Si fa presto a dire moneta

Che cos'è questo elemento della vita economica che maneggiamo quotidianamente senza pensare alla sua lontanissima genesi e alle implicazioni che la sua storia comporta? E perché dargli tanta importanza dal momento che il suo utilizzo è normale routine, senza misteri, affidata a macchine automatiche, velocissime, che hanno ormai soppiantato gli uomini anche nei settori economici?

La moneta nasce, secondo gli antichi testi storici, nel VII secolo a.C. in Lidia, durante il regno di Creso. Si tratta certamente di una convenzione, dato che forme monetarie compaiono addirittura diversi millenni prima. Non è semplice districarsi fra gli espedienti escogitati dagli uomini per rendere equivalenti i valori scambiati; ma se vogliamo capire che cosa significhi oggi, da parte dello stato, emettere moneta a favore delle banche al fine di proteggere e rilanciare l'economia, occorre partire dal metodo induttivo, quello che ci permette di trarre conseguenze dalla ripetitività dei fenomeni e perciò di giungere a formularne le leggi in base alle quali diventa possibile dedurre una teoria che ci offra la spiegazione dei fenomeni stessi.

È solo attraverso un'indagine storica che possiamo trovare una relazione fra la struttura economica dedicata interamente alla produzione di plusvalore e la sovrastruttura politica necessaria per difendere dal punto di vista di classe l'appropriazione privata nel contesto della produzione sociale. Ecco perché è stato indispensabile, ad esempio in astronomia, prendere nota minuziosa dei moti apparenti degli astri al fine di "scoprire", con l'elaborazione dei dati grezzi, la legge della gravitazione universale. Nello stesso modo, se vogliamo capire qualcosa della moneta, dobbiamo prendere nota minuziosa dei movimenti materiali prodotti dall'attività umana nello scenario degli scambi. Questo procedimento ci permette di modellizzare la realtà per capirla meglio nell'ambito di una teoria.

Ora, detto in estrema sintesi, il denaro nasce dall'esigenza di confrontare nello scambio oggetti apparentemente non confrontabili. Come sapere infatti quanto bronzo devo avere in cambio di una certa quantità di lana se non ho un qualcosa con cui confrontare sia il bronzo che la lana? Questo terzo elemento non viene "inventato" ma si impone con il tempo, cioè con una storia, cioè con il maturare di esigenze materiali sintetizzate in un supporto-feticcio. Il denaro, una volta comparso sulla scena, permette di confrontare beni (raccolti o prodotti) diversissimi tra loro; ma prima della sua comparsa vi fu un lungo periodo in cui erano i beni scambiati a pretendere una misura che li rendesse confrontabili. Quando parliamo di denaro nella sua forma sviluppata dobbiamo già ammettere la proprietà privata e la divisione sociale del lavoro. I beni diventano merci. Siamo dunque di fronte a un rapporto sociale che si cristallizza in una cosa.

Il semplice baratto, alle origini, non poneva problemi perché con esso si confrontavano reciproci valori d'uso. Con l'affermarsi degli scambi si sviluppa la ricerca degli equivalenti. Vi è un momento in cui ogni possessore di beni vede quelli altrui come equivalenti particolari dei suoi; vede quindi i suoi beni come equivalenti generali di tutti gli altri. Ma, poiché tutti i possessori di beni scambiabili si comportano allo stesso modo, nessun bene è equivalente generale. Manca ancora una forma di valore autonoma che permetta di stabilire il valore di tutti gli altri beni prima che vengano posti a confronto i rispettivi valori d'uso, e che diventa sempre più necessaria con l'aumentare del numero e della varietà dei beni scambiati. Affinché la forma denaro si identifichi con un bene specifico occorre che tale bene sia un articolo di baratto con cui frequentemente si entra in contatto ai confini fra le comunità che scambiano. E difatti, a seconda delle epoche e delle aree, abbiamo una grande varietà di beni che servono allo scopo: bestiame, pelli, lingotti di metallo, conchiglie, orzo, spiedi, ceramiche, ecc. All'interno di questo ventaglio di beni, ne emergono alcuni particolarmente adatti, di qualità uniforme, non deperibili, facilmente trasportabili, lavorabili, suddivisibili in parti e ricomponibili.

Nello scambio diretto fra prodotti ognuno di essi era immediatamente mezzo di scambio per chi lo possedeva e "forma fenomenica del valore" per chi lo desiderava, mentre la forma denaro sviluppata sarebbe diventata mezzo di scambio indipendentemente dall'atteggiamento individuale dei possessori. Nella sua funzione di mezzo d'acquisto che spezza nello spazio e nel tempo la circolazione semplice delle merci, separando vendita e acquisto, il denaro assumerà la veste di moneta. Solo sotto detta veste particolare, con il progredire delle esigenze della circolazione la moneta potrà essere sostituita con suoi segni, di per sé privi di valore, e apparire così nelle forme che oggi siamo abituati a conoscere: cartacea, conio di bassa lega, impulsi elettronici.

La moneta si distingue per essere denaro convenzionalmente "firmato". Quando Creso di Lidia fece coniare la propria effigie su pezzi d'argento non fece altro che firmare quel materiale per garantirne il peso, eliminando di colpo la necessità di pesare il metallo tutte le volte che si scambiava qualche prodotto con denaro.

