoscenza. Infatti compare, quasi in sordina ma chiarissima, addirittura una mistica solipsista. La coscienza non è rilevabile attraverso "misure oggettive", tipiche della scienza; perciò la filosofia in questo caso ha un suo ruolo specifico, dato che il problema della coscienza è di tipo ontologico e non epistemologico. In un mondo senza esperienza soggettiva, cosciente, ci sarebbe solo materia in continua trasformazione; senza un osservatore cosciente che la registri quel mondo potrebbe anche non esistere. E cita a riprova l'interpretazione standard della meccanica quantistica, secondo la quale la realtà si manifesta soltanto al momento dell'osservazione (il famoso "gatto di Schrödinger", vivo e morto nello stesso tempo finché la sua realtà non è rivelata dall'osservazione).

"La questione se un ente sia o meno cosciente è evidente solo a lui stesso. La differenza fra correlati neurologici della coscienza e la realtà ontologica della coscienza è la differenza fra realtà oggettiva e soggettiva. Per questo non possiamo proporre un rilevatore oggettivo di coscienza senza incorporarvi delle ipotesi scientifiche. Io credo che noi esseri umani finiremo per ammettere che enti non biologici sono coscienti, perché alla fine gli enti non biologici esibiranno tutti quegli indizi sottili che attualmente mostrano gli esseri umani e che associamo con le emozioni e altre esperienze soggettive"[41]

La separazione della coscienza di sé dalla coscienza oggettiva ha a che fare con i paradossi logici, che notoriamente sono irrisolvibili, come quello del bibliotecario minuzioso: dovendo catalogare migliaia di libri, inizia a schedare per titolo, per autore, per argomento, per dimensione e così via. I cataloghi diventano tanti e il bibliotecario compila il catalogo dei cataloghi. A questo punto egli nota che la maggior parte dei cataloghi non riportano sé stessi, ma alcuni sì, perciò decide di compilare il catalogo di tutti i cataloghi che non includono sé stessi. Ma non sa (non può) decidere se il nuovo catalogo debba includere sé stesso.

Abbiamo ricordato il paradosso (o l'antinomia logica) perché tutte le discussioni sull'intelligenza artificiale devono fare i conti con l'insieme delle intelligenze che sul pianeta Terra si sono sviluppate. Le difficoltà sorgono perché si continua a considerare dualistico l'insieme delle intelligenze che è invece un'intelligenza collettiva: considerando quelle biologiche da una parte, quelle artificiali dall'altra, non riusciamo a "catalogare" gli insiemi che includono o non includono sé stessi. Kurzweil naturalmente si rende conto del problema, ma ciò non gli impedisce di escogitare una "prova ontologica" dell'esistenza della coscienza. È qui che rasenta il solipsismo. Constatiamo quanto nel suo ragionamento sia labile il confine tra scienza e metafisica:

"La Singolarità denota un evento che si verificherà nel mondo materiale, il prossimo inevitabile passo nel processo evolutivo che è iniziato con l'evoluzione biologica e si è esteso nell'evoluzione tecnologica diretta dagli esseri umani. Tuttavia, è proprio nel mondo della materia e dell'energia che incontriamo la trascendenza, connotazione fondamentale di quello che molti chiamano spiritualità… Trascendere" significa 'andare oltre', ma questo non ci deve necessariamente spingere ad adottare una concezione dualista in cui i livelli trascendenti della realtà (come la spiritualità) siano considerati 'non di questo mondo'. Possiamo 'andare oltre' i poteri 'ordinari' del mondo materiale attraverso il potere delle configurazioni... Trascendiamo attraverso i poteri emergenti delle configurazioni. Dato che la materia di cui siamo fatti si modifica rapidamente, quello che si mantiene è il potere trascendente delle nostre configurazioni. La loro capacità di conservarsi va al di là dei sistemi che esplicitamente replicano se stessi, come gli organismi e la tecnologia autoreplicante. Sono la persistenza e il potere delle configurazioni che sostengono la vita e l'intelligenza. La configurazione è di gran lunga più importante della materia che la costituisce".[42]

