Plaidoyer per il cemento
"Allorché l'impresario fabbrica per vendere direttamente vuole fare lo stesso edifizio con poco ferro e poco cemento, e le sezioni vanno resecate all'osso. Quando l'impresario lavora a misura, perché il pubblico paga, allora avanti tutto impone alla 'scienza' di provare che bisogna appesantire e ingrossare pilastri o travi o altro, perché la massa della commessa aumenti, e poi perché nelle forme massive il costo della unità di misura è minore, e maggiore il margine di guadagno. Infine impone per economia delle forme e dei magisteri la uniformità, la standardizzazione dei tipi, e se venti membrature sono in venti condizioni meccaniche diverse, se le fa calcolare tutte compagne. Così il triviale cubo è nato e trionfa" (Prometeo, serie II, n. 3 e 4 del luglio-settembre 1952).
La vicenda del ponte disastrato di Genova ci invita a riprendere vecchi temi sempre attuali. Sul n. 2 della rivista, ad esempio, era comparso, diciotto anni fa, un articoletto di un paio di pagine (Il paradigma del ponte alluvionato) dal quale possiamo trarre qualche spunto a sua volta riferibile ai testi elencati in bibliografia.
Per iniziare, è utile raccogliere il materiale prodotto da un ingegnere che non dava troppa importanza alla differenza fra ingegneri e architetti, cioè fra calcolatori e artisti, come si usa oggi. Amadeo Bordiga si basa su di un dato di fatto: è il capitalismo che impone al cemento armato di limitarsi all'edificio cubo-parallelepipedale, mentre la materia cementizia di per sé permette un'infinità di forme. Con il parallelepipedo è il trionfo della trave: caricata di punta (pressione) o perpendicolarmente all'asse o di sbalzo (flessione), presenta sempre le stesse caratteristiche a parità di materiale. Per il calcolo bastano delle tabelle. Invece per forme complesse (se Amadeo avesse visto qualche realizzazione dei decostruzionisti l'avrebbe apprezzata) le difficoltà di calcolo sarebbero enormi se non ci fossero i computer (ma forse non si calcola tanto come si dice, un po' si va a occhio; la mirabile rampa del Lingotto a Torino è del 1916-1923, sarà stata calcolata?). Quindi: palazzi o abitazioni "comuni" = parallelepipedo: architettura firmata = forma libera. (ma molta architettura firmata è a travi ortogonali, parallelepipedi forse estetici, ma sempre parallelepipedi). Bordiga si scaglia contro il palazzo dell'ONU progettato da Le Corbusier non solo perché parallelepipedale ma perché ultra-dissipativo, essendo sottile di pianta e fatto di acciaio e vetro. Vincerà poi la gara Oscar Niemeyer, realizzando… un parallelepipedo a pianta sottile di acciaio e vetro. Anche gli archistar soggiacciono alla dittatura del massimo profitto con il minimo di impegno.
Ieri
Quando non esisteva la divisione sociale del lavoro
Come giustamente si rileva nei testi di storia dell'architettura, un tempo quelli che oggi chiamiamo architetti e ingegneri erano "costruttori" universali: partivano dal disegno, realizzavano modelli in scala e finivano personalmente in cantiere. Alla divisione del lavoro si è giunti più tardi, e comunque ancora oggi nel caso di certe opere non è visibile il confine tra l'apporto dell'architetto e quello dell'ingegnere, le due figure si fondono in una sola. Il costruttore antico non aveva grandi possibilità di calcolo: procedeva per prove ed errori cercando di non ripetere questi ultimi.
Nel III millennio a.C. Imhotep, costruttore sotto il faraone Gioser, si era ritrovato con alcuni problemi di ingegneria: la famosa piramide a gradoni, costruita con pietre squadrate grossolanamente, ad un certo punto crollava sotto il suo stesso peso. L'architetto si fuse con l'ingegnere: squadrando meglio le pietre, le spinte si distribuivano e la piramide è ancora lì. L'appellativo completo di Imhotep è significativo:
"Cancelliere del faraone d'Egitto e a lui solo secondo, medico, amministratore del Gran Palazzo, erede dei nobili, sommo sacerdote di Eliopoli, architetto, capo carpentiere, capo scultore e capo vasaio."
