Neoluddismo

Volevo mandarvi una cosa scritta in questi giorni. Non è per farvi sapere "come la penso", ma per sapere da voi se riesco a capire qualcosa di quello che ho letto fino ad ora della vostra rivista. Visto che per il momento mi trovo in difficoltà a porre domande, faccio delle affermazioni e vorrei cercare di capire se sono delle stronzate o no. Solo per aprire un po' di dialogo, insomma. E ho deciso di farlo basandomi sulla critica alle posizioni che ho fatto mie per un periodo della mia vita. Vi spedisco dunque alcune note su di un ambiente neoluddista che penso sia bene i vostri lettori conoscano. Se non avete tempo di ricavarne un articolo, potete farne un riassunto per la rubrica della posta. Ritengo che queste riflessioni siano una cosa dovuta per diversi motivi.

A questo proposito, più o meno citando Debord, voglio ricordare comunque che "quando parlo di quelle persone ho forse l'aria di sorriderne, ma non bisogna credere che sia così" . C'è comunque un po' di rabbia in quello che scrivo perché, pur non rinnegando un passato che forse era necessario, io stesso ho sostenuto quelle che oggi ritengo baggianate. Ogni tanto mi è sembrato di rispondere come il Marx della gag dei Monty Python, e sarebbe abbastanza divertente se avessi tenuto quel tono per dire delle sciocchezze. Sono considerazioni veloci, senza pretesa di essere complete, ovviamente.

[Come sapete non sono stato bene di salute e anche adesso non è che sia proprio in forma] Mi permetto di fare una critica preventiva a me stesso su una cosa in particolare. Conoscere la rivista n+1 e con essa Marx, mi ha fatto un effetto particolare. Mi ha fatto interessare al mondo in cui vivo, al modo in cui si muove, in cui produce, a ciò che c'è di positivo per il futuro. Magari vi sembrerà un po' strano, ma avevo bisogno veramente di ritornare a vedere qualcosa dopo anni di paure e paranoie. Ero stufo di considerare il mondo e gli uomini come una roba schifosa. Il perché sarà chiaro leggendo quello che segue. Quindi diciamo che per ora ho un certo modo di pormi non molto critico su concetti generali come la "scienza" o magari tendo ad essere idealisticamente ottimista in certi punti... Boh, sappiatemi dire. Insomma, parlo molto poco di lotta o di partito (che, come tutti quelli della mia età, non so neanche cosa siano, d'altronde) perché il tema che per ora mi è più caro, ora che ho cominciato ad affacciarmi sul "marxismo" è la questione della conoscenza e della produzione ecc..., che avevo sempre considerato inutile merda (praticamente devo ricominciare con una critica alla filosofia... dev'esserci qualcosa che non va...).

Ci sarà tempo per capire, immagino. Non ho fretta. Insomma, la mia massima in questo momento è: "Il mondo è più interessante, vario e pieno di cose da conoscere rispetto a quanto i chierici di ogni risma siano disposti ad ammettere sulla base dei loro vangeli autocostruiti e perciò autoreferenziali". Se volete proprio saperla tutta, magari farà sorridere detta così, ma è la prima volta che non mi sento una "singolarità" del cazzo, ma sento dietro di me la storia di miliardi di uomini, della specie. Ed è una buona compagnia.

Tanto per cominciare, nell'ambiente cui facevo riferimento si pensa che il capitale abbia avuto bisogno dell'industria e dell'ideologia industrialista per imporsi come organizzazione sociale. Adesso mi è chiaro che tipo di rovesciamento si verifica quando non si ha presente una teoria della società e della sua dinamica storica. Sono le forme di produzione che con il loro evolversi decidono dell'organizzazione sociale e dell'ideologia. E il dispiegarsi nel tempo delle forze produttive decreta la trasformazione della prima con conseguente morte della seconda. L'ideologia primitivista nuda e cruda ha se non altro il pregio di identificare integralmente il motore di una pretesa "involuzione" storica esclusivamente nel progredire della "tecnica", e questo la rende molto più adatta a essere sostituita dal materialismo, perché è ad esso speculare. Le è più facile raggiungere il collasso ideologico poiché, spinta alle sue estreme conseguenze, essa non trova più risposte a niente e diventa semplice misantropia, quando capisce finalmente (anche se in maniera rovesciata) che è la specie stessa a produrre l'odiata "tecnologia" e non le classi dominanti (e infatti i primitivisti più coerenti se ne fregano bellamente della rivoluzione). Una volta che si è letto il macchinismo come perversione della specie, diventa più facile leggerlo a rovescio, come prassi storica appunto della specie. Fatto questo passo, l'andare verso Marx (prima considerato giustamente uno dei nemici principali; come mostra assai bene Kaczinsky, nonostante parli genericamente di una fessacchiotta sinistra americana) è semplicemente logico, avendo i giusti input. Mi viene un dubbio: non è che stia parlando di me stesso?