Il confine è labile, ma se prendiamo la parte materialistica e sostituiamo "configurazione" con "programma" la trascendenza di cui parla l'autore, l'andare oltre all'esistente, può esserci più familiare. Nella nostra teoria della conoscenza è implicito il sottofondo materialistico della scienza come prodotto del divenire umano, della nostra differenziazione relativa rispetto alla natura di cui facciamo parte nonostante continuiamo a separarla da noi. Ora, non possiamo sapere se ci sarà questa grande fusione singolare in grado di riunire le intelligenze dell'universo. Probabilmente alla scadenza del tempo previsto non succederà proprio niente, a meno che prima non sia già conclusa la rivoluzione, nel senso della distruzione della forma sociale presente e dell'avvento di una forma nuova. In ogni caso, Kurzweil espone la sua marcia trascendente verso l'intelligenza totale con osservazioni che in qualche caso ci sembrano assai familiari.

La realtà e i suoi modelli

La scienza sarebbe inutile, dice Marx, se l'essenza delle cose e la sua forma fenomenica coincidessero. Il succedersi dei modi di produzione sembra seguire storicamente un percorso graduale, anche se guerre e rivoluzioni lo punteggiano. Ma realizzando un modello astratto della società, possiamo con esso periodizzare la storia e individuare i cambi di rotta o singolarità. Il punto di partenza di ogni forma si colloca al punto di arrivo della forma precedente. Così è per la scienza e i suoi paradigmi. La singolarità storica è sempre il prodotto del cambiamento sincronico di società e scienza.

L'intelligenza, leggiamo traducendo dal linguaggio di Kurzweil al nostro, è un problema di trattamento dei dati. Il nostro cervello funziona secondo le determinazioni che l'hanno modellato nel corso dell'evoluzione. Quando è arrivato a escogitare delle macchine per il trattamento dei dati, non ha potuto fare altro che trasporre in quelle macchine le "configurazioni" registrate nella sua struttura. Siamo ancora distanti da una sua simulazione decente, e l'intelligenza artificiale non è ancora promossa al test di Turing; ma si stanno facendo passi avanti. Secondo l'interpretazione corrente dell'intelligenza artificiale, la macchina di Turing può risolvere ogni problema riducibile in algoritmo escogitato dal cervello umano. Ergo, se un problema non è risolvibile con la macchina di Turing non è neppure risolvibile dal cervello umano.[43] Quest'ultimo è un insieme di materia i cui componenti minimi non sono diversi da qualsiasi altra materia esistente nell'universo, perciò è soggetto alle leggi di natura. Ciò significa che queste leggi, comuni a uomo e natura (sorvoliamo su questi residui di dualismo) sono descrivibili allo stesso modo; cioè, da quando Galileo ha codificato per la prima volta il metodo contribuendo alla nascita della scienza moderna, sono modellizzabili in termini matematici, i quali a loro volta possono fornire gli algoritmi necessari al calcolo complesso, alle simulazioni, all'ordinamento dei dati prima troppo numerosi o ingarbugliati per essere capiti. Devono quindi esservi configurazioni di materia, energia e algoritmi in grado di simulare il cervello umano, compreso il "pensiero" che frulla fra neuroni e sinapsi.

L'obiezione corrente a questa concezione è quella classica: riduzionismo indebito; il cervello umano, la coscienza, la mente, hanno caratteristiche non riducibili a proprietà tipiche delle macchine; i dati qualitativi sfuggono all'indagine condotta su basi quantitative, misurabili. Sarà, ma senza misura, senza dati quantitativi, senza schemi (configurazioni) e senza verifica sperimentale non si fa scienza, e al giorno d'oggi neppure più filosofia.

