Marx: 1818-2018 (3)
1841, Engels contro Schelling
Prima di conoscere Marx, nel periodo in cui è a Berlino, Engels scrive tre articoli contro Schelling. Ricordiamo che il filosofo era stato chiamato in quanto conservatore per contrastare la turbolenza dei giovani hegeliani. Eppure Schelling aveva maturato la sua "filosofia positiva" (in opposizione a quella negativa, il culmine della quale sarebbe stato Hegel). Vedremo più avanti di specificare. Egli aveva scritto:
"L'uomo non è nato per sciupare la sua forza spirituale nella lotta contro il fantasma di un mondo immaginario, ma per usare tutte le sue forze nei confronti con un mondo che influisce su di lui, ne mette a prova la potenza e sul quale egli può agire di rimando; quindi fra lui e il mondo non deve essere aperto nessun abisso; fra di essi deve essere possibile il contatto e l'azione reciproca — ché solo così l'uomo diventa uomo. Originariamente nell'uomo vi è un assoluto equilibrio delle forze e della coscienza; ma egli mediante la libertà può distruggere questo equilibrio, per poi ristabilirlo mediante la libertà. Ma solo nell'equilibrio delle forze vi è sanità. La mera riflessione è dunque una malattia dello spirito" (Anti-Schelling).
Nonostante il lessico da religione ne renda piuttosto oscuro il significato, il tema va a costituire l'insieme del materiale che in quella stagione Engels chiama "dissoluzione dell'hegelismo". Sembrerebbe di capire che l'hegelismo non si sia dissolto da solo, per manifesta inutilità, ma che sia stato dissolto dall'incalzare del materialismo.
Ricordiamo una nostra riunione su Mach, Bogdanov e Lenin, in cui avevamo osservato che Lenin non si era reso conto che la realtà imponeva la ricerca su temi sempre più complessi, nelle terre di confine, e che nelle transizioni di fase nascono opere tese a rompere con lo stato di cose precedente, anche se non sempre vi riescono o vi riescono solo parzialmente. In tali frangenti occorre tenere d'occhio la bussola per ben districarsi fra le bordate che arrivano sia dal campo nemico, sia, in genere alle spalle, dal campo amico. Ma nelle transizioni di fase bisogna anche capire quando il nemico capitola e si fa portavoce involontario del nuovo che avanza. Il romanticismo giunge a intuire un mondo complesso e unitario, anche se non riesce a scalfire il pregiudizio metafisico che lo tiene ancorato al passato. L'influenza dell'ambiente diventa un fattore decisivo: un grande rappresentante della transizione dal feudalesimo al capitalismo come Dante, pur attenendosi nella Commedia allo schema cosmologico medioevale, riesce a rappresentare, non solo con il suo capolavoro ma con la sua stessa vita, la complessa unità del mondo borghese. Un canone medioevale che sarebbe dovuto servire alla difesa dell'esistente, fece di lui, nell'ambiente italiano, un grande rappresentante di quella classe borghese che alla sua epoca aveva già spazzato via il feudalesimo da un paio di secoli.
Nel 1841, nello stesso anno in cui Marx presentava la sua tesi a Jena, Schelling a Berlino teneva una serie di conferenze sulla "Filosofia della Rivelazione". C'erano più di 500 persone ad ascoltarlo, fra le quali Feuerbach, Bakunin, Kierkegaard, Savigny, Burchardt, Humboldt ed Engels (che ne scriverà la dura critica citata). Fu una rottura generazionale con Hegel, anche se l'influenza di quest'ultimo persisteva. Secondo alcuni (Lukacs) i discorsi di Schelling furono l'inizio dell'irrazionalismo ottocentesco. Insomma, in quell'occasione ci fu un trambusto ai piani alti della filosofia idealistica romantica: Schelling aveva fatto inversione di marcia rispetto alle filosofie che mettevano il Pensiero sopra ogni cosa definendole "negative", e le aveva sostituite con la sua nuova filosofia "positiva". Hegel naturalmente era il massimo esempio di filosofo negativo, e ciò doveva risultare chiaro da alcune proposizioni molto semplici ma in grado di passare alla storia: "Ciò che è all'inizio del Pensiero non è ancora Pensiero… L'inizio della filosofia positiva consiste nel fatto che ogni pensiero presuppone l'Essere". Una rivoluzione che i presenti non percepirono. Il guaio di Schelling fu che spostando il pensiero dopo l'Essere diventava indispensabile un qualcosa che potesse presupporre quest'ultimo: così s'inventò la Realtà, asserendo che l'Assoluto, concetto che comporta un infinito e quindi irriducibile al metodo scientifico, era un principio creazionista, consistente nella presenza di un Signore dell'Essere, e che la grande funzione della filosofia era quella di passare dal puro Essere al Signore dell'Essere. L'Assoluto rappresentava perciò la fonte dell'Essere a partire dal nulla. La rivelazione positiva sarebbe consistita nel fatto che finalmente, con questa impostazione, si sarebbe raggiunta l'origine della conoscenza.
Alla fine, Dio risolve tutto. Si capisce bene perché Marx pensava che i tedeschi avrebbero dovuto togliersi di dosso la religione come premessa per qualsiasi altro passaggio evolutivo.
Contro Schelling: Marx si appella a Feuerbach
Marx invitò Feuerbach a scrivere una monografia contro Schelling. Molto significativo il passaggio in cui descrive quello che altri vedevano in Schelling:
"Credo di poter quasi concludere dalla prefazione alla seconda edizione dell'Essenza del cristianesimo che lei avesse qualcosa in petto su questa vescica gonfiata. Vede, questo sarebbe uno stupendo debutto. Con quanta abilità il signor Schelling ha saputo adescare i francesi. Prima il debole eclettico Cousin, poi persino il geniale Leroux. Per Pierre Leroux e le persone come lui, Schelling passa sempre come l'uomo che al posto dell'idealismo trascendentale ha messo il realismo razionale, al posto del pensiero astratto il pensiero in carne e ossa, al posto della filosofa per specialisti, la filosofia del mondo" (Lettera a Feuerbach, 3 ottobre 1843).
Come mai in Francia possono aprirsi delle crepe nel robusto impianto illuminista ad opera del romantico Schelling? Sia "l'eclettico" Cousin che "il geniale" Leroux vedono probabilmente quello che vogliono vedere alla luce di ciò che già pensano, fabbricandosi così un giudizio lusinghiero sull'idealismo, scambiando la sua visione olistica per realtà. Feuerbach è l'anti-Schelling perché è l'anti-mistificazione comune a tutto il romanticismo. Egli compie il salto che i romantici non riescono a compiere verso l'unità del mondo, perché lo fa rivolgendosi al futuro invece che al passato. Lo fa superando le interpretazioni della natura e adottando la dinamica materiale, quella che cambia il mondo invece di fabbricare ipotesi. Continua Marx:
"Perciò lei renderebbe un grande servigio alla nostra iniziativa ma anche più alla verità se ci procurasse subito per il primo quaderno una monografia su Schelling. Lei è proprio l'uomo adatto per questo, perché lei è lo Schelling a rovescio. Lo schietto pensiero giovanile di Schelling – noi dobbiamo credere in quello che c'è di buono nei nostri avversari – questo pensiero per la cui realizzazione egli non aveva altro strumento che l'immaginazione, altra energia che la vanità, altro incentivo che l'oppio, altro organo che l'irritabilità di una ricettività femminea…"
E conclude con uno strano e pomposo doppio riconoscimento che ci fa venire in mente il probabile motivo della necessità di studiare la filosofia della natura di Schelling riportata nella lettera al padre ricordata ampiamente:
"Questo schietto pensiero giovanile di Schelling che in lui è rimasto un fantastico sogno giovanile, è divenuto in lei verità, realtà, virile serietà… perciò io la ritengo l'avversario naturale, necessario, di Schelling, insomma quegli a ciò destinato dalle loro maestà la Natura e la Storia."
