La socializzazione fascista e il comunismo (4)
4. Gabriele Benito Proudhon
Il tempo sta per scadere
Nel novembre 1920, il ministero Giolitti firma con la Jugoslavia il Trattato di Rapallo. Con esso, l'Italia ottiene alcune isole dalmate, la sovranità su Zara e una frontiera strategica che corre lungo la linea di displuvio alpina, attraverso il Monte Nevoso; rinuncia, in cambio, alla Dalmazia ed accetta che Fiume sia eretta a stato libero. Secondo Mussolini si tratta di una soluzione accettabile della "questione adriatica".
A un ultimatum del governo italiano D'Annunzio risponde con l'occupazione di alcune isole assegnate alla Jugoslavia, come Veglia e Arbe. Giolitti invia le navi della Regia Marina a cannoneggiare la residenza del poeta. Il 24 dicembre in città tra i volontari dannunziani e i soldati dell'esercito regolare italiano scoppiano scontri a fuoco che si protraggono per cinque giorni provocando decine di morti. Nell'articolo "Natale di Sangue "del dicembre 1920, con il suo caratteristico stile, D'Annunzio scrive:
"Il delitto è consumato. Le truppe regie hanno dato a Fiume il Natale funebre. Nella notte trasportiamo sulle barelle i nostri feriti e i nostri morti. Resistiamo disperatamente, uno contro dieci, uno contro venti. Nessuno passerà, se non sopra i nostri corpi. Abbiamo fatto saltare tutti i ponti dell'Eneo. Combatteremo tutta la notte. E domani alla prima luce del giorno speriamo di guardare in faccia gli assassini della città martire" (Gabriele D'Annunzio, Natale di Sangue, Fiume, dicembre 1920).
Nonostante i propositi battaglieri del Poeta, i legionari sono costretti ad arrendersi e D'Annunzio consegna infine la città al Consiglio nazionale fiumano perché tratti la resa. Si conclude così l'esperienza di Fiume legionaria.
Prima del tentativo disperato di provocare una reazione all'ultimatum di Giolitti, De Ambris aveva stabilito contatti con Mussolini in vista dell'organizzazione di non meglio precisati tentativi insurrezionali in Italia, aventi come obiettivo la realizzazione dei princìpi contenuti nella Carta del Carnaro. Ma benché per tutto il 1920 Il Popolo d'Italia avesse appoggiato l'impresa di Fiume sostenendo una politica annessionistica, Mussolini non mette in atto nulla di pratico per sostenere i legionari dannunziani, se non una innocua colletta (evidentemente i tempi per una "marcia su Roma" non erano ancora maturi).
I fascisti lasciano dunque che la repressione militare si compia senza intervenire in nessun modo, e questo comporta una rottura tra D'Annunzio e Mussolini. Comunque, se l'avventura fiumana è finita, con essa non muore la sua Costituzione, la Carta del Carnaro. D'Annunzio invita infatti i legionari a riunirsi in una loro specifica associazione, a pubblicare un giornale e a rompere ogni rapporto con "i traditori della causa".
Il movimento dannunziano dopo Fiume
Nasce dunque la Federazione Nazionale Legionari Fiumani, fondata a Milano nel gennaio del 1921. I legionari decidono di portare avanti il loro programma in Italia, coinvolgendo anche l'Associazione Arditi d'Italia che adotta la Carta del Carnaro come proprio manifesto politico e designa come presidente onorario D'Annunzio. Ciò nonostante, agli inizi del 1921, l'Associazione Arditi è quasi completamente in mano ai fascisti che potevano vantare una parentela fra la Carta del Carnaro e il programma di San Sepolcro. D'Annunzio si pronuncia però per l'autonomia dell'Associazione e riesce a ottenere una presa di posizione "a sinistra". La componente fascista dissidente si riunisce allora a Bologna il 22 e 23 ottobre del 1922 e fonda la Federazione Nazionale Arditi d'Italia di chiaro orientamento fascista. Dal 1921 al 1924 continuano le aggregazioni e le scissioni all'interno del movimento che vede legionari fiumani e arditi contendersi la scena. Nel 1921 l'aggregazione fra l'Associazione Arditi d'Italia e la Federazione Legionaria dà luogo a un movimento che conta su 11 federazioni regionali e una novantina di sezioni locali agli ordini di D'Annunzio. La struttura dispone di una decina di periodici, i più importanti dei quali sono La Vigilia di Milano e La Riscossa dei legionari fiumani di Bologna. Rinsalda inoltre i legami con la FILM, il sindacato dei portuali.