Ci occupiamo di questo argomento adoperando un libro che fin dal titolo promette di sviscerare la struttura di una rivoluzione in corso e quindi non ci soffermiamo a sottolineare le contraddizioni, le scivolate metafisiche, la propensione ad immaginare che la società capitalistica possa sopravvivere alla singolarità, cioè a un evento che di per sé la nega totalmente. Ciò che importa è il contenuto oggettivamente avverso ad ogni concezione statica del capitalismo, nonostante la professione di fede per questo modo di produzione. Non è forse realistico pensare a una società retta da un'intelligenza post-singolarità, ma la grande mole di dati che dimostrano una "trascendenza" in corso verso di essa, dimostrano allo stesso tempo l'esistenza di una dinamica il cui sbocco è un cambiamento radicale nell'insieme dei rapporti umani. A leggerlo con il filtro della nostra dottrina il libro non è solo un catalogo di ritrovati tecnici, di processi conoscitivi e produttivi, di implicazioni teoriche, politiche e sociali, ma è soprattutto uno sviluppo lungo centinaia di pagine di un nostro significativo schemino del 1951, quello del succedersi dei modi di produzione e nella cui didascalia è scritto:

"La curva, con cui si è voluta semplificare la tanto deprecata 'teoria delle catastrofi', presenta ad ogni epoca delle punte che in geometria si chiamano 'cuspidi' o 'punti singolari'. In tali punti la continuità geometrica, e dunque la gradualità storica, sparisce, la curva non ha tangente o, anche, ammette tutte le tangenti - come nella settimana che Lenin non volle lasciar passare. Occorre appena notare che il senso generale ascendente non vuole legarsi a visioni idealistiche sull'indefinito progresso umano, ma al dato storico del continuo ingigantirsi della forza produttiva sociale nel succedersi delle grandi crisi storiche rivoluzionarie".[44]

È indubbio che lo sviluppo della forza produttiva sociale non potrà continuare all'infinito, anche se essa non è per nulla assimilabile alla produzione quantitativa (può benissimo aumentare la forza produttiva sociale e diminuire la quantità di beni prodotti come dovrà succedere nella società comunista). Perciò è indubbio che si amplierà il campo della trasformazione tecnologica. Lo sviluppo dell'intelligenza globale farà parte certamente di detta prospettiva. Da questo punto di vista il libro di Kurzweil è invecchiato un po', anche se è comunque utile per il lavoro che stiamo svolgendo. La simulazione dell'intelligenza biologica tramite una artificiale (l'una a base carbonio, l'altra a base silicio) cozza contro difficoltà per il momento insormontabili, anche giocando favorevolmente con le statistiche di crescita tipo la presunta "legge" di Moore e simili.[45] È probabile che debba intervenire la fisica quantistica, ma al momento vi sono limiti intrinseci invalicabili: nessun osservatore (di qualunque mezzo si serva) può evitare di turbare il sistema osservato, falsando la misura e quindi il calcolo.

Perciò in un progetto finalizzato a realizzare un'intelligenza paragonabile e superiore a quella umana è implicita la simulazione di processi evolutivi, per quanto accelerati, dato che lo stato attuale del materiale biologico intelligente è frutto di milioni di anni di interazioni fra vari tipi di materia con scambio di energia. Occorre anche simulare la capacità, da parte dei componenti che si dovranno aggregare in catene molecolari complesse, di "leggere" le rispettive caratteristiche. Non sappiamo se ciò sarà possibile, come invece dichiara Kurzweil, ma certo non siamo vicini a riuscirci. Non è sufficiente identificare i "componenti del pensiero", riprodurli e fare in modo di interagire con essi come se fossero gli originali. Un atomo di carbonio, come abbiamo detto, è sempre tale sia che provenga da un uomo sia che provenga da una barretta di grafite. Eppure uno è in un contesto vivo, l'altro in un contesto inerte. Correnti critiche interne alla fisica sostengono che invece questo tipo di riduzionismo non corrisponde alla realtà in quanto gli atomi devono essere considerati non isolatamente ma come insiemi risonanti o fluttuanti, nei quali tutto si collega, per cui effettivamente ci sarebbe una differenza sostanziale fra il vivo e l'inerte, quindi fra il nato e il prodotto.

Un super-organismo simbiotico

Macchina è qualsiasi strumento costruito con più elementi in modo da incrementare le capacità umane o utilizzare forze naturali allo scopo di risparmiare lavoro. Rispetto agli oggetti raccolti in natura allo stesso scopo, la macchina è il risultato più o meno complesso di un progetto. Che, in quanto tale, esso permette di regolarizzare, organizzare attività precedentemente accidentali. La macchina incorpora conoscenza collettiva e ogni suo perfezionamento è possibile solo trasmettendo dati che si possono ricavare dalla macchina stessa quando è in funzione. In questo senso ogni macchina è parte di un sistema che comprende necessariamente l'uomo. Dunque "macchina" è il tutto.

