La sovrapposizione fra modi di produzione

Ho ricevuto il file del libro sull'importanza delle formazioni economiche e sociali nella dinamica storica. È semplicemente fantastico. Trovo che sia un eccellente esempio di scienza rivoluzionaria. Esso mi ha portato a compiere alcune considerazioni che potrebbero tornare utili nello studio della successione dei modi di produzione. Soprattutto ho una domanda da fare, ma prima lasciatemi trarre alcune premesse dal libro. Vi leggo che "individuare un invariante significa individuare una regolarità che permette di passare da dati qualitativi, quindi soggetti ad individuale percezione e interpretazione, a dati misurabili, quantitativi" e che "in scienza, se si trova una relazione fra grandezze misurabili in un sistema dinamico, ciò significa che si è trovata la chiave di indagine nei due sensi della sua storia: si ha la possibilità di indagarne e comprenderne il passato come il futuro". Ciò Marx lo aveva perfettamente capito e lo aveva posto a fondamento del suo metodo scientifico. "Marx osserva che ogni procedimento scientifico deve astrarre dal soggetto dato, in quanto in esso, nella realtà come nella mente, è riflessa ogni determinazione di esistenza degli uomini che osservano. […] Uno studio scientifico della storia, quindi, deve essere condotto sulla base del succedersi delle forme di produzione, intendendo per questo la trasformazione sociale attraverso la trasformazione dei rapporti che, nella loro massima astrazione, rappresentano degli invarianti". Appropriato mi sembra il riferimento al "principio di indeterminazione", che ribadisce ancora che in ogni branca della scienza "il reale non è ciò che semplicemente si vede e si tocca, ma ciò che si sviluppa in una dinamica i cui nessi vanno ricercati al di là di un tempo specifico, al di là di un osservatore o di un luogo isolati". Ciò è anche alla base degli assiomi con cui Peano definisce la matematica (egli non dà alcuna definizione di numero, proprio per il "principio di indeterminazione"), e Bordiga assimila il numero al modo di produzione (n, n+1).

Marx lo aveva capito molto prima della scienza borghese, che ai suoi tempi era oggetto di dure critiche da parte sua. Assodato che compito della scienza è quello di trovare l'"intima correlazione… le determinazioni soggiacenti a questa trasformazione", nel libro si afferma che "la relazione cercata e trovata da Marx è quella esistente fra sviluppo delle forze produttive, rapporti di proprietà, sovrastruttura. Questi tre elementi sono congiunti in ogni epoca storica. A un dato sviluppo dell'uno è collegato lo sviluppo degli altri, nell'ordine in cui li abbiamo appena scritti". Dice Marx: "Quando una forma storica determinata raggiunge un certo grado di maturità, essa cade lasciando il posto a un'altra più elevata. È qui che subentra il conflitto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale, quindi il conflitto fra le classi che questa forma ha portato sulla scena" . Ci si trova di fronte ad una situazione che determina un punto di catastrofe. Questo metodo che pone come soggetto dello studio scientifico le leggi soggiacenti alle trasformazioni permette di affermare che "in effetti gli assiomi dell'aritmetica [Peano] e della geometria [Klein] [quindi degli assiomi che, Bordiga docet, possono essere applicati in ogni campo della scienza] rappresentano un processo di pensiero che avvicina, al limite, alle possibilità universali di comprensione, che permette il salto qualitativo reale dalla concezione discreta del mondo a quella del continuo, dal finito all'infinito o, se vogliamo, ad una concezione non dualistica".

A questo punto mi/vi pongo una domanda: come è possibile risolvere la contraddizione per cui nel modo di produzione comunista non sono presenti quegli elementi contradditori che stanno alla base di ogni trasformazione (teoria delle catastrofi) ma allo stesso tempo, essendo passati ad una concezione infinita del cosmo, tratta dagli assiomi dell'algebra e della geometria, esso non può essere l'ultima formazione economica e sociale?

 

Nell'antichità, come oggi, si sovrappongono "culture" a volte così distanti da essere del tutto incompatibili. Per questo diciamo che dev'essere possibile tracciare una mappa sommaria di queste sovrapposizioni e trarre indicazioni, prove, di tracce di vita comunistica sopravvissuta in ambiente urbano e sviluppato. L'invasione ariana della Valle dell'Indo provocò la fine di quella civiltà a causa della "liberazione" delle acque dall'imbrigliamento di dighe e canali nello scontro fra i nomadi dei Veda e le popolazioni agrarie urbanizzate. L'interessante è che entrambe le "culture" portavano ancora con sé i segni del comunismo primitivo. L'una col non aver bisogno del possesso per mancanza di cose da possedere, l'altra col raggiunto grado di sovrapproduzione che liberava dal bisogno e permetteva la vita di una comunità urbana progredita e razionalmente dedita alla ripartizione assai egualitaria del prodotto, nonostante vi fossero già solide basi della divisione in classi. Qualcosa di simile dev'essere rintracciabile anche nelle civiltà peruviane antiche e nel Mediterraneo (ad esempio l'Egitto, Creta).

Questo ci permette di dimostrare (anche se pensiamo che sarà possibile un lavoro compiuto solo con lo sviluppo del partito organico) che la sovrapposizione di epoche è una costante storica e dà spiegazione 1) del concetto rivoluzionario dialettico di continuità e rottura (accumulo continuo di contraddizioni che hanno la loro soluzione discontinua nel salto repentino di fase, n+1); 2) della continuità del comunismo nella storia, fatto registrato dai miti, dalle religioni e da molte pratiche umane; 3) delle scoperte di Marx, di Darwin e della scienza moderna sintetizzate in quel poderoso condensato che è la famosa "Introduzione" di Marx a Per la critica dell'economia politica (1857); 4) del fatto incontrovertibile che anche nella nostra epoca sono chiaramente individuabili sovrapposizioni col comunismo sviluppato, sta a noi svelarle.

Una volta impostato il problema generale della continuità-rottura storica, si possono tratteggiare i collegamenti nello spazio e nel tempo (aree geostoriche) e venire a domande come le tue, alle quali non si potrebbe rispondere senza ricorrere al metodo cui abbiamo accennato. Bisanzio "dura" mille anni dopo la caduta di Roma proprio perché si incunea fra l'Oriente e l'Occidente, gettando radici sia nell'immobile (si fa per dire) mondo asiatico che nel dinamico mondo occidentale, scosso non tanto da grandi movimenti di eserciti quanto da scosse sociali (quando parliamo di Longobardi e Franchi, per esempio, parliamo di poche decine di migliaia di uomini che coinvolgono con le loro azioni centinaia di migliaia di chilometri quadrati). Per non fare storia a spanne bisognerebbe forse valutare quanto sia stata progressiva l'azione bizantina nei confronti delle antiche satrapie asiatiche e, nello stesso tempo, quanto sia stata conservatrice nei confronti dei sommovimenti occidentali.

La dinamica che vedrà l'uomo confrontarsi armonicamente con la natura non cesserà mai, solo che invece delle contraddizioni delle società divise in classi avremo una specie di metabolismo della biosfera, come quello che esiste in ogni singolo essere vivente.

Rivista n. 44