L'eredità problematica

"Sappiamo che cos'è l'imperialismo del dollaro: esso non occupa territori, anzi 'libera' quelli su cui grava ancora la dominazione colonialista e li aggioga al carro della sua onnipotenza finanziaria, sulla quale veglia la flotta aeronavale più potente del mondo. L'imperialismo americano si presenta come la più pura espressione dell'imperialismo capitalista, che occupa i mari per dominare le terre. Non a caso la sua potenza si fonda sulla portaerei, nella quale si compendiano tutte le mostruose degenerazioni del macchinismo capitalista che spezza ogni rapporto tra i mezzi di produzione e il produttore."

(L'imperialismo delle portaerei, PCInt., 1957).

La geopolitica da qualche anno si occupa di un problema cruciale: il declino della potenza economica, militare e quindi politica degli Stati Uniti come prodromo di un cambio della guardia alla testa del capitalismo imperialistico. Quale paese erediterà la guida di un sistema giunto alla "fase suprema?" Se il criterio di valutazione è il Prodotto Interno Lordo, paesi come la Cina e poi l'India dovrebbero essere i candidati naturali, perché il differente tasso di sviluppo rende il sorpasso matematicamente certo.

Tutto ciò in linea teorica. In pratica, come abbiamo già scritto in questa rivista, il lascito ereditario da Stati Uniti a Cina è assai problematico. Il rapporto fra il paese imperialistico dominante e gli aspiranti successori è cambiato rispetto al passato, quando ci fu il passaggio di consegne dall'Inghilterra agli Stati Uniti. Riguardo alla "successione ereditaria" Cina e Stati Uniti sono in una situazione completamente diversa. L'Inghilterra era un paese colonialista classico che intascava una rendita di posizione occupando territori altrui, mentre gli Stati Uniti mettevano in atto un colonialismo di tipo nuovo, insofferente rispetto al controllo territoriale attuato dai vecchi paesi imperialisti. Tale tipo di sviluppo li poneva direttamente in conflitto con i paesi concorrenti, senza alcuna possibilità di coesistenza paritaria.

Non c'era neppure bisogno di una nuova guerra contro questi paesi per decidere la leadership del mondo capitalistico: più che la forza, comunque esuberante, poté il dollaro. Le truppe americane sbarcate in Europa nelle due Guerre mondiali avevano combattuto a fianco di alcuni paesi contro altri ma per inglobarli tutti, vincitori e vinti, in un nuovo sistema planetario. La capitolazione delle isole di resistenza russa e cinese era solo ritardata, e la nostra corrente aveva previsto con sicurezza quella che chiamò la Grande Confessione: nei paesi cosiddetti comunisti non c'era una briciola di socialismo bensì capitalismo in sviluppo a tappe forzate.

Il cambio del testimone per quanto riguarda il dominio imperialistico non può ripetersi in eterno. Storicamente, lo sviluppo delle forme economico-sociali non può cessare, ma proprio per questo i rapporti di produzione ad un certo punto, per conservare sé stessi, non possono non entrare in conflitto con tale sviluppo. Se nel lungo periodo i paesi guida di un determinato ciclo devono decadere secondo la legge degli incrementi annui decrescenti, altri paesi più freschi hanno la possibilità di emergere. Al momento il paese imperialista-guida sembra ancora saldo sulle proprie posizioni dominanti, ma sta già cercando di non essere emarginato dal gioco fra i paesi industriali emergenti. Per non scomparire come potenza planetaria, dovrà tentare un arrocco epocale, del quale già vi sono le avvisaglie, ma nello stesso tempo dovrà manovrare pesantemente su tutti i fronti per difendere le proprie prerogative. Dovrà agire senza esporsi troppo e nello stesso tempo continuare a dominare il mondo, e questa è una contraddizione. Il suo impegno diretto attraverso la rete di controllo economico, politico e militare è diventato troppo oneroso. 150.000 soldati americani occupano militarmente il suolo di altri paesi e in alcuni casi, come in Afghanistan, Ucraina e Georgia, sostengono interamente eserciti altrui. Israele non potrebbe esistere senza il contributo americano, l'Iraq sarebbe smembrato, e di Kurdistan non si potrebbe neppure parlare. Tra l'altro, per la prima volta nella storia, il paese imperialista dominante è debitore invece di essere creditore nei confronti dei paesi subordinati.