Non ripeteremo l'accusa di neo-tecnicismo riduzionistico affibbiata a Kurzweil per la semplice ragione che parte da scienziati che hanno un piede nella mistica in quanto si aspettano la prova che un cervello artificiale possa ospitare da qualche parte qualcosa di simile alla coscienza. È certo che se non ci danno la descrizione di questa coscienza (e non ce la danno) la critica viene a cadere del tutto. E di fronte ad un lavoro come quello di Kurzweil non basta descrivere ciò che si intende per coscienza, bisogna anche stabilire che cosa si intende per macchina quando si parla di intelligenza artificiale. Se si intende un insieme globale di configurazioni dinamiche in grado di relazionarsi con il mondo, allora è probabile che ci stiamo approssimando davvero a una singolarità, anche se tale insieme non è certo il cervello mega-galattico immaginato da un futurologo. Ma che cosa può essere un organismo artificiale, progettato sulla base di un suo omologo biologico, organico e funzionante secondo gli stessi principi? Quale può essere l'esigenza sociale che potrà muovere l'uomo a realizzare una macchina in grado di entrare in simbiosi con il cervello umano? Sarebbe del tutto arbitrario pensare alla necessità di un partito rivoluzionario che non sia un partito fra gli altri ma un organismo complesso, un ciber-organismo in grado di scatenare ciò che Kurzweil chiama "singolarità storica"? E infine: siamo sicuri che tutto questo sia da rimandare al 2045 e non sia invece già presente oggi, in embrione, nella società attuale così com'è?

Potrebbe essere, se la previsione di un cervello sociale alla Kurzweil provoca già contraccolpi nello schieramento borghese. Segno che la singolarità è avvertibile ed evoca paure profonde rispetto al cambiamento. Contro i sostenitori della riproducibilità del cervello fino al livello della coscienza il filosofo John Searle[46] suggerisce un esperimento concettuale: immaginiamo che la microchirurgia possa sostituire tutti i neuroni, le sinapsi e altro materiale organico che formano un cervello con microcircuiti elettronici funzionanti perfettamente come se fossero neuroni, cellule, ecc. La simulazione è perfetta, tutto è riprodotto come si deve. Secondo il filosofo la coscienza del possessore di quel cervello svanirebbe. È dunque nella natura del cervello biologico l'avere una coscienza; è nella natura del cervello artificiale il non averla, questo ci dice l'esperimento. Un po' come quel personaggio di Molière che spiegava gli effetti dell'oppio dicendo che esso conteneva una virtus dormitiva. Naturalmente l'oppio fa dormire l'uomo non perché contenga dei principi sonniferi, ma perché contiene sostanze che, recepite da cellule del nostro corpo, ecc. ecc. La "spiegazione" di Searle vale quella di Kurzweil: anche la riproducibilità di tutte le funzioni, comprese quelle attribuite alla cosiddetta coscienza, prevede che la coscienza ci sia e abbia uno statuto particolare rispetto alle rotelle di una macchina.

Ma lasciamo i borghesi alle loro diatribe e collochiamoci, come già siamo, al di fuori della mischia. Immaginiamo che il cervello individuale con i suoi cento miliardi di neuroni sia collegato in rete con altri cervelli, ognuno con i suoi cento miliardi di neuroni. Virtualmente potremmo disporre della "potenza di calcolo" di 1022 neuroni, un numero inimmaginabile. Naturalmente non si può fare l'operazione, né con i microcircuiti né con i cervelli. Ci dobbiamo accontentare di una poco fantascientifica rivoluzione che spazzi via l'immondizia capitalistica e renda possibile una polarizzazione dei cervelli, una sintonizzazione sui megahertz dell'onda del cambiamento drastico del hardware e del software di questa società. Una volta si chiamava dittatura del proletariato ed era il risultato transitorio del concretizzarsi del "partito storico" (il movimento reale dal comunismo originario al comunismo sviluppato) in "partito formale".