La differenza sostanziale tra legionari e fascisti è lucidamente analizzata da Amadeo Bordiga nella seconda parte dell'articolo di Prometeo sul movimento dannunziano:
"I dannunziani rappresentano quegli elementi delle classi medie, nutriti di una ideologia di guerra, che fecero proprio il primo programma del fascismo, che ostentava attitudini a tendenze di sinistra. Il fascismo è una mobilitazione delle classi medie "operata da parte ed a beneficio dell'alta borghesia industriale, bancaria ed agraria, mobilitazione che le classi medie medesime scambiano dapprincipio col problematico avvento di una loro funzione storica autonoma e decisiva, quasi di arbitre nel conflitto fra borghesia tradizionale e proletariato rivoluzionario. Così il fascismo, che appare il concentramento di tutte le forze antiproletarie a difesa del fortilizio antico del capitalismo trova i suoi effettivi e i suoi quadri in tutta una gamma di elementi sociali, messi in moto dal grande sconvolgimento bellico, che si illudono di compiere uno sforzo originale, e in certo senso rivoluzionario."
Consolidatosi il fascismo e dimostratosi macchinario in mano alle cosiddette classi parassitarie
"difficile riesce agli elementi piccolo-borghesi il distaccarsene per seguire una propria via, mancando ad essi i mezzi adeguati ad un compito indipendente, e restando la più parte dei loro capeggiatori soddisfatti o imprigionati nei posti di direzione del complesso movimento fascistico. Ma qualche nucleo di idealisti sinceri o di concorrenti delusi nella spartizione della torta, rimane e tende a differenziarsi: con questo si può dire di aver tratteggiato una certa spiegazione del formarsi del movimento dannunziano."
L'idea che la guida dal paese debba andare a chi la guerra l'ha combattuta accomuna all'inizio fascisti e dannunziani,
"ma mentre per i primi la formula non è che il passaporto della difensiva borghese contro il proletariato rosso, che la guerra non voleva, e che dalle conseguenze di essa è spinto alla lotta per la sua dittatura rivoluzionaria, per i secondi la formula è accettata come autentica, come affermazione volta anche contro le vecchie caste dirigenti borghesi e imbevuta di un certo spirito eroico di rinnovamento, come condanna non tanto del disfattismo estremista quanto di quello degli speculatori e dei parassiti del fronte interno, veri profanatori del sacrificio e della vittoria. Questa seconda ala, sia pure in modo molte volte equivoco, vorrebbe orientarsi verso le forze libere del proletariato: la prima organizza i pretoriani del capitale e gli schiavisti dell'Agraria."
Il magma da cui esce il movimento dannunziano è lo stesso dal quale provengono i sansepolcristi, ma quando il fascismo mostra di essere diventato uno strumento in mano alle classi considerate "parassitarie", una parte di idealisti sinceri – come vengono definiti – si stacca e si volge con simpatia verso il proletariato. L'articolo di Bordiga si chiude così: si esprima D'Annunzio, si esprimano i legionari… dicano con chi vogliono schierarsi.
Se per i fascisti lo sbocco obbligato è il nazionalismo e il corporativismo, per i dannunziani (gli ex combattenti, i trinceristi, i futuristi) bisogna estromettere dal potere coloro che dalla guerra hanno tratto profitti e dare il paese in mano alle forze vive del lavoro perché costruiscano uno stato federale dei produttori. Dirigenti della Federazione come De Ambris, Mecheri, Foscanelli, che provengono dalle file del sindacalismo rivoluzionario, vogliono, secondo quanto teorizzato nel Manifesto dei sindacalisti di Angelo Oliviero Olivetti, una repubblica sociale federativa. La rottura tra dannunziani e fascisti (apostrofati ora con l'epiteto di "schiavisti") diventa inevitabile e viene formalizzata ufficialmente dal giornale legionario La Vigilia con l'articolo "Ai Legionari!", del 29 gennaio 1921:
"In guardia dunque! Sappiano i Legionari che chiunque li incita ad occupare il posto di uno scioperante, può forse essere amico dei pescecani, ma non è sicuramente amico della Causa nostra, che non si propone certo di Combattere chi lavora per tutelare quella borghesia che plaudiva ai reali carabinieri ed alle guardie regie quando compivano l'assassinio di Fiume."
