Dimenticare Babilonia (2)

Parte seconda – Oggi

Merci, monete, banche, mercanti

Nel 951 d.C. un geografo persiano che scriveva in arabo i resoconti dei suoi viaggi cita più volte una lettera di cambio per 42.000 dinari emessa ad Awdaghost in Mauritania per un beneficiario di Sigilmasa, in Marocco, duemila chilometri di distanza attraverso il Sahara. Un dinaro corrispondeva a 4,25 grammi d'oro puro. Più o meno sullo stesso percorso, un centinaio di anni dopo, una carovana in difficoltà abbandona parte del carico e lo tumula con la speranza di recuperarlo, cosa che non avverrà. Si tratta di duemila barrette di ottone per circa una tonnellata e di due grossi otri con decine di migliaia di conchiglie (Cypraea moneta). Sigilmasa era collegata al Cairo da una carovaniera, e di qui mercanti arabi avevano raggiunto la Cina attraverso la Strada della seta.

Questa è la stringata sintesi di una situazione abbastanza comune lungo diversi millenni: una grande rete di comunicazioni attraverso la quale viaggiano merci e denaro in forma di scrittura contabile o di materiale usato come equivalente generale. Certo una lettera di cambio con una simile somma non era un semplice pagamento di merci ma piuttosto un investimento in un'attività: qualcuno da Awdaghost chiedeva di aprire una linea di credito a Sigilmasa invece di caricare sui cammelli qualche quintale di oro (o tonnellata se argento).

La Cypraea, conchiglia da basso fondale, proveniente dalle Maldive, fu usata come moneta corrente per un paio di millenni e forse più (quelle trovate in siti preistorici forse avevano un altro valore d'uso) in un'area che comprendeva tutto il mondo ad esclusione delle Americhe. Essa ha tutte le caratteristiche di un buon equivalente generale: è di misura ottimale e costante (o perlomeno era raccolta così), molto dura e lucida, di forma ovoidale, non falsificabile, agevolmente rinvenibile ma in un luogo isolato e lontano, quindi non inflazionabile. Perciò nel corso di millenni i candidati alla funzione di moneta erano in pratica tre: l'oro, l'argento e la conchiglia. A dire il vero in tutta la Mesopotamia l'unità di misura più utilizzata fu l'orzo, ma per ovvii motivi non poteva competere con i materiali conservabili. Vinse l'argento, con l'oro in subordine. L'argento nativo è raro, il minerale d'argento è di difficile estrazione, per fonderlo occorre raggiungere i mille gradi, va lavorato, ecc. Dal punto di vista dell'uso monetario ha qualità discutibili. E difatti come misura del valore ha atteso molto tempo per affermarsi (il più antico oggetto d'argento finora rinvenuto è siriano ed è datato al 4.300 a.C.). La conchiglia è stata avvantaggiata prima di tutto perché si trova in natura così com'è. Il più antico uso monetario della conchiglia Cypraea è stato accertato in Cina e risalirebbe al 5.000 a.C. Forse l'argento si è infine imposto perché veniva usato unicamente come mezzo di compensazione presso enti preposti, e quindi non come mezzo di circolazione (alla stessa maniera dei lingotti d'oro che vengono spostati da un pallet di stato all'altro nei caveaux delle banche odierne).

I carovanieri avevano con sé sacchi di conchiglie, non di monete metalliche (benché queste ci fossero già da 1600 anni). La pesantezza dell'ottone può spiegare il suo abbandono a causa di fatti imprevisti, ma l'abbandono del denaro è piuttosto difficile da spiegare. A meno che qualche mercante non fosse specializzato nel commercio di conchiglie, che acquistava dai pescatori delle Maldive in quanto gasteropodi per venderle o utilizzarle nel Sahara in quanto denaro. La conchiglia di per sé "valeva" relativamente poco: al tempo dell'adozione in Africa come moneta (IX secolo d.C.) un dinaro d'oro acquistava dai pescatori 400.000 gasteropodi, mentre sul mercato africano lo stesso dinaro acquistava 1.000 conchiglie-moneta. Al tempo di Marco Polo in Cina ne occorrevano 16 per un grammo d'argento. Insomma, i carovanieri in difficoltà abbandonarono ciò che li intralciava di più e ciò che valeva di meno.

La conchiglia, nel processo di autonomizzazione della moneta, ha un doppio valore: in quanto gasteropodo e in quanto denaro. La differenza in questo specifico caso è dell'ordine di grandezza 1:400. La crescente domanda ne fece aumentare il prezzo, e dopo l'apertura dei traffici sulla rotta del Capo ad opera dei Portoghesi navi cariche di conchiglie invasero l'Africa inflazionandola.

Siamo di fronte a una situazione di passaggio in cui convivono denaro monetato (il dinaro), denaro come equivalente generale esistente in natura (conchiglia) e moneta di conto rappresentata da una garanzia scritta. Sembra quindi che il denaro come mezzo diretto di circolazione delle merci sia esistito soltanto per il mercato minuto, e solo molto tardi, mentre ogni altro segno di valore serviva da moneta di conto. E siccome il mercato divenne molto presto prodotto e fattore della produzione apposita di merci per lo scambio, quindi un fattore privato dell'economia, gli unici personaggi che potessero gestire la circolazione monetaria erano i mercanti, con l'intreccio dei loro rapporti privati che faceva il giro del mondo.

Nel divenire delle forme sociali attraverso i millenni osserviamo in un primo tempo la genesi del denaro e, alla fine della corsa, la sua dissoluzione. La simmetria storica è evidente: il destino del denaro è un tutt'uno con il destino della società. La storia del denaro-moneta inizia con la ricerca di un equivalente e finisce con la dissoluzione dell'equivalente; inizia con la scrittura contabile esterna all'oggetto, vincolata a un luogo in cui l'oggetto si trova (promesse di pagamento, denaro differito) e finisce con una codifica interna all'oggetto, svincolata da ogni garante e da ogni luogo fisico.

Oggi muoviamo cifre sulla carta o nei computer come all'inizio si muovevano tavolette d'argilla. Siamo passati dal medioevale borsello al portafogli, al bancomat, all'home banking, per giungere, fra poco, al denaro programmato con i nostri dati personali. I 42.000 dinari della citata lettera di cambio erano già denaro personalizzato: arrivato dopo un lungo viaggio solo un mercante fra tanti aveva accesso a quella somma. Non si poteva dire pecunia non olet.

Quantità di moneta e teoria quantitativa della moneta

Per Marx il denaro è la misura del valore, e la moneta il suo vestito. Al suo tempo il denaro era oro, argento, rame e la moneta coniata la sua forma di esistenza. Negli scambi internazionali l'oro era denaro universale, la forma non aveva importanza (in genere era il lingotto, il bullion), contavano esclusivamente il peso e il titolo, cioè la purezza. Il peso variava con l'uso, dato che le monete si consumavano, diventando più leggere. Se il semplice utilizzo rendeva il contenuto d'oro assai relativo nonostante la garanzia dello stato, la strada si apriva per la sostituzione dell'oro con qualche altro materiale. Al limite la carta. L'importante era che lo stato garantisse la conversione in oro per un certo peso nominale. Oggi non è più così: da secoli la reale convertibilità è scomparsa (per quanto riguarda il dollaro, dal 1971, dato che essa era stata mantenuta in ragione della crescita d'importanza di un'economia che usciva vittoriosa dalla guerra e che poteva rappresentare un fattore di stabilità capitalistica).

Il denaro, l'abbiamo visto, è il prodotto finale di millenni di scambi, di commerci, di confronti, attraverso i quali le diverse qualità e quantità di lavoro che produce beni scambiabili vengono equiparate e diventano commensurabili. Questo processo trasforma in merci vere e proprie i beni prodotti, ma contemporaneamente pone in conflitto, nella stessa merce, il valore d'uso e il valore di scambio. Man mano che gli scambi si sviluppano, cresce l'esigenza di rendere innocuo, anzi vantaggioso, questo conflitto. Alla fine, la merce è costretta ad assumere un carattere schizofrenico, si sdoppia, diventa merce e denaro nello stesso tempo. Nella misura in cui il prodotto del lavoro diventa merce, la merce diventa denaro e si mostra al mondo nel vestito di moneta.

"La carta moneta statale nasce direttamente dalla circolazione metallica. La moneta di credito, invece, presuppone rapporti che, dal punto di vista della circolazione semplice delle merci, ci sono ancora del tutto sconosciuti. Come la vera e propria moneta cartacea nasce dalla funzione del denaro come mezzo di circolazione, così la moneta di credito affonda le proprie naturali radici nella funzione del denaro come mezzo di pagamento." (Marx, Il Capitale, Libro I).

Rapporti del tutto sconosciuti per quanto riguarda la circolazione semplice delle merci. Perché? La carta moneta di oggi continua a funzionare anche senza il riferimento all'oro, per la semplice ragione che non c'è alternativa alla fiducia residua che le popolazioni hanno nei loro apparati statali. Questo stato di cose è nello stesso tempo prodotto e fattore di una virtualizzazione spinta del denaro che apre la strada alla sua eliminazione. Diventa infatti più che mai impossibile fare scienza nell'ambito dei problemi posti da un'economia che di un suo oggetto presenta una decina di sfumature diverse. Distinguere tra denaro e moneta è una necessità, ma non è cosa semplice. Se prendiamo la definizione di Marx: denaro = forma fenomenica del valore, vediamo che c'è il pericolo di maneggiare concetti più che elementi reali. Eppure, proprio Marx ci dice che il denaro è la realtà, mentre la moneta è il suo vestito.

Il denaro è un oggetto di conto che, rapportato a uno, serve a misurare una quantità, è la misura del valore; la moneta è una convenzione sociale elaborata dagli uomini per necessità sociali. Il denaro si trova in natura, la moneta no. La moneta per essere valida dev'essere socialmente riconosciuta, rispondere a criteri collettivi di uso. Inoltre, deve lasciare una traccia tangibile. Il denaro in quanto mezzo di circolazione non lascia tracce, la moneta non è tale se non è tracciabile.

Il denaro quando agisce nel processo di scambio come mezzo d'acquisto non lascia traccia, ovvero non "ricorda" contro quali valori d'uso è stato scambiato, chi l'ha maneggiato o la natura delle transazioni che ha finanziato; ma al contempo agisce come mezzo di circolazione in senso ampio (moneta) perché soddisfa alcuni criteri di tracciabilità rispondenti alla tipologia di mercato in cui viene utilizzato (commercio al dettaglio, credito interbancario, commercio estero ecc.).

Le molteplici determinazioni della moneta

Denaro Forma fenomenica del valore (Geld)
Numerario Mezzo di circolazione (Münze)
Valuta Scambi con l'estero/riserve (Währung)
Misura dei valori Unità di conto
Credito Debiti/crediti bancari
Riserva di valore Moneta e denaro qui coincidono
Moneta di stato 1 Emissioni cartacee, metalliche, francobolli.
Moneta di stato 2 Quantitative easing
Moneta di riserva Tesaurizzazione (Conti Correnti, ecc.)
Moneta pagherò Cambiale, assegno
Moneta-debito Titoli di stato, ecc.

Che sia attraverso la firma del governatore di una banca centrale, che sia per mezzo di un codice in bit sulla carta di credito o su di un server, il suo percorso dev'essere ricostruibile. Il processo in atto di smaterializzazione della moneta riguarda quindi la materia di cui essa può essere fatta. Ma, affinché possiamo chiamarla con quel nome, da qualche parte deve essere registrata: non importa se su di una tavoletta d'argilla, un pezzo di carta, una pista magnetica o una piastrina di silicio. La moneta è un oggetto più o meno materiale rispondente a un bisogno sociale. È la società che a questo oggetto riconosce una funzione, la quale deve essere "scritta" da qualche parte. Non è vero il contrario: non basta che una quantità di denaro risulti segnata da qualche parte per essere moneta; la contabilità dei magazzini di un tempio di Uruk può essere molto precisa, ma se la società non ha bisogno di moneta, quel denaro non è moneta. Occorre dunque andar cauti con i paralleli fra le categorie della contabilità antica e quelle della contabilità moderna. Un assegno mesopotamico funziona come un assegno moderno, ma è un rapporto fra due persone, mentre un assegno moderno è un rapporto fra una persona, una banca e lo stato che emette moneta. Possiamo chiamare banca il forziere di un mercante; egli può attuare operazioni in tutto e per tutto identiche a quelle di una banca, ma non è una banca. Tra l'altro è per questo che ha importanza enorme la simmetria storica di cui abbiamo parlato: nella prossima transizione potranno essere presenti categorie simili a quelle odierne, come la paga di ore-lavoro, ma se la società avrà già cambiato di segno, quel denaro-lavoro sarà altra cosa rispetto a ciò che è oggi.

Quando si parla di società si parla di una comunità che si dà delle regole e quindi la facoltà di sanzionare. Con le attuali regole, non si può creare moneta al di fuori del circuito monetario sociale, si possono solo emettere scontrini che si confrontano con la moneta. Tra un dollaro e, poniamo, un bitcoin c'è la stessa differenza che fra un dollaro e il marxiano biglietto di teatro comprato con quel dollaro. È ben possibile un'economia monetaria basata sulla circolazione di biglietti del teatro, specie se sono garantiti da un codice imprendibile e circolano in una comunità chiusa; ma sarebbe un'economia parallela rispetto alla comunità che esprime uno stato.