In detto partito i neuroni-cervello non saranno fantastiliardi ma agiranno in numero sufficiente a traghettare l'umanità fuori del capitalismo. Questa macchina umana sarà certamente coadiuvata dalla macchina-macchina in una simbiosi un po' diversa da quella immaginata oggi dagli scienziati e dai filosofi. Il nato e il prodotto collaboreranno alla definizione dei compiti operando la vera fusione. Sapremo dopo se si tratterà di intelligenza artificiale o naturale. Sapendo però già da subito che di artificiale non c'è niente, tutto è esistente in natura. Abbiamo detto più sopra che il libero arbitrio è un ventaglio di decisioni possibili elaborato da un buon programma sulla scorta di una massa sufficiente di dati ambientali. È chiaro che una simbiosi fra il cervello sociale biologico e quello artificiale permetterà una cibernetica sociale di enorme potenza. Non si lasci sviare il lettore da termini usurati dall'uso capitalistico nella fantascienza o nel linguaggio comune: cibernetica vuol dire arte del tenere il timone. Del resto anche comunismo non è un termine esente da usura e contraffazioni. Quale sarà il luogo delle decisioni? Non lo sappiamo, ma non ha importanza, perché non sarà un problema di forma bensì di sostanza.

La prova ontologica dell'esistenza dell'Io

Per la verifica della teoria dei ritorni accelerati esponenziali non c'è alcun bisogno di saper che cosa sia la coscienza e quali funzioni abbia. L'intrusione della filosofia porta solo scompiglio intorno al modello di singolarità storica, il quale si auto-regge sull'ipotesi di co-evoluzione di uomini e macchine. Giunti a questo punto è chiaro che stiamo usando il modello di singolarità come metafora dello sviluppo del partito rivoluzionario, dalla sua esistenza storica a quella formale e oltre.

Si pretende che esista una coscienza e che essa sia collegata al metodo scientifico di ricerca, che ne dovrebbe garantire lo statuto di entità misurabile, cioè descrivibile in termini di modello. Naturalmente la coscienza è un fatto individuale, almeno come la si intende di solito. Ci sono tante coscienze quanti sono gli esseri umani, ognuna è diversa dall'altra, ognuna come fenomeno unico. Difficile fare scienza quando si ha a che fare con entità non generalizzabili. Non sarebbe utilizzabile il principio di induzione matematica, sarebbe inibita la ricerca di invarianti, salterebbe la riproducibilità e quindi la verifica sperimentale. Ma, si dice, senza coscienza non esisterebbe l'uomo e, se ci spingiamo appena più in là, l'abbiamo visto, persino uno scienziato può ancora affermare che il mondo senza un osservatore è come se non esistesse. Ciò accomuna Kurzweil, Searle e tutti i loro seguaci. Il primo afferma che la coscienza c'è ed è riproducibile, il secondo dice che c'è ed è irriproducibile, come dimostrerebbe l'esperimento proposto. Non è solo una questione di linguaggio, di quale nome diamo ad un certo fenomeno: le due posizioni partono dal presupposto che la coscienza sia quella e non altro, che abbia un posto in cui risiedere per essere messa in simbiosi con la macchina o cancellata con la sostituzione dei neuroni con microchip. Come giustamente osserva Kurzweil il problema così posto non è di carattere epistemologico ma ontologico. Non si tratta di sapere che cosa sia quel misterioso oggetto ma di inserirlo come esistente nelle varie teorie. E questo è sempre stato il compito non della scienza ma della filosofia. Non per niente è luogo comune dire che la scienza è legata alle epoche, mentre la filosofia è senza tempo. Non è vero, ma si tende a pensarlo perché poniamo da una parte il progresso materiale e dall'altra le caratteristiche biologiche, psicologiche o sociali dell'uomo.