Ovviamente la geopolitica si occupa delle guerre. Abbiamo detto che stiamo vivendo la Terza o Quarta Guerra Mondiale (Prima, Seconda, Fredda, Infinita…). Anche se non siamo ancora al punto in cui prevale l'opzione militare generalizzata, la guerra diffusa ha comportato morti, distruzioni e costi di gran lunga superiori a quelli della Seconda Guerra Mondiale. Così il confine fra guerra e non-guerra è saltato definitivamente. Oltre alle città, anche i mercati e le Reti sono di fatto un campo di battaglia e la crescente attività su quei fronti mette in risalto il ritardo degli apparati militari, dei governi e dei fabbricanti di armi (pesanti, leggere o incorporee). La sovrastruttura politica non ha ancora assimilato le lezioni maturate sul campo nella guerra moderna con i nuovi tipi di armi intelligenti. Ci sono ovviamente adattamenti nelle dottrine militari, ma nessuno sa come potrà essere la guerra futura se dovesse svilupparsi con le caratteristiche di quella che è sotto ai nostri occhi adesso.

Perciò al momento le dottrine militari adottate alla fine dell'ultima guerra generale non sono cambiate e si continua a progettare e costruire un armamentario da scontro classico: portaerei, incrociatori, cacciatorpediniere, bombardieri, caccia da combattimento e da superiorità, caccia anticarro, carri armati, artiglieria, missili balistici e guidati, eccetera. Droni, robot e Internet apportano certo delle novità, ed esistono diverse varianti delle dottrine classiche. Alcune sono ardite, e le abbiamo analizzate (vedere ad esempio gli articoli comparsi sui numeri 6, 8, 10, 11, 14, 21 di n+1 e il nostro Quaderno sulla guerra in Iraq). Non si può negare che il tutto sia diventato più micidiale ed efficiente, più coordinato e leggero, più "intelligente" e preciso, ma alla prova dei fatti, dopo molte rivoluzioni annunciate, sul campo di battaglia vengono considerati decisivi armi e metodi del passato. Le guerre stellari hanno ancora bisogno del fantaccino terrestre, come affermammo in un nostro opuscolo del 1983 (Imperialismo e concorrenza mlitare).

Una cosa risulta profondamente cambiata, ed è la cooptazione forzata delle popolazioni civili nel quadro di una guerra urbana logorante, in cui si combatte generalmente per altri. Naturalmente anche i costi sono cambiati, dato il contenuto tecnologico delle nuove armi. L'alta tecnologia le rende micidiali, ma i costi, tenendo conto dell'enorme consumo in una guerra condotta con le armi che sopra abbiamo elencato, si sono ampliati talmente che alcuni si chiedono se sia mai possibile una vera guerra classica per questa via e con questo tipo di armi in ambiente pesantemente antropizzato.

Un paese imperialista emergente come la Cina ha una spesa militare che, in percentuale sul PIL, tenendo conto della costosa presenza americana all'estero, è compatibile con quella degli Stati Uniti (rispettivamente 2 e 3,3%). E siccome la tecnologia di punta è ormai disponibile per tutti, progettare e costruire armi nuove adatte al vecchio paradigma è simile al progettare e costruire automobili: in quanto mezzo di locomozione l'auto rimane un dinosauro a basso rendimento, ma è prodotto in fabbriche robotizzate ed è dotato di computer e altri gadget che lo fanno sembrare all'ultimo grido. L'Italia si è impelagata con gli Stati Uniti per l'acquisto di aerei costosissimi come gli F35, talmente sofisticati che, a quanto pare, non funzionano. A parte le battute, peraltro suggerite dalla cronaca, quando un aereo costa 100 milioni di dollari, ed è possibile abbatterlo dalla distanza di 400 Km con un missile aria-aria, costoso anch'esso ma non in proporzione; quando un carro armato che costa 300.000 dollari viene distrutto da un piccolo missile a spalla; quando fonti russe e cinesi dichiarano che i rispettivi paesi hanno missili in grado di superare le difese di una portaerei americana di ultima generazione, classe Gerald Ford, che costa 15 miliardi di dollari, allora la guerra assume un aspetto inedito quanto a capacità distruttiva. Ma non è inedito il confronto classico cannone-siluro-corazza che portò all'estinzione delle fortificazioni fisse e delle corazzate.

