Elementare, Watson

In realtà, il programma della IBM non ha il nome dell'amico di Sherlock Holmes ma quello del primo presidente della multinazionale. Finora il computer, con i sui programmi, non è stato altro che un assistente del lavoro umano, è servito a svolgere più in fretta e con più precisione compiti che l'uomo gli affida. Ha iniziato ad invadere il campo dell'intelligenza umana quando ha tratto indicazioni per il futuro da modelli dinamici che simulavano una realtà in divenire.

Watson è ancora lontano dal simulare l'intelligenza umana. Ad esempio non è in grado di farsi passare per umano da un interlocutore che non sa con chi o cosa stia interagendo (test di Turing), ma utilizza alcuni espedienti che ad essa lo avvicinano. Ad esempio, analizza una domanda complessa cercando di capirne la sintassi e di renderla interpretabile con un alto grado di sicurezza. Oppure immagazzina dati non strutturati, casuali, dall'elaborazione dei quali, però, per confronto con quelli esistenti nella propria memoria, trae nuovi dati, eliminando ambiguità ed estraneità rispetto ad un contesto prescelto. In tal modo, i diversi contesti vengono collegati in base alle relazioni che vengono rilevate tra essi. L'assorbimento di informazione dai dati struttura ulteriormente la conoscenza accumulata: da questo punto in poi, la macchina acquisisce la capacità di imparare e di utilizzare la nuova conoscenza per rispondere a quesiti sempre più complessi. Insomma, semplicemente, la macchina impara.

Non importa se al momento lo faccia in modo grossolano (si dice che Watson, con queste "capacità", abbia reso obsoleto sé stesso): di fatto sa individuare, leggere ed elaborare dati casuali e caotici ordinandoli secondo una conoscenza pregressa incrementabile, un albero dal tronco del quale partono rami che rappresentano sia la facoltà ontologica del sapere (individuazione di leggi), sia la possibilità epistemologica dell'elaborare (formulazione di teorie). Un quesito sottoposto a Watson viene prima analizzato, poi interpretato e infine tradotto in ipotesi statistiche. Essendo possibile fare statistica solo in presenza di fatti ripetitivi fra i quali trovare invarianze, l'ipotesi contribuirà a formare gli scenari fra i quali sarà scelta una risposta.

Watson è un anticipo di quel che succederà fra poco, quando macchine intelligenti sostituiranno non solo l'attività fisica dell'operaio ma anche ciò che al momento sembra insostituibile: il lavoro degli addetti ai servizi, che nei paesi avanzati rappresentano più della metà del PIL. Già adesso, un qualsiasi "sistema esperto" è più affidabile di un medico umano nell'elaborare una diagnosi a partire dai sintomi, è più bravo di un avvocato nel memorizzare leggi e sentenze, è più efficiente di un bibliotecario nell'utilizzo della conoscenza strutturata che si trova in una biblioteca.

Il programma non è ancora intelligenza artificiale e probabilmente è vero che contribuisce all'obsolescenza di sé stesso, ma ci ricorda inesorabilmente che quando si parla di rapporto uomo-macchina nell'ambito di un sistema, specie in un contesto come quello odierno, non si è più sul terreno "sindacale", quello della contrattazione del tempo di lavoro espresso in ore e minuti, ma sul terreno umano, quello della necessità di trasformare il tempo di lavoro in tempo di vita. Eliminando lavoro, non contrattando sulle modalità della sua erogazione.

Rivista n. 43