In realtà, nella società del III millennio a.C. non esistevano "mestieri" come li intendiamo oggi: Imhotep fu divinizzato per i servizi resi, era di famiglia influente, ma avrebbe potuto essere un ex contadino: nelle società senza proprietà, la frattura tra divisione tecnica e divisione sociale del lavoro non era ancora evidente, la mobilità sociale tra quelle che erano ancora proto-classi era elevata.
Qualche decennio dopo la costruzione della prima piramide, sotto il faraone Snefru, ne crollò un'altra: il committente era un po' megalomane e ne stava facendo costruire tre (cosa che fa meditare sulla loro funzione); quando crollò la prima, a pietre ben squadrate ma a pareti troppo ripide, fece diminuire l'inclinazione di quelle della seconda piramide che era contemporaneamente in costruzione, così che quest'ultima ebbe una doppia inclinazione ("romboidale"). Per la terza provvide a che fosse poco inclinata onde prevenire sorprese. Mancando ogni possibilità di calcolo sulla resistenza dei materiali, e non potendo fare modelli a scala naturale (già Galileo aveva notato la differente risposta alle sollecitazioni in manufatti piccoli e grandi) era inevitabile accumulare conoscenza solo attraverso esperienza. La piramide del figlio di Snefru, Cheope, alla fine risultò perfetta: la base sopporta da 4.500 anni un peso di alcuni milioni di tonnellate senza problemi. A forza di provare, sbagliare e rifare, gli egizi diventarono superbi costruttori, anche se il canone consolidato non prevedeva l'arco, soluzione più tarda che avrebbe permesso grandi prestazioni con minori quantità di massa. O meglio, conoscevano l'arco ma lo utilizzavano unicamente per scopi utilitaristici come le volte a botte di mattoni crudi di magazzini e locali di servizio.
L'umanità costruiva allora edifici che oggi sembrano impossibili. Quando una costruzione era per dimensioni o altro ai limiti delle possibilità, i costruttori non si fermavano di fronte alle difficoltà e accumulavano esperienza, creavano nuovi standard. Oggi gli edifici crollano non a causa di ignoranza sulla tenuta dei materiali. Oggi crollano perché il profitto vince su tutto. Il citato stabilimento Fiat del Lingotto è stato iniziato un secolo fa e non sembra che sia in cattiva salute. Probabilmente il livello di corruzione affaristica era più basso di oggi.
Anche in civiltà antiche diverse dall'egizia si andava avanti per prove ed errori, finché non si trovava la soluzione, e allora la costruzione era affrontata secondo un canone. L'estetica e il simbolismo c'entravano, ma meno della struttura. I Mesopotamici costruivano soprattutto in mattoni crudi riservando quelli cotti alla copertura esterna per evitare l'erosione. L'arco era conosciuto, ma sembra che venisse utilizzato solo come decorazione architettonica. Dalla Persia arrivò in Mesopotamia l'arco parabolico. In Iraq è rimasto un solo esempio di volta ad arco parabolico monumentale. È di epoca sassanide, quindi molto tarda (palazzo di Cosroe 501-579 d.C.). I Greci, tranne che per rarissime eccezioni, non hanno costruito edifici o ponti in muratura con archi, ma con architravi rettilinei, e viadotti a trave di pietra lunghi pochi metri.
Le civiltà precolombiane usavano ponti sospesi di corda. Quello sospeso è il ponte che più ottimizza il rapporto portata/massa, ma è da escludere che i precolombiani l'avessero adottato per considerazioni del genere: erano casi in cui contavano molto i materiali che si trovano in natura.
Una civiltà basata sull'arco a tutto sesto
La rivoluzione della tecnica che permise la costruzione dei grandi ponti venne con le strade consolari di Roma e il loro sviluppo imperiale. Stabilito che l'arco a tutto sesto era una soluzione semplice, robusta e adattabile a situazioni diversissime, si può dire che l'attività edilizia romana si basò sul canone dell'arco, usato non solo per i ponti ma come base di tutta l'architettura, dalle case d'abitazione agli anfiteatri, dagli acquedotti ai templi. Per quanto riguarda specificamente i ponti, si sono conservati capolavori di ingegneria sia a luce unica (Pont Saint-Martin, in Italia) che ad arcate multiple (Pont du Gard, in Francia). Il ponte di Traiano sul Danubio era un'opera di arditissima ingegneria: grandi arcate di tronchi d'albero con una luce di 50 metri, poggianti su 20 pilastri per una lunghezza di 1.135 metri, una larghezza di 15 e un'altezza di 20. Una sfida anche all'ingegneria d'oggi, con tutti i suoi potenti mezzi.