Si determina quindi una situazione di scontro tra legionari e fascisti che si protrae per tutto il 1921. I fascisti accusano i legionari di essere degli apolitici in quanto forza trasversale che non si schiera chiaramente fra quelle in campo. I legionari ricambiano accusando i fascisti di essersi schierati apertamente con il padronato. In questo contesto si inserisce l'analisi di Gramsci secondo cui la differenza tra fascisti e legionari non è solo politica, ma è una differenza di classe:
"Vi è che mentre i fascisti, specialmente in Torino, sono giovani benestanti, studenti fannulloni, professionisti, ex ufficiali viventi di ripieghi, ecc. ecc., gente insomma che non sente gran che i bisogni materiali della vita perché vive alle spalle di qualcheduno (famiglia, clienti, erario pubblico), nei Legionari sono numerosi coloro che sentono invece le strettezze della crisi economica generale [...] È gente che [...] non vede altra via di uscita collettiva che in un movimento che abbia il carattere militare insieme e insurrezionale di quello di Fiume" (Antonio Gramsci, "Fascisti e Legionari", L'Ordine Nuovo, 19 febbraio 1921).
Nel libro Nino Daniele: un legionario comunista con D'Annunzio a Fiume, di Vito Salierno, l'autore riferisce di un tentativo di incontro tra Gramsci e D'Annunzio a Gardone, nella primavera del '21, che però non si sarebbe verificato. A Gramsci interessava stabilire contatti con i legionari che in quel momento avevano assunto un profilo antifascista. A Torino nel corso del 1921 sono frequenti gli scontri tra dannunziani e fascisti: riunioni impedite con la forza, aggressioni squadriste, che vengono sminuite da Mussolini il quale non ha nessun interesse a contrapporsi all'ingombrante figura di D'Annunzio. E infatti Mussolini ne propone addirittura la candidatura a Zara nelle liste dei Blocchi Nazionali. Ma D'Annunzio rifiuta e risponde al futuro Duce con la candidatura di Alceste De Ambris a Parma in una lista autonoma, in funzione antifascista. Una situazione oscillante insomma, che fa pensare a una svolta a sinistra dei legionari. A Roma nell'estate del '21 la componente maggioritaria si distacca dall'Associazione Arditi d'Italia e dà vita agli Arditi del Popolo, un'associazione istituita per la difesa dei lavoratori contro le violenze fasciste, capeggiata da Argo Secondari, ex combattente, ardito e anarchico (coinvolto nel complotto del Forte di Pietralata a Roma, un tentativo insurrezionale organizzato da arditi e anarchici nell'estate del '19 e stroncato sul nascere dalla polizia). Al momento essa sembra svilupparsi rapidamente raccogliendo anarchici, mazziniani, radicali, dannunziani e anche qualche comunista, ma avrà vita breve.
Gli Arditi del Popolo
Nell'autunno del 1921 gli Arditi del Popolo si sciolgono, lasciando uno strascico politico nelle file del Partito Comunista d'Italia. La sezione romana del PCd'I vorrebbe infatti partecipare attivamente alle azioni antifasciste degli Arditi del Popolo, ma il C.E. del partito diffida i propri iscritti dall'aderire ad organizzazioni militari fuori dal suo controllo:
"Ciò vuol dire che il lavoro per la costituzione e l'esercitazione delle squadre comuniste deve dunque continuare ad iniziarsi dove ancora non lo si è affrontato, ma attenendosi al rigoroso criterio che l'inquadramento militare rivoluzionario del proletariato deve essere a base di partito, strettamente collegato alla rete degli organi politici del Partito; e quindi i comunisti non possono né devono partecipare ad iniziative di tal natura provenienti da altri partiti e comunque sorte al di fuori del loro partito". ("Per l'inquadramento del Partito", Il Comunista del 14 luglio 1921).
In agosto il C.E ritorna sull'argomento con un lungo comunicato che ribadisce l'ordine di non partecipare all'attività degli Arditi del Popolo, illustrandone chiaramente i motivi.