Ma se la moneta è denaro firmato, che cos'era un documento scritto sull'argilla da un mercante babilonese come attestato di una transazione avvenuta o a venire? Il sistema delle scritture contabili è molto più antico della monetazione. Esso ha origine dalla contabilità di magazzino quando le società producevano beni comuni e li ridistribuivano secondo criteri fissati nell'argilla. Quando cioè non si muovevano prodotti misurandoli in valore ma in quantità fisiche, numero, capacità, peso.

Ecco che una storia della moneta ci serve per un collegamento al corso storico delle società umane. Se è stato possibile per millenni produrre e distribuire beni con precisione senza che intervenisse il bisogno di misurare in termini di valore; se questa fu la caratteristica di società giunte a un altissimo grado di complessità sociale in agglomerati urbani perfettamente organizzati in simbiosi con la campagna, allora è possibile tracciare un percorso storico (materialistico, dialettico) per giungere a una situazione altrettanto funzionale ed organica: ma di livello superiore, grazie allo sviluppo della forza produttiva sociale intervenuto nel frattempo. Scrivevamo nell'introduzione al Quaderno Dottrina dei modi di produzione:

"L'indagine su di una formazione sociale deve rintracciare il concatenamento interno ad una data società, legame che svela a sua volta la dinamica storica indietro nel tempo, unico modo per proiettarsi in avanti. Solo dopo che si è fatto questo tipo di lavoro è possibile dare una descrizione 'conveniente' del movimento reale".

Nel nostro muoverci avanti e indietro nel tempo non possiamo fare a meno di notare che il capitale è ritornato alla tesaurizzazione. Non si nascondono più le monete d'oro sotto la piastrella ma si mantiene una perenne quantità di denaro nella sfera della circolazione, specialmente a scopo speculativo. Si tratta di un'enorme massa di lavoro morto che non partecipa alla valorizzazione. La tesaurizzazione mercantile, stimolo originario del ciclo capitalistico, diventa, al tramonto del ciclo, un fenomeno negativo che impedisce a una grossa frazione del capitale di funzionare in quanto capitale. Già Marx sottolineava il carattere parassitario di tale rigurgito tesaurizzatore, ma oggi siamo al parossismo.

Emblematico a questo proposito il caso della Apple: l'azienda ha più dollari in cassa di molti paesi come l'Italia o addirittura gli Stati Uniti. Ed è una cifra crescente. Nel 2014 Apple aveva 159 miliardi di dollari liquidi, gli Stati Uniti ne avevano 48 miliardi. Nel 2016 la cifra era salita a 217 miliardi e oggi è 250. Si tratta a tutti gli effetti di denaro accantonato perché non riesce a diventare capitale, cioè non riesce a trovare una strada che lo porti ad essere scambiato con forza lavoro. Nel capitolo 15 del III volume del Capitale, Marx aveva predetto che tutto ciò si sarebbe verificato proprio a causa della crescente produttività:

"Una parte del capitale resterebbe totalmente o parzialmente inoperosa (perché dovrebbe, prima di potersi valorizzare, scacciare dalla sua posizione il capitale già in funzione), e l'altra, sotto la pressione del capitale inutilizzato o semi-inutilizzato, si valorizzerebbe a un tasso di profitto inferiore."

Lo stesso vale per gli intermediatori finanziari e per le banche di investimento, che preferiscono mantenere i capitali nella sfera della circolazione anziché immettere nei portafogli dei loro clienti aumenti di capitale per l'industria. D'altra parte, anche Marx annota che se il saggio di profitto scende al di sotto dell'interesse medio l'investimento produttivo ne risente. Situazione mortale per il capitale: la caduta del saggio di profitto può tramutarsi in caduta della massa, ed è qui che Marx scrive: "Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso".

Se il capitalismo ottocentesco risolveva il problema della tesaurizzazione parassitaria radunando piccoli capitali individuali nelle banche, attraverso le quali veniva potenziato il sistema del credito, oggi è lo stesso sistema creditizio che mantiene il capitale nella sfera della circolazione, lontano dal credito all'industria. Proprio la crisi in corso, che dura ormai da dieci anni, dimostra come l'atteggiamento delle banche sia addirittura anticapitalistico, nel senso che esse tradiscono la loro funzione dedicandosi a pratiche di tesaurizzazione speculativa con mezzi che la stessa etica borghese definisce criminali. È chiaro che in queste condizioni termini come "speculazione" o "parassitismo" non sono adatti a descrivere i fenomeni ai quali si riferiscono: dovrebbero perlomeno contrapporsi a un qualcosa che non fosse speculativo o parassitario. Difficile individuare il confine.

Si continua a chiamare "sistema del credito" quello bancario. È vero che non c'è un'altra definizione soddisfacente, ma è anche vero che di fronte a un sistema bancario al collasso essa è piuttosto inadeguata. Oggi il capitale congelato nella sfera della circolazione, intento a valorizzarsi/svalorizzarsi virtualmente ma di fatto impossibilitato a ritornare nella sfera degli investimenti produttivi, ammonta a cifre nell'ordine di milioni di miliardi di dollari; il valore prodotto ex novo ogni anno nel mondo è circa 80.000 miliardi. È una distanza che non si può più accorciare.

Rivista n. 43