Il ponte dell'antica Roma era costruito per durare, come la strada. La tecnica dell'arco è la più efficace per una struttura che lavora a compressione. Qualunque peso (esterno, ma anche il peso proprio) applicato all'arco viene scaricato sulle basi, nel caso del ponte le fondazioni, quindi la parte più resistente. La pietra – lavorata leggermente a cuneo in modo da ottenere la curvatura e quindi la distribuzione delle forze di carico – garantiva la durata della struttura ed era anche solitamente il materiale più solido estratto in loco. Tra i conci non veniva aggiunta la malta perché la compressione e quindi l'attrito tra i blocchi permettevano già una solidità perfetta. Pur essendo estremamente pesanti (il carico massimo sopportato era sempre molto inferiore al carico del peso proprio), i ponti romani hanno fatto risparmiare migliaia di tonnellate di materiale per massicciate stradali. Teniamo presente che il carro pesante romano non aveva il timone e quindi non sterzava, poteva affrontare solo curve non pronunciate. I ponti romani non solo si sono conservati ma in alcuni casi sopportano il traffico moderno.
Per raggiungere questa robustezza, lo spigolo dell'arco verso le teste di ponte era ottenuto con blocchi alternati lunghi e corti per legare i materiali. Se gli appoggi delle teste lo permettevano (ad esempio se erano di roccia consistente), l'arco veniva ribassato per alleggerire la struttura (e usare meno pietra o laterizi). La spinta così creata si scaricava lateralmente (guardando l'arco) sulla roccia, scolpita per ricevere dei cuscinetti a cuneo che adattavano l'arco all'appoggio. Nei ponti di grandi dimensioni venivano realizzate costolature interne che con l'arcata formavano lo scheletro poi riempito con calcestruzzo. La precisione dei tagli dei conci aumentava la solidità e quindi la durata. Buona parte della solidità meccanica era dovuta alla precisione con cui venivano tagliate e accoppiate le pietre.
Il calcestruzzo romano era costituito da calce, cementizio (pezzi di pietra grossi e piccoli per risparmiare legante) e pozzolana. Questa ghiaia vulcanica permetteva di ottenere un calcestruzzo dotato di una resistenza altissima agli agenti atmosferici. Molto più debole rispetto al calcestruzzo armato moderno dal punto di vista meccanico, ma decisamente più resistente alla corrosione. Infatti, non era usato tanto per costruire strutture murarie di sostegno quanto gli archi o le cupole che vi si appoggiavano. La cupola del Pantheon di Roma, la più grande del mondo in muratura tradizionale, è costruita con materiale più leggero man mano si sale verso il culmine. Ha mostrato segni di cedimento già durante la costruzione, prontamente riparati (prova ed errore: probabilmente l'esperimento estremo prima del collasso), ma alla fine si è dimostrata straordinariamente robusta.
L'arco veniva usato dai romani anche in situazioni architettoniche estreme: veniva cioè ribassato fino a rappresentare solo una parte del semicerchio classico, sfruttando in tal caso le spinte laterali. In alcuni casi si utilizzava la tecnica dell'arco per costruire architravi rettilinei (cfr. sala ottagonale della Domus Aurea a Roma).
OGGI
È colpevole il cemento armato?