Le molte determinazioni della moneta sono difficili da inquadrare in una qualche teoria basata su formalismi matematici. Tutto ciò che ha un mercato secondario, dai titoli di stato alle cambiali, dagli assegni trasferibili ai derivati, si comporta come moneta. Oggi, a forza di effetti monetari di tutti i tipi, spontanei o voluti e teorizzati, siamo di fronte a un debito catastrofico così enorme che se ne è persa la nozione quantitativa. Il debito, di qualsiasi genere, non è altro che un anticipo di denaro offerto dai cittadini o da un ente a qualcuno affinché venga realizzato un progetto o venga preso un provvedimento, come ovviare ad esempio ai danni prodotti da calamità naturali o simili. Oggi si parla di debito pubblico e privato conteggiandolo in trilioni di dollari, un dato numerico che i nostri sensi non riescono ad assimilare. È allora necessario trasformare questi dati esclusivamente numerici, anti-intuitivi, in dati percepibili, se non altro per confronto. L'unità di misura corrente per le cifre dell'economia odierna è ormai il trilione di dollari. Poniamo che Dollaro ed Euro siano equivalenti, eliminando per comodità la non essenziale differenza: bisogna impilare due metri di banconote nuove da 50 euro per fare un milione di euro. Due chilometri di altezza per fare un miliardo. Duemila chilometri, due volte Torino-Bari, per fare un trilione di euro. L'Italia ha un debito di due trilioni di euro, quattro volte Torino-Bari. Un'autostrada a quattro corsie di banconote da 50 euro, ognuna dello spessore di un decimo di millimetro.

All'inizio della "crisi" il debito pubblico mondiale ammontava a 33 trilioni di dollari. Oggi è quasi il doppio, una cifra paragonabile al PIL mondiale. Se l'economia è rimasta stagnante, dove sono finiti i 33 trilioni? Perché non c'è inflazione sotto questo diluvio monetario? Come si spiega questa nullità di effetti di fronte all'imperare delle teorie monetarie? Come mai l'iniezione di 12 trilioni di dollari nel circuito bancario americano è rimasta senza effetti visibili e anzi è peggiorata la situazione sociale?

Teoria Quantitativa della Moneta

Il più noto esponente del monetarismo è Milton Friedman, fondatore della "scuola di Chicago", spesso nominato nel corso di questa crisi per aver auspicato, per casi del genere, una pioggia di dollari dagli elicotteri da parte delle autorità monetarie. Secondo la Teoria Quantitativa della Moneta il mezzo più efficace per controllare l'economia è un'azione mirata sulla quantità di moneta. Tale teoria ha dei buchi logici importanti, il più grave dei quali è la concezione dell'intervento dello stato nell'economia. Lo stato non dovrebbe occuparsi dei mercati perché essi si dovrebbero autorigenerare, autoregolare, autostabilizzare, autolegittimare. Ma mancherebbe un altro automatismo: autoprodurre un organismo che regoli le potenzialità autodistruttive del sistema, cioè lo stato. Adamo Smith, capostipite del pensiero liberista borghese, non aveva commesso l'errore di sottovalutare la funzione dello stato: nella sua concezione lo stato era lo strumento per evitare che il capitalismo uccidesse sé stesso.

L'economista keynesiano Nicholas Kaldor annotava ironicamente: se l'offerta di moneta cresce a dicembre e scende a gennaio, possiamo dire di aver scoperto l'origine deterministica del Natale. Ora è vero che una variazione dei rapporti quantitativi sul mercato monetario può produrre effetti anche vistosi su alcuni parametri economici, ma certamente non è agendo sull'effetto che si può modificare stabilmente la causa. Sarebbe come dire che una diminuzione dell'offerta monetaria a dicembre avrebbe il potere di eliminare il Natale invece che congelare le vendite.

Il valore si esprime attraverso il denaro, mentre la moneta riveste quest'ultimo di concretezza operativa. Nel modello di Marx il denaro è oro; la moneta, in qualunque travestimento si presenti il denaro, è carta o qualsiasi cosa che agisca in rappresentanza del denaro. Il denaro è lamisura del valore, la sua forma fenomenica; la moneta è il segno del valore, il suo nome. E, come dice Marx, non sappiamo nulla di un uomo quando sappiamo che il suo nome è Giacomo. Bisogna, aggiungiamo, indagare nella sua vita, comprendere il suo divenire. Questo, appunto, abbiamo cercato di fare nella prima parte del nostro articolo rispetto alla moneta. È possibile che la manipolazione della moneta porti a qualche effetto sull'economia ma non ha senso agire sugli effetti per modificare le cause. Quando, regnando Creso di Lidia, fece la sua prima comparsa la moneta, il denaro esisteva già da secoli. Le merci venivano prodotte e scambiate in grande quantità e in tutto il mondo giunto a un certo grado di sviluppo. Il re di Lidia avrebbe potuto aumentare la sua già grande ricchezza semplicemente scavando più argento dalle sue miniere, ma così facendo non avrebbe influito sulla struttura produttiva della Lidia e a lungo andare la sua famosa moneta si sarebbe deprezzata.

"La forma prezzo implica l'alienabilità delle merci contro denaro, e la necessità di questa alienazione. D'altra parte, l'oro funge da misura ideale del valore solo perché si muove già nel processo di scambio come merce denaro. Nella misura ideale dei valori sta quindi già in agguato il denaro reale, la dura moneta."

Quando nella nave di Uluburun giacevano gli uni accanto alle altre lingotti di bronzo e barre di vetro, frutto di scambi avvenuti sulla base di consuetudini che poco per volta avrebbero portato alla nascita di un equivalente generale, e più tardi al confronto fra tempi di lavoro, era già in agguato il denaro, da cui sarebbe scaturita la sua forma reale, "la dura moneta". Il cambiamento, anche solo dal punto di vista della transizione, non sarà ottenuto manipolando la moneta ma risalendo alla sua fonte per capire cos'è. Perché ciò sia possibile, bisognerà riandare alla fonte del bronzo e del vetro, dell'oro e dell'argento, dell'olio e della lana, cioè ai valori non monetari, cioè ai prodotti della natura che trasformiamo con l'applicazione di energia. Gli antichi non lo potevano fare, i moderni non lo sanno fare, imbevuti come sono di ideologia. Lo farà la rivoluzione in corso, non per modificare il sistema del valore ma per eliminarlo. Tolti il valore di scambio, la misura di detto valore e il suo segno, rimane il tempo di lavoro. E anche quest'ultimo sarà ridimensionato fino a sparire, sostituito da tempo di vita indifferenziato.

Nell'ambito del riformismo attuale, la Teoria Quantitativa della Moneta raccomanda di variare i rapporti fra le "molteplici determinazioni" che abbiamo riunito nella tabella di pag. 32. Quindi si realizzerebbe una variazione dei rapporti fra epifenomeni, e non a livello della produzione materiale. Un intervento monetarista consiste ad esempio nel variare la quantità di moneta che la banca può imprestare. Ciò si può ottenere facilmente agendo sulla percentuale di deposito obbligatorio rispetto alla somma dei prestiti. Oppure variando il costo del denaro. Oppure emettendo denaro bancario attraverso lo stato a favore delle banche, acquistando da esse sofferenze e titoli tossici.

Queste elencate sono tutte misure prese durante l'attuale crisi e non sembra siano servite a molto, anche se al momento si sta strombazzando euforicamente a proposito di una ripresa economica. Noi ovviamente non stiamo cercando un antidoto alla malattia senile del capitalismo, perciò osserviamo con soddisfazione che il nostro modello teorico funziona e quello degli economisti no. Giacomo sarà sempre Giacomo anche se lo ribattezzano Giovanni.

I depositi precedono i prestiti, quindi nasce spontaneamente la possibilità materiale, per una banca, di passare dal prestito di ciò che si è ricevuto in deposito a un prestito di entità superiore che in banca non c'è ancora. Sarà il debitore, con la sua "restituzione" del denaro, a rendere possibile il miracolo della creazione di denaro. In realtà non verrebbe "creato" nulla, dato che il debitore, per "restituire" il denaro, dovrà lavorare o far lavorare qualcuno per guadagnarlo. Dopo di che la banca si troverà nell'attivo di gestione con quella somma in entrata (ricordiamo che la banca non l'ha segnata in uscita perché non l'aveva).

"[La banca moderna nacque] allorché il banchiere si rese conto della possibilità pratica di far fronte alle richieste di conversione in metalli dei segni cartacei da lui rilasciati, senza che questi fossero integralmente coperti da metalli preziosi. A fronte delle attestazioni rilasciate era infatti sufficiente la conservazione di una prudenziale 'riserva parziale', la differenza potendo essere utilizzata per effettuare operazioni di prestito. Così, mentre l'accettazione dei mezzi cartacei continuava a basarsi sulla fiducia, il sistema ammetteva una creazione di mezzi cartacei multipla rispetto alla disponibilità metallica mantenuta come riserva: da una funzione di semplice intermediazione, il sistema bancario evolveva verso una funzione di partecipazione diretta alla creazione di mezzi monetari."

La banca moderna funziona come uno schema Ponzi legalizzato. Se i clienti si presentassero a chiedere denaro per una cifra pari ai loro depositi la banca fallirebbe.

La banca dunque non presta denaro già depositato dai clienti ma denaro nuovo, pari a una cifra più o meno garantita dal primo. Ed è denaro che non c'è. Il limite è la percentuale di rischio rispetto al comportamento dei clienti. I quali in genere non sanno che la banca può elevare il divario fra depositi e prestiti mettendosi così nella condizione potenziale del fallimento. Si tratta di una eventualità remota, dato che la banca agisce comunque nella misura stabilita dalla legge; ma vi sono casi in cui diventa critica la percentuale di rischio che i clienti per mancanza di fiducia vadano tutti in una volta a ritirare i depositi. Nessuno vieta alle banche una prassi del genere, gli stati si limitano a imporre un tetto al divario fra depositi e prestiti (può essere anche di decine di volte).

Il mercante babilonese, con le sue scritture contabili, e il banchiere del tempo di Marx, con il suo segno di valore cartaceo garantito dalla convertibilità in oro, basavano la propria funzione su elementi materiali. Con la virtualizzazione della moneta si chiude un ciclo di settemila anni. Il denaro è un fattore oggettivo dello scambio, la moneta ne è la rappresentazione. Altrimenti la banca non potrebbe prestare denaro che non ha. Si può emettere moneta, purché si trovi qualcuno che la riconosca e la utilizzi fidandosi della fonte. Ma se la moneta si discosta dal suo equivalente materiale, che cosa succederebbe in caso di crollo della fiducia in chi la emette? Sicuramente una catastrofe, anche se la moneta fosse pienamente convertibile: i cittadini non potrebbero portarsi a casa l'oro equivalente. Non c'è, e forse non c'è mai stato. Con la moneta esclusivamente fiduciaria gli effetti di una mancanza di fiducia sarebbero inimmaginabili. Tutti tenderebbero a disfarsene in cambio di beni durevoli o comunque materiali, oro, case, terreni, con il risultato di uno scenario apocalittico: la presenza contemporanea di una bolla immobiliare, un'inflazione a due o tre cifre e una stagnazione totale. Di questo scenario abbiamo avuto alcune anticipazioni in anni recenti: nel 2008 il panico bancario che ha generato la corsa agli sportelli dei correntisti della Northern Rock; alla fine del 2016 i giorni di panico in India per la chiusura degli sportelli automatici a causa di un banale ritiro delle banconote di grosso taglio: 600 milioni di indiani si sono precipitati agli sportelli facendo code infinite pur soffrendo fame e sete per ore e ore.

Dotazione monetaria

La quantità di moneta esistente (non importa di che tipo) è in pratica il debito dello stato nei confronti dei cittadini. Tale quantità è la dotazione di denaro di cui un'economia ha bisogno per funzionare ed è stabilita in parte ad arbitrio dalla banca centrale. Supponiamo che quest'ultima, o l'esecutivo di un certo paese, ritenga necessario aumentare di 100 l'offerta monetaria, cioè l'ammontare dei mezzi di pagamento. La banca centrale acquista buoni del tesoro per 100, li iscrive nell'attivo di bilancio, e successivamente a passivo quando paga la banca che le ha fornito i titoli. Così facendo, aumenta le riserve della banca venditrice la quale potrà acquistare altri buoni del tesoro per venderli al prossimo giro. L'offerta monetaria da parte della banca centrale è iscritta al passivo perché rappresenta un debito nei confronti dei cittadini. Infatti, a rigor di logica, ogni cittadino, a fronte di debito aggiuntivo avrebbe diritto all'accesso a beni e servizi aggiuntivi di pari entità.