Però non ho mai pensato che l'industria sia lo strumento oggettivo del capitale per il suo dominio e non semplicemente un mezzo per produrre. C'è gente che nega questo e che pensa all'industria come a una escrescenza maligna non prodotta dalla società in quanto tale. Ora, se ho capito qualcosa, l'industria non è il mezzo oggettivo del capitale, ma il mezzo oggettivo degli esseri umani. Ciò che non nasce da alcuna necessità concepita dalla società semplicemente non esiste. Nessuna organizzazione sociale è l'assalto all'umanità da parte di tanti individui cattivi che incollano ad altri mezzi e fini non propri; è una necessaria fase di transizione verso uno stadio più avanzato, il cui tempo di agonia è deciso dal superamento dell'ideologia e dal conseguente urto fra le classi, resi entrambi possibili dagli stessi mezzi produttivi che a prima vista permettono a tale organizzazione di conservarsi. Ciò che rende così disperatamente senza uscita l'attuale critica tecnologica in ambito rivoluzionario è questa identificazione banale fra i mezzi e la società che li produce, che non solo chiude le porte ideologicamente a qualsiasi rivoluzione e a qualunque comprensione della storia, ma distrugge chi ne è vittima chiudendolo in un eterno presente in cui tutte le cose, tutto il mondo e tutta la storia sono del nemico. Sentite questa:

"L'ideologia, costruita per sostenere la rivoluzione industriale, pretendeva di fondarsi sulla convinzione che dai cambiamenti nei metodi produttivi dovesse conseguire l'emancipazione per l'uomo dalla miseria, mentre invece tutte le macchine e tutti gli strumenti forgiati in età moderna sono stati pensati in seno al processo delle necessità industriali della produzione del capitale, e la legge del loro perfezionamento obbedisce a ragioni analoghe".

Che tali strumenti siano stati pensati in seno al processo delle necessità industriali capitalistiche è solo un'ovvietà: in base a quali altre necessità avrebbero mai potuto essere progettate? È come dire che la ruota poteva essere utile solo alle società neolitiche. I critici della tecnologia non vengono dalla luna, ovviamente. Sono persone che si rendono conto che il "progresso" assicurato dal capitalismo è una menzogna, solo che non hanno alcun metodo per uscire dal circolo vizioso in cui la stessa ideologia del capitale, che pretendono risolutamente di rifiutare, li ha cacciati. Perché è questo il paradosso più assurdo: tale critica si pone come il rifiuto finalmente puro del presente, mentre non è che una reazione di repulsione immediata dovuta all'accettazione più incondizionata dei suoi elementi ideologici: quelli che pongono il capitalismo come la fine di tutta la storia umana e vedono il futuro essenzialmente come un suo processo di aggiustamento e radicamento. Chi accetta questo tipo di critica corre addirittura il rischio di diventare "più realista del re", poiché dovendosi distinguere dal presente (dato che percepisce sé stesso come un rivoluzionario) ma non potendo vedere alcun "oltre", arriva a pescare a piene mani dalle critiche reazionarie al capitalismo delle classi ormai morte, come quella feudal/contadina.