Invece di "cemento armato" bisognerebbe dire "calcestruzzo armato" o meglio, "conglomerato cementizio armato", ma adoperiamo la dizione classica. Il ponte Morandi era un'opera di ingegneria non da poco. Dovendo superare la valle del Polcevera senza interrompere la ferrovia che la percorre, era stato progettato con pile di cemento armato classico, un impalcato orizzontale a sbalzo realizzato con la tecnica del cemento precompresso e stralli (ricoperti). La tecnica del precompresso si basa su un principio semplice ma che richiede lavorazioni complicate. Come abbiamo visto, il cemento regge benissimo le spinte in compressione, regge un po' meno le spinte in flessione, regge malissimo le sollecitazioni a trazione, che nei calcoli vanno rapportate a zero. Il Ponte Morandi aveva sollecitazioni di tutti i tipi, ma ne aveva non poche in trazione. Le fotografie del crollo mostrano chiaramente le sezioni delle travi e degli stralli con le guaine per i cavi d'acciaio che avrebbero dovuto compensare le debolezze intrinseche del cemento in flessione e soprattutto in trazione. La tecnica del precompresso in pratica non è altro che un modo di far lavorare il cemento sempre al massimo della compressione riducendo quindi quasi a zero la presenza di trazione, la condizione in cui offre le migliori prestazioni. In pratica si imbottisce la trave con trecce di acciaio speciale che vengono messe in trazione con dei martinetti idraulici di grande potenza. (Nel caso del ponte si tratta più precisamente di "post compressione" perché la tensione nei cavi intrecciati viene effettuata quando il cemento è già indurito). La trave così trattata si comporterà come se fosse caricata in pressione anche se lavora in trazione, cosa che normalmente non dovrebbe fare mai. L'effetto dipende dal carico dato all'acciaio nella preparazione, cioè dalla norma presa in considerazione per il calcolo. Anche la posizione dei martinetti idraulici può variare per generare dei movimenti di flessione in opposizione alle flessioni provenienti dall'esterno. Naturalmente questa è una semplificazione estrema, che ci serve ad evitare che si faccia il processo al materiale evitando la critica fondamentale al modo in cui la società capitalistica ne fa uso. Il cemento armato, se utilizzato bene, è un materiale versatile e controllabile.
Oggi nei calcoli si prenderebbero in considerazione anche la viscosità del materiale e la "fatica". La viscosità del cemento in particolare è legata all'acqua presente nell'impasto, che evapora o si muove in modo non omogeneo nella struttura per un tempo dato. Questo movimento, insieme alla fatica dovuta al passaggio di un traffico enormemente superiore al previsto, provoca delle fessure o delle variazioni nell'equilibrio chimico del materiale. Il quale può quindi perdere progressivamente le sue qualità meccaniche, la sua resistenza e portare al degrado irreversibile della struttura.
Ora, si sono innalzate lodi al boom economico che ha colato miliardi di metri cubi di cemento e acciaio su tutto il territorio; si sono innalzate critiche per il criminale cemento devastatore del paesaggio; si re-innalzano lodi al cemento quando a colarlo sono architetti o ingegneri famosi; si ri-criminalizza il cemento quando l'opera d'arte crolla miseramente uccidendo. Ma non è il materiale che uccide, è il suo utilizzo a fini di profitto. Se si abbandonasse l'edilizia standard, quella che ha imposto materiali a moduli e il loro uso canonizzato, ci si potrebbe lanciare in costruzioni meno squallide del decantato parallelepipedo in cui si sono "insardinate" milioni di persone:
"Si vedrebbero scaturire strutture e membrature movimentate, curve, slanciate, a sezioni mutevoli, in una fecondità senza limiti. Gli aggetti, gli sbalzi, che realizzati con la antica muratura a pietra da taglio nei monumenti insigni destano la meraviglia nelle descrizioni, come quella di Hugo per Notre Dame de Paris, fiorirebbero facili e nuovissimi dai fianchi delle costruzioni, archi audaci e sottili diverrebbero possibili, nuove sagome come per incanto sorgerebbero..."
E questo sarebbe il rude ingegner Bordiga. Tranquilli: la poetica della forma che si libera dall'ortogonalità nasconde una sfida: il cemento va armato con il tondino di acciaio, il quale esce rettilineo dai treni di laminazione. Rettilineo come le travi del parallelepipedo. Per costruire forme secondo una fecondità senza limiti bisogna eliminare i limiti. Il tondino rettilineo dovrebbe essere piegato per seguire le forme, saremmo di fronte a sculture fatte a mano, cosa pensabile soltanto in una società senza la legge del valore (esistono statue di cemento armato in cui il tondino è sostituito da una griglia sagomata).