Dal Rentenmark di Hilferding alla collana del Club Mediterranée, dalla Am-lira degli invasori americani al Bitcoin elettronico, si sono create monete-clone della classica moneta dello stato. In ogni caso tutte funzionano esclusivamente se qualcuno o qualcosa garantisce una copertura, che può anche non essere oro ma un servizio fruibile. Il Rentenmark, escogitato da Hilferding per bloccare l'iperinflazione tedesca nel primo dopoguerra fu introdotto nel novembre del 1923; anche se nell'economia tedesca non era cambiato nulla rispetto al periodo precedente, funzionò con la simulazione di una copertura data dai beni statali. La collana del Club Mediterranée fu escogitata da quella rete internazionale di villaggi-vacanze per ovviare all'inconveniente dei piccoli pagamenti quotidiani non compresi nel prezzo "tutto incluso" ed effettuati con troppe valute nazionali diverse. Ogni supplemento era prezzato in moneta-perline e funzionava perfettamente in quanto equivalente universale garantito dall'azienda vacanziera al suo interno (un caso simile è quello delle fiches in un casinò). Lo stesso discorso vale per quella che fu in Italia l'American Lira, moneta a corso forzoso stampata dai vincitori per pagare i servizi di cui l'enorme esercito americano aveva bisogno. In quest'ultimo caso non ci fu nemmeno bisogno di ricorrere al sotterfugio di una copertura: la pseudomoneta funzionò a causa del semplice fatto che serviva sia a chi la emetteva, sia a chi l'adoperava. Un altro caso significativo fu quello dei mini-assegni, fenomeno esploso in Italia nel 1975 e durato qualche anno. La proliferazione di cabine telefoniche a moneta e di distributori automatici, accompagnata da un'inflazione a due cifre, aveva prodotto una carenza di spiccioli, sostituiti all'inizio da caramelle, francobolli, gettoni del telefono e infine, per iniziativa delle banche, di miniassegni. Tecnicamente erano assegni circolari girati all'origine, pagabili al portatore, per cui potevano sostituire la moneta. Ne furono censiti 835 tipi diversi, emessi da sessanta banche per un ammontare di 200 miliardi di lire. Siccome erano stampati su carta scadente, finirono per usurarsi e disperdersi, con un guadagno netto da parte delle banche. Dunque, la moneta, per esistere e svolgere la sua funzione, non ha bisogno dello stato, ma può essere creata da chiunque sia in grado di garantirne la copertura come mezzo di pagamento. Il recentissimo caso delle monete elettroniche, prima fra tutte il Bitcoin, si inserisce nella casistica sopra considerata: la sua protezione criptica lo rende sicuro e soprattutto adatto a transazioni anonime, quindi gradito a chi non vuole avere il fiato sul collo da parte dello stato. E non ha bisogno di copertura perché, fin che circola, se la fornisce da sé attraverso un codice incorporato. La protezione cessa quando incomincia l'esigenza di cambiarlo in altra valuta.

Da un punto di vista formale è proibito creare moneta, nel senso che nessuno può sostituirsi allo stato e stampare "denaro col vestito nazionale". Ma chiunque può crearne di altro tipo, quindi teoricamente sfuggire a ogni controllo indirizzato al calcolo dell'ammontare di moneta. Come abbiamo visto, però, variare la dotazione monetaria significa far valere certe scelte economiche. Le cifre in ballo sono enormi, ma non corrispondono a un qualcosa di reale: è come dire che si influisce sulla riproduzione del capitale inviando a quest'ultimo degli ordini vocali. Se è così, non ci troviamo forse di fronte a una delle tante "dissoluzioni" care a Marx per definire il passaggio da una forma economico-sociale all'altra?

Da quanto detto fin qui e secondo quanto evidenziato nello schema di pag. 7, si può stabilire che la visione complessiva del "ponte storico": comunismo originario → comunismo sviluppato, ci porta da una indeterminazione di valore primitiva a una indeterminazione di valore sviluppata, attraverso molteplici forme di determinazione di valore intermedie. A questo punto non dovrebbe essere difficile individuare i processi di dissoluzione che necessariamente ne conseguono.

La base materiale delle non-merci

Negli ultimi tre o quatto anni si è fatta strada l'idea che si stia affermando un capitalismo di tipo nuovo. Libri dal titolo significativo come La società a costo marginale zero, Postcapitalismo eCapitalism without capital – The rise of intangible economy, possono effettivamente far pensare che possano avvenire, almeno in alcuni ambiti, scambi tra non equivalenti in quanto è sempre più difficile quantificare il valore di una merce "intangibile", cioè non materiale. Tenuto conto che è la prima volta, nella storia del capitalismo, che nei maggiori paesi industriali si sta investendo più in merci immateriali, come software, pubblicità, ricerca, ecc., che in merci tradizionali, come macchine, impianti o infrastrutture. Questa smaterializzazione delle merci, questo alleggerimento dell'apparato produttivo, ha una ragione concreta, "forte": la borghesia è costretta a sviluppare senza sosta la forza produttiva sociale e ciò provoca ovviamente una crescita dell'efficienza del sistema produttivo, del suo rendimento. Crescita che si manifesta in due modi: 1) diminuzione dell'energia necessaria a produrre una unità di prodotto; 2) diminuzione dell'energia dissipata dal prodotto stesso. L'alleggerimento della struttura capitalistica nel suo insieme, indipendentemente da come è ottenuto, è iscritto nel DNA del capitalismo. L'immane crescita della dissipazione energetica è dovuta all'aumento più che proporzionale delle unità di prodotto: si verifica ad esempio se produco il 15% in più di automobili utilizzando il 10% in meno di energia per ognuna di esse.

C'è da chiedersi come fa il denaro, che è la misura del valore, a rappresentare un valore sfuggente, non più legato a parametri oggettivi, costretto a riflettere una "società a costo marginale zero". Nella formula del saggio di profitto il costo è al denominatore della frazione, se lo rapportiamo a zero il saggio diventa infinito, cioè un nonsenso. Eppure, è proprio in questa direzione che vanno le varie aziende tipo Google, Facebook o Amazon.

Per Marx una merce è tale sia che risponda ai bisogni del corpo, sia che risponda a quelli della mente. E non è necessario misurare caso per caso il tempo di lavoro cristallizzato in ogni singola merce: è sufficiente fare astrazione dalla complessità del reale e rapportare il tempo di lavoro non a ogni singolo operaio ma all'operaio complessivo. Anche al tempo di Marx esistevano merci intangibili: una rete ferroviaria è certamente tangibile, materiale, ma rilascia poco per volta il suo valore in tempo di lavoro fornendo un servizio continuo. Ancora più visibile è il fenomeno se prendiamo in esame la rete telegrafica, dove il capitale costante è relativamente modesto e il servizio può essere venduto a prezzo arbitrario rispetto al valore. Una lavandaia dell'epoca intascava un reddito, ma una squadra di lavandaie organizzata da un capitalista produceva plusvalore e il "pulito" poteva essere considerato merce intangibile. I "servizi" in genere sono sempre stati merce intangibile, e l'intero capitale commerciale, fattore e prodotto del sistema capitalistico, non produce niente di materiale. Marx si sofferma sulla natura dei trasporti, e oggi sappiamo quale importanza strategica abbia la logistica industriale.

"Malgrado la sua autonomizzazione, il movimento del capitale commerciale non è altro che il movimento del capitale industriale nella sfera della circolazione."

È evidente che il tempo di lavoro o valore determina il prezzo di produzione anche attraverso il capitale commerciale, autonomizzato fin che si vuole ma sempre più grandeggiante. Ciò non sarebbe un problema se si potesse rapportare tutto a plusvalore e salario, come fa Marx alla fine del Terzo Libro del Capitale. Il profitto, l'interesse e la rendita non sono altro che ripartizioni del plusvalore e lo stesso capitale costante è salario e plusvalore. La società capitalistica attuale getta sulla scena colossi come Apple, Microsoft, Google, Amazon, Facebook, aziende capitalizzate rispettivamente 710, 500, 740, 476, 500 miliardi di dollari che producono merci intangibili o con minima quantità di materiale tangibile. Se il capitale commerciale fosse ancora capitale industriale prestato alla sfera della circolazione, come realizzare un modello quantitativo, misurabile in denaro in quanto forma fenomenica del valore, e quindi in moneta in quanto veicolo del prezzo? È chiaro che i prezzi dei prodotti di queste aziende, come il livello dei loro guadagni pongono qualche problema dal punto di vista della legge del valore. Sicuramente è conteggiato del capitale fittizio e sicuramente si sono create situazioni di monopolio; anche in campo industriale tradizionale come la metalmeccanica, il monopolio comporta una violazione apparente della legge, che va così precisata: una quota di quello che sembra interamente plusvalore è rendita, cioè plusvalore altrui dirottato (esempio della Fiat in Vulcano della produzione o palude del mercato?).

Il capitale non è "una cosa", è un rapporto

L'inconsistenza scientifica del metodo d'indagine borghese balza all'occhio non appena gli stessi autori che sembrano così critici verso il capitalismo si propongono di suggerire aggiustamenti e riforme. Nella totalità dei casi si rivolgono ai governi sollecitandone la buona volontà nel porre rimedio alle storture intraviste. Quando si padroneggia la teoria si padroneggiano anche i fatti, ma gli economisti, a corto di teoria, inciampano sempre in un problema di mera contabilità: essendo la merce immateriale difficilmente gestibile, dovremmo affinare gli strumenti di controllo per capire se i metodi di calcolo adottati sovrastimano o sottostimano la ricchezza prodotta. Il grande problema del capitalismo attuale sarebbe risolvibile da più accorti ragionieri?

Riguardo alla sola economia sommersa, non rilevata dai detector sociali messi in atto dagli stati nei maggiori paesi industriali, si suppone che essa ammonti mediamente al 30% del PIL. Di questa economia sommersa solo una piccola parte lo è a causa di produzione clandestina sfuggente ai controlli. L'altra parte resta tale a motivo dell'incapacità di stabilire, come nel caso degli investimenti e dei ritorni nel campo delle merci smaterializzate, quanta sia realmente profitto e quanta invece appropriazione di profitto altrui. C'è stato qualche buontempone che ha proposto di considerare parte dell'economia i traffici che riguardano la droga e la prostituzione in modo che siano tassabili. Se ciò avvenisse aumenterebbe il PIL ufficiale e si potrebbe creare moneta per quell'ammontare senza produrre squilibri. La prostituzione soddisfa un bisogno senza che sia immessa sul mercato una produzione materiale; la droga è immessa sul mercato senza che vi sia un rapporto fra il prezzo di costo e il prezzo di mercato. Entrambe sfidano la legge del valore e fanno parte della leggerezza del mondo.

È qui che casca l'asino: un conteggio puramente monetario basato sui prezzi non permette di "vedere" la vera struttura della formazione di valore. Le importazioni degli Stati Uniti dal resto del mondo ammontano a 2.700 miliardi di dollari; le esportazioni a 2.200, di cui la metà in semiconduttori, software e soprattutto servizi, nel campo dei trasporti aerei, della finanza, dello spettacolo, dei copyright, ecc. Niente di strano, i diritti cinematografici sono una voce importante perché tutto il mondo guarda film americani; sono voci importanti anche quelle dei brevetti sui farmaci e sulle tecnologie perché è in America che si fa più ricerca. E ovviamente sono importanti il software e i microchip. Ma un paese industrializzato le cui esportazioni sono per più della metà merci immateriali non è solo un paese rentier come lo era l'Inghilterra imperiale, è un paese senza spina dorsale produttiva che sta riscuotendo la pensione dopo aver obbligato mezzo mondo a pagargli i contributi. Oltre tutto indebitandosi sempre più, data la differenza di 500 miliardi tra importazioni ed esportazioni. Quando si tratta di tirare le somme per compensare la differenza tra l'import e l'export, le grandezze monetarie che si confrontano sono dollari da entrambe le parti; ma questi dollari non sono più come le mine d'argento mesopotamiche, l'argento era neutrale, il dollaro no. Il dollaro è inconvertibile. Allorché si confronta con sé stesso sul mercato, sulla sponda americana c'è un paese che può creare moneta, sull'altra sponda c'è un paese che deve procurarsela con merci, cioè tempo di lavoro.

Gli Stati Uniti hanno immesso in pochi anni 12.000 miliardi di dollari sul mercato bancario per stimolare l'uscita dalla crisi salvando allo stesso tempo le banche, e non vi è stato neanche un accenno di inflazione. Con un certo ritardo l'Unione Europea dovette ricorrere a un'operazione analoga per mitigare l'asimmetria. Anche qui niente inflazione. Come mai? Quando al tempo di Diocleziano la zecca dell'impero emise denarius in quantità, tra l'altro di rame senza argento, l'inflazione che ne seguì costrinse l'imperatore a imporre un calmiere ai prezzi con feroci repressioni nei confronti dei mercanti. Se Re Creso avesse stampato più monete di quante ne fossero necessarie per i traffici di allora ci sarebbe stato un contraccolpo sul prezzo dell'argento. Se Re Hammurabi di Babilonia avesse permesso la moltiplicazione delle cambiali di terracotta senza riferimento a una precisa merce scambiata avrebbe fatto saltare il sistema di scambio basato su fiduciari. Quanto bisogna risalire indietro nel tempo per avere un sistema non inflazionabile?