Pensando in questo modo facciamo pasticci. La macchina di Turing funziona secondo un principio strettamente deterministico, perciò se pensiamo che la coscienza sia riconducibile a capacità computazionali del cervello (alla maniera della macchina) non possiamo sostenere, allo stesso tempo, che essa sfugge alle leggi della fisica in quanto elemento esclusivamente qualitativo. È corretto sostenere, ad esempio, che è possibile migliorare la simulazione di un processo fisiologico del corpo fino ad approssimazioni estreme ma che è invece impossibile fare la stessa operazione con il cervello? Se non ne siamo capaci ma pensiamo che sia possibile allora ci schieriamo con coloro che tirano in ballo l'epistemologia; se pensiamo che sia impossibile vuol dire che consideriamo la coscienza una qualità intrinseca del cervello o dell'intero corpo, ontologicamente non descrivibile, quindi non trattabile secondo metodi scientifici. Forse è per questo che Kurzweil, affidando alla tecnologia la simbiosi cervello-macchina ma rimanendo incollato alla concezione metafisica della coscienza, introduce la filosofia. Eppure nessuno pensa di fare una simile operazione quando la quasi totalità dei fisici afferma che il principio d'indeterminazione deriva da una qualità intrinseca della materia e non dalla mancata conoscenza di "variabili nascoste". Nessuno scomoda la filosofia (almeno dichiaratamente) a causa della contraddizione fra il determinismo della fisica quantistica e l'indeterminismo che si rivela quando procediamo alla misurazione.[47]

Questo tipo di discorsi ci porta direttamente al gran parlare che si fa attualmente del computer quantistico, che sarebbe così potente da permettere calcoli oggi inimmaginabili, come dice lo stesso Kurzweil. In effetti tale potenza è intuibile: il mondo delle particelle ha proprietà utilizzabili per computare a una velocità infinita, se mai si riuscisse a sfruttare ad esempio l'effetto entanglement (effetto istantaneo che si ha nelle proprietà di due particelle messe in relazione, indipendentemente dalla distanza). I guaio è che le stesse proprietà della materia che ci permetterebbero di costruire un computer quantistico sono all'origine dell'indeterminazione della misura. Ci troveremmo di fronte a un computer immensamente potente ma non in grado di permettere il rilevamento dei risultati. Si potrebbe pensare a rilevazioni statistiche fra miliardi di eventi, ma a questo punto avremmo un computer quantistico che si comporta come un computer analogico, perderebbe cioè tutta la precisione ottenuta approssimandoci al mondo delle particelle. In effetti il vero computer quantistico, oggi, è quello che abbiamo in casa e soprattutto in tasca. Esso funziona egregiamente sfruttando le proprietà dei semiconduttori e per adesso è insostituibile. È sufficiente per entrare in simbiosi con il nostro cervello? Sembra di sì, a giudicare dall'uso massiccio che si fa dei "furbofoni" personali, piccoli, veloci, potenti, invasivi, ormai maneggiati egregiamente persino dai bambini.

Si continua a dire che c'è un'incolmabile differenza fra le macchine e l'uomo, differenza che però, gratta gratta, si riduce al fatto che l'uomo avrebbe la facoltà di decidere, scegliere, insomma, di comportarsi secondo le proprietà del libero arbitro, mentre la macchina no. Può essere vero sotto certi aspetti e falso sotto altri. In una simulazione abbastanza sofisticata si può dimostrare che la maggior parte di ciò che crediamo libero arbitro non è altro che un elenco di scelte possibili che un buon programma prende in considerazione di fronte agli stimoli di una massa sufficiente di dati ambientali. Da questo ventaglio, un'ulteriore elaborazione può isolare la "scelta ottimale" rispetto al risultato che si vuole ottenere. Dal punto di vista pratico in questo campo il computer lavora già meglio dell'uomo. Di solito di fronte a queste osservazioni i sostenitori dell'ineffabile libero arbitrio rispondono: "Ma non è ciò che intendo io per libero arbitro". Bene, può darsi, ma qui stiamo parlando di scienza e tecnica, non di teologia.