"L'inquadramento proletario militare, essendo l'estrema e più delicata forma d'organizzazione della lotta di classe, deve realizzare il massimo della disciplina e deve essere a base di partito […] Il Partito Comunista è quello che per definizione si propone di inquadrare e dirigere l'azione rivoluzionaria delle masse; di qui un'evidente e stridente incompatibilità [con l'organizzazione degli Arditi del Popolo]." ("Inquadramento militare delle forze comuniste", Il Comunista del 7 agosto 1921).
In effetti queste forze da una parte dichiarano di voler combattere il fascismo, dall'altra non hanno nessuna intenzione di abbattere gli istituti politici della borghesia, anche perché – come abbiamo visto – raccolgono i rappresentanti di varie fedi politiche. Sono insomma gli antesignani delle formazioni partigiane: non vogliono rivoluzionare la società, ma "ristabilire la dialettica democratica".
D'Annunzio nipote di Proudhon?
Al 1922 la situazione politica è ancora molto fluida. Tanto perché si abbia un’idea della confusione che regnava in quel periodo nel paese, basti ricordare che a Parma le forze che nell’agosto del 1922 si battono armi alla mano contro gli squadristi sono gruppi riconducibili agli Arditi del Popolo e la Legione Proletaria Filippo Corridoni (che con questo nome rendeva omaggio al sindacalista interventista morto in guerra, rivendicato poi, nel 1933, dai fascisti con un monumento sul Carso goriziano e un'epigrafe celebrativa che recita: "Qui eroico combattente cadde Filippo Corridoni fecondando col sacrificio della vita la gloria della patria e l’avvenire del lavoro" ).
Altro episodio significativo: in occasione di una vertenza tra marittimi e armatori nel 1922, Giulietti, il presidente della FILM, sotto la pressione di fascisti e capitalisti che volevano stroncare il sindacato, chiede la protezione dei legionari, e settantamila marittimi passano sotto il controllo di D'Annunzio. Il quale in questa fase da una parte volge l'attenzione verso il proletariato e le sue organizzazioni, dall'altro mantiene un ruolo di pacificatore tra le classi.
Tutto questo marasma politico fa scrivere a Errico Malatesta su Umanità Nova (17 giugno 1922):
"Oggi l'Italia è in crisi, crisi di regime politico ed economico. D'Annunzio è, o potrebbe essere, un fattore determinante nello svolgersi dei prossimi avvenimenti."
Ma le scelte di D'Annunzio avrebbero potuto davvero spostare il baricentro politico a favore della rivoluzione proletaria, capovolgendo la storia politica italiana? Con il senno di poi, è facile dire che già allora questo si potesse escludere; ma al tempo poteva sembrare possibile, la situazione si presentava non così consolidata ma aperta a sviluppi, e quindi andava seguita con fermezza teorica in quanto passibile di effetti materiali differenti.
Per meglio inquadrare il comportamento di D'Annunzio citiamo la lettera di Marx ad Annenkov del 28 dicembre 1846, nel passo in cui descrive il socialismo piccolo-borghese di Proudhon:
"In una società progredita e costrettovi dalla propria situazione, il piccolo borghese diventa da un lato socialista, dall'altro economista, cioè egli è accecato dallo splendore della grande borghesia ed ha compassione per le sofferenze del popolo. Egli è borghese e popolo al tempo stesso. Nell'intimo della sua coscienza si lusinga di essere imparziale, di aver trovato l'equilibrio giusto, che avanza la pretesa di essere qualcosa di diverso dal giusto mezzo. Un piccolo borghese del genere divinizza la contraddizione, perché la contraddizione è il nucleo del suo essere. Egli non è altro che la contraddizione sociale messa in azione. Egli deve necessariamente giustificare mediante la teoria ciò che egli è nella pratica, e Proudhon ha il merito di essere l'interprete scientifico della piccola borghesia francese; e questo è un merito reale, perché la piccola borghesia sarà una parte integrante di tutte le rivoluzioni sociali che si stanno preparando."
Il contesto di schizofrenia in cui vivono D'Annunzio e il suo movimento, la pretesa di essere qualcosa di diverso dal giusto mezzo, è confermato dal loro continuo oscillare tra le due classi in lotta, borghesia e proletariato… finché quest'ultimo non è sopraffatto dalla reazione capitalistica.
Nel corso del 1922, ad esempio, nella sua residenza a Gardone (che poi diventerà il Vittoriale degli Italiani), D'Annunzio riceve la visita di alcuni esponenti del sindacalismo italiano, come Gino Baldesi e Ludovico D'Aragona della CGL. E si incontrerà, come già ricordato, con il commissario agli esteri sovietico venuto in Italia per la Conferenza di Genova.