La moderna scrittura contabile slegata dal valore

Ritorniamo per un momento alla banca, ai suoi depositi e al credito, cioè ai suoi prestiti: abbiamo visto che non è il deposito che rende possibile il prestito ma è un prestito che rende possibile un deposito. La banca non presta denaro che ha, presta oggi il denaro che il suo cliente debitore le restituirà domani. È il debitore che si fa carico di guadagnare la somma da restituire. Ma adagio, c'è qualcosa che non funziona: la banca in realtà non presta alcun denaro, non "anticipa" affatto capitale che le sarà restituito; semplicemente esegue una scrittura contabile segnando in deposito un capitale che riceverà domani a cura del cliente, il quale nel frattempo si sarà dato da fare per guadagnarlo. Quindi non è la banca che "crea" moneta e nemmeno il cliente, se supponiamo che questi porterà alla banca una somma guadagnata con il proprio lavoro o con lavoro altrui. La semplice scrittura contabile non produce inflazione se nel gioco credito-debito la soluzione è basata sul lavoro. Nell'amministrazione pre-monetaria le scritture contabili si basavano su movimenti di oggetti, che venivano fisicamente spostati da un posto in un altro. Affinché si verifichi inflazione occorre che la moneta cambi stato, modo di essere, cioè si deprezzi attraverso la modifica delle sue qualità o quantità.

Ma vi sono differenze storiche fra fenomeni inflattivi: 1) Diocleziano: l'editto che introduceva brutalmente il calmiere dei prezzi nella Roma del III secolo d.C. era stato emanato in seguito a tre eventi, ognuno dei quali sufficiente a scatenare l'aumento dei prezzi: una grande quantità di lavori pubblici richiesti dall'espansione dell'impero e dalla difesa dei suoi confini; l'ampliamento dell'esercito con truppe mercenarie; il conio del denarius a bassissimo titolo d'argento e in quantità superiori al valore della produzione di nuovi beni. 2) L'iperinflazione tedesca del 1922-23 e il Rentenmark: l'aumento dei prezzi era stato causato da un'insufficiente produzione in un contesto che vedeva il paese sconfitto schiacciato dalle riparazioni di guerra e privato di territori di forte impatto produttivo come il bacino della Ruhr, occupato dalle truppe francesi. Anche in questo caso, abbiamo un cambiamento dei rapporti quantitativi fra moneta e produzione. 3) La creazione di moneta da parte dello stato moderno. E qui entriamo nella fase finale del capitalismo; dopo la guerra esplode la ricostruzione, gli Stati Uniti varano il Piano Marshall, cioè un'apertura di credito in dollari in modo che i paesi vinti possano acquistare manufatti e materie prime americane. Il grande impulso alla produzione fa sì che il PIL dei paesi "beneficiati" aumenti e con esso i salari e l'inflazione. Tale processo termina al culmine della produzione quantitativa nei primi anni '80; in alcuni paesi dove il boom è stato più significativo, come l'Italia, l'inflazione supera il 20% annuo nel 1980.

Nell'ottobre del 1987 il grande crollo mondiale delle borse cancella una enorme quantità di capitale speculativo: in un solo giorno Wall Street perde il 22% della sua capitalizzazione, molto di più di quanto non fosse mai accaduto. Neanche nel Grande Crollo del 1929 la catastrofe era stata di quelle dimensioni. Nella settimana successiva è ancora un massacro, le perdite sulle maggiori piazze borsistiche in alcuni casi superano il 40%.

Ma che cosa è stato effettivamente cancellato nel 1987? Non certo denaro come misura del valore delle azioni che esso aveva acquistato. Non certo capitale da investimento presente in borsa per finanziare la produzione. Furono cancellati segni di valore che non avevano più alcun riferimento con il capitale in cui erano andati ad investirsi. Non era nemmeno capitale pletorico risultato di una pletora di merci perché la pletora cronica non produce soprassalti correttivi. Era l'ombra di ciò che rappresentava un tempo, quando "investire" significava far girare le pulegge di una fabbrica. Era puro segno di valore senza il corrispettivo di valore, dato che D → D' non è M → D → M' → D' in un ciclo produttivo P. La "speculazione" e il suo più genuino prodotto, il crollo in borsa quando scoppia la bolla, non tolgono nulla all'economia in quanto tale: può fallire qualche banca, può rimanere rovinato qualche individuo, ma, giustamente, la cancellazione di capitali speculativi viene chiamata "correzione", anche se nei casi più vistosi vengono usati termini più adatti a grandi titoli sui giornali.

Nell'ottobre del 1987 non ci fu una crisi epocale come quella del 1929 perché il crollo non interessò nulla di materiale. L'indice mondiale delle borse scese di una percentuale mai vista in così breve tempo, ma risalì tranquillamente ai livelli di partenza in altrettanto breve tempo. Nel 1929 furono distrutti relativamente pochi grandi patrimoni speculativi ma milioni di piccoli risparmiatori furono rovinati, per cui fu sconquassata l'economia di un paese come gli Stati Uniti che ovviamente si riverberava sul mondo. Nel 2008 la crisi fu più grave perché, pur essendo una crisi finanziaria con radici nella sovrapproduzione, coinvolse l'edilizia, che da sempre è il rifugio anticrisi per eccellenza. I piccoli capitali che erano finiti nelle case attraverso i mutui poco garantiti si ritrovarono senza garanzia. Una volta scoperchiato il marciume del sistema, cioè constatato che i mutui erano stati inseriti in strumenti finanziari complessi, fu evidente la spaccatura fra lo strumento finanziario e la quantità di denaro che avrebbe dovuto rappresentarlo. C'era insomma troppo capitale fittizio rispetto alla quantità e al valore degli strumenti finanziari nei quali potesse "investirsi". Per di più le banche avevano già molti contratti in sofferenza e non potevano certo tenersi le case ipotecate, per cui le misero sul mercato facendolo crollare, eccetera eccetera.

Sullo sfondo storico che vede evolvere il denaro dalla primitiva cretula al capitale fittizio da speculazione pura, senza più alcun legame con la sua funzione originaria, cerchiamo di portare un contributo alla comprensione di ciò che sta succedendo al denaro oggi. Cioè in un'epoca di transizione in cui sicuramente, insieme ad altri aspetti della società, operano già delle categorie della società futura, come affermano Marx ed Engels e come abbiamo scritto, citando, in apertura del nostro sito su Internet. Diciamo "contributo", perché una "teoria della moneta" in una forma compiuta cui poter fare riferimento in Marx non c'è. Per Marx il denaro era oro, se pur rappresentato da un segno su carta. Ma il problema non è tanto questo, dato che c'è un buon impianto di riferimento nel primo libro del Capitale. La difficoltà maggiore consiste nel fatto che Marx parlava di dissoluzioni di categorie del passato inquadrandole in modi di produzione già dissolti, mentre noi una dissoluzione la stiamo vivendo, siamo attori sulla scena. E non abbiamo la possibilità di analizzare la società presente se non ipotizzando un catastrofico trapasso rivoluzionario, collocando il nostro punto di vista nella società di livello superiore (n vista da n+1). E mettendoci nei panni di un'umanità obbligata a risolvere il problema dell'amministrazione senza denaro.

Il punto di rottura

Nel volgere di un secolo abbiamo avuto quattro crisi epocali: nel 1929, nel 1975, nel 1987, nel 2008. Se le analizziamo in base alla continuità di contenuti, va scartata dall'insieme dei tipi la crisi del 1987. Era appena stato inaugurato il Big Bang a Londra, una borsa globale che operava 24 ore su 24, sette giorni alla settimana. C'era euforia in Occidente perché stava crollando l'URSS e ci si aspettava l'apertura al mondo di quell'immenso mercato chiuso. Negli Stati Uniti c'era un presidente conquistato dall'ottimismo teatrale dei Chicago Boys ultraliberisti e un agguerrito segretario di stato che era ministro del tesoro nella legislatura precedente. C'erano stati due importanti accordi economico-politici internazionali. Insomma, con il senno di poi tutti riconobbero che non c'era motivo per una catastrofe del genere.

Nessuna crisi è mai stata prevista, tutte le crisi sono state analizzate a posteriori. Il che è inquietante e ovvio nello stesso tempo: inquietante, perché la dice lunga sulla capacità di analisi scientifica della borghesia e quindi della sua capacità di previsione delle catastrofi economiche; ovvio, perché se ci fosse stata la previsione avrebbe dovuto essere evitata la crisi (ma sospettiamo che la borghesia sarebbe incapace di impedirla anche in presenza di previsione).

Nel 1929 e nel 1975 la massa dei capitali messi in gioco nei diversi scenari era legata più o meno strettamente a movimenti in cui il denaro fungeva da tramite, insomma, svolgeva ancora il suo lavoro di misura del valore e mezzo di scambio. Nel 1987 siamo invece di fronte ad una crisi esclusivamente finanziaria, che coinvolgeva tuttavia non capitale finanziario, da investimento, bensì capitale completamente fittizio. Anche le crisi secondarie del 1997 e del 2000 furono crisi innescate esclusivamente dal capitale fittizio. Ma quella del 2008 fu la crisi più grave (e dura tuttora) perché l'aspetto finanziario, puramente speculativo, fu nascosto, come abbiamo ricordato, sotto una coltre di mutui per le case a largo rischio di insolvenza. Proprio per il pericolo che rappresentavano si inserirono questi mutui, con l'intento di diluirli, in strumenti finanziari complessi, ma furono espedienti che anzi aggravarono la situazione perché il settore immobiliare, invece di funzionare da sfogo come in passato, rappresentò un pericolo maggiore. A causa della presenza dei mutui immobiliari e dell'immediato effetto sul credito all'industria la crisi sembrò più complessa di quanto non lo fosse realmente, e fu soprattutto la conseguenza di un capitalismo ormai ridotto a un ammasso monetario di puri "segni di valore." Nel 2008, a differenza che nel 1987, collassò l'industria, e la produzione industriale impiegò anni a recuperare le posizioni di partenza. Ma il capitale fittizio, non cancellato in misura sufficiente, è ancora in agguato in attesa di valorizzazione con qualsiasi mezzo. Per questo diciamo che è possibile un secondo crack prima che siano recuperati gli effetti di quello precedente.

Subito dopo la crisi del 1987 intitolammo un nostro articolo "La legge del valore e la sua vendetta" per sottolineare che entro un modo di produzione basato sul valore è un controsenso spingere i meccanismi della circolazione a creare livelli così alti di divario fra il valore e il suo segno monetario: si arriva necessariamente a un punto di rottura. Dopo lo scoppio della crisi del 2008 pubblicammo un numero monografico della rivista intitolato "Un modello dinamico di crisi" per mostrare la continuità con le crisi precedenti in un processo irreversibile; del quale cominciava a rendersi conto anche parte della borghesia che, arrivando a catastrofiche conclusioni, parlò di "crisi sistemica", "tempesta perfetta", "madre di tutte le crisi", ecc.

Il PIL mondiale è all'incirca 70.000 miliardi di dollari. Si tratta dell'ammontare monetario, cioè in prezzi, della produzione mondiale di un anno, e in termini marxisti corrisponde grosso modo al prezzo di produzione globale, cioè al valore (p + v, plusvalore + salario). Quello che gli economisti chiamano "valore aggiunto". Questo dato, che ovviamente è solo indicativo in quanto la contabilità borghese non ci fa il piacere di usare le nostre categorie di valore, praticamente scompare di fronte a ben altre cifre, che in parte abbiamo cercato di visualizzare con l'esempio delle banconote impacchettate per migliaia di chilometri. Infatti, con l'andar del tempo, il capitale pletorico che si è fissato in strumenti della circolazione, in una massa monetaria che non ha alcuna corrispondenza con elementi economici oggettivi, ha raggiunto cifre surreali. La Banca dei Regolamenti Internazionali non riesce più a quantificare la circolazione di strumenti finanziari complessi come ad esempio i derivati, la cui parte emersa dovrebbe ammontare a 710.000 miliardi di dollari (la sola Morgan Chase ne detiene 70.000 miliardi, come il PIL mondiale). Due altri dati riguardanti l'attuale capitalismo esoterico sono quelli del debito pubblico mondiale, 200.000 miliardi di dollari, e della capitalizzazione mondiale delle borse, 80.000 miliardi.

È evidentissimo il divario tra il valore e la sua rappresentazione in segno monetario, non solo dal punto di vista nostro ma anche da quello dei borghesi stessi: i derivati "valgono" all'incirca quanto abbiamo riportato, ma la cifra rappresenta il prezzo "nozionale", non quello reale, che si otterrebbe vendendo il titolo sul mercato. Anche la capitalizzazione in borsa è una cifra virtuale: ricordiamo quando nel 2000 la Tiscali, piccola start-up informatica sarda, "valeva" più della Fiat.