Si parla degli armamenti di Pechino come della muraglia cinese, l'ottava meraviglia del mondo: quanto sono moderni, che prestazioni, che tecnologie nonostante tutto. Ma la Cina non fabbrica forse per il resto del mondo la quasi totalità dei gadget supertecnologici che ci assediano? Fino a poco tempo fa aveva un apparato militare obsoleto basato sui grandi numeri. Ha superato quella fase e si sta dotando di armamenti sofisticati, riformando anche la propria vecchia dottrina militare basata sul controllo terrestre passivo. Avrà fra poco tre portaerei. Una, in funzione, è ricavata dalla revisione di uno scafo acquistato di seconda mano dall'Ucraina. Una seconda, progettata e costruita completamente in Cina, è stata varata e sarà operativa in breve tempo. Una terza è stata messa in cantiere da poco e sarà operativa nel 2020. Una quarta è solo in progetto. La graduatoria delle portaerei equivale a quella delle potenze imperialistiche: gli Stati Uniti ne hanno 12, l'India 2, l'Italia 2, tutti gli altri paesi dotati di portaerei ne hanno una sola. Questa macchina serve a rendere mobile il fronte portandolo in avanti rispetto ai confini di un paese. Anche nel caso della Cina, non siamo di fronte a una nuova dottrina ma all'adozione di una vecchia al posto di una più vecchia ancora. È chiaro che la dottrina all'americana si adatta al cambiamento della situazione geopolitica e allo stadio di sviluppo tecnico raggiunto dal paese.

Coerente con la sua politica espansiva, la Cina ha in produzione anche un aereo concorrente dell'F35 (Chengdu J-20) che, a detta degli esperti, ha prestazioni superiori dal punto di vista tecnologico. Gli occidentali l'hanno classificato come cacciabombardiere stealth (invisibile ai radar) a lunga distanza e infatti ha un'autonomia di 2.000 Km, aumentabile con serbatoi supplementari a perdere. Siccome la guerra sarà più che mai basata sull'informazione, in Cina sono in funzione supercomputer di ultima generazione e, sembra, alcuni basati sulla fisica dei quanti, che permetteranno di sviluppare programmi di intelligenza artificiale per elaborare i big data rilevati da una rete mondiale di sensori. Non si sa ancora se i computer quantistici siano davvero funzionanti o siano soltanto prototipi sperimentali. In tutto l'Occidente ve ne sarebbero soltanto una decina.

Dalle sofisticate armi convenzionali ai supercomputer siamo dunque di fronte a una svolta strategica, tipicamente imperialistica, della dottrina militare cinese. Le portaerei e gli aerei a lunga autonomia sono specifiche armi da proiezione lontana di potenza, rappresentano un passaggio dalla difesa passiva tesa a blindare l'accesso al territorio nazionale (tipica nella storia millenaria della Cina) all'attacco o "difesa in profondità", secondo l'espressione inventata da Edward Luttwak per descrivere la disposizione avanzata degli accampamenti romani contro le invasioni barbariche.

Tuttavia, la potenza non basta. Tentare la scalata al primo posto dell'imperialismo mondiale potrebbe costare troppo per un paese che non imparasse velocemente il modo per drenare risorse poggiando sulle spalle del mondo. Dal 1945 in poi le guerre hanno sollevato dei problemi non indifferenti di dottrina, ma anche di costi. La guerra di Corea è stata combattuta ancora con le tecniche e le dottrine della Seconda Guerra Mondiale, ma già la guerra del Vietnam, da Dien Bien-Phu alla sconfitta americana, ha comportato ripensamenti a vari livelli, dal ritorno di un anacronistico scontro in trincea, ai costi esorbitanti. La dottrina dell'escalation era una dottrina della spesa militare crescente. La pretesa invincibilità di basi munitissime è stata smentita prima dalla tecnica dell'assedio, che sembrava un ricordo medioevale, poi dall'estrema mobilità a sciame dei guerriglieri, in grado di superare le difese e colpire lo strapotente nemico (Offensiva del Têt).