Nel frattempo nasce l'Alleanza del Lavoro, e al fronte unico operaio partecipano anche i legionari, tanto che La Riscossa dei legionari fiumani saluta la nascita dell'Alleanza come "primo sintomo dell'autonomia e dell'unificazione delle forze operaie" (cit. da D'Annunzio politico, Quaderni dannunziani). Ma il comportamento di D'Annunzio continua ad essere ambiguo e contraddittorio. Come dimostrerà ulteriormente a Milano, quando i fascisti, dopo aver stroncato con la violenza lo "sciopero legalitario" promosso dall'Alleanza del lavoro, invadono la sede del Comune. D'Annunzio, che si trovava in città, viene convinto a intervenire con un discorso a Palazzo Marino, discorso che sarà di pacificazione e di celebrazione di una conquista anti-proletaria:
"Oggi non senza ebbrezza mi sembra di rinnovare i grandi colloqui notturni che io ebbi sulle sponde del Carnaro sotto le vigili stelle con un popolo che non anelava se non alla patria futura e non ebbe sul viso se non un pugno di fango. Stasera la città sembra ed è una festa che dà l'esempio all'Italia tutta, una festa di sicura disciplina, di serena allegrezza e di leali promesse. Oggi da qui noi segniamo un patto di fraternità e mai come oggi, mentre sembra che più infurii la passione di parte, mentre ancora sanguinano le ferite, mai come oggi una parola di bontà ebbe tanta potenza." (La riscossa dei legionarii fiumani del 5 agosto 1922).
Non potrà comunque spingersi oltre in questo gioco oscillante ma in ultima analisi capitolardo di fronte al fascismo. Di lì a poco sarà organizzata la "marcia su Roma" e in alcuni ambienti corre voce che D'Annunzio terrà un discorso pubblico per richiamare le Forze Armate e gli arditi sotto la propria ala in modo da vanificare la marcia. Se c'era un'occasione per far valere la famosa autonomia era quella, ma il "compagno" poeta, di solito ciarliero oltre misura, questa volta tace.
Tra i motivi per cui la nostra corrente seguì con attenzione l'evoluzione del movimento legionario vi è quello offerto dall'esperienza del Comitato Nazionale di Azione Sindacale Dannunziana. Dopo la marcia su Roma la reazione incalza e una serie di forze sindacali si avvicinano ai legionari, che cominciano ad avere un considerevole seguito. Il Comitato nasce su iniziativa di De Ambris, nel settembre del 1922 e si dichiara autonomo da qualsiasi partito e fedele ai principi espressi nella Carta del Carnaro. Vi aderiscono il Sindacato Ferrovieri Italiani, la Federazione Italiana fra i Lavoratori del Libro, i Postelegrafonici, la Camera Toscana dei Sindacati Economici, l'Unione Italiana del Lavoro.
L'esperienza sindacale dannunziana tramonta nel corso del 1923 a causa di una serie di misure di polizia contro i legionari più attivi e anche per l'atteggiamento rinunciatario di D'Annunzio e il suo progressivo distacco dall'attività politica. Il Comitato si trasforma, in breve, in una specie di circolo ricreativo fino ad essere rinominato nel marzo del 1923 Unione Spirituale Dannunziana. In essa convergono ciò che resta del Comitato Nazionale di Azione Sindacale Dannunziana e l'Associazione Arditi d'Italia. Il regime scioglierà l'Unione nel 1926, e la parte del movimento legionario che non passerà armi e bagagli al fascismo, rimasta orfana del padre spirituale (ritiratosi a vita privata), confluirà nelle forze antifasciste, Italia Libera e opposizioni aventiniane.
Massimo di sincretismo
Negli anni '20 in tutta Europa masse di uomini premevano per il cambiamento finendo per appoggiare chi, almeno apparentemente, questo cambiamento rappresentava. Essendosi rivelata impossibile una radicalizzazione e generalizzazione di un moto autenticamente anti-forma passò una ri-forma radicale del sistema capitalistico. Di fatto i fascismi non sono altro che coordinamenti statali al servizio del capitale, indipendentemente dal colore politico che assumono di volta in volta.
