Lavorare è bello

Andrew McAfee, Erik Brynjolfsson, La nuova rivoluzione delle macchine, Feltrinelli, 2015, pp. 316 euro 22.00.

Con un sottotitolo come: "Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante" non potevamo non leggerlo. Purtroppo gran parte del libro è dedicata al tentativo di convincerci che la tecnologia d'oggi è una meraviglia liberatrice. Non dal capitalismo, dato che viene professata una fede assoluta in questo modo di produzione, ma dai suoi lati spiacevoli. Per esempio: dopo decine e decine di pagine sulle macchine che eliminano tempo di lavoro, con minuziosa analisi del come e del perché, gli autori vanno alla ricerca delle ragioni tecniche di un recupero del lavoro perduto:

"Lavorare è immensamente importante per la gente non solo perché è così che ottiene i soldi, ma anche perché è uno dei modi principali per procurarsi tante altre cose importanti: autostima, comunità, impegno, valori sani, struttura e dignità."

Lavoro e prosperità. Senza togliere di mezzo il capitalismo. Eppure gli stessi autori, che sono ricercatori presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) ammettono che i robot continueranno a sostituire gli operai, come stanno già facendo da un pezzo. Ammettono persino che se il prezzo della forza lavoro disoccupata scendesse al di sotto di quello dei robot, si aprirebbe la strada a una nuova forma di schiavismo.

La tecnologia salvifica non è perciò quella che permette di adoperare un robot per fare le stesse cose che fa un operaio, ma quella che permette di fare cose che l'operaio non sa fare. Noi stiamo vivendo gli ultimi momenti di una rivoluzione che ai suoi albori aveva fatto impennare tutti i parametri legati alla produzione di merci: popolazione, produttività, salari, traffici, profitti. È vero che aveva anche prodotto sfruttamento, distruzione dell'ambiente, impoverimento, ma il risultato più importante era stato il nuovo livello tecnico raggiunto dalle attuali potenzialità produttive, specialmente tramite macchine.

Per questo McAfee e Brynjolfsson insistono per buona parte del libro nel descrivere lo stato dell'arte in fatto di applicazioni tecnologiche. Differenziandosi così rispetto ad altri che hanno trattato gli stessi argomenti, non descrivono una tecnologia a venire ma lo sviluppo di quella già realizzata e funzionante. La quale, ad esempio, potrà ancora offrire molto dal punto di vista delle quantità misurabili, come la potenza di calcolo dei microprocessori; ma non potrà farlo all'infinito in quanto siamo già vicini ai limiti fisici di quelle tecnologie. Un segnale all'interno di un computer non potrà viaggiare a una velocità superiore a quella della luce.

L'indagine si sposta quindi dalle macchine intelligenti alla simbiosi fra intelligenza biologica e intelligenza artificiale. Bisogna dire che ricerche sul simbionte o sul cyborg di prossima generazione sono già state condotte con argomentazioni migliori (De Rosnay, Kelly, Kurzweil), ma qui ci interessa il discorso sulla nuova rivoluzione, quella che renderà cibernetico non più il lavoro manuale bensì il lavoro intellettuale. Al livello attuale di conoscenza, tra un supercomputer e un campione di scacchi vince sempre il supercomputer, ma tra il supercomputer e un medio giocatore di scacchi che possa usare un PC di media potenza vince il medio giocatore di scacchi. Ciò significa che alla modifica della curva esponenziale in curva asintotica (diminuzione progressiva degli incrementi di potenza delle macchine) l'uomo cibernetico risponde con una rivitalizzazione della curva per mezzo di una ricombinazione degli elementi di crescita. Un po' come succede con il DNA nelle fasi evolutive delle specie o nella realizzazione di organismi geneticamente modificati.

Oggi si perde molto tempo a progettare macchine che assomigliano agli uomini senza tener conto che il nostro modo di essere è la conseguenza di un'evoluzione durata milioni di anni. Un androide che ci imiti può giocare a ping-pong ma ha dei problemi a salire o scendere le scale; può giocare a scacchi con un campione e vincere tutte le partite, ma stenta a riconoscere un volto, una voce o un profumo. Alla vera liberazione si potrà giungere quando l'intelligenza umana e quella artificiale si ricombineranno , quando cioè l'una finirà di scimmiottare l'altra ma l'adopererà per raddoppiare le proprie specifiche capacità.

In una prospettiva del genere (qui gli autori hanno un debito con il Kurzweil di La singolarità è vicina, cfr. questa rivista n. 40) la nostra vita cambierà radicalmente, dato che il mondo da noi conosciuto verrà spazzato via. È curioso e significativo che di fronte a una rivoluzione del genere si esprima la certezza che il capitalismo possa sopravvivere a questa prova, anche se si ammette che i suoi caratteri fondamentali saranno completamente trasformati.

Concludono il libro alcune proposte per un riformismo ottuso e democratoide, nemmeno paragonabile a quello storico, classico, socialdemocratico e fascista. Tra le altre, una variante del reddito di cittadinanza, con un meccanismo di incentivazione al lavoro, mutuato dalla scuola ultra liberista di Milton Friedman. Ciò è particolarmente significativo: le macchine intelligenti avrebbero il potere di cambiare il mondo, di liberare tempo di lavoro; l'uomo capitalista vorrebbe avere la facoltà di impedirlo con l'uso insulso delle macchine in un tempo capitalistico che considera eterno. Neanche un accenno alla possibilità di trasformare tempo di lavoro in tempo di vita.

Fortunatamente le macchine sono il risultato materiale di una rivoluzione e non di un'ideologia: libereranno lavoro.

Rivista n. 42