Ora, un conto è una moneta virtuale fin che si vuole ma legata a processi economici di produzione, distribuzione e consumo, un conto è una moneta che si allontana sempre più da questa sua funzione storica. È vero che le banconote o altre incarnazioni del denaro sono definitivamente staccate dalla copertura in oro necessaria a garantire con certezza il valore rappresentato, ma se la fiducia nello stato o in una banca viene meno devono essere garantite da qualcosa di materiale. Prima ancora che i cittadini avvertano il catastrofico rapporto fra economia produttiva ed economia fantastica, quest'ultima ha raggiunto vertici parossistici tali da risultare irreversibili, inattaccabili. Se il debito pubblico è, secondo i parametri di un'economia "normale", l'equivalente di benefici ai cittadini, l'estinzione del debito significherebbe togliere ai cittadini stessi ciò che lo stato ha dato loro indebitandosi. Essendo il debito diventato una condizione di routine e non essendo servito affatto per "dare qualcosa", è semplicemente impossibile "togliere qualcosa", a meno di non produrre un valore pari al debito. Vale a dire, in Italia, 2.300 miliardi di euro di beni e servizi in più. Se l'ammontare di strumenti finanziari complessi giunge a cifre pazzesche senza che l'economia mondiale abbia mai più la capacità di assorbirle, o li si cancella affrontando conseguenze non immaginabili, oppure li si lascia dove sono, al momento quiescenti, con il pericolo che si muovano tutti insieme verso altre presunte fonti di valorizzazione nella circolazione.

La dissoluzione dei rapporti di valore, l'abisso che si è creato fra il valore e la sua rappresentanza monetaria, tolgono il significato ad ogni teoria sull'argomento perché è diventato aleatorio il significato stesso di moneta, ormai quasi esclusivamente moneta di conto, quella stessa che Marx definiva "sconosciuta". Questa considerazione riguarda un processo storico e non ha nulla a che fare con la "denuncia morale del signoraggio", pulsione che alcuni derivano dal monopolio sull'emissione di moneta. Ma il fatto che la Banca d'Italia abbia sentito il bisogno di rispondere con un manifesto rivolto al pubblico (e che troviamo interessante riportare) è significativo del suddetto abisso: se è valida la definizione di "moneta fiduciaria a corso forzoso" attribuita alla moneta creata dallo stato, teoricamente essa dovrebbe essere valida per qualsiasi altra moneta garantita dalla fiducia di chi l'adopera in chi la emette. E di fatto essa valeva per i gettoni telefonici e i miniassegni degli anni '70 del secolo scorso come vale oggi per i Bitcoin, per le perline del Club Med, per le fiches dei casinò. Dal punto di vista teorico non ha nessuna importanza se c'è o non c'è la firma del tesoriere di stato o se la somma totale è grande o piccola.

"La Banca d'Italia sta ricevendo da parte di alcuni cittadini comunicazioni che attestano l'autonoma creazione di 'euro scritturali' e l'utilizzo delle somme così create per il presunto pagamento di debiti o per fornire una presunta provvista per successive operazioni di pagamento o per l'emissione di titoli di credito da parte della stessa Banca d'Italia… La 'teoria della creazione autonoma di moneta scritturale', traendo spunto dalla concezione di proprietà collettiva della moneta, giunge ad affermare la possibilità per ogni singolo cittadino di creare in via autonoma moneta 'scritturale' attraverso proprie registrazioni contabili per l'importo corrispondente alla somma dovuta. Alcuni sostenitori di queste idee, attivi sul web, mettono a disposizione specifici moduli da utilizzare per la creazione degli 'euro scritturali'… La Banca d'Italia precisa anzitutto che sulla base della normativa internazionale e nazionale, l'unica forma di moneta legale - ossia dotata del potere di estinguere le obbligazioni in denaro - è la moneta emessa dalla Banca Centrale Europea."

Intermezzo metodologico

Uno studio della moneta come specifico elemento dell'economia politica capitalistica ci aiuta a penetrare nel mondo delle relazioni fondamentali entro questo modo di produzione. Ci troviamo oggi nella condizione di scrutare dal punto di vista del sistema più sviluppato tutto quel che è successo in precedenza, nel corso dell'evoluzione, a partire dal rapporto più semplice. È tenendone ben presente le differenze che noi possiamo valutare fino in fondo ciò che rimarrà e ciò che sparirà nel futuro assetto sociale. Probabilmente è questa la ragione per cui Marx all'inizio del primo libro del Capitale non svolge storicamente il tema sul divenire della moneta, come fa con il denaro, ma introduce subito elementi di una teoria della moneta.

"Si tratta qui di condurre a termine un'impresa che l'economia classica non ha mai neppure tentata: mostrare la genesi di questa forma denaro, e perciò seguire lo sviluppo dell'espressione di valore contenuta nel rapporto di valore delle merci, dalla sua forma più semplice e meno appariscente fino all'abbagliante forma moneta. Con ciò sparirà, nello stesso tempo, anche l'enigma del denaro."

Compiuta questa operazione, egli ritorna al discorso sul metodo, dove si reputa necessaria per qualsiasi analisi una riduzione a elementi semplici sufficientemente astratti da permetterci un suo uso invariante entro le molteplici facce della complessa realtà. Nel testo compare un paradosso: una teoria della moneta in ambito capitalistico è la piattaforma superiore da cui osservare quelle inferiori (guardare alla neonata Germania stando nella matura Inghilterra); ma per arrivarvi bisogna passare dal livello più semplice, da analizzare come inizio del percorso cognitivo. Per evitare il paradosso c'è un unico modo: avere una visione dinamica del divenire attraverso dissoluzioni. Riportiamo dall'indice del primo libro del Capitale la parte sul denaro e sulla moneta:

"Capitolo primo. La merce
Forma valore generale - Mutamento di carattere della forma valore - Rapporto di sviluppo fra forma valore relativa e forma equivalente - Passaggio dalla forma valore generale alla forma denaro - Forma denaro - Il carattere feticistico della merce e il suo segreto.

Capitolo secondo - Il processo di scambio

Capitolo terzo. Il denaro o la circolazione delle merci
Misura dei valori - Mezzo di circolazione a) La metamorfosi delle merci - b) La circolazione del denaro - c) La moneta. Il segno di valore. Denaro - a) Tesaurizzazione - b) Mezzo di pagamento - c) Denaro mondiale."

Il punto di partenza, la merce, contempla le categorie semplici di valore fino alla rappresentazione feticistica della merce stessa tramite il denaro, un mistero da svelare. Il punto di arrivo, il denaro mondiale, è la ritrovata semplicità astratta di una realtà che disvela il contenuto in lavoro umano medio:

"Nel commercio mondiale le merci dispiegano universalmente il proprio valore. Perciò, anche, la loro forma autonoma di valore si presenta di fronte ad esse come denaro mondiale. Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in pieno come la merce la cui forma naturale è, insieme, forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro umanoin abstracto. Il suo modo di esistere si adegua al suo concetto."

"Il suo modo di esistere si adegua al suo concetto". Il lettore tenga presente questa frase quando parleremo di negazione della legge del valore; quando parleremo di produttività, plusvalore relativo e difficoltà di accumulazione.

Entro le società del baratto lo scambio non ha bisogno di denaro per avvenire. Una società mercantile, per poco sviluppata che sia, deve già tener conto di qualche elemento di equivalenza, come abbiamo visto nella prima parte. Tuttavia, la produzione mercantile vera e propria si manifesta quando incomincia la produzione apposita per lo scambio. Poco per volta lo scambio diventa un'attività specializzata fra privati dediti a quel comparto della divisione tecnica (e poi sociale) del lavoro, che si arricchisce con la figura specifica del mercante. A questo punto lo scambio privato presuppone e/o comporta la produzione privata. Il denaro diventa essenziale per lo sviluppo successivo. Quando la registrazione degli scambi si fa più complessa la contabilità mercantile prende atto che occorre compensare le uscite con le entrate. Non c'è ancora il denaro monetato, ci sono però già la moneta scritturale, il credito, la banca, la cambiale, lo sconto. L'aver analizzato il capitalismo ci aiuta a capire le analogie ma ancor più le differenze. Non posso chiamare banca o credito l'usura antica, per la semplice ragione che non sono la stessa cosa.

Il modello capitalistico è necessariamente monetario, in quanto il denaro diventa un accessorio minimale per il momento dello scambio, può anche non esserci. La scrittura contabile riassume in sé qualsiasi somma di denaro e quindi c'è una circolazione immateriale indistinguibile tra epoche in cui ciò avviene, ovviamente astraendo dal mezzo, tavoletta d'argilla o computer. La scrittura contabile rimane dunque una base astratta e il mezzo ci dà la possibilità di fare confronti su differenze e analogie nei millenni. È tale dinamica che rende fertile la ricerca "sul filo del tempo". Denaro e moneta si presentano e ripresentano nella marcia della storia, la loro natura si evince dal fatto che non sono "cose" ma rapporti, come abbiamo già sottolineato, per di più variabili nel tempo. Nello schema di Marx il denaro, benché diventato cartaceo ed estraneo all'oro che ne era il fondamento di valore, rimane quello che era: carta = oro. Stop. Questa astrazione è necessaria. Il processo di autonomizzazione del denaro non contraddice la sua natura di equivalente generale che ci dà la misura del valore. Vedremo che l'autonomizzazione va di pari passo alla dissoluzione del valore entro il sistema del valore. La concezione della storia maturata attraverso il susseguirsi delle dissoluzioni grandi e piccole è di una potenza scientifica formidabile: si tratta del ciclo evolutivo della nostra specie e della natura di cui fa parte, ciclo punteggiato da rivoluzioni che hanno radice nella forma precedente e lanciano il seme per quella successiva.

L'adozione dell'oro come denaro procede dal fatto che esso è stato una merce come le altre, e per questo ad un certo punto può confrontarsi con tutte le altre in quanto equivalente universale. L'oro si è conquistato il "monopolio dell'equivalenza" in un processo storico che l'ha convalidato. Non basta dire, come fa Ricardo, che il valore dell'oro è dato dal tempo di lavoro necessario a produrlo e che per le sue qualità intrinseche è diventato denaro e poi moneta: l'oro-denaro-moneta è diventato quello che è attraverso le metamorfosi descritte, finché il capitalismo non ha sentito l'esigenza di andare oltre, cioè di virtualizzare l'oro in banconote in modo da amplificarne enormemente la rappresentanza. Ricordiamo le quantità di cui siamo giunti a parlare: quattromila chilometri di banconote da 50 euro messe una sull'altra per visualizzare, poniamo, il debito pubblico italiano. È esplosa ogni ragionevole possibilità di immaginare in termini quantitativi la relazione della moneta con il normale processo produttivo.

Già nei Grundrisse Marx annota questa situazione critica entro la legge del valore. L'aumento della forza produttiva sociale, che è un fenomeno mondiale e riguarda tutti i paesi, comporta l'aumento della produttività, il che significa produrre più merci con meno lavoro. Ne deriva che l'aumento della produttività fa storicamente diminuire il tempo di lavoro contenuto nelle merci, facilitando la strada all'enorme distacco fra il valore e la sua rappresentazione in equivalente generale.

L'autonomizzazione definitiva

Com'è possibile che vi sia stato questo enorme distacco senza che venisse a crollare la fiducia nel moderno sistema di rappresentazione dei valori? Come mai l'oro può essere sostituito con tanta facilità "da puri e semplici segni di sé stesso"?

La risposta l'abbiamo già sfiorata quando abbiamo visto che il denaro, nella sua storia, si sdoppia in due funzioni: quella di misura del valore delle merci e quella di mezzo di circolazione, di conto, denaro scritturale. Le due funzioni sono complementari ma finiscono per essere separate. Curiosamente la seconda funzione, che porta alla moneta come la conosciamo oggi, con tutte le sue complesse determinazioni, è la più antica: sorta dalla preistoria è rimasta in vita attraverso i millenni. La forma denaro sviluppata compare invece come moneta coniata molto tardi, in Lidia, e impiegherà due millenni e mezzo per diventare carta. Una terza determinazione è quella della moneta di riserva, che rivela la sua natura non prima di essere adoperata. Un conto corrente può essere usato in funzione di capitale senza che il titolare lo sappia, quindi come moneta di credito, oppure far parte di un trasferimento per compensare transazioni avvenute, quindi come moneta scritturale.

"In un processo che fa continuamente migrare il denaro da una mano all'altra, basta l'esistenza puramente simbolica del denaro: la sua esistenza funzionale assorbe, per così dire, la sua esistenza materiale. Riflesso oggettivato evanescente dei prezzi delle merci, esso funziona ormai come puro segno di sé medesimo, quindi sostituibile con segni."