Il ponte Morandi era un capolavoro dell'ingegneria… al modo borghese. Sarebbe lungo elencare con ordine tutto ciò che gli organi di informazione hanno diffuso spizzicando qua e là nella documentazione ufficiale. È certo che le inchieste hanno rilevato gravi carenze costruttive, confermate anche dallo stesso progettista. La corrosione dalla parte del mare, dovuta all'aria salina, poteva essere evitata o mitigata con la qualità dell'impasto. Ma i danni maggiori sono derivati soprattutto dalle sollecitazioni abnormi che la struttura ha dovuto subire: nata per un traffico di 6.000 veicoli al giorno, oggi ne sopportava 160.000, compresi i veicoli pesanti che rappresentano il 95% del movimento merci in Italia.
"Il colpevole non è dunque il nuovo materiale, o le regole della sua meccanica matematica da cui si traggono volta per volta le prescritte misure esecutive. Colpevole è il tornacontismo speculativo, il conto economico in termini mercantili, che vuole ridurre la spesa di esercizio per esaltare il profitto, ridurre quella di impianto per alleggerire l'anticipazione e l'interesse passivo. Il calcolatore del cemento armato non è dunque il deus ex machina del moderno mondo delle costruzioni. Egli è un povero ruffiano che deve vendersi nelle più diverse direzioni, e la dittatura è in due mani. Un poco in quella dell'architetto e decoratore che deve attirare l'acquirente borghese e parvenu… L'altra dittatura, la decisiva, appartiene all'imprenditore capitalistico che vuole, siamo lì ancora, abbassare il costo." (Il criminale cemento armato).
Il ponte come resistenza alla natura
Questa non è apologia di reato attraverso la lode al cemento. Allo stesso titolo potremmo parlare di altri eccellenti materiali da costruzione, prima di tutto il legno dalle ineguagliabili proprietà fisiche, ma anche la pietra e il mattone e perché no, il ferro. Un utilizzo oculato dei materiali, adoperati per ciò che di meglio possano offrire, non sarebbe che applicazione di esperienza empirica accumulata, rinvigorita con la scienza dell'industria e con il calcolo. In fondo l'edilizia è una delle più antiche attività umane. Edificavamo già nella preistoria.
Tra tutte le realizzazioni dell'edilizia, dall'antica Roma in poi, il ponte è quella che simboleggia meglio la società che lo costruisce. Ponte vuol dire prima di tutto rete stradale, ma anche acquedotto, ferrovia. Il ponte è in genere costruito per attraversare un fiume, o comunque una valle, luogo dove la natura, con i suoi tempi, modifica il paesaggio con alluvioni, frane, erosioni, dove cioè abbiamo visto scatenarsi periodicamente un'energia cinetica in confronto alla quale quella che può mettere in campo l'uomo è ben poca cosa. Il ponte antico era sovradimensionato per resistere alla forza della natura, era costruito dove questa si manifestava con minore violenza, resisteva ad essa con la sua massa che si legava alle sponde rocciose o al fondo pietroso degli alvei. Il ponte ad arco permetteva il passaggio delle imbarcazioni quando il trasporto fluviale era molto sviluppato. Il ponte moderno, al contrario, si alleggerisce per allontanarsi dagli elementi scatenati della natura, dal fondo valle dove scorrono le alluvioni o precipitano le frane. È un ponte sempre più alto sul fondovalle che deve scavalcare (è stato superato il mezzo chilometro). Questo fa sì che, laddove tali eventi si verificano con maggiore frequenza o intensità, il ponte può risultare non correttamente dimensionato e crolla. E crolla anche per il motivo opposto, quando per risparmiare sulla lunghezza della luce, sulle opere di terrazzamento e per le spallette si costruisce in basso, vicino all'acqua, dove la valle si restringe e il risparmio è assicurato.