I Manoscritti del 1844
Sono i primi scritti importanti per capire l'avvenuta definitiva separazione dall'ideologia tedesca. Un seguace di questa corrente vi avrebbe sparso collegamenti, condivisioni, identità di vedute o critiche costruttive. Niente di tutto questo si trova sugli appunti del 1844. Gli scettici che volessero provare a individuare, anche solo tra le righe, i capisaldi dell'idealismo quali lo Spirito, l'Assoluto, l'Autocoscienza, l'Io o le trilogie dialettiche, non troverebbero nulla di tutto ciò. Tutta la ricerca pervenuta e raccolta sotto quel titolo è permeata dalla preoccupazione di legare la teoria al mondo fisico e non al mondo del pensiero. Il sommario rivela di per sé l'indirizzo del programma di ricerca al quale Marx dedicherà tutta la vita senza discostarsi dal modello. Il materiale dei Manoscritti va posto accanto a quello della Sacra famiglia, dell' Ideologia tedesca (in cui è evidentissima anche nel linguaggio, il processo che conduce alla compiuta liberazione da ogni traccia di idealismo), dei Grundrisse e di tutti i semilavorati lasciati da Marx, i quali vanno letti come saggi anticipati di ricerche affrontate un secolo dopo. Non troviamo filosofia nei testi di Marx ma sforzo di organizzazione della conoscenza sulle transizioni sociali. Non era questo l'alveo della corrente romantica. Per quanto il paragone possa sembrare arbitrario, la ricerca mai arrestatasi di Marx può essere paragonata, più che alle elucubrazioni romantiche, ai saggi di storia della scienza comeMetodologia dei programmi di ricerca scientifica, di Lakatos, Struttura delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn, Logica della scoperta scientifica di Popper e Contro il metodo di Feyerabend. Altri si potrebbero elencare. Ciò non significa che aderiamo alle tesi di questi ricercatori borghesi, ma che essi sono stati costretti ad affrontare il problema della conoscenza scientifica del mondo adottando criteri lontanissimi da quelli adottati dagli idealisti romantici.
Vediamo l'Indice dei Manoscritti:
Primo manoscritto:
Il salario - Il profitto del capitale - La rendita fondiaria - Il lavoro estraniato.
Secondo manoscritto:
Il rapporto della proprietà privata.
Terzo manoscritto:
Proprietà privata e lavoro - Proprietà privata e comunismo - Bisogno,
produzione e divisione del lavoro – Denaro - Critica della dialettica
in generale e della filosofia di Hegel.
L'ultimo capitolo del terzo manoscritto è variamente tradotto; una versione dal significato alquanto diverso è ad esempio: Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale (titolo attribuito dai curatori della prima edizione: Kritik der Hegelschen Dialektik und Philosophie überhaupt).
L'aggiunta dei titoli si deve attribuire ai curatori sovietici che per primi hanno pubblicato i manoscritti, ma il materiale era abbastanza omogeneo, raccolto in quaderni e quindi presumibilmente in ordine cronologico. L'ultimo capitolo del terzo manoscritto è una lunga osservazione critica della filosofia di Hegel. Basterebbe questo capitolo per demolire una volta per tutte la leggenda della derivazione di Marx da Hegel. Sottolinearne l'importanza per quanto riguarda la critica precoce e totale a Hegel significa strappare il lavoro giovanile di Marx dalle grinfie avvelenate della socialdemocrazia, dello stalinismo e di quello strano miscuglio tra stalinismo, hegelismo e nazionalismo che sta diventando giustamente di moda, in linea con i poco felici tempi attuali.
Eppure, troviamo, sparsi un po' dappertutto nelle opere di Marx, caustici accenni a Hegel, ad esempio quando si tratta di criticare altri, come qui Proudhon:
"Egli [Proudhon] non sente il bisogno di parlare del diciassettesimo, diciottesimo, diciannovesimo secolo, giacché la sua storia si svolge nel regno nebuloso dell'immaginazione e molto al di sopra dei tempi e dei luoghi. In una parola: tutto questo è vecchia cianfrusaglia hegeliana, non è storia, non è storia profana - storia degli uomini - bensì storia sacra - storia delle idee." (Marx, Lettera ad Annenkov, 28 dicembre 1846).
Proudhon, scriveva Marx nella Miseria della filosofia, era considerato un cattivo economista francese perché passava per un buon filosofo tedesco. Ed era considerato un cattivo filosofo tedesco, perché passava per un buon economista francese. In realtà non era né uno né l'altro, produceva soltanto cianfrusaglia hegeliana. Non era tenero Marx con il suo "maestro". E non era tenero con la filosofia in generale:
"Il grande contributo di Feuerbach consiste nell'aver dimostrato che la filosofia non è altro che la religione ridotta in pensieri e svolta col pensiero; e che quindi bisogna parimenti condannarla, essendo una nuova forma, un nuovo modo di presentarsi dell'estraniazione dell'essere umano" (Manoscritti, ultimo capitolo).
Schelling realista? (teleologia della libertà)
Non è evidentemente possibile fare una panoramica completa dei lavori pubblicati negli ultimi tempi, specialmente in occasione del 200° anniversario della nascita di Marx; ne sceglieremo dunque alcuni che a nostro giudizio sono più significativi. Emilio Corriero (cfr. bibliografia) ad esempio scrive:
"Il recente dibattito filosofico intorno al 'nuovo realismo' sta mettendo sotto una luce non prevista l'importanza del pensiero di Schelling".
Schelling ha cambiato opinione diverse volte, ma sembra che a un concetto sia rimasto sempre fedele: la realtà precede il pensiero, anche se quest'ultimo è preminente nel sistema filosofico schellinghiano come di tutto l'idealismo romantico. Questa realtà (ma non è reale anche il pensiero?) non è uno spazio indefinito, da esplorare, ma un ambiente dinamico che determina la libertà, ne è all'origine. Un ambiente in divenire dove risiede la "molteplicità dell'Essere", che coinvolge direttamente l'uomo e le sue azioni. A parte il fatto che in filosofia questo Essere (maiuscolo) dovrebbe trovare una definizione, altrimenti non si sa di che si parli quando lo si fa entrare nel discorso, per Schelling la libertà umana è la questione fondamentale della filosofia perché è a partire dalla libertà che si manifesta il rapporto fra il divenire della storia e le contraddizioni del divenire storico. Non si tratta di una liberté illuministica alla francese che si lega ad altre parole d'ordine rivoluzionarie ma di una libertà originaria, essenziale, universale, che non ha niente a che fare con la lotta per far valere la propria volontà. La moderna filosofa ha portato ad affermare una libertà che è legata a categorie borghesi come l'individualità e, soprattutto, la proprietà. La libertà dell'idealismo tedesco non è ancora arrivata a tale livello (è la libertà dell'animale nel bosco, dice Marx), ma in un certo senso lo supera. È ancora/già universale.
Se si elimina la separazione arbitraria fra filosofia e natura e si giunge a un corpo naturale unico, occorre poi immaginare una natura complessiva capace di "fare da sé", quasi un anticipo di quella che ai giorni nostri è chiamata autopoiesi.
Già Fichte aveva notato (nella Bestimmung) la contraddizione fra una natura che esiste di per sé, con l'uomo che la percepisce attraverso i sensi, e una natura che comprende sé stessa e l'uomo.