Nella Fiume dannunziana fu raggiunto il massimo del sincretismo di classe: il legionario-tipo rappresentava tutte le sfumature politiche prodotte dallo scontro fra il futuro modo di produzione e quello vecchio e decrepito del passato. Era socialista, anarchico, futurista, sindacalista, interventista e naturalmente fascista. Purché l'appartenenza a uno di questi insiemi significasse in qualsiasi modo, illusoriamente, cambiamento. Il nemico era il conservatore, anche se il legionario lo era egli stesso. Di fronte alla tragedia tedesca, in cui centinaia di migliaia di proletari armati furono sconfitti, si parlerà più tardi di "rivoluzione conservatrice". L'ossimoro non è banale. Come ha scritto Marx ad Annenkov
"Gli uomini non rinunciano mai a ciò che essi hanno conquistato, ma ciò non significa che essi non rinuncino mai alla forma sociale in cui hanno acquisito determinate forze produttive."
La rivoluzione come tentativo di conservare ciò che si è raggiunto. In Russia la rivoluzione fu spuria (democratico-proletaria) perché gli uomini non avevano ancora raggiunto il livello di chi ha qualcosa da perdere oltre alle proprie catene. In Occidente la rivoluzione fu spuria perché c'era troppo da perdere. In Russia come in Italia sull'onda dei disastri causati dalla Grande Guerra milioni di uomini erano stati "forzati a modificare tutte le loro forme sociali tradizionali", chi dalla parte della rivoluzione chi dalla parte della reazione. In Occidente aveva vinto la reazione, in Oriente era diventato problematico salvare la rivoluzione.
È improbabile che rinasca un movimento sincretista alla maniera dannunziana. Nasceranno sicuramente dei movimenti piccolo-borghesi contro lo status quo e, come al solito, tenderanno a schierarsi dalla parte della classe vittoriosa. Il fascismo è stato in grado di operare una sintesi tra le classi e di blindare la società, di darle in qualche modo stabilità. Ma ciò non è più possibile: il ricordato leniniano "involucro che non corrisponde più al suo contenuto" si è generalizzato al mondo. Le mezze classi rovinate sono spinte verso il basso, verso la classe dei senza riserve e questo processo non potrà non avere conseguenze politiche.
Si poteva auspicare che movimenti o partiti piccolo-borghesi si schierassero dalla parte del proletariato in lotta, ma ciò non voleva dire che il proletariato dovesse stabilire un'alleanza con essi, confondersi o, peggio ancora, rinunciare alla disciplina di partito in campo militare, come nel caso degli Arditi del Popolo. I rivoluzionari non sono mai indifferenti di fronte a ciò che succede nel campo dei grandi schieramenti di classe. La Sinistra Comunista "italiana" di fronte a movimenti come quello dannunziano ha valutato attentamente le forze in campo, la natura degli schieramenti, i programmi, per trarne delle previsioni. In determinati frangenti storici influenzare o quantomeno neutralizzare l'azione politica di certi strati sociali può fare la differenza. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il problema si era posto con le lotte anticoloniali di liberazione nazionale. In quel caso, benché borghesi, le forze anticoloniali erano direttamente rivoluzionarie e quindi la situazione si presentava semplificata: una sinergia di tutte le classi in quel caso era positiva, compresa la partecipazione contingente del proletariato, a patto di non sottomettere quest'ultimo a programmi di altre classi.
La forza dei comunisti è innanzitutto nel contenuto originale del loro programma, nella dimostrazione che il problema del nostro tempo non consiste, ad esempio, nelle speculazioni finanziare o nell'ingordigia di imprenditori e/o banchieri, ma nella strutturale dissipazione insita nel modo di produzione capitalistico, superabile solo passando a un'altra organizzazione della società. Nessuna altra classe al di fuori del proletariato ha nel proprio programma l'abolizione di tutte le classi, abolizione possibile solo con il superamento del capitalismo.
"Questa nuova organizzazione si differenzia per la abolizione della azienda privata e della economia individuale concorrentistica, e la istituzione di una amministrazione centrale e collettiva delle forze di produzione. La superiorità del rendimento di questa nuova organizzazione sta nella sua corrispondenza alla utilizzazione scientifica delle risorse di cui oggi la umanità dispone, vantaggio anche più alto di quello che conseguirebbe numericamente dalla abolizione dello sciupio di ricchezza causato dal parassitismo dei capitalisti viventi a spese del lavoro espropriato al proletariato." ("Il movimento dannunziano" cit.).