Ora, per realizzare questi prezzi basta "solo" che la moneta agiscain vece dell'oro, ovvero che " l'oro compri con la sua ombra". La carta moneta a corso forzoso ci ricorda che essa, in quanto tale non è misura dei valori ma un sostituto dell'oro, un mezzo di circolazione resosi autonomo e soverchiante. Noi continuiamo a misurare i valori delle merci con scale dei prezzi i cui nomi echeggiano i vecchi pesi di oro, ma non diciamo più "questa merce vale cinque grammi d'oro" bensì "questa merce vale tot dollari corrispondenti a tot grammi d'oro con riferimento alla chiusura della borsa metalli di Londra o Chicago dove l'oro è stato valutato a tot dollari al grammo." L'oro è subordinato al dollaro perché il dollaro si è autonomizzato rispetto al metallo. Quando Rueff, al tempo della riforma del Fondo Monetario Internazionale proponeva di portare artificiosamente l'oro da 32 a 500 dollari l'oncia per mantenere il tallone aureo al dollaro, non faceva che sancirne l'autonomizzazione: da 32 a 500 dollari non è un'oscillazione del mercato, è un ordine di grandezza che rende l'idea di quanto oggi siano slegati i rapporti di valore fra oro e moneta. Mentre scriviamo l'oro è a 1.300 dollari l'oncia; si può dire che c'è stato un effetto inflattivo, che il tallone aureo a 32 dollari l'oncia non era che una comoda convenzione, che lasciando il metallo libero di oscillare sul mercato esso si è infine stabilizzato intorno al suo valore, ma certamente non si può dire che il processo di virtualizzazione del dollaro possa essere reversibile. Non si tornerà mai più alla copertura aurea della carta moneta, tantomeno dei bit segnati nelle memorie dei computer. Non solo perché non c'è oro abbastanza a quel prezzo, ma perché la copertura è diventata inutile.

Si è già detto che, più il processo di autonomizzazione avanza, più il denaro "funziona come puro segno di sé medesimo, quindi sostituibile con segni". Con la comparsa delle criptovalute si sono aggiunti nuovi segni di valore a quelli esistenti. Essi nascono dall'esigenza della circolazione di superare le ristrettezze dei vincoli posti dal denaro cosiddetto fiduciario. Il mezzo di circolazione fiduciario ha bisogno di quei costosi e pervasivi servizi di intermediari dai comportamenti poco trasparenti che sono le banche. E di quell'ente prestatore di ultima istanza con il monopolio dell'emissione, che è la banca centrale. Istituto, quest'ultimo, che i tecno libertari hanno trascinato sul tavolo degli imputati per aver distorto l'equilibrio macroeconomico e l'allocazione efficiente delle risorse minando il valore del denaro.

Satoshi Nakamoto, il misterioso inventore dei Bitcoin, o gli smanettoni tecnologici che si nascondono dietro a questo nome, pensavano di essere i nuovi profeti del movimento libertariano, mentre in realtà rispondevano alle cieche forze dell'autonomizzazione del denaro come mezzo di circolazione. Facevano nascere un nuovo segno di valore che, nonostante sia misurabile come grandezza, esprime il suo prezzo di costo in termini di mining, cioè di energia elettrica che si è disposti a dissipare. Quindi, se vogliamo attribuire un valore al Bitcoin, possiamo esprimerlo in dollari ma a un tempo dato. Il fatto che questi segni di valore siano prodotti non in regime di monopolio e siano "plafonati" ha stuzzicato la curiosità del famelico capitale autonomizzato che, a più riprese, forte del gioco di domanda e offerta, ha alimentato le speculazioni sui corsi delle criptovalute in vista di una loro continua valorizzazione.

Le dimensioni della speculazione hanno oscurato i motivi della nascita di queste valute virtuali: a oggi solo il 2-3% del totale è usato per transazioni di beni e servizi. Il resto è speculazione e soprattutto tesaurizzazione in attesa di un aumento che sarebbe garantito dal tetto fissato per le emissioni: si chiude l'offerta mentre cresce la domanda, un classico. Soros, che di speculazione se ne intende, ha detto che dietro al Bitcoin c'è una bolla. Se una bolla è intenzionale, aggiungiamo noi, è truffa. Ma da parte di chi nei confronti di chi?

Non è indispensabile che alla base dell'esplosione del mercato delle valute elettroniche ci sia una qualche volontà truffaldina: il fenomeno è spiegabile con l'autonomizzazione della moneta rispetto al valore. Ma questa non è che la superficie del problema: se la moneta è un riflesso del valore, allora, nel profondo del modo di produzione capitalistico, dev'esserci autonomizzazione del valore rispetto al tempo di lavoro. Il capitalismo sta minando la sua ragion d'essere, il tempo di lavoro medio socialmente necessario a produrre le merci è troppo basso. La produttività è troppo alta. Il capitale non riesce più ad accontentarsi dell'aumento della massa di profitto rinunciando alla crescita del saggio. Non può più investire.

Negazione della legge del valore

Il lungo processo di automazione degli impianti, di cui già parla Marx, non può essere analizzato considerando le prestazioni di una macchina, che sia una tessitrice automatica ottocentesca o un robot odierno: l'analisi dev'essere condotta sull'intero arco storico che ha portato il capitalismo a diventare, attraverso il sistema di macchine, quella immensa macchina da produzione che è. Ciò è avvenuto a causa del gigantesco affermarsi del capitale costante (impianti, capitale morto) contro il lavoro vivo che tiene in funzione questi impianti. La massa del lavoro morto ha finito per schiacciare il lavoro vivo. Ora, il nostro interesse per il fenomeno esula dal mero aspetto "sindacale", come la lotta alla disoccupazione o la diminuzione delle ore lavorative; la vera natura del macchinismo, oggi robotizzazione, deriva dall'applicazione delle scienze alla produzione, fattore che potenzia quest'ultima come non era mai successo in passato. Il macchinismo può funzionare e operare in modo autonomo, e di conseguenza il lavoro vivo diventa completamente subordinato. Ciò che i luddisti vedevano in una macchina e gli scrittori moderni di fantascienza in un robot, Marx lo vedeva in un insieme coordinato di macchine. È questo insieme che relega l'uomo a una condizione superflua, per la semplice ragione che il capitale non vede più l'operaio come suo bisogno.

"Il tempo di lavoro è per il capitale il principio determinante della produzione. Ora, con il macchinismo e l'automazione, il lavoro immediato e la sua quantità cessano di essere i principi determinanti della produzione, e dunque della creazione dei valori d'uso. Infatti, esso è ridotto, quantitativamente, a una proporzione esigua, e, qualitativamente, ad un ruolo certamente indispensabile, ma subalterno rispetto all'attività scientifica generale. È così che il capitale, in quanto forza dominante della produzione, opera esso stesso alla propria dissoluzione."

Siamo giunti alla dissoluzione definitiva: se il capitale non avverte più l'operaio come un proprio bisogno, si apre la fase storica in cui l'operaio non avverte più come bisogno il capitale: si rompe quindi quella condizione di reciprocità per cui l'uno non poteva vivere senza pluslavoro e l'altro non poteva vivere senza lavoro necessario alla propria riproduzione.

La scienza viene dopo la produzione. È la produzione che suggerisce alla scienza di indagare su ciò che le è utile, di scoprire leggi e di escogitare teorie. È vero però che noi percepiamo istintivamente il contrario, ci sembra cioè che la produzione scaturisca dalla organizzazione scientifica dell'intero sistema. Vediamo l'ultimo passo di un lungo processo di assoggettamento della natura da parte dell'uomo, e ciò non sarebbe stato possibile senza la strumentazione e le macchine. La produzione ci sembra una proprietà inerente al capitale fisso in quanto quest'ultimo si è autonomizzato, è lavoro morto in contrapposizione al lavoro vivo: l'operaio isolato non esiste più, può ormai essere soltanto operaio sociale, che svolge tramite macchine, e tutto ciò che ad esse è collegato, lavoro sociale. In tale contesto il lavoro individuale cessa di essere produttivo.

Il capitale non può fare a meno di misurare la ricchezza sociale attraverso il lavoro vivo. Nella formula del saggio di profitto è essenziale il rapporto fra il plusvalore e il salario, cioè il saggio di sfruttamento, il quale saggio ci dà la misura della maturità del capitale, della sua vitalità o della sua senescenza. È però il capitale fisso l'elemento che indica la dinamica del sistema. A questo proposito Marx mette in chiaro con eccezionale lucidità il passaggio storico: con il macchinismo il capitale assorbe sempre più lavoro vivo per trasformarlo in lavoro morto, finché quest'ultimo prevale al punto di negare che il lavoro vivo sia ancora la "sostanza di valore". In tale dinamica il lavoro vivo dell'operaio è reso libero dal processo produttivo, per cui si apre la strada a una società del tempo liberato, tempo di vita contro tempo di lavoro. Non è un caso che l'attuale società ci proponga visionarie strutture, che troviamo ad esempio in un film come Matrix in cui gli uomini alimentano le macchine con energia biologica fino a quando, esauriti come batterie scariche, vengono buttati, cioè liberati.

In un mondo in cui tutta la popolazione operaia impegnasse l'intera giornata lavorativa alla riproduzione di sé stessa non vi sarebbe plusvalore, e questo è abbastanza intuitivo. Meno facile è capire la ragione per cui una società non potrebbe funzionare se l'intera produzione fosse esclusivamente opera di macchine. Secondo la teoria quantitativa della moneta basterebbe emettere e distribuire tanta moneta quanta ne fosse necessaria per coprire la nuova produzione (reddito di cittadinanza in versione forte). L'errore di coloro che immaginano un capitalismo robotizzato all'estremo, un reddito per tutti e la fruizione di tanto "tempo libero", sta nel semplice fatto che una società del genere non sarebbe capitalista.

Un corollario di questo errore è che il capitalismo funziona entro limiti storicamente dati e non c'è bisogno di arrivare a zero plusvalore per farlo saltare. Il processo storico ipotizzato si può descrivere con un grafico in cui compare il numero degli operai sulle ascisse e il plusvalore sulle ordinate. La curva che ne deriva è una parabola al cui culmine è il rendimento massimo del capitalismo: mezza giornata lavorativa all'operaio, mezza al capitalista; saggio di plusvalore = 100%. Che tipo di denaro sarebbe quello emesso in prossimità dello zero plusvalore che troviamo agli estremi della parabola? Essendo "misura del valore", se il valore non c'è il denaro diventa altro. O scompare.

Quando le cose si parlano

Qual è l'ultima trasformazione dell'invariante denaro nell'attuale transizione di fase? Proviamo a rintracciare il superamento del denaro in due fenomeni della maturità del capitalismo senile: la finanziarizzazione e la produzione di "merci intelligenti".

Ormai la creazione di denaro, con la crescita esponenziale del capitale fittizio, ha smesso di seguire le necessità della circolazione. Il denaro funziona sempre meno come espressione materiale del valore del mondo delle merci e sempre più come "mezzo di pagamento" per la massa di moneta di credito (attività finanziarie). Sempre meno espressione dei valori prodotti e sempre più espressione di valori futuri attesi. Guardiamo al sistema capitalistico nel suo complesso attraverso le cifre che abbiamo riportato. L'intervento delle banche centrali, che nella testa dei loro governatori voleva far ripartire l'inflazione, ha provocato la sola inflazione degli indici borsistici ma, ben più importante, ha allargato la base di sostegno al credito/debito globale. Sappiamo infatti da secoli che non appena il credito viene scosso qualsiasi ricchezza reale deve essere trasformata concretamente e improvvisamente in denaro:

"Al momento della crisi si ha la pretesa che tutte le cambiali, i titoli, le merci debbano a un tratto e contemporaneamente essere convertibili in moneta bancaria e tutta questa moneta bancaria a sua volta in oro. Ed è vera anche la proposizione inversa: il credito viene scosso appena si pretende la convertibilità dei titoli di credito in moneta bancaria e questo porta direttamente alla crisi, la cui profondità stabilisce se è mortale o meno per il sistema capitalistico."

Quello che i banchieri centrali hanno perseguito con le loro politiche di "facilitazione quantitativa", quantitative easing, cioè di incremento della liquidità bancaria, è stato in fondo un tentativo di attenuare gli effetti di un temuto credit crunch, un crollo centripeto dell'intero sistema del credito. In effetti qualche economista incomincia a temere che l'evento catastrofico sia soltanto rimandato, perciò, dati i caratteri cumulativi del processo in corso, aggravato. Teniamo presente che la facilitazione di cui sopra (o alleggerimento) è stata escogitata perché con l'inflazione e il costo del denaro a zero non si potevano varare le consuete manovre sui tassi. Tecnicamente può anche funzionare, ma bisogna chiedersi perché si è giunti al suddetto zero, fenomeno che abbiamo definito alla fine del capitolo precedente evidenziando con il corsivo.

Detto questo, dev'essere possibile vedere l'altra faccia della medaglia, quella che scaturisce dalla natura di un sistema che non può funzionare senza negare sé stesso. Probabilmente il fenomeno delle criptovalute è passeggero, nel senso che prenderà piede senza più meravigliare come fa adesso con gli eclatanti balzi di prezzo. Più verosimilmente resterà il principio su cui esse si basano, il quale permette a chi ne abbia necessità, di creare delle aree di circolazione di merci e capitali autonome dagli stati e dai loro vincoli monetari. Non è escluso che le banche stesse stiano pensando ad aree del genere. Se usciamo dal campo delle monete, la creazione di aree "libere" potrebbe interessare a molti, anche se al momento sembra che le idee restino tali. Comunque sia, il principio è valido per ogni rete di comunicazione autocertificata che interessi merci materiali o servizi immateriali. Rimanendo invece in tema monetario, è vero che le criptovalute potrebbero essere l'apripista per altre applicazioni, ma, a maggior ragione, potrebbero essere il modello per rendere programmabile, cioè "intelligente" (relazionabile con l'ambiente o altro) la massa monetaria attuale. Già molti anni fa quando Gershenfeld scriveva che nell'era dell'Internet delle cose, in un mondo in cui esse incominciano a relazionarsi, il denaro è "stupido", non faceva che rendere esplicita una potenzialità reale, ritardata unicamente da una forma sociale che ormai frena l'ulteriore sviluppo della potenza produttiva sociale.