Tecniche costruttive d'avanguardia
Diverso il discorso per le grandi opere. Se alla base dei disastri ci sono sempre gli stessi motivi, in pratica la necessità di risparmio sul capitale anticipato, la grande realizzazione di ingegneria soffre di un difetto intrinseco, che è quello del record, della competizione. La grande opera viene progettata e realizzata, allo stesso modo di tutte le altre, secondo i suddetti criteri capitalistici. In caso di disastro, come sempre, si risponde moralisticamente tirando in ballo speculazione, errori di progetto o irregolarità nell'esecuzione. La differenza sta nel fatto che la grande opera viene progettata e realizzata con i criteri che in quel momento sono considerati all'avanguardia fra le tecniche costruttive. Ciò comporta un grado di incertezza paragonabile a quello constatato durante la costruzione delle piramidi, per la semplice ragione che la tecnica costruttiva all'avanguardia non può avere alle spalle una estesa verifica sperimentale. Quando fu costruito il Ponte Morandi, all'inizio degli anni '60, la tecnica del cemento precompresso era stata omologata da poco, anche se c'erano state realizzazioni precedenti, e comunque presentava ancora problemi di calcolo. In seguito si è rivelata efficace, ma il ponte è stato costruito prevalentemente su ipotesi teoriche. Si può essere certi che saranno stati eseguiti modelli matematici e costruiti modelli in scala, che saranno state valutate molte incognite e che saranno stati utilizzati i migliori materiali: di fatto la morfologia del paesaggio e il fondo valle abitato con snodo ferroviario ecc. hanno imposto prima un ponte per evitare il collasso del traffico, poi un ponte monumentale per le dimensioni del tratto da superare e infine un ponte costruito con tecnica aggettante, dato che esisteva il materiale adatto. O perlomeno che si è considerato adatto. Il maggior pregio del cemento precompresso è la costanza strutturale dei manufatti, quasi totalmente realizzati in fabbrica con metodi e materiali costanti. Ma per il ponte Morandi non si è proceduto alla fabbricazione di travi o parti prefabbricate da montare: gli aggetti sono stati realizzati mediante colate eseguite direttamente sul ponte in costruzione.
Si è trattato di un comportamento temerario, dato che veniva a mancare il pregio maggiore del precompresso, la standardizzazione delle caratteristiche. In pratica il ponte è stato costruito come pezzo unico applicando una tecnica da produzione in serie. Sembra infatti che in uno degli stralli, i tiranti che contribuiscono a sostenere il piano stradale, la gettata di cemento sia stata difettosa, per cui si è formata una bolla che ha indebolito questa parte vitale dell'intera struttura.
L'architetto Renzo Piano ha presentato una possibile soluzione per il ripristino della viabilità dopo il crollo del ponte. Dal modello sembra di capire che saranno utilizzati pilastri e travi di cemento precompresso in fabbrica e non sul posto. Come abbiamo visto, questa è la soluzione più razionale e sicura per via della qualità standard ottenibile, sempre ovviamente che si adoperino materiali e metodi in grado di fornire caratteri costanti.
Dall'acciaio al cemento
Nell'epoca della rivoluzione industriale spadroneggiava l'acciaio. La Torre Eiffel è il monumento di quell'epoca: traliccio liberty alto 300 metri, ricorda che c'è stato un tempo della siderurgia, cioè del carbone e del ferro. I ponti più spettacolari erano costruiti in acciaio, sospesi a cavi che poggiavano su torri gigantesche. Il cemento armato sostituì l'acciaio abbastanza tardi (inizio '900), e non per tutte le costruzioni: i grattacieli continuavano ad avere un'anima metallica. Dopo la guerra il cemento armato fu alla base dell'espansione di città con decine di milioni di abitanti. Non si sa ancora in che stato siano gli esili pilastri dei milioni e milioni di condomini, ma si sa bene in che stato sono tutte le costruzioni di cemento allo scoperto. Ora, la curva che rappresenta il numero delle strutture da demolire non potrà che impennarsi col passare degli anni in modo esponenziale per tre motivi: 1) è cresciuta in modo esponenziale la costruzione di manufatti per tutto il periodo del boom economico; 2) i manufatti invecchiano; 3) i danni del tempo nelle strutture di cemento armato sono incrementali.
Assisteremo quindi a una moltiplicazione di eventi catastrofici che lo stato non potrà prevenire se non con una costosissima campagna permanente di monitoraggio e demolizione. Per farsi un'idea di cosa significa già oggi una simile campagna, basta andare su YouTube e digitare "demolizione viadotti": la quantità di filmati sulle demolizioni di viadotti che sembrano nuovi è impressionante.