Infatti si sfiora il patetico quando si vuole spiegare la potenza devastatrice del capitalismo con una specie di complotto espropriatore. Le ragioni addotte dagli industrialisti sarebbero false perché per imporre il "progetto di sfruttamento intensificato ai fini della massima redditività delle risorse umane e naturali" sono state cancellate tutte le forme sociali precedenti. Così, alla distruzione dei vecchi modi di vita si sono aggiunti sia l'imposizione di "comportamenti conformi alle leggi di mercato", sia l'industrializzazione non solo della produzione ma anche quella della vita sociale. Che la rivoluzione permanente del mondo umano cancelli le forme di esistenza ormai non solo inutili, ma che agiscono da freno al suo evolversi, è un'altra banalità, e non è indice di alcun "male". La storia è così. Punto. Ciò che esisteva per preservare la presenza delle vecchie classi dominanti viene semplicemente espulso dalla storia, mentre ciò che faceva parte del movimento reale viene integrato nella nuova società; cambia forma ma è un invariante. Ciò che colpisce in questo discorso è il quasi-detto: la borghesia viene percepita come una tirannica cupola che decide unitariamente cosa cancellare, cosa potenziare ecc... Ma nessun borghese capisce il senso di quello che fa per la storia. Non può più farlo perché la sua fase rivoluzionaria è bell'e che passata, e ognuno insegue il suo profitto seguendo semplicemente ciò che il potenziale produttivo e le leggi economiche permettono, nello spregio tanto delle conseguenze nefaste sulla specie che delle basi che crea per autoeliminarsi. Questa coscienza si avrà nuovamente come tentativo estremo di conservazione quando si sarà creata quella polarizzazione sociale che porrà le classi in diretto scontro.

Logica vorrebbe quindi, che la società in cui viviamo fosse perciò non solo l'antitesi di quelle precedenti ma anche di quella futura, non certo la sua base materiale entro la quale scorgere elementi di comunismo. Con il sistema escogitato dai cattivi capitalisti "l'uomo è stato derubato della tecnica come strumento di relazione con la natura e con gli altri, in una sorta di ribaltamento del mito di Prometeo".

Bisogna notare qui come l'ideologia non riesca, per forza di cose, a chiudere il proprio cerchio ed essere coerente con sé stessa. L'uso della parola "tecnica" è importante in questo passaggio perché è uso nell'ambiente scindere due concetti: Tecnologia (macchinari e conoscenze moderne irrimediabilmente capitaliste e oppressive) e Tecnica (macchinari e conoscenze precapitalistiche più "semplici" e "in linea" con la natura e lo spirito umano). Va da sé che la divisione è assurda, perché non c'è conoscenza che non abbia le sue radici nella storia totale della specie, ma il fatto che non si sia in grado di spiegare cosa diamine dovrebbe differenziarle e nonostante questo si senta il bisogno di farlo ci dice almeno una cosa: che in fondo neanche i critici dell'industria possono pensare (cosa che dovrebbero per coerenza) alla storia dell'uomo come altro rispetto alla storia della produzione e figurarsi quest'ultima solamente giustapposta alla vera essenza umana. Ciò che essi sembrano chiedere è più che altro di ritornare indietro per poter capire qualcosa e riumanizzare la conoscenza. L'estrema divisione del lavoro portata a termine dal capitale creerebbe nel singolo, incatenato nella sua professione, la sensazione di non riuscire più a fare nulla, di non sapere assolutamente niente di come il mondo produce ciò che lo fa andare avanti, perché tutto sembra scisso in migliaia di parcellizzate operazioni. Ed è a questo punto che la dottrina dello sviluppo storico è l'unica a riuscire a fare chiarezza, mostrando come alla divisione si affianchi una potentissima socializzazione del lavoro, la sua suddivisione in parti sì divise (temporanemente) ma sempre più basate su leggi e macchinari comuni, che rende la produzione immediatamente utilizzabile a chiunque. La produzione di tipo artigiano (basata sulle sbandierate "abilità del singolo") tanto presa ad esempio dai mezzi-primitivisti è lontana dal comunismo anni luce rispetto a quella capitalista attuale, sempre più semplificata e centralizzata. Basterebbe ricordare quella citazione meravigliosa di Marx sul fatto che in futuro ci sarà una sola scienza come prodotto dell'uomo industria. Lo so che questa parte è un po' tirata via mentre meriterebbe di essere approfondita. Il fatto è che non padroneggio ancora la materia, non riesco a spiegarmi bene, mi contorco con le parole. Provo ad andare avanti lo stesso. Cito, così fatico meno che a riassumere:

"Le macchine inventate sfruttando le capacità creative dell'uomo sono state inserite nel processo produttivo, rendendo superfluo il ricorso alle sue abilità e facendo dell'uomo un mero controllore del loro funzionamento, per poi autonomizzarsi completamente. Ora l'uomo si trova assediato da un mondo di macchine delle quali ha perso il controllo: non ne conosce il funzionamento e gli si vuol far credere siano al suo servizio".

Ancora si scinde ciò che è unito. I mezzi nascono in seno al processo produttivo, che non è un alieno venuto per impossessarsi della Terra, ma è ciò che permette all'uomo di essere uomo. Voglio sottolineare la frase "sfruttando le capacità creative dell'uomo" che sembra quasi indicare capacità creative dell'uomo applicate "per natura" solo a processi particolari (peraltro non si sa quali). E intanto il perfido processo produttivo spinge miliardi di uomini di ogni epoca a essere così fessi da farsi sfruttare per qualcosa di assolutamente alieno a loro stessi. La realtà è che il linguaggio di questi semi-primitivisti svela un non detto: nessuno potrebbe dire sensatamente queste parole riferendosi alla specie, mentre diventano sensate se il vero soggetto è il singolo, peraltro nella sua concezione borghese di monade. In tale contesto dove si dice "uomo" va inteso "individuo". In quest'ottica si rinforza la lettura della "critica alla tecnologia" come reazione terrorizzata al presente, perché da una parte è l'individuo falsamente padrone delle sue conoscenze che lo sviluppo produttivo sta "rendendo superfluo"; e dall'altra la lotta di classe non è ancora abbastanza visibile per far scorgere nettamente le potenzialità future, bloccando chi non ha metodo in un confuso terrore proprio quando serve massima comprensione. Per Marx il cervello sociale è liberazione della natura-uomo-industria, per il borghese è un incubo che anticiperebbe una nuova classe dominante artificiale alla Terminator o, meglio, alla Matrix. La visione spaventevole della tecnologia è, peraltro già da un pezzo, un elemento ideologico della stessa borghesia che la produce. L'uomo non ha perso il controllo sulle macchine ma sugli automatismi economici che servono solo al profitto di una classe inutile. Sempre più inutile proprio man mano che il processo produttivo si autonomizza, al contrario di quanto si pensa in certi ambienti. E a questa classe non importa nulla di "far credere" agli altri che le macchine siano utili (visto per altro che la produzione vera e propria è sempre più schiacciata dalla circolazione di puro valore astratto): ciò che vuole far credere è che essa stessa abbia una qualche utilità. Dài, passatemi un'altra citazione, è lunghetta ma ne vale la pena:

"Se il dominio della tecnologia è diventato così radicato lo si deve ad un progetto politico che mirava ad invadere tutte le sfere della vita materiale per assoggettarci a pseudo-necessità, a merci inutili, alla miseria di una vita costruita sulla coazione al lavoro per guadagnare e consumare ciò di cui non abbiamo bisogno. Insomma per rendere possibile la conservazione del dominio del capitale. La tecnica al servizio del capitale non ha mai conosciuto un uso funzionale all'uomo: si tratta della prima civiltà che si è alienata interamente nell'identificazione con un sistema tecnico. Perdendo la padronanza dei propri mezzi, intesa come comprensione di ciò che si costruisce e si utilizza e non come loro proprietà, questa società non può che artificializzarsi e presentare tutte le sue necessità in modo tecnico".

Tutte le civiltà sono identificabili con i loro "sistemi tecnici", cioè i loro mezzi di produzione. L'unica differenza è che la società capitalista è stata la prima a far si che se ne possedesse piena coscienza. È quindi chiaro che il capitalismo non può parlare con il linguaggio (per esempio) del mito, dato che a mantenerla viva sono le merci. Il capitalismo ha fatto capire la storia umana come mai prima, lacerando "senza pietà i variopinti legami" che si pensava tenessero unite le società precedenti. Ed ha potuto mostrare, uccidendo il feudalesimo, che farà la stessa fine. Ed è fra l'altro grazie ai suoi strumenti di memorizzazione (in continuità con il passato, visto che la conoscenza è una) che lo ha potuto mostrare.