Stiamo cioè parlando di conoscenze e pratiche utili allo sviluppo della forma sociale capitalistica e del suo consolidamento, conoscenze e pratiche portate all'estremo limite di questa utilizzazione con l'esaltazione del macchinismo computerizzato e robotizzato, ma nello stesso tempo fattori di trasformazione sociale su cui la rivoluzione sta già facendo leva. Per esempio agendo profondamente sulla sola classe che ha interesse all'abolizione di tutte le classi, a partire dalla demolizione della società divisa in classi. Togliendole il sostentamento nello stesso momento in cui la costringe a produrre una massa mai vista di valore/ricchezza, relegandola alla condizione di senza-riserve, di precarietà assoluta. È la sola classe che può farsi carico di questo compito storico perché determinata a maturare una capacità di lotta specifica, a partire da condizioni materiali. Tuttavia ogni elemento di questa classe nasce, vive e muore entro la società capitalistica, ne assorbe l'ideologia, per cui non può elaborare da solo una concezione cosciente del proprio futuro. Del resto, per lo stesso motivo, nemmeno la totalità di questi elementi può maturare una teoria del cambiamento sociale, per la semplice ragione che le determinazioni collettive ne fanno una classe per il capitale, non una classe per sé. Né il singolo né la classe possono dunque impadronirsi della teoria del cambiamento epocale odierno come portato degli interessi immediati. Tutto sembra fossilizzato nella conservazione del presente, ma, come leggiamo nel Manifesto del 1848, il modo di produzione capitalistico è costretto a rivoluzionare continuamente sé stesso. Se le parole hanno un significato, ciò significa che il capitalismo produce continuamente la propria antitesi. Questa non prende la forma di intuizione individuale né di maturazione collettiva in senso culturale, né di "progresso" che porta ad esaltanti risultati del tipo di quelli previsti da Kurzweil. L'antitesi del capitalismo dev'essere una rappresentazione materiale della società futura in grado di agire sul presente.

"La capacità di descrivere in anticipo e di affrettare il futuro comunista, dialetticamente non va cercata né nel singolo né nell'universale, ma trovata in questa formula che ne sintetizza il potenziale storico: il partito politico è attore e soggetto della dittatura".[48]

Allora sì che si può intravvedere un qualcosa di più chiaro e funzionale rispetto alla futura universalità del cervello sociale, questa simbiosi fra organo elaborante, individuale, collettivo ed elettronico.

Letture consigliate

  • Bordiga Amadeo, "Il cadavere ancora cammina", Sul filo del tempo, maggio 1953.
  • Bordiga Amadeo, Teoria e azione nella dottrina marxista, Rapporto alla riunione di Roma del 1 aprile 1951 - Bollettino Interno n. 1 del 10 settembre 1951.
  • Bordiga Amadeo, "Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia", Il programma comunista nn. 15-16 del 1955.
  • De Rosnay Joël, L'homme symbiotique, Éditions du Seuil.
  • Kauffman Stuart, A casa nell'universo, Editori Riuniti.
  • Kelly Kevin, Out of control, pubblicato in italiano da Urra.
  • Kuhn Thomas, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi.
  • Kurzweil Raymond, La singolarità è vicina, Apogeo.
  • Laughlin Robert, Un universo diverso, Codice edizioni.
  • Leopardi Giacomo, Zibaldone, Mondadori.
  • Marx Karl, Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica, Editori Riuniti.
  • n+1, nn. 15-16, Per una teoria rivoluzionaria della conoscenza, numero monografico, giugno 2004.
  • n+1, "Realtà e percezione" e "Un mondo di infinite relazioni", n. 33.
  • n+1, "Fare, dire, pensare, sapere", n. 38.
  • Thom René, Stabilità strutturale e morfogenesi, Einaudi 1980.
  • Weinberg Steven, Alla ricerca delle leggi ultime della fisica, Il Melangolo.
  • Whitney Hassler, "On Singularities of Mappings of Euclidean Spaces", Annals of Mathematics, n. 3 - 1955.

Note

[25] Cfr. Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica, Editori Riuniti.

[26] Amadeo Bordiga, "Il cadavere ancora cammina", opuscolo Sul filo del tempo, maggio 1953.

[27] Amadeo Bordiga, "Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia", Il programma comunista nn. 15-16 del 1955.

[28] La sequenza indica la fine del sistema monetario di Bretton Woods, la crisi petrolifera, il grande crollo borsistico, l'inizio della stagnazione attuale.

[29] Tale carattere cumulativo si può spiegare con lo stesso esempio dello scambio di libri e di dollari: due persone che si scambiano la stessa quantità di denaro non accrescono l'informazione presente nel sistema; due persone che si scambiano un libro la raddoppiano (ovviamente se lo leggono). Con il doppio d'informazione al prossimo scambio si otterrà il quadruplo e così via, con progressione esponenziale.