Al di là delle spettacolari demolizioni a colpi di dinamite, sono già stati smontati molti viadotti minori che scavalcano le strade che intersecano le autostrade. Senza troppo rumore, ad esempio, sull'autostrada A14 Bologna-Taranto gran parte delle strutture di cemento armato ha lasciato il posto a quelle di acciaio. Di cemento armato è anche la finitura delle gallerie e, secondo le cifre pubblicate dopo quanto successo a Genova, la particolare conformazione del territorio in Italia ha fatto sì che oltre il 12% dell'intera rete autostradale fosse costruito in opere sopraelevate e gallerie, con 4.200 grandi opere, 9.000 opere di normale ingegneria e decine di migliaia di opere di servizio, specialmente per il deflusso delle acque.
Dopo il crollo del ponte Morandi (e altri meno spettacolari) le nostre osservazioni sul rapporto fra capitalismo e attività di costruzione, fra entrambi e manutenzione possono essere precisate: al capitale non solo non conviene l'ordinaria manutenzione, ma non può dedicarvisi razionalmente. Adesso sappiamo che il cemento armato si demolisce o crolla. È solo una questione di tempo: fino a pochi anni fa la durata delle opere in cemento armato non era oggetto di considerazione, oggi per le opere all'aperto si parla di cinquant'anni, anche meno in presenza di condizioni ambientali severe. La serie impressionante di filmati sulle demolizioni reperibili su YouTube, cui abbiamo accennato, non è altro che la premessa di quanto succederà ai manufatti di cemento armato nel prossimo mezzo secolo (ammesso che il capitalismo duri ancora tanto).
L'opera edilizia in quanto meraviglia
Nel 2016 uno studio dell'Università di Genova sulla manutenzione del ponte sottolineava che i costi per gli interventi giornalieri stavano superando quelli per l'ammortamento di un ponte nuovo. Certamente al singolo capitalista che abbia vinto un appalto conviene che la manutenzione si prolunghi nel tempo, specie se è lo stato a pagare, situazione che diventa pilotabile con la corruzione ecc. Ma per il capitalismo considerato nel suo insieme la costruzione è tutto, dopo la consegna della merce il capitale si volge altrove. Come diceva Schumpeter, il capitale è "distruzione creatrice". Era il 1942, la distruzione era in corso, la creazione sarebbe venuta dopo.
Da qualche anno i ripetuti incidenti hanno stimolato lo studio dei fattori di degenerazione del cemento armato. Probabilmente non sarà possibile eguagliare la durata dei sistemi costruttivi classici (pietra, mattoni, persino legno, come dimostrano le chiese millenarie norvegesi), ma la conoscenza del problema vuol dire possibilità di soluzione. Nonostante tutto si continua a costruire in cemento armato come si è sempre fatto, anzi il gigantismo competitivo ha condotto alla costruzione di "monumenti" all'ingegneria come i ponti o viadotti di:
- Millau in Francia (piloni in cemento con stralli, altezza 336 metri);
- Yaviz Sultan Selim a Istanbul (cemento, cavi e stralli, 322 metri);
- Isola di Russkij in Russia (cemento, cavi e stralli, 321 metri);
- Beipanjiang, Cina (cemento e stralli, altezza dal fondovalle 565 metri).
Una considerazione non secondaria: lo scopo di queste straordinarie realizzazioni è esclusivamente il risparmio di tempo negli spostamenti da un luogo all'altro. Non esiste altra motivazione, a parte l'effetto collaterale che l'investimento per risparmiare tempo è maggiore del valore complessivo in tempo risparmiato. Scavare buche al solo scopo di riempirle di nuovo, diceva Keynes degli investimenti "produttivi".