Nel momento in cui le merci incominciano a comunicare tra loro, il dispendio di energia fisica che ha reso possibile la loro produzione e il loro prezzo diventa informazione superflua. Finora gli uomini hanno "parlato" agli oggetti, specialmente alle macchine, ordinando loro di svolgere mansioni da protesi amplificatrici delle capacità umane. Se gli oggetti incominciano a parlare agli uomini, questi ultimi smettono di guardare agli oggetti attraverso la sola forma valore. Così facendo strappano il velo di ogni feticismo che dissimula i rapporti sociali, che ha reso il prodotto del lavoro permutabile tramite valore, merce, appunto. Se le merci incorporano informazione su sé stesse anziché solo lavoro astrattamente sociale, l'equiparazione dei lavori concreti non si basa più su lavoro astratto ma su quantità di energia fisica. L'energia fisica non ha bisogno di trovare un'espressione in un equivalente generale (utilizziamo già Joule, KWh ecc.), e da sola può scacciare il denaro e i prezzi come sorpassati strumenti di coordinamento in un'economia mercantile. Alla luce di queste considerazioni è facile constatare che l'Internet delle cose stride con la sopravvivenza della produzione mercantile.

Come del resto con essa stride la necessità di mantenere in vita le mercidiscrete, quelle numerabili, dato che le merci continue minano alla base il sistema di produzione di merci. La merce continua, che può essere sia il canone per un servizio come la televisione, sia la tariffa per un'automobile in leasing, incorpora un potenziale distruttivo per il capitalismo. La generalizzazione della merce continua fa pensare alla possibilità che diventi regola sociale, cosa peraltro già in gran parte avvenuta. Ora, nessuno fa caso alle implicazioni, ma se riusciamo a staccarci dal modo di pensare corrente possiamo renderci conto che la merce continua (o quella discreta utilizzata a tariffa) è già un elemento materiale della nuova società: una volta stabilito che tutto è canone e tariffa, niente vieta che il denaro sia eliminato e che tutta la società funzioni attraverso una distribuzione di beni e servizi dei quali si usufruisce tramite un attestato qualsiasi che riporti il numero di ore "lavorate", cioè dedicate alla comunità. Certo, il denaro cesserà definitivamente di avere una ragione d'essere solo quando verrà meno la categoria storico-sociale che noi chiamiamo valore; perché allora sarà venuta meno l'appropriazione privata della produzione sociale.

La Rivoluzione più profonda che sia mai esistita

La borghesia ha inventato il mondo delle reti sull'onda di realizzazioni tecniche per l'apparato militare, passandole poi alle università. Ma le reti sono diventate in pochi anni il supporto tecnico su cui si sviluppa una condizione economica. Hanno pervaso la società, il pianeta intero non ne può ormai fare a meno. Una rivoluzione più profonda di quella delle macchine a vapore. E nell'ambiente che è venuto a crearsi, le "cose" interagenti tendono a superare la resilienza del denaro. Per questo nell'epoca delle "cose" rese interattive da sistemi cibernetici, macchine "intelligenti" smistano per i vari traffici denaro "stupido". Ci troviamo dinanzi a una contraddizione, ma nell'era dei sistemi cibernetici anche il denaro può essere reso intelligente. Può ad esempio, essere programmabile; non più rappresentarsi, poniamo, in dollari ma in tempo di lavoro medio del possessore. Contenuto in una smart card a scadenza, personale, non cumulabile, non tesaurizzabile. Il denaro è la forma fenomenica del valore, dice Marx; ma in quanto tale, proprio perché la legge del valore si basa sul contenuto di lavoro indistinto (cioè medio sociale) nelle merci, Marx nega che possa diventare la rappresentazione diretta del tempo di lavoro. I Gray e i Proudhon avevano intuito che a definire la grandezza di valore delle merci è il tempo medio socialmente necessario a produrla. Tuttavia, malgrado avessero più o meno chiaro questo punto, sollevavano il problema del perché non si potessero misurare direttamente i valori in tempo di lavoro. Si domandavano, legittimamente, perché si dovesse ricorrere a un'altra espressione, intermedia, dei valori: il denaro. Nel disegno di Gray gli individui producevano merci, ma le depositavano presso una banca che documentava il tempo di lavoro consumato nella loro produzione. Gray e altri dimenticavano però che l'equiparazione dei lavori privati, concreti e particolari, avviene solamente dopo essere diventati il loro opposto, ovvero lavoro immediatamente sociale, attraverso il processo di scambio. Storicamente, per avere lavoro indistinto dev'esserci lo scambio tra produttori indipendenti. Scrive Marx in Per la critica dell'economia politica che in quei progetti di riforma sociale "i prodotti dovrebbero essere prodotti come merci, ma non scambiaticome merci". Owen, con i buoni-lavoro di New Lanark, offrì, inconsapevolmente, la prova di come potesse funzionare un sistema di contabilità economica alternativo a quello mercantile del denaro, cambiando alla base i rapporti sociali. Una volta venuto meno l'istituto della proprietà privata, a New Lanark non serviva il processo di scambio per provare l'esistenza di denaro lavoro. Il buono registrava, in modo trasparente, solamente il contributo individuale al lavoro comune. Owen pensava di cambiare la natura del denaro corrispondendo agli operai di New Lanark dei buoni commisurati al tempo di lavoro, ma

"Il 'denaro-lavoro' di Owen non è denaro più che lo sia uno scontrino da teatro. Owen presuppone un lavoro immediatamente socializzato, una forma di produzione diametralmente opposta alla produzione di merci: il buono o certificato di lavoro si limita a registrare la partecipazione individuale del produttore al lavoro comune, e la quota di prodotto comune destinato al consumo che individualmente gli spetta. Ma Owen non si sogna di presupporre una produzione di merci e pretendere tuttavia di aggirarne le necessarie condizioni a colpi di abborracciamenti monetari."

La distribuzione del prodotto attraverso quantità fisiche legate al tempo di lavoro necessario per produrle è la fase simmetrica a quella delle cretule. L'operaio di questa fase

"riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro… e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto equivale a un lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un'altra. Domina qui evidentemente lo stesso principio che regola lo scambio delle merci in quanto è scambio di valori uguali. Contenuto e forma sono mutati, perché nella nuova situazione nessuno può dare niente all'infuori del suo lavoro, e perché d'altra parte niente può diventare proprietà dell'individuo all'infuori dei mezzi di consumo individuali. Ma per ciò che riguarda la ripartizione di questi ultimi tra i singoli produttori, domina lo stesso principio che nello scambio di merci equivalenti: si scambia una quantità di lavoro in una forma contro una uguale quantità in un'altra."

Nella fase superiore non ci sarà più bisogno di equivalenze. Nell'epoca della produzione massimamente socializzata il valore si livella a una media, e il prezzo di costo (soggettivo, del capitalista) si livella al prezzo di produzione (oggettivo, del prodotto che fa media con altri prodotti). Il prezzo dunque sarà sempre più una rappresentazione realistica del valore. Quindi traducibile ad esempio in energia equivalente. Entro il sistema capitalistico non cambierebbe nulla, l'energia sarebbe soltanto un altro nome della stessa cosa (del denaro).

Dalla conoscenza al progetto

Si calcola che nel 2000 il 25% di tutta l'informazione del mondo fosse digitalizzato. Nel 2013 era già digitalizzato il 98%. Si potrebbero citare le proiezioni negli anni futuri e altri strabilianti numeri che dimostrano come il mondo digitale si stia impadronendo della conoscenza esistente su questo pianeta. In effetti i numeri sono conseguenti alle caratteristiche proprie del mondo digitale: ogni operazione in bit lascia traccia da qualche parte. Gratis. E pure gratuita è l'operazione per riprodurre i bit. Non proprio gratuita, ma quasi, è la ricerca fra i dati grezzi, dato che il software necessario è "fabbricato" da persone retribuite in qualche modo; comunque anche il software incomincia ad essere scritto da altro software, naturalmente a costi calanti. Ci troviamo quindi di fronte a una enorme facilità di raccogliere dati e trattarli, cui corrisponde un lucroso mercato. E ciò, è ovvio, fa di questa sfera produttiva un appetibile affare.

La raccolta di una massa enorme di dati serve oggi per scopi commerciali, militari, politici, scientifici, ma con lo stesso metodo potremmo raccogliere dati per conoscere meglio noi stessi e il pianeta in cui viviamo. I dati infatti sono informazione, linguaggio, segno, cioè mezzo di produzione. Non un mezzo di produzione qualsiasi bensì il mezzo primario, il mezzo che ha permesso all'uomo di diventare quello che è attraverso la comunicazione. L'informazione pertanto non è neutra, produce effetti diversi a seconda della forma sociale in cui si manifesta. Come tanta altra informazione esistente anche il denaro è ridotto in bit. Un momento: che cosa vuol dire "altra" informazione? Il denaro è dunque informazione? Ed era informazione anche sotto forma di moneta metallica? O è diventato informazione presentandosi in forma cartacea? E poi ancora: l'informazione non è tale indipendentemente dal mezzo da cui è veicolata, come si dice ad esempio nel nostro testo Fattori di razza e nazione a proposito del linguaggio?

Se viene meno la categoria economica di valore, se il denaro viene meno come misura del valore, se con il denaro programmabile viene meno il concetto di equivalente generale, se infine esso viene meno come denaro anche per la sua inutilità, plafonato com'è in cifre megagalattiche di debito, capitale fittizio, capitalizzazioni di borsa, in che cosa si è allora trasformato? Se "il denaro è la sua storia", come dice Marx, quale sarà la sua storia avvenire perdurando sulla scena il capitalismo? Ma è ancora capitalismo questo, se persino analisti borghesi, economisti, giornalisti e ricercatori vari non credono più a un capitalismo in grado di salvarsi?

I punti interrogativi diventano espedienti retorici non appena riflettiamo un attimo su una delle espressioni di Marx per gente dai nervi saldi: il capitalismo ha già dimostrato da tempo la sua potenziale non-esistenza.

Manca soltanto il rovesciamento politico della società attuale. È quasi certo che non esploderà una situazione rivoluzionaria a causa di quanto precede, le rivoluzioni non sono alimentate dalla sofferenza, popoli fieri hanno sopportato angherie incredibili senza ribellarsi. Ma in seguito all'esplosione della situazione rivoluzionaria, quanto precede (lo strumento di conto intelligente) sarà immediatamente applicabile dalla società per il suo funzionamento quotidiano e per conoscere sé stessa (un uso sociale intelligente dei Big Data, contrariamente a quanto succede oggi che sono rastrellati furbescamente quando non illegalmente).

Chiudiamo qui per collegare le due sponde comuniste con il grandioso arco del ponte storico: partiti dalla spalletta appoggiata sul comunismo originario siamo arrivati alla spalletta appoggiata sul comunismo sviluppato: l'amministrazione abbandonerà il segno di valore astratto e si riapproprierà di una registrazione di movimento empirico.

Se quella antichissima, giunta prima della scrittura al segno di movimento di un bene, era la società che conosceva meglio sé stessa, quella modernissima riuscirà a progettare la propria esistenza conoscendo sé stessa meglio di quanto sia mai avvenuto.

Solo allora dimenticheremo Babilonia la Grande, meretrice biblica ricoperta d'oro e di abominevoli immondizie.

Appendice

Esplosione della base monetaria dopo la crisi del 2008Figura 1. Esplosione della base monetaria dopo la crisi del 2008.

Grafico in alto: base monetaria (M0). Comprende banconote, monete metalliche e attività finanziarie convertibili in moneta legale rapidamente e senza costi, costituite da passività della banca centrale verso le banche riconducibili alle riserve che queste le affidano.

Grafico in centro: stock monetario (o liquidità primaria M2), che comprende banconote, monete e altre attività finanziarie che possono fungere da mezzo di pagamento, quali i conti correnti e depositi bancari e d'altro tipo, ad esempio quelli postali, non trasferibili a vista mediante assegno.

Grafico in basso: indice dei prezzi.