[30] Ray Kurzweil, La singolarità è vicina, Apogeo.

[31] Thomas Kuhn, Struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi.

[32] Kurzweil cit. Pagg. 190-191.

[33] La marcia verso la simbiosi fra "nato" e "prodotto" è stata analizzata da Kevin Kelly in Out of control, pubblicato in italiano da Urra. Vedere anche L'homme symbiotique di Joël de Rosnay. Éditions du Seuil.

[34] Giacomo Leopardi, Zibaldone, Mondadori.

[35] Stuart Kauffman, A casa nell'Universo, Editori Riuniti.

[36] Misure a naso. Definizione del matematico Bruno de Finetti e dell'economista Siro Lombardini per i casi in cui i dati empirici sono scarsi o mancanti.

[37] Per il modello di crisi cui si accenna vedere i numeri 20 e 24 di questa rivista con gli articoli La legge della miseria crescente, verifica sperimentale con un modello di simulazione e Un modello dinamico di crisi - Indagine sul futuro prossimo del capitalismo.

[38] Cfr. questa rivista nn. 15-16, Per una teoria rivoluzionaria della conoscenza, numero monografico, giugno 2004.

[39] Il termine "retroingegnerizzazione" è utilizzato dall'autore nel senso di dedurre da un risultato raggiunto i passi compiuti dal cervello per giungervi, e da essi ricavare modalità per potenziare nuovi passi. Si tratta "di vederlo internamente, costruire modelli e simulare le sue regioni".

[40] In un certo senso, giunti al punto in cui siamo con scienza e tecnologia, non sarebbe lecito separare il biologico dall'artificiale: il nostro cervello è abbondantemente "costruito" dalle funzioni che ha dovuto svolgere durante la propria evoluzione, quindi è artificiale quanto le macchine che adesso sa inventare.

[41] Kurzweil cit. Pag. 384.

[42] Kurzweil cit. Pag. 386.

[43] Il lettore potrebbe chiedersi: se "la macchina di Turing può risolvere ogni problema riducibile in algoritmo escogitato dal cervello umano", perché allora "siamo ancora distanti da una simulazione decente e l'intelligenza artificiale non è ancora promossa al test di Turing"? Questa domanda solleva due ordini di problemi: da una parte la macchina di Turing è virtualmente capace di risolvere ogni algoritmo ma ha bisogno di un tempo tendente all'infinito; dall'altra il test di Turing si basa su di un comportamento umano che per adesso non è possibile simulare (recenti test giudicati positivi hanno invece ricevuto critiche severe).

[44] Amadeo Bordiga, Teoria e azione nella dottrina marxista, Rapporto alla riunione di Roma del 1 aprile 1951 - Bollettino Interno n. 1 del 10 settembre 1951. Da notare che una teoria delle cuspidi vide la luce solo nel 1955 (Whitney) e una teoria delle catastrofi nel 1972 (Thom, in italiano nel 1980).

[45] Gordon Moore, uno dei fondatori di Intel, aveva notato che, grazie a tecniche sempre più affinate, nei microprocessori il numero di transistor raddoppiava ogni 18 mesi. Convertito il dato in potenza di calcolo la legge afferma che tale potenza raddoppia ogni due anni. È chiaro che non si tratta di una "legge" ma di una osservazione empirica.

[46] Citato da Kurzweil nel testo.

[47] "In meccanica quantistica un sistema è descritto da un vettore di lunghezza unitaria… la dinamica del sistema si descrive precisando secondo quale regola il vettore di stato ruoti in funzione del tempo… Ciò avviene sempre in maniera assolutamente deterministica…. L'indeterminismo interviene soltanto quando si cerca di misurare… la meccanica quantistica è tutta qui" (Steven Weinberg, Alla ricerca delle leggi ultime della fisica, Il Melangolo). "In meccanica quantistica le funzioni d'onda evolvono deterministicamente, ma il processo attraverso cui vengono trasformate in segnali leggibili genera errori" (Robert Laughlin, Un universo diverso, Codice edizioni).

[48] "Contenuto originale del programma comunista", Il programma comunista nn. 21 e 22 del 1958.

Rivista n. 40