Schelling per tenere in piedi il suo schema deve immaginare non solo una unità fra uomo e natura ma anche fra entrambi e Dio. Ma se la natura e Dio sono uniti in una stessa entità, il panteismo diventa indispensabile. Ma se non è ancora, o non è più, quello illuminista della Rivoluzione Francese, che cosa diventa?
Per rimanere nell'ambito di un cristianesimo accettabile in contesto romantico occorre allora trasformare il panteismo alla francese in un panteismo alla tedesca. La chiave di volta della filosofia di Schelling è la filosofia della natura: non c'è un uomo che percepisce la natura con i suoi sensi, non c'è una natura separata dall'uomo. C'è un "chimismo" vitale che tutto permea come in una cosa sola. Il compito è immane, e la filosofia tedesca non ce la fa a precisarlo. Ma ormai è tardi: al materialismo "semplice" di Feuerbach non può che seguire il materialismo "complesso" di Marx. Il resto decade. Oppure regredisce al Medioevo come con Hegel. Per questo diciamo che sbaglia la socialdemocrazia tedesca: Marx non è allievo di qualcuno, è "semplicemente" costretto a prendere atto che l'ultima filosofia, quella che da Kant arriva a Feuerbach attraverso Fichte, Schelling e Hegel ha fatto il suo corso.
L'illuminismo fu superato dalla scienza della rivoluzione.
Sono dunque penso
Secondo Maurizio Ferraris, filosofo contemporaneo, il ritorno di interesse per l'idealismo di Fichte, e soprattutto di Schelling, è dovuto alle argomentazioni non estranee al realismo anche se non materialistiche. Detto da un filosofo che si colloca in una corrente conosciuta come "realista" è piuttosto interessante. Per Schelling, secondo Ferraris ("Ecco come Schelling ha rinnegato gli idealisti", Repubblica 11 febbraio 2013), l'origine dell'errore è nel "cogito ergo sum" cartesiano, dal pensiero all'Essere. Questa dinamica sarebbe falsa in quanto in contraddizione col realismo. Quando arriva a tale conclusione, Schelling considera "negativa" tutta la filosofia sua contemporanea, da Kant a Hegel passando da Fichte e da sé stesso giovane.
Dicendo "Penso dunque sono", si fa della concezione del mondo un problema di conoscenza (epistemologico), che riguarda cioè quel che pensiamo e sappiamo, mentre il realismo riguarda lo stato di ciò che esiste indipendentemente dal nostro pensiero (ontologico). L'Essere non è una costruzione (o creazione) del pensiero ma un qualcosa di dato prima che il pensiero abbia inizio. Sappiamo che il mondo esiste da miliardi di anni, nonostante per la quasi totalità di quel tempo non ci sia stato qualcuno a pensarlo. Il pensiero si manifesta in noi come qualcosa che ci giunge dall'esterno, anche se lo elaboriamo al nostro interno. Il pensiero è soprattutto natura.
Spontaneamente sorge di nuovo la tentazione di collegare il paragrafo che precede con il clima esistente al tempo della discussione che vide contrapposti Lenin e Bogdanov. Anche allora il tema del contendere era il nesso tra percezione e realtà, ma non lo affrontiamo ora, rimandiamo il lettore a Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin. Francamente lo Schelling di Ferraris ci sembra un po' troppo leninista:
"E c'è un senso in cui, quando lo spirito indaga la natura, sta scoprendo sé stesso. Non perché la natura sia il prodotto dello spirito, come appunto vogliono i pensatori negativi, ma perché lo spirito è un risultato della natura, esattamente come le leggi della gravità, della fotosintesi e della digestione" (Ferraris, "Ecco come Schelling…" cit.).
Durante il regno di Federico II, il "re filosofo", monarca feudale a suo modo illuminato (in Germania le rivoluzioni arrivano dall'alto), l'ideologia dominante rispecchiava, come dappertutto, quella della classe dominante. Nel caso specifico una classe preborghese. Filosoficamente parlando, non si andava al di là di una rivisitazione popolare di Leibniz, nella quale dal punto di vista teoretico rientravano Dio, il mondo e l'anima, mentre dal punto di vista empirico rientravano l'intelligenza, la virtù e la salute. Per questo l'illuminismo tedesco non aveva niente a che fare con quello francese e si inquadrava piuttosto come romanticismo.
D'altra parte, il suo lato popolare tendeva a rimuovere i difetti popolari della società, la superstizione, le credenze irrazionali, il bigottismo. Dio assumeva un ruolo più consono alla sua immensità, e filosofi famosi come Socrate venivano trattati come antenati del Cristo.
La folla di filosofi mediocri non poteva che generare il bisogno di filosofi degni del compito di sollevare il popolo alla dignità della filosofia, e questo potrebbe spiegare la comparsa di personaggi come Lessing, Goethe, Schiller, Kant. L'arte e la scienza tentavano di unificarsi prima che i filosofi lo scoprissero.
Fichte è giustamente considerato il traghettatore romantico dalla filosofia popolare a quella che, secondo l'insegnamento di Kant, doveva abbracciare l'ambito scientifico.
Teniamo presente che fu Kant a cercare per primo di dare una spiegazione all'origine del sistema solare, ipotizzando la condensazione della materia a partire da una nebulosa primordiale. Ciò sarebbe avvenuto a causa delle forze newtoniane in azione sul pulviscolo cosmico, perciò la formazione dei pianeti ne sarebbe stata la causa. L'idealista Kant aveva così introdotto il concetto di evoluzione materiale da uno stato all'altro della natura, concetto che impiegherà moltissimo tempo ad affermarsi, anche a causa della religiosità dominante. Per la sua accettazione di ipotesi scientifiche Kant fu considerato dai romantici un filosofo all'antica.
Con Fichte diventa corrente l'utilizzo di Dio come principio unificatore della natura e, più tardi, dell'uomo con la natura. Come abbiamo visto, filosofia e scienza sembravano per un momento destinate ad essere considerate come una cosa sola, ma era un'impresa sovrumana far quadrare in un sistema unico tutte le categorie del romanticismo. Con Schelling, l'unificazione sotto il segno di Dio conduce a un panteismo di tipo nuovo, completamente diverso da quello dei filosofi francesi.
Facciamo un salto alla comparsa del Manifesto: la nostra corrente afferma che la nuova dottrina nasce di colpo, ed è vero. Non crediamo però ai miracoli, e questa comparsa non è creazione. Come nella teoria delle catastrofi di Thom, c'è un accumulocontinuo di fattori che scatenano come prodotto una soluzione discontinua, una cuspide.
Ma prima dell'avvento della nuova dottrina era necessario che la vecchia si togliesse dai piedi. Il romanticismo degenera durante l'epoca napoleonica, diventando successivamente un genuino prodotto della Santa Alleanza, in alcuni casi al limite della farneticazione.
Così l'idealismo tedesco viene ricostruito, ad opera dei posteri, in una serie molto scarna che all'epoca era invece sovraffollata e non così chiara: Kant, Fichte, Schelling, Hegel… Marx. Marx?
La nuova filosofia della natura trova più seguaci che non quella vecchia, e una selva di filosofi si fa avanti per propugnarla (cfr. elenco in appendice). Sa rimuovere le barriere provocate da fredde contrapposizioni considerando la natura come un progresso dovuto all'evoluzione della coscienza. Il mondo dunque evolve, si sviluppa con gli stessi criteri riscontrabili negli esseri viventi. Esso stesso è un essere vivente, un grande organismo. Ogni parte differenziata si identifica con il tutto. Persino il magnetismo entra nel sistema polarizzandolo, e il tutto si fonde in una unità superiore, cioè, per dirla sempre con il linguaggio d'oggi, in un tutto che è più della somma delle sue parti. L'intuizione non ebbe successo. Eppure, nel panorama dell'epoca era importante.
"More is Different" è un articolo del Nobel Philip Anderson; pubblicato nel 1972 su Science, è una trattazione scientifica sulle caratteristiche emergenti dai sistemi dinamici complessi. Oggi l'enunciato che vi è contenuto è caduto in mano a quelle correnti metafisiche convinte che il cambiamento universale sia la somma dei cambiamenti individuali. Ma all'epoca dell'idealismo romantico non poteva che essere accantonato o finire in pasto alla filosofia così com'era, senza possibilità alcuna di condizionarla. Abbiamo detto che l'illuminismo tedesco è diverso da quello francese: essendo il prodotto di una società arretrata (cfr. Marx sulla filosofia tedesca e sui tedeschi), ne è influenzato e nello stesso tempo è costretto a introdurre correttivi che non produce da sé ma acquisisce all'esterno. Così accoglie un misto di frasi romantiche, incapaci di produrre effetti, e di intuizioni importanti. Si può forse dire che in Germania l'illuminismo francese non ha trovato eredi, a parte Kant, mentre l'ideologia esasperata ha prodotto reazioni ambientali che si concreteranno nel materialismo "semplice" di Feuerbach. La presenza di Dio dappertutto, in quantità industriali, obbliga a tenerne conto. Marx rappresenterà uno sviluppo potente delle tesi di Feuerbach: egli incarnerà il materialismo "complesso" che critica le radici complesse della religione (superamento dell'illuminismo, futuro non filosofico della filosofia).
Tornando a Schelling, la sua è una "filosofia contro il concetto". Che, in quanto elemento primitivo, è il primo gradino della conoscenza e coincide con la comprensione elementare del mondo.
La filosofia del concetto è quella stessa che egli ha chiamato filosofia negativa: essa, in quanto di tipo logico-razionale, si isola dalla realtà (Wirklichkeit, la realtà operativa, quella che produce effetti). Il massimo della filosofia negativa si raggiunge quando questa è convinta di essere l'unica (es. quella di Hegel).
La filosofia positiva è invece aperta verso la sua propria realizzazione, una specie di teleologia verso la conoscenza (libertà). La filosofia positiva non esclude quella negativa, solo ne fa la propria premessa, così come di sé stessa fa la conseguenza. Quando Marx inserisce Schelling nel suo programma di lavoro (lettera al padre), lo fa come farà poco dopo, contrapponendo nella sua tesi Epicuro a Democrito. Viene perciò da pensare che la filosofia della natura di Schelling sia stata contrapposta a quella di Hegel. Così la suddetta teleologia della conoscenza (libertà), come la declinazione epicurea degli atomi, avrebbe reso possibile il cambiamento del mondo.
Nella nostra ipotesi succede a Marx che, adoperando Schelling, si renda conto che partendo da Kant per arrivare a Hegel ci si pone su di una strada che non ha gli sbocchi cercati. In una transizione arcaica come quella tedesca il materiale di studio non può essere assimilato ai risultati che si vogliono ottenere. Un po' come diceva Feyerabend: non sono un filosofo, sono uno che studia e insegna filosofia.
Schelling non può essere letto senza riferimento alla storia che lo produce. Così nel suo ultimo periodo egli preconizza una scienza unitaria che superi l'astrattezza geometrica ed assuma il carattere di conoscenza completa. Ciò deve fare anche la filosofia, per cui scienza e filosofia infine devono fondersi. Con la critica al meccanicismo cartesiano-newtoniano Schelling inaugura una corrente "vitalistica" secondo la quale la natura è un organismo vivente. Il biografo di Schelling, in questo caso decisamente schierato, descrive con enfasi ma chiaramente l'indirizzo finale del percorso romantico:
"La connessione del concetto di libertà con la veduta complessiva del mondo rimane pur sempre oggetto di una inchiesta necessaria senza la cui soluzione, vacillando il concetto stesso di libertà, la filosofia verrebbe ad essere affatto priva di valore. Poiché solo questo grande problema è l'inconscia e invisibile molla di ogni conato verso la conoscenza dal più basso fino al più alto grado; senza la contraddizione fra necessità e libertà, non soltanto la filosofia, ma anche ogni altra volontà superiore dello spirito precipiterebbe nella morte, che è propria di quelle scienze in cui essa non ha applicazione di sorta" (Losacco).
E prosegue, sviluppando il concetto di libertà, che qui è un po' diverso rispetto a quello che riscontriamo in Marx ed Engels (progetto), pur essedo sempre contrapposto a necessità:
"Se coloro che sentenziano sul realismo o se ne appropriano potessero considerare che la libertà ne è il più intimo presupposto, in che luce ben diversa lo guarderebbero e lo comprenderebbero? Solo chi ha gustato la libertà può sentire il desiderio di farle analoga ogni cosa, di allargarla all'universo intero" (Losacco).
Chi non giunge alla filosofia per questa strada seguirà il volgo e come questo agirà, senza sapere il perché. La parola libertà, che in Marx ed Engels non ha più il significato che aveva con l'illuminismo francese, può qui essere riscritta come capacità di influire sugli eventi, per cui l'uomo non è più in balìa della natura ma la comprende e la mette in sintonia con sé stesso. L'affermazione "il comunismo è il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà" è evocata dal biografo come orizzonte di un processo, al termine del quale vi è la conoscenza unificata; solo che per Schelling questa unità è un ente al di sopra di tutto, una natura-Dio che è qualcosa in più e diverso rispetto al panteismo illuministico.
Un intero capitolo sarebbe da scrivere su Feuerbach, il filosofo che seppellisce la filosofia tedesca (e quindi, secondo Marx, la filosofia tout court). Ci limitiamo a ricordare il libriccino di Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia tedesca, che inizia quasi con una rivendicazione del lavoro di Hegel e termina con la constatazione che la filosofia, dopo Hegel, è morta e sepolta.
Cacciari, Preve, Fusaro: Marx dentro l'idealismo
Facendo discendere Marx da Hegel, non si scorge la rottura che Marx rappresenta nei confronti di Hegel. Questo sarebbe banale se non entrassero in gioco pesantissime conseguenze. Infatti, se questa continuità, seppur negata (in scienza n e -n sono la stessa cosa, cambia solo il segno) fosse reale, Marx rimarrebbe all'interno dell'idealismo. Il bello è che gli attuali nipotini di Hegel trovano assolutamente normale una conseguenza del genere. Toni Negri raccomandava lo studio di Hegel per capire Marx (l'aveva detto anche Lenin). Ora, chissà perché solo Hegel e non tutto l'idealismo, compresa la sua tendenza romantica. Mentre è lecito e utile analizzare il terreno su cui nasce e si sviluppa una vegetazione che vogliamo sana e rigogliosa, è abbastanza strano studiare solo una specifica pianta per trarre da essa tutta l'informazione che ci serve per capire il ciclo vitale del complessivo sistema biologico. Del resto Massimo Cacciari e Diego Fusaro, a dibattito in una trasmissione RAI, affermano esplicitamente che Marx rimane all'interno del filone idealistico. Dice Cacciari:
"Marx non costituisce in alcun modo l'opposizione a quel sistema. In alcun modo. Marx è totalmente dentro a questo idealismo. Giustamente Fusaro dice di lui 'la forma estrema dell'idealismo tedesco', cioè è totalmente dentro questo idealismo... Il capitalismo si supererà… nel senso che la forma attuale capitalistica di produzione ha un limite. Marx critica il capitalismo, perché ha un limite. Il capitalismo, per sua natura, porta delle contraddizioni che a un certo momento lo fanno superare. Perché? Ma perché Marx parte con l'idea dello sviluppo infinito, che è contraddetta dalla struttura capitalistica che impedisce questo sviluppo infinito. Questo è Marx. Quindi, scusa Fusaro, ma è del tutto assurdo assumere oggi Marx come critica del sistema capitalistico. Marx è totalmente dentro questo sistema e va letto assieme ai Nietzsche, ecc. Il nocciolo di Marx è la critica al capitalismo, perché il capitalismo non è coerente con lo sviluppo delle forze produttive, che è per sua natura infinito. Non credo insomma che l'operazione recupero di Marx, in questa chiave anticapitalistica, funzioni minimamente."
Siccome lo sviluppo della forza produttiva sociale (questa sarebbe la formulazione corretta) è tendenzialmente infinito mentre lo sviluppo quantitativo è finito, Marx sarebbe un idealista perché si aspetta la fine del capitalismo da fatti oggettivamente interni al capitalismo. Quindi usare Marx per contestare il capitalismo sarebbe sbagliato. Ci vogliono diverse lauree (le ha) per esternare così profondi pensieri. Comunque, un favore Cacciari ce lo fa: egli ci spiega che i vari marxismi ancora legati a una continuità Hegel-Marx non hanno nulla a che fare con Marx perché non sono altro che una proiezione di Hegel ai nostri tempi. Oggi, secondo Cacciari, non esisterebbe più neanche il ricordo di una dottrina marxiana del divenire sociale, di un futuro che sorge dalle rovine del capitalismo, mentre rimarrebbero vivissime le concezioni hegeliane dello stato e del potere politico.
Diego Fusaro, interlocutore di Cacciari nel dibattito, è uno degli ultimi acquisti del club neo-hegeliano. Allievo dello scomparso Costanzo Preve, hegeliano di ferro che si definiva marxologo non marxista, ha pubblicato un significativo monologo su You Tube intitolato "Perché non possiamo non dirci hegeliani", in cui sostiene tesi simili. Risalendo alle origini, vediamo che cosa scriveva il filosofo Preve:
"Personalmente, rispetto a 'idealismo tedesco' preferisco una dizione differente, quella di 'filosofia classica tedesca'. Se accettiamo questa dizione, che comporta immediatamente un vero e proprio riorientamento gestaltico ed una diversa periodizzazione, la filosofia classica tedesca inizia con Lessing e Herder, include Kant ed il dibattito sul kantismo che ha dato origine al vero e proprio idealismo filosofico posteriore, comprende ovviamente Fichte, Schelling e Hegel, e termina storicamente con le due figure di Feuerbach e di Marx, che ne fanno parte integrante."
Qualcuno ha proposto "Civiltà romantica" invece di "filosofia classica tedesca". Non è vietato tentare il riorientamento dei significati – in effetti l'idealismo con i suoi nessi romantici è un insieme poco chiaro – ma a patto che finisca con Hegel. Feuerbach e Marx sono decisamente fuori. Eppure, Preve non era l'unico che inseriva Marx nell'alveo hegeliano, ma era l'unico che lo diceva con tale chiarezza: altri lo pensavano e lo pensano, trasformando infine Marx in un idealista. Bisogna odiarlo con impegno romantico per giungere a tanto. Sentiamo ancora la "confessione" di Preve:
"Da un lato, mi ritengo un allievo di Marx in quanto ne condivido interamente la critica radicale al capitalismo, e ne condivido anche il concetto di 'comunismo'. Dall'altro, mi considero un allievo filosofico integrale di Hegel, e ritengo che nell'essenziale su tutti i punti in cui Hegel e Marx divergono, Hegel avesse sostanzialmente ragione e Marx torto."
Hegel sì o no?
"Quanto al metodo del lavoro mi ha reso un grandissimo servizio il fatto che by mere accident mi ero riveduto la Logica di Hegel. Se tornerà mai il tempo per lavori del genere, avrei una gran voglia di rendere accessibile all'intelletto dell'uomo comune in poche pagine, quanto vi è di razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato."
Si tratta del famoso passo sul metodo contenuto nell'Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica. In tale passaggio Marx sottolinea come Hegel incorra in errore attribuendo il reale a una conseguenza del pensare. Anche con un riferimento esplicito alla presenza di Hegel nel cammino verso la dottrina rivoluzionaria, non manca la critica.
Preve aveva suddiviso in tre gruppi coloro che si interessavano del rapporto Hegel-Marx:
"Alcuni pensavano che Hegel non era necessario, anzi portava fuori strada verso la metafisica e l'idealismo, e bisognava allora liberare Marx dalle influenze hegeliane, costruendo un profilo di Marx teoricamente del tutto autosufficiente oppure integrato con concezioni 'scientifiche' non 'inquinate' dalla filosofia, e soprattutto non inquinate dalla filosofia dell'idealismo tedesco. Meglio un buon ritorno a Kant, magari integrato con la valorizzazione di Darwin, piuttosto del mostruoso incontro fra Marx e Hegel."
Quasi quasi ci riconosciamo in questa prima passata di crivello, un po' troppo precisa per essere casuale. Anche perché Preve ci aveva chiesto un incontro/confronto avendo in mente di scrivere qualche osservazione critica nei confronti di n+1. Rifiutammo il dibattito perdendo una menzione sul libro degli ospiti dell'hotel Filosofia, ma guadagnando un caffè consumato in tutta tranquillità. Preve continua:
"Altri, invece, pensavano al contrario che Marx avrebbe avuto troppo da perdere a staccarsi troppo da Hegel, e che bisognava invece valorizzare l'eredità hegeliana, salvo restando la distinzione fra il materialismo di Marx e l'idealismo di Hegel."
Bene, questo secondo gruppo comprende tutti gli ortodossi (si fa per dire) del cosiddetto marxismo-leninismo. Il terzo gruppo va adesso di moda: Marx non ha bisogno di Hegel per flirtare con l'idealismo:
"Altri infine [noi fra questi poniamo lo stesso Preve] si sono spinti ancora più in là, ritenendo che in Marx il materialismo gioca semplicemente un ruolo metaforico, ma che il tessuto teorico di Marx è integralmente 'idealista', checché ne dicano i manuali e la tradizione consolidata delle scuole marxiste."
L'assunto storico da affrontare non è "Marx allievo di Hegel" e non è neppure il suo contrario: "Marx critico di Hegel". Lasciando perdere un Marx che diventerebbe idealista per conto suo, abbiamo visto che l'idealismo classico tedesco, come dice appunto Preve, va da Lessing a Hegel, Feuerbach escluso. E quindi, a maggior ragione, escluso Marx. Le letture e gli studi del Moro non erano stati un passatempo. Sappiamo dai semilavorati che era un incredibile lavoratore e che, come dice egli stesso, se ha letto due volte Hegel, non l'ha fatto per simpatia, affinità o adesione, bensì per motivi opposti. Sappiamo per certo che le sue letture (ricostruite nel volume IV della Marx-Engels Gesamtausgabe) erano una rassegna universale dello scibile umano; e quindi ogni ricostruzione del suo percorso verso la dottrina della rivoluzione è arbitrario se non si considera che il rapporto di Marx con il mondo suo contemporaneo era un rifiuto totale a 360 gradi. Abbiamo visto, glossando la lettera al padre, che l'inizio è stato selettivo, e che la fine della selezione non lo ha però portato a mettere da parte i "preferiti": ha prodotto il salto da un'altra parte, un qualcosa di nuovo. Quindi è sbagliato sia l'approccio che, rispetto alla sua dottrina, nega l'apporto di Hegel, sia quello che lo afferma. Le due asserzioni diventano vere entrambe, se si ha l'avvertenza di prenderle insieme.
Marx non ha avuto bisogno di solerti maggiordomi per dare una ripulita alla casa della propria conoscenza. Non ha accontentato i tifosi di una tesi o dell'altra ma ha presentato un programma di ricerca teoreticamente autosufficiente. Non ha aspettato di poter dimostrare ordinatamente che il suo lavoro andava poggiato sulle basi della scienza e non ha neppure aspettato di essere pronto per discernere quali fossero nella sua epoca le concezioni del mondo che pretendevano di essere non più intossicate dalla filosofia. Ha sparato a zero sulla filosofia con proposizioni di straordinaria potenza, ma non l'ha fatto privilegiando come bersaglio una filosofia o l'altra. Del resto, ha confessato di aver civettato con la filosofia e il suo linguaggio, ma non ha mai dato segno – ad esempio – di voler tracciare una gerarchia filosofica con al vertice un Kant piuttosto che un Hegel. Naturalmente il fatto di voler dedicare il Capitale a Darwin ci indica una sensibilità verso l'evoluzione; e certamente Kant, che aveva pensato a un universo in evoluzione, era in corsia preferenziale rispetto ad altri idealisti. Marx non ha dunque accontentato coloro che, e sono i più numerosi, pensavano che un distacco da Hegel avrebbe indebolito la struttura sistemica di tutta l'opera. Non era possibile conciliare il materialismo con l'idealismo, ma era già stata escogitata una ricetta ad hoc: l'uno si poteva capovolgere nell'altro. E forse è questa ridicola formuletta che ha spinto altri, come il citato Preve, a considerare Marx non più come è inquadrato nelle sterminate pubblicazioni del tipo "Cosa ha detto veramente Marx", ma in una cornice "alternativa": un Marx semplicemente idealista, un filosofo il cui materialismo è un'allegoria della realtà, come in Fichte, quando questi affronta la ricerca sulle percezioni soggettive in quanto unica realtà che ci dà informazioni sulla natura.
In Italia Hegel non aveva avuto fortuna. Dimenticato per anni, era stato rispolverato con successo da Croce e Gentile. Da qualche decennio, avversato in qualche ambiente universitario (capostipite Martinetti, poi Galvano della Volpe e Lucio Colletti, infine i "torinesi" Bobbio, Abbagnano, Rossi, Viano, Pareyson, Vattimo…), è stato adottato dalla sinistra ex operaista e da quella anti-neoliberista.
Quest'ultima, rivendicando uno stato che si fa società per contrastare lo strapotere del capitale che tende a fissare la ricchezza in sempre meno mani, vorrebbe che, come si dice, la ruota della storia girasse all'indietro per abbandonare la sottomissione dello stato al capitale e ritornare alla sottomissione del capitale allo stato. La più chiara esposizione di questo azzardato recupero di Hegel viene da un coacervo di personaggi non sempre in sintonia fra loro ma molto presenti nel dibattito su questi temi. Oltre al citato Costanzo Preve, limpido nelle sue confuse prese di posizione, il giovane filosofo Diego Fusaro, confuso nelle sue limpide prese di posizione, ritiene addirittura che la salvezza della comunità umana (Gemeinschaft) potrà passare soltanto da un ritorno a Hegel, nel senso di ritorno alla funzione dello stato in quanto unico ente in grado di contrastare la fagocitazione della comunità da parte del capitale (Perché non possiamo non dirci hegeliani).
Costoro credono magari di essere originali; in realtà sono tornati indietro di un centinaio di anni. Quello che vogliono, non è altro che il fascismo autentico, profondo, socialista, teorizzato negli anni '20 da una serie di personaggi e movimenti in osmosi reciproca fra Europa occidentale e orientale. Fallita la rivoluzione in Occidente, s'era venuta a creare una forza immensa che avrebbe dovuto contrastare la crisi sistemica del capitalismo demandando allo stato il controllo dell'economia. Sarebbe offensivo attribuire a questi portatori di ideologia borghese anticapitalista (definizione che Diego Fusaro deriva direttamente da Hegel) l'Ur-fascismo di Umberto Eco, il fascismo dell'olio di ricino, del manganello, dell'orbace e dell'estetica imperiale. Essi in effetti, per lo più senza rendersene conto, adottano i contenuti di quel gigantesco movimento che porta il mondo intero a funzionare secondo diverse tipologie di New Deal (quella americana, italiana, tedesca, russa, giapponese, ecc. ecc.) e che produce i suoi portavoce sintonizzati invariabilmente su di una serie di parole d'ordine programmatiche: socializzazione, corporativismo, pianificazione, stato sociale, distribuzione del reddito, keynesismo. Gigantesco movimento riconducibile a una schiera di propri teorici che sono erroneamente studiati in modo separato ma che sono intimamente legati a uno stesso programma politico: Giuseppe Bottai, Albert Speer, Werner Sombart, John Maynard Keynes, Ugo Spirito, Thorstein Veblen, Howard Scott, Ludwig von Mises, Oskar Lange e l'anonima schiera dei pianificatori sovietici.
Hegel in quanto filosofo può essere dimenticato, ma dal profondo del capitalismo salgono forze che lo riabilitano in continuazione. Non è una previsione, è una constatazione.
Agnes Heller e Marx – Un esempio significativo
Perché proprio la filosofa ungherese? Perché, morto (quasi) il marxismo-leninismo, ella non è solo paradigma delle celebrazioni della rivoluzione ma anche della critica alla rivoluzione. Marx idealista, filosofo, pensatore, allievo di questo o quel maestro, tutto tranne che rivoluzionario. E non parliamo poi di "scienza della rivoluzione". Proprio su questo particolare la filosofa ci offre qualche spunto che afferriamo al volo.
"Quando cominciai a leggere Marx, diventai una vera marxista, ma critica e selettiva. Lasciai perdere il Marx economista e scelsi invece quello giovane dei manoscritti di Parigi, che profetizza il nuovo Messia, e cioè i proletari di tutto il mondo" (Cfr. bibliografia: "Forse vi suona strano…").
Una vera marxista che sceglie in Marx solo quello che le garba. Dice ad esempio che lascia da parte il paradigma della produzione. Ma qualunque cosa voglia dire, non sembra proprio che la produzione nel capitalismo sia una cosa da trascurare. Non siamo distanti, vista la scelta, dal ritratto di un Marx idealista. Ad ogni modo non ci interessa tanto criticare il pensiero dei pensatori, quanto capire quali siano i meccanismi che producono la memetica politica tanto utile all'avversario. Heller vede in Marx, naturalmente, una delle voci più radicali del pensiero moderno, anche se interpretata in modo esiziale. L'aggettivo vuol dire funesto, disastroso, dannoso. Dunque, si sa: Marx ha condotto sul capitalismo e il suo decorso una ricerca che altri hanno interpretato tanto male da fare disastri. Siamo d'accordo, ma come la mettiamo con una vera filosofa marxista che interpreta Marx facendo a meno del paradigma della produzione? È come se un vero darwinista facesse a meno della selezione naturale, come se un vero germanista facesse a meno della lingua tedesca. Comunque, la vera marxista non si ferma lì:
"Marx non è mai stato interessato alla vita politica e alle dinamiche degli Stati contemporanei, tirannici, dispotici o democratici che fossero. Quando parlava di politica, ad esempio nel suo fondamentale pamphlet intitolato Manifesto del Partito Comunista, Marx era molto interessato a elaborare una nuova filosofia della storia, mentre per quanto riguarda i programmi politici si rifaceva agli scritti di altri socialisti, principalmente francesi."
Marx rimane sempre una voce radicale ecc. anche se gli togliamo il paradigma della produzione, ma se gli togliamo anche l'attività politica gli renderemo difficile il compito di farci sapere in che cosa il suo pensiero è radicale. Nella Lega dei Comunisti e nell'Internazionale militava politicamente, gli Indirizzi per la Comune erano documenti politici, Le Lotte di classe in Francia è un libro di profonda analisi politica di eventi, idem Il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, idem buona parte delle sue Opere.
"La sola politica che lo interessasse, e appassionatamente, era la politica della trascendenza, cioè un'anti-politica. Si potrebbe dire che, da questo punto divista, si limitasse a seguire una vecchia tradizione filosofica. I filosofi, da Platone in avanti, hanno sempre amato progettare un modello di Stato ideale o di società perfetta, sperando che la loro idea potesse essere realizzata."
Radicale come Platone, rivoluzionario come un utopista, andiamo bene. Vediamo se si trova qualcosa di positivo. Marx avrebbe detto qualcosa di nuovo e di radicale non tanto con la sua visione utopica quanto sul modo di realizzarla.
"Il salto dallo stato empirico al trascendentale presuppone, o meglio implica, una svolta antropologica. Gli uomini del futuro dovrebbero essere, e saranno, del tutto diversi dall'uomo del presente.
Da un rivoluzionario radicale ci si aspetterebbe che il salto dall'empirico al trascendentale avvenga a mazzate, schioppettate, assalti, se non al cielo almeno ai palazzi della classe nemica. Macché, non ci sono classi nella trascendenza, solo unione spirituale fra l'uomo empirico e l'uomo trascendentale. L'uomo del futuro sarebbe diverso dall'uomo del presente. Ma davvero?
"Non può sfuggire qui l'analogia con l'idea kantiana secondo cui, in un futuro ancora invisibile ma possibile, ci sarà un'unificazione dell'homo noumenon e dell'homo phaenomenon."
Heller critica il nocciolo della questione politica in Marx: e quella che chiama trascendenza è in realtà il salto dal regno della necessità al regno della libertà, la fine della preistoria umana, la nuova condizione della specie. Ma l'avvento del regno della libertà sarà possibile proprio perché cambia la struttura della società umana, grazie soprattutto alla produzione materiale e ai mezzi per ottenerla (macchinismo). Grazie alla metamorfosi che vedrà l'uomo per il capitale diventare uomo per sé e per gli altri uomini, passando dalla classe per sé. Lo sappiamo che molti marxologi spargono interpretazioni "esiziali", come dice Heller, ma non ne avevamo ancora visto qualcuno che stigmatizzi l'operazione mentre la compie, come fa Heller.
Lasciamo da parte i paragrafi dedicati a spiegare cosa c'è nel Capitale di Marx, ognuno può leggervi quel che vuole, veniamo alla conclusione.
"Io intendo affermare che in quest'opera Marx ha lavorato sia come scienziato che come filosofo e che, nel complesso, il filosofo ha avuto la meglio sullo scienziato."
In che senso? Qui Heller assume l'atteggiamento che assumono tutti i filosofi di fronte alla scienza: "il pensiero è quello che conta, la scienza è la cassetta degli attrezzi. Quindi Marx è stato un buon meccanico, ha badato a viti e bulloni, leve e motori, pulegge e interruttori; ma solo come pensatore ha capito veramente come funziona il tutto ed è potuto arrivare a conclusioni molto importanti" rispetto al livello empirico. Sorvoliamo sul fatto che per Marx non ci sono livelli dicotomici:
"Effettivamente, finché si limita a parlare delle prospettive dello sviluppo del capitale su basi empiriche, tutte le sue previsioni si dimostrano vere (segue elenco)."
Dunque, siamo di fronte a uno scienziato che parte da premesse in linea con il metodo scientifico, così come si è venuto a formare in secoli di storia e giunge a conclusioni scientifiche. Abbiamo persino la verifica sperimentale degli assunti teorici, e la filosofa lo ribadisce. Ma… c'è un "Ma".
"Tuttavia, se si leggono gli argomenti empirici di Marx dalla prospettiva del piano trascendentale riscontrabile nella sua opera, si può affermare che Marx abbia avuto torto su tutto, poiché nessuna delle sue conclusioni si è dimostrata corretta."
Traduciamo: Marx ha scoperto le leggi del capitale e ha capito come funziona il sistema capitalistico, perciò ha previsto esattamente cosa sarebbe successo sul piano del suo sviluppo in quanto modo di produzione. Ma siccome da questo sviluppo si aspettava il cambiamento sociale e questo non è avvenuto, allora vuol dire che il suo sistema era sbagliato. Come lo si corregge? Unendo le due parti dicotomiche in una sola, unitaria, cioè portando nell'ambito della filosofia anche la parte scientifica, empirica. La scienza è fallibile, la filosofia no. Perché dopo un secolo e mezzo Marx e il Capitale sono ancora tanto seguiti e letti?
"Per avere la risposta a questa domanda è sufficiente considerare Il capitale come un'opera filosofica. Nessun lavoro filosofico può essere falsificato su basi empiriche. Tutti noi sappiamo di non aver visto alcuna idea prima di nascere, ma i dialoghi di Platone restano tuttora validi."
Se proprio si voleva utilizzare il criterio di Popper, una proposizione è scientifica in quanto falsificabile. Solo la possibilità di confutazione può dimostrare se la proposizione ha contenuto empirico, cioè se è in grado di far cambiare qualcosa nella realtà. Le proposizioni non falsificabili sono quelle tipiche della filosofia, nascono dal pensiero. Newton è "superato" da Einstein perché quest'ultimo ne "falsifica" la meccanica, ma la meccanica rimane alla base del mondo reale nella stragrande maggioranza dei casi. In filosofia un principio illuministico del tipo "gli uomini sono tutti uguali" non è falsificato dalla constatazione che non solo sono diversi ma vivono condizioni diverse.
"Karl Marx era un filosofo tedesco. Era un filosofo. Ogni volta che la sua filosofia è presentata come se fosse scientificamente provata, viene trasformata in ideologia. Nella terminologia di Marx: falsa coscienza".
Quindi Marx sarebbe un filosofo che analizza correttamente il mondo reale come uno scienziato e sballa tutto come filosofo. Sarebbe come dire che Galileo, o Newton o Einstein hanno avuto ragione nei loro sistemi formali ma che in realtà i corpi si muovono nello spazio-tempo come dice Hegel. Ah, les philosophes!
Il linguaggio
"Rimesso l'uomo nella natura come sua parte integrante, ci sono diventati tanto inutili la religione, che afferma Dio, quanto l'ateismo che lo nega. In pensione Dio, e la sua Negazione! Con entrambi, dal 1844, in pensione Hegel" (A. Bordiga, Tavole immutabili della teoria comunista di partito, 1958).
Con Hegel, dunque, la filosofia va in pensione. Alla fine della corsa, l'insieme dell'idealismo romantico può essere con qualche sforzo considerato coerente rispetto all'ideologia, ma per quanto riguarda il modo di esprimerla la differenza di linguaggio è tale da far pensare ad un insieme arbitrario sotto tutti i punti di vista.
"Il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso; il linguaggio, come la coscienza, nasce soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini" (Marx ed Engels", Ideologia tedesca).
Il linguaggio, in qualsiasi forma lo si adoperi, è indispensabile agli uomini per comunicare qualcosa ad altri uomini, assolve alla sua funzione quando si avvicina a una forma universale. Se quindi è vero che il linguaggio è lo specchio dell'anima, i filosofi hanno qualche problema con la loro: sono quasi tutti incapaci di usare un linguaggio "normale". L'obiezione secondo la quale non si possono spiegare cose complesse con un linguaggio semplice cade semplicemente confrontando i testi dei filosofi che scrivono in modo criptico con quelli dei filosofi che scrivono in chiaro. E ci sembra pretestuosa un'altra obiezione-giustificazione, secondo la quale la scelta del linguaggio che chiamiamo "criptico" sarebbe voluta con l'intento di dare un senso di appartenenza agli allievi di una scuola, dare un'aria di profondità ai testi attraverso l'uso di codici, creare un'atmosfera esoterica da iniziati, ecc.
Normalmente con un linguaggio involuto nella migliore delle ipotesi si dicono cose poco chiare, ma non è detto che con un linguaggio perfetto si dicano cose sublimi, e ci vengono in mente Eco, McLuhan, Morin e altri affabulatori. Hegel era uno specialista in composizioni oscure: dal punto di vista filosofico è permesso costruire linguaggi con i quali molti filosofi comunicano tra di loro. Ma dal punto di vista scientifico il gioco non funziona: quel tipo di conoscenza, basato su leggi, una volta consolidato e condiviso smaschera chiunque non adotti gli stessi criteri. È vero che la borghesia riesce a fare pasticci anche con il linguaggio scientifico, anzi anche con la sua scienza, ma l'utilizzo di un metodo, di modelli e di formalizzazioni riduce enormemente la possibilità di errore. È celebre un'osservazione di Bertrand Russel a proposito di un convegno di matematici: a quell'epoca sembra che la logica non avesse ancora un linguaggio condiviso, e quindi i convenuti non riuscendo a comunicare sullo stesso piano cadevano in fraintendimenti. Tra tutti, disse Russel, spiccava per chiarezza Giuseppe Peano, il quale stava lavorando all'elaborazione di un linguaggio formale appunto per evitare quel tipo di inconveniente.
Feuerbach afferma che il linguaggio è un mezzo povero per comunicare e la sua funzione migliore è quella di interagire con i sensi. Sembra di capire che il linguaggio avrebbe una funzione creativa quando deve sintonizzarsi con i sensi per descriverne i messaggi, non quando deve comunicare ciò che elabora il cervello. Se è così, Feuerbach anticipa i criteri di indagine delle attuali scienze cognitive, almeno quel ramo di esse non influenzato dalla metafisica.
Come se la cava Marx con il linguaggio? Da giovane parla come un filosofo tedesco, fortunatamente risparmiandoci teorie sulla preminenza del pensiero rispetto al mondo sensibile o cose del genere. La tesi di laurea è ancora scritta con un linguaggio poco "amichevole". Gli appunti fino al 1848 sono un po' più accessibili pur richiedendo uno sforzo di decodifica. I primi articoli pubblicati sono prolissi e lo stile è quello, per "addetti ai lavori", di chi ha studiato filosofia del diritto e scrive sui diritti. Ma nel 1848, come una bomba, esplode il cristallino Manifesto, un capolavoro di scienza della comunicazione. Di lì in poi la rivoluzione maturerà tutte le sue armi teoriche.
Hegel e gli elementi
La tavola degli elementi di Lavoisier fu pubblicata nel 1789. I brani di Hegel che seguono sono stati pubblicati 28 anni dopo, nel 1817.
L'aria. L'elemento della semplicità indifferenziata non è più l'identità positiva con sé, non è più quell'automanifestazione che è la luce in quanto tale; esso è ora universalità soltanto negativa, in quanto abbassata a momento di un altro corpo, a momento privo di ipseità e perciò anche grave. Questa identità, in quanto universalità negativa, è la potenza insospettata che tuttavia s'insinua nelle individualità e negli organismi consumandoli. Essa è la fluidità trasparente, passiva rispetto alla luce, ma che volatilizza entro sé ogni individualità: è la fluidità che, essendo all'esterno meccanicamente elastica, pervade ogni cosa: è l'aria.
Il fuoco. Gli elementi dell'opposizione sono in primo luogo l'essere-a-sé, non quello indifferente della solidità, bensì l'essere-per-sé sta come momento nell'individualità, come inquietudine essente-per-sé dell'individualità: il fuoco. L'aria è, in sé, fuoco (così essa si rivela quando viene compressa), ed è fuoco posto come universalità negativa, cioè come negatività che si relaziona a sé stessa. Il fuoco è il tempo materializzato, cioè l'ipseità materializzata luce identica al calore), è l'inquietudine e consunzione assoluta nella quale rientra tanto l'autoconsunzione del corpo, quanto che, per converso, la distruzione del corpo per opera di un fuoco esterno. Il fuoco è l'atto di consumare un Altro e, a un tempo, di consumare sé stesso, passando così nella neutralità.
L'acqua. L'altro elemento dell'opposizione è il neutrale, è l'opposizione tornata entro sé. Tale opposizione non ha una singolarità essente-per-sé, e quindi non ha entro sé solidità e determinazione. È un equilibrio ostante, che dissolve ogni determinatezza posta meccanicamente suo interno; esso riceve la limitatezza della figura soltanto dall'esterno, e verso l'esterno la cerca (adesione); non ha in sé stesso l'inquietudine del processo, ma ne ha assolutamente la possibilità, la dissolubilità, come pure ha la capacità di assumere la forma aerea e la forma solida, due stati che sono esterni allo stato suo peculiare, il quale è l'assenza di determinazione. Questo elemento è l'acqua.
La terra. L'elemento della differenza sviluppata e della determinazione individuale di questa differenza è l'elemento terrestre in generale, innanzitutto ancora indeterminato, in quanto differente dagli altri momenti. In quanto totalità che tiene insieme in unità individuale gli altri momenti diversi, però, l'elemento terrestre è la potenza che li convoglia nel processo e che sostiene questo processo.
Filosofi e artisti-filosofi tedeschi del periodo trattato
Arnim Ludwig Achim
Ast Georg
Baader Franz
Basedow Johann Bernhard
Brentano Clemens Maria
Brentano Franz
Carus Karl Gustav
Chamisso Adalbert von
Creuzer Friedrich
Eberhard Johann Augustus
Eichendorff Joseph
Feuerbach Ludwig
Fichte Johann Gottlieb
Fries Jacob
Gedike Friedrich
Goethe Johann Wolfgang
Görres Joseph
Hamann Johann
Hegel Wilhelm Friedrich
Heine Heinrich
Herder Johann
Hoffmann Theodor
Hölderlin Friedrich
Jacobi Kielmayer
Kant Immanuel
Köppen Karl Friedrich
Krause Karl
Leibniz Gottlieb Wilhelm
Lessing Gotthold Ephrahim
Mendelssohn Moses
Nicolai Christoph Friedrich
Novalis
Oken Lorenz
Schelling Friedrich
Schiller Friedrich
Schlegel August
Schlegel Karl Friedrich
Schleiermacher Friedrich
Schopenhauer Arthur
Solger Karl Wilhelm
Tieck Ludwig
Wachenroder Heinrich
Wolff Christian
LETTURE CONSIGLIATE
- D'Alembert Jean Baptiste, Diderot Denis, Encyclopédie, edizione integrale in CD con planches, Redon.
- Anderson Philip, "More is different", Science 4047, Aug. 1972.
- Boniolo, Dalla Chiara, Giorello, Sinigaglia, Tagliagambe, Filosofia della scienza, Cortina editore.
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