Commento: a causa della crisi, di fronte a un aumento dello stock monetario e a una folle impennata della base monetaria c'è stata un'inflazione quasi nulla. La mancata inflazione denota il fallimento completo della creazione di moneta al fine di stimolare la ripresa. La moneta si è autonomizzata a tal punto che una sua enorme variazione quantitativa ha avuto effetti qualitativi insignificanti. Il keynesismo era stato abbandonato a causa della mancata reazione del sistema economico rispetto ad aggiustamenti fiscali crescenti per la ridistribuzione del reddito e agli investimenti in deficit spending nella speranza di un effetto moltiplicatore. Il monetarismo neoliberista ha condotto alla disastrosa situazione attuale, più grave di qualsiasi altra nella storia del capitalismo. Al keynesismo non si può ritornare in quanto insufficiente e utopica risposta al fallimento del paleoliberismo. Altri "ismi" non esistono.

La parabola del plusvaloreFigura 2. La parabola del plusvalore.

A sinistra zero plusvalore in quanto la produzione è affidata interamente a macchine (approssimazione a oggi). A destra zero plusvalore in quanto la giornata lavorativa è tutta dedicata alla mera riproduzione della forza lavoro (approssimazione a ieri o domani). Al centro il culmine della parabola in cui c'è il rendimento massimo del sistema (rapporto 100%, lavoro necessario uguale a plusvalore). Nel caso teorico dell'assenza di valore (ieri, domani) si evidenzia graficamente l'assenza del denaro, in quanto misura del valore, a causa della sua inutilità.

Note

[1] A volte si adoperano i vocaboli "teoria" e "legge" come se fossero intercambiabili. La teoria è un modello astratto della realtà, la legge è una descrizione razionale della realtà stessa. "Teoria è una presentazione dei processi reali e delle loro corrispondenze; essa vuole facilitare la loro comprensione generale in un certo campo, passando solo dopo alla previsione ed alla modificazione. Legge è l'espressione precisa di una certa relazione tra due serie di fatti materiali in particolare, che si vede costantemente verificarsi, e che come tale consente di calcolare rapporti sconosciuti". (Dialogato con Stalin). Una volta trovate e descritte le leggi del capitalismo (legge del valore, della caduta del saggio, dell'accumulazione, ecc.) si è potuta formulare una teoria del divenire, cioè del comunismo.

[2] Gordon Childe, archeologo australiano, fu il primo a parlare di rivoluzione neolitica e di rivoluzione urbana in un contesto paleoetnologico, elevando la preistoria da pratica antiquaria a scienza della storia. Karl Polanyi, antropologo, economista, filosofo ungherese, analizzò le società di produzione e ridistribuzione e lasciò traccia in diverse correnti socio-economiche. Marcel Mauss, sociologo, antropologo, storico delle religioni francese, analizzò le pratiche collegate alla magia, al sacrificio e allo scambio attraverso il dono.

[3] Marcella Frangipane, archeologa, capo missione degli scavi di Arslantepe in Turchia (IV millennio a.C.), "Different types of egalitarian societies and the development of inequality in early Mesopotamia", World Archaeology 39 (2), 2007.

[4] John Chadwick e Michael Ventris, rispettivamente linguista e filologo, decifrarono la scrittura micenea lineare B permettendo la conoscenza approfondita della civiltà cretese del II millennio a.C.

[5] Cfr. n+1 n. 28, ottobre 2010.

[6] Il baratto avveniva senza riferimento ad alcuna equivalenza, si scambiava il surplus sulla base di un valore d'uso. Questa pratica durò molti millenni, e solo poco per volta e in tempi e aree diverse si affermarono i primi equivalenti generali. Non è escluso che la consuetudine abbia suggerito di mettere a confronto i tempi di lavoro o di approvvigionamento delle merci. Sicuramente i Fenici, che basavano la loro ricchezza sugli scambi e che ricorrevano ancora alla forma baratto in epoca storica, non potevano essere all'oscuro del fatto che il denaro monetato, in uso presso popoli a essi contemporanei, comportava già una certa precisione nell'attribuzione di valore. Una nota curiosa: i fenici iniziarono a coniare moneta nel IV secolo a.C., non tanto per scopi mercantili quanto per pagare i loro eserciti mercenari.

[7] È il caso già ricordato dei Fenici. Anche le antiche civiltà americane, i Maya, gli Aztechi, gli Incas, non conoscevano la moneta, pur dedicandosi agli scambi.

[8] Marx, Il Capitale, Libro I, cap. II.

[9] Questa nostra affermazione potrà sollevare obiezioni da parte di coloro che difendono la tesi di un mercato con equivalenti-moneta. Nella stragrande maggioranza dei casi le traduzioni riportano pesare, pagare, tributare, ecc. In ogni caso il presupposto è il passaggio di mano di una merce-moneta, cosa impossibile se non in presenza: a) di un equivalente generale; e b) di un prezzo di riferimento ad un tasso di cambio costante (ad esempio 1 siclo d'argento = 3 Kg di lana). Nelle civiltà urbane più antiche erano già in uso più equivalenti e solo nel II millennio a.C. compaiono delle tavole sinottiche attraverso le quali sono fissati i prezzi relativi delle merci.

[10] Marshall Sahlins, L'economia dell'età della pietra, Bompiani.

[11] Sahlins cit.

[12] Sahlins cit.

[13] Ripreso in Sahlins cit.

[14] Il cosiddetto impero ittita, che compare abbastanza tardi sulla scena medio-orientale, era ancora basato su di un sistema di produzione e ridistribuzione, come testimoniano i magazzini che coprono un'area vastissima della capitale. L'Egitto, che è una civiltà molto più antica, conserva un assetto ridistributivo fino alle dinastie tolemaiche, cioè greche.

[15] Probabilmente un irrealistico testo religioso di auspicio che dimezza i prezzi virtualmente; oppure prezzi autentici dopo più anni favorevoli (raccolti, commerci).

[16] "Se qualcuno ha un debito per l'affitto di un terreno e un temporale abbatte il raccolto o le spighe non crescono per la siccità, in quell'anno egli non deve al proprio creditore alcun cereale." (Codice di Hammurabi, 1700 a.C.).
Questa è la traduzione "normale" di un testo così conosciuto che non presenta problemi. Le due versioni che seguono sono interpretazioni "moderniste" (Steve Kummer and Christian Pauletto, The History of Derivatives: A Few Milestones, EFTA Seminar on Regulation of Derivatives Markets, Zurich, 3 May 2012):
"Un contadino che abbia un mutuo con ipoteca sulla sua proprietà è tenuto a pagare un interesse annuo in forma di cereali. Se però il raccolto fallisce questo contadino ha il diritto di non pagare nulla."
"Un contadino affitta un terreno in cambio di un titolo derivato che lo obbliga a pagare alla scadenza una cifra legata al valore che in quel momento avrà il bene sottostante (cereale). Se il valore del raccolto è nullo, il contadino non deve niente."

[17] Odoardo Bulgarelli, La finanza esisteva già nel III millennio a.C.? Reperibile on line.

[18] Per avere un'idea sulla metallurgia dei Greci antichi due millenni dopo Ebla: http://www.oilproject.org/lezione/metallurgia-e-scienza-dei-metalli-in-grecia-19986.html

[19] Le cifre sono estrapolate dalle traduzioni delle tavolette presenti in: Giovanni Pettinato, La città sepolta. I misteri di Ebla, Mondadori.

[20] Vedi n+1 n. 26, novembre 2009.

[21] La città di Platone è divisa in tre parti che corrispondono ai caratteri dell'individuo: piacere, desiderio e cariche (responsabilità?).

[22] Aristotele, Etica nicomachea.

[23] A. Sacconi, Riflessioni sull'economia micenea: economia di baratto o economia monetaria? in ''RFIC'', 123 1995).

[24] Barbara Montecchi, Le misure del valore nell'economia micenea, seminario di numismatica greca tenuto nel 2005 presso la SAIA).

[25] La forma "tributo" è significativa quando si riferisce esplicitamente al magazzino del tempio, in origine gestore del prodotto da ridistribuire. In questo caso il riferimento è a persone, potrebbe essere "parte del tributo a…". Comunque sia, nella civiltà minoico-micenea sono forse riconoscibili aree sacre, ma non templi come noi li intendiamo.

[26] Marx, Il Capitale, libro primo, cap. III.

[27] Ricordiamo che, al di fuori di un processo rivoluzionario, Marx considera ogni buono-lavoro alla stregua di un "biglietto per il teatro" (cfr. cit. nota 43). Quello che conta è l'abolizione del lavoro salariato, non la forma con cui si presenta il salario.

[28] Francois-Xavier Fauvelle, Il rinoceronte d'oro, Einaudi.

[29] Marx adopera i termini in un'accezione diversa rispetto a quella della contabilità ordinaria: "Ci si chiede, infine, se l'oro possa essere sostituto da puri e semplici segni di sé stesso, che non hanno valore. Ma, come si è visto, esso è così sostituibile solo in quanto isolato e reso autonomo nella sua funzione dinumerario o mezzo di circolazione" (Il Capitale, libro I, cap. III). Troviamo invece nel Dizionario Treccani: "Il numerario è un bene assunto come unità di misura, il cui prezzo viene fissato a uno. Il prezzo di tutti gli altri beni verrà poi espresso in funzione di questo. L'unità monetaria è il tipico numerario. Infatti, in funzione di essa sono misurati tutti gli altri beni… Il sistema monetario internazionale … era basato su cambi fissi… Il valore di ciascuna valuta era definito in termini di oro che fungeva da numerario o unità di conto del sistema".

[30] Nell'accezione inglese 1012.

[31] Marx, Il Capitale, libro I, cap. III.

[32] Enciclopedia Treccani, voce "Moneta".

[33] Truffa ideata da Charles Ponzi negli anni '20: al sottoscrittore della quota di un fondo di investimenti si offrono alti interessi che vengono pagati con i versamenti di nuovi sottoscrittori e non con guadagni ricavati da investimenti dei depositi. Finché i sottoscrittori aumentano, rendendo possibile il pagamento degli interessi, tutto funziona, ma il loro numero dovrebbe aumentare in modo esponenziale. Siccome ciò non è possibile, finiscono i depositi e lo schema collassa.

[34] Jeremy Rifkin, La società a costo marginale zero, Mondadori; Paul Mason, Postcapitalismo, Il Saggiatore; Jonathan Haskel e Stian Westlake, Capitalism without capital – The rise of intangible economy.

[35] Marx, Il Capitale, Libro III, cap. 18.

[36] Lettera ai compagni n. 21, giugno 1988.

[37] Numero 24, dicembre 2008. Sullo stesso numero: "Capitalismo che nega sé stesso – Una crisi al limite del modo di produzione capitalistico".

[38] "L'insieme dei redditi derivanti dall'emissione di moneta. Per le banche centrali, il reddito da signoraggio può essere definito come il flusso di interessi generato dalle attività detenute in contropartita delle banconote in circolazione o, più generalmente, della base monetaria" (Banca d'Italia, sito Internet).

[39] Banca d'Italia, Creazione di moneta scritturale da parte dei cittadini – Avviso al pubblico.

[40] Marx, Il Capitale, libro primo, cap. I.3.

[41] Cfr. Introduzione a Per la critica dell'economia politica, 1857).

[42] Marx, Il Capitale, libro primo, cap. III.

[43] Al capitolo intitolato, appunto, "Negazione della legge del valore".

[44] Cfr. Struttura frattale delle rivoluzioni, n+1 numero 26.

[45] Marx, Il Capitale, Libro primo, cap. III. I.c.

[46] Il generale Charles De Gaulle inviò, dietro suggerimento del suo consigliere economico Jacques Rueff, aerei carichi di dollari negli Stati Uniti esigendo la conversione in oro. Ovviamente non c'era abbastanza metallo, per cui Rueff propose di variare il tasso di conversione. La risposta di Washington fu il blocco della convertibilità. Di fatto il dollaro era già inconvertibile, la mossa francese accelerò soltanto i tempi. Il ministro del Tesoro Connally rispose cinicamente alle proteste: "Il dollaro è la nostra moneta, il problema è vostro". Fu una decisione storica, sconvolgente dal punto di vista politico, ma non successe assolutamente nulla dal punto di vista pratico, segno che il "segno di valore" dollaro si era ormai completamente autonomizzato rispetto alla "misura del valore" oro.

[47] Marx, Grundrisse.

[48] Cfr. nostro Quaderno Dinamica dei processi storici – Teoria dell'accumulazione. Cap. I, La parabola del plusvalore.

[49] Vedere la figura 2 in appendice.

[50] Marx, Il Capitale, libro III cap. XXXV.

[51] Neil Gershenfeld, Quando le cose iniziano a pensare, Garzanti.

[52] Gershenfeld cit.

[53] Marx, Il Capitale, libro I, cap. III nota.

[54] Marx, Critica al programma di Gotha.

[55] "Marcati sintomi di società futura", questa rivista n. 34.

[56] L'errore più comune da parte dei "marxisti" è quello di attribuire le rivoluzioni alla volontà di qualcuno. Marx attribuisce le rivoluzioni allo sviluppo della forza produttiva sociale cui si contrappone la vecchia sovrastruttura che la soffoca con le sue "catene". Anche per Lenin la rivoluzione è determinata da un capitalismo diventato un involucro che "non corrisponde più al suo contenuto". In tale contesto assume importanza vitale il partito rivoluzionario che incarna la "volontà" di cambiamento.

Rivista n. 43