Le guerre mediorientali hanno ulteriormente ridimensionato la sicurezza di vittoria dovuta alla schiacciante superiorità militare. Pur essendo state iniziate e combattute in una condizione palesemente asimmetrica, hanno comunque mostrato che una certa simmetria l'avevano raggiunta. Il caso più evidente è la guerra fra Israeliani e Palestinesi, che dura da decenni senza che l'apparente superiorità israeliana riesca a raggiungere gli obiettivi prefissati. Le guerre israelo-egiziane dal canto loro hanno mostrato già in quegli anni che il consumo di armi in una guerra attuale è decisamente insostenibile se condotta con vecchi criteri. Nella Guerra del Kippur le forze armate contrapposte hanno perso in venti giorni la maggior parte degli armamenti di cui disponevano. La guerra è finita anche per carenza di armi, a proposito della simmetria di cui sopra.

Quando si tirarono le somme della guerra in Iraq si constatò che il paese superimperialista aveva speso 3.000 miliardi di dollari (calcolo dell'economista Joseph Stiglitz). In valuta d'oggi l'impegno nella Seconda Guerra Mondiale costò agli Stati Uniti 2.900 miliardi di dollari. Con la differenza che la guerra irachena durò poche settimane e coinvolse 500.000 soldati americani in tutto, mentre la partecipazione americana alla Seconda Guerra Mondiale durò 4 anni con l'utilizzo di 12 milioni di soldati.

Come farebbe la Cina a emulare gli Stati Uniti ed ereditare lo scettro dell'imperialismo con un PIL che è ancora poco più della metà di quello americano? È vero che il suo cresce più in fretta, per cui all'attuale ritmo raggiungerà il PIL degli Stati Uniti nel 2029, ma in questo decennio dovrebbe fronteggiare le 800 basi americane sparse per il mondo rilevandone la potenza; dovrebbe evidenziare l'apice della propria potenza anche con un predominio sovrastrutturale (dedicare la metà delle sue esportazioni a merci immateriali, dal software ai diritti per brevetti e spettacoli); dovrebbe soprattutto assumere un assetto finanziario in modo da incamerare una parte del plusvalore prodotto nel mondo invece di essere la fabbrica del mondo che produce plusvalore. Un vero paese imperialista è un tagliatore di cedole, sfrutta gli altri paesi, non è sfruttato. Il suo proletariato beneficia delle maledette briciole che avanzano dal banchetto della propria borghesia, non vende forza lavoro alla borghesia di un altro paese. Tutti requisiti necessari per giungere non solo a un sorpasso quantitativo nella produzione di merci e servizi, ma ad una potenza globale effettiva in grado di porre gli altri paesi in una posizione subordinata.

Per adesso non si vede come possa esistere un Washington consensus in salsa cinese. "Washington consensus" era un pacchetto di dieci misure economiche individuate da un centro studi americano per risolvere la crisi in cui si trovavano diversi paesi, in particolare i latino americani. Tali misure erano da affrontarsi sotto l'egida degli organismi internazionali nei quali Washington aveva un ruolo dominante, di qui il nome dato all'iniziativa. In breve, il significato divenne però "consenso alla politica economica globale americana attraverso il FMI, la WTO, la BRI, e… il ministero americano del Tesoro." Non è teoricamente impossibile, come diceva Lenin a proposito del super imperialismo, ma prima di arrivare a quel punto devono succedere molte cose. La Cina si candida, ma non è nella condizione migliore per diventare il paese leader di un sistema-mondo in cui l'America faccia la fine dell'Inghilterra.

Rivista n. 43