Due altre cose importanti: 1) Cosa vuol dire che la società si "artificializza"? L'uomo "artificializza" il mondo da quando esiste, e la specie aveva assolutamente comprensione di ciò che costruiva e utilizzava. È proprio per questo che "artificializzava" (umanizzava) il mondo. 2) Cosa vuol dire "presentare tutte le sue necessità in modo tecnico" e perché dovrebbe essere un male? Come diamine volete che presenti le sue esigenze, una società che esiste grazie alle merci e al denaro? Come uno sciamano in stato di trance? In tal caso sarebbe più "umana"? In realtà il problema è il contrario. Se il capitalismo presentasse le sue necessità in modo esclusivamente tecnico (razionale) non sarebbe capitalismo. Perché a viaggiare sui camion, sui treni e sui container non sono solo delle "quantità", delle cose semplicemente misurabili fisicamente, ma delle ideologie: delle merci, in una parola.

Non rinnego niente, come dicevo, ma non so come ho fatto a non accorgermi di queste discrepanze non dico con la teoria, ma col semplice buon senso. Il bello è che da cose del genere viene distillata una teoria alternativa alla rivoluzione. Se noi siamo assoggettati alla tecnologia in nome del capitale, dicono, bisognerà trovare la strada per recuperare l'autonomia perduta, solo modo per affrancarci dal giogo del sistema tecnico dominante. A me sembra invece che la condizione di sofferenza in cui ci troviamo è quella dell'assoggettamento al valore e l'autonomia da venire non è quella dell'individuo rispetto alla produzione e conoscenza generale, che non è mai esistita, ma quella della specie dal capitale, che è esistita per svariati milioni di anni. La tecnologia c'era anche allora.

Magari voi non badate a questi effetti collaterali del bombardamento dottrinale dovuto all'ideologia dominante, ma io ci sono passato. Va bene che avevo meno di vent'anni e assorbivo robe varie come una spugna, ma adesso mi fa un certo effetto. Ovviamente il clima di conservazione fa sì che il modello sia da recuperare nel passato, non da ricercare nel futuro. Per garantire la buona riuscita dell'operazione, dicono, occorrerebbe prima di tutto smantellare l'ideologia che ha prodotto il mito tecnologico. Poi tracciare una linea di demarcazione fra l'odierna perdita di contatto con la natura e il modo di vivere di cui si è perduta persino la traccia. Infine evitare ogni piagnisteo sul paradiso perduto (preso a simbolo contro il "terrificante" presente) ma recuperare le vere necessità e abilità sociali attraverso la coscienza di ciò che abbiamo perduto. Riassumo, ma vi garantisco che c'è scritto così.

Questa cosa sull'inutilità dei lamenti rispetto a un passato idealizzato si sente dire spessissimo nell'ambiente, ma sostanzialmente non è vero che si evitano le lamentazioni. Non è vero non perché chi la pensa così voglia mentire o sia scemo, ma perché se non si hanno strumenti per capire il futuro, ci si rivolge per forza di cose al passato in maniera idealistica, perché se non altro una minima idea di quello ce la si può fare. E d'altronde è ovvio anche per come le cose vengono esposte. Se non è possibile tracciare linee di demarcazione, rimpiangere il passato e contemporaneamente considerare il futuro solo come un passato peggiore, tutto ciò che si può fare nel presente è appunto (e neanche quello si fa bene) "poterlo giudicare per quello che è" oppure "riconoscere il processo di spossessamento subito". Entrambe prospettive decisamente poco allettanti, per chiunque senta la rivoluzione come fatto reale. Non dico che i semi-primitivisti siano dei rivoluzionari poco sinceri, anzi, ma certo di fronte al roccioso Marx risultano piuttosto incorporei. Non posso fare a meno di citare di nuovo:

"In ogni contesto si pensi di portare la lotta contro la negazione dell'umano va ritrovata la capacità di smascherare con un linguaggio adeguato le menzogne che offuscano le menti e che impediscono di trovare la forza per reagire. La lotta contro il dominio delle macchine, che sia espressa attraverso la critica, i comportamenti quotidiani, i sabotaggi industriali, la resistenza all'automazione, deve trovare negli altri uomini degli alleati perché è ovvio che poche nicchie di opposizione piccole e separate non potranno che finire per viversi un giustificato senso di impotenza… I rapporti di forza ci sono avversi e possiamo sperare ancora di ribaltarli solo analizzando a fondo la situazione e confrontandoci con impegno sulle strategie di ribellione da attuare".

Impotenza giustificatissima, visto che si tenta di andare contro il famoso 'movimento reale', con delle idee. Con una concezione della storia ancora più reazionaria di quelle della borghesia stessa. Sentite che serie: "smascherare con un linguaggio adeguato; lotta espressa attraverso la critica; resistenza all'automazione; ribaltare i rapporti di forza con le strategie della ribellione". Credo che basti. Ho una tenue speranza che qualche altro giovane compagno, leggendo queste righe, non vada a perdere del tempo. Lascio per ultimo un problema che ho avuto e ho ancora adesso, quello della lotta rivendicativa come elemento funzionale alla rigenerazione del capitalismo:

"È importante anche vedere come le forze di opposizione allo sfruttamento siano andate progressivamente riducendo la portata delle rivendicazioni, retrocedendo su posizioni puramente difensive e finendo quindi per giocare un ruolo di indiretto sostegno all'industria e al suo sistema".

Ecco, di questo punto importantissimo vorrei parlare.

Siamo d'accordo: è necessario far notare la spaventosa assenza di teoria che sta dietro a concezioni conservatrici veicolate da individui magari convintissimi di proporre un'alternativa al capitalismo. Una volta, criticare il presente auspicando un ritorno al passato, riferirsi a una dimenticata età dell'oro, era prerogativa di correnti dichiaratamente reazionarie; è persino difficile capire come mai questa "tradizione" sia passata a numerosi giovani d'oggi. La lettera si prestava ad essere tradotta in articolo, ma abbiamo preferito pubblicarla com'era, solo con piccole variazioni e una sola omissione, data l'immediatezza del testo e la convincente argomentazione. Abbiamo tolto il riferimento alla pubblicazione da cui sono tratti argomenti e citazioni sia perché non ci interessa entrare in polemica con mondi estranei al nostro lavoro, sia perché il contenuto di quella "critica" al capitalismo va ben al di là dei confini del gruppo che pubblica la suddetta rivista.

Infine: la funzione oggettiva delle lotte immediate nella conservazione del capitalismo. È del tutto evidente che in un arco storico di circa due secoli le organizzazioni immediate dei lavoratori sono passate da una funzione sovversiva alla completa integrazione entro lo stato, soprattutto con il corporativismo fascista, sconfitto militarmente in quanto fenomeno specifico ma vittorioso in quanto metodo politico. Tant'è vero che le rivendicazioni salariali e normative non escono se non in via del tutto eccezionale da un quadro di compatibilità entro il sistema economico e sociale. Quindi le correnti neo-luddiste o primitiviste colgono questo aspetto quando sostengono che le lotte immediate "aiutano il capitalismo a sopravvivere". Ma il meccanismo è complesso: ogni capitalista ovviamente si oppone all'aumento del prezzo della forza-lavoro, ma l'insieme dei capitalisti, rappresentati dallo stato, trae vantaggio dalla regolamentazione dei rapporti sindacali e anche da un aumento della capacità di acquisto del proletariato. Il welfare non è stato introdotto per far piacere agli operai ma perché serviva alla borghesia e al suo organo esecutivo. Dove sbaglia la maggior parte degli anticapitalisti primitivisti è nel sostenere che la lotta sindacale è inutile e serve solo al nemico. A ciò si risponde, con Marx, che se la classe degli operai rinunciasse per qualche motivo alla lotta quotidiana contro il capitale, non sarebbe in grado di affrontare la lotta per un obiettivo più grande.

Rivista n. 41