Manutenzione e demolizione
A proposito di manutenzione: il ponte Morandi era tenuto in manutenzione perpetua. Altri ponti sono stati spietatamente demoliti. Quale può essere il criterio che fa scegliere una soluzione o l'altra? Le opere edilizie sono costruite in quanto merci come le altre, immesse sul mercato e vendute in cambio di denaro come le altre. Una volta venduta l'opera, essa cessa di essere merce come le altre e diventa produttrice di rendita, al pari di un terreno o una miniera. Da quel momento va a consumo. Una grossa differenza è riscontrabile fra le opere private e quelle pubbliche. Se un'impresa vince l'appalto per la manutenzione delle autostrade di un paese, avrà un profitto stabilito per contratto (in genere vantaggioso a causa di fattori extraeconomici del sistema, come concessione attraverso mazzette ecc.). Un condominio ha svolto la sua funzione capitalistica una volta che l'impresa l'ha venduto: dopo sono soltanto grattacapi per il proprietario o l'affittuario. L'economia in generale è avvilita dal sistema delle concessioni su ex merci passate alla rendita, mentre è rinvigorita attraverso il sistema della produzione ex novo. Occorre ricordare che la rendita non è altro che una ripartizione del profitto e che, in quanto tale, ha effetto depressivo sull'accumulazione.
Non ci sono solo acciaio e cemento
Ci sono anche sabbia e ghiaia. Si trovano nel letto dei fiumi, anzi, si trovavano, perché diventano sempre meno accessibili, specie la sabbia. Tant'è vero che oggi la si preleva con frequenza crescente dalle spiagge marine. Israele ha distrutto alcuni suoi litorali e adesso acquista sabbia dalla Turchia. Di fronte a fenomeni più vistosi, questo passa inosservato, ma è un piccolo disastro ambientale. Parliamo di cemento, e allora bisogna ricordare che per fare il cemento armato occorrono 1 parte di cemento e 7 parti di sabbia e ghiaia. Sono ben 40 miliardi di metri cubi all'anno di sola sabbia. Materia prima che è diventata la seconda più sfruttata del pianeta. Al primo posto c'è l'acqua.
La maggior parte della sabbia usata nel mondo proviene ormai dal mare. Quella del deserto non va bene, ha i granuli vetrosi e sferici, abbassa troppo la qualità del cemento. Quella di mare però è salata e non si può usare così com'è: corrode dall'interno del cemento i tondini di ferro, bisogna lavarla. Ma non ci sono controlli per appurare se ciò avviene. Alcuni paesi si stanno vendendo le spiagge. L'Indonesia ha fatto sparire alcune isole. L'India e alcuni paesi del Sud-Est Asiatico hanno formato cartelli per il controllo del contrabbando di sabbia. La sabbia serve anche alla produzione del vetro, di cui ogni finestra è dotata e di cui ogni grattacielo o grande palazzo fa sfoggio con lastre di grandi dimensioni e notevole spessore. E ancora, la sabbia serve per i vetri degli schermi, e questi si contano ormai a decine di miliardi, tra computer, tablet, smartphone, televisori. Dalla sabbia si può ricavare anche il silicio dei microprocessori.
Il settore edilizio è voracissimo: consuma il 50% delle risorse naturali sfruttate dall'uomo e dissipa il 40% dell'energia totale. La Cina da sola usa il 60% del cemento che si produce nel mondo (4,5 miliardi di tonnellate). Il ponte Morandi aveva un volume di 80.000 metri cubi, di cui 12.000 di cemento e acciaio e il resto conglomerato. Si può facilmente intuire quanto sia importante la sabbia per la definizione delle caratteristiche di tutta la costruzione.
Progetto e forma
In una società libera dal capitale le tecniche costruttive non avranno i limiti posti in questa. Limitarsi alle forme geometriche del razionalismo, qualunque sia la valutazione "artistica" che voglia nobilitarlo, sarà impensabile, anche perché saranno utilizzati materiali diversi rispetto a quelli odierni. Abbiamo visto quali opere di ingegneria fossero possibili già nell'antichità con l'uso del legname. Oggi il legno lamellare, la progettazione computerizzata e la realizzazione di forme complesse mediante macchine a controllo numerico rendono perfette le costruzioni in questo materiale rinnovabile. Ma anche il calcestruzzo armato può fare a meno dei limiti imposti da questa società. Architetture ardite come quelle di Zaha Hadid, scomparsa due anni fa, sono possibili oggi per edifici simbolici, in genere costruiti con capitale pubblico o con capitale di grandi gruppi industriali, banche, ecc., quindi con una relativa libertà di spesa; ma sono comunque realizzabili. L'architetta ricordata, in particolare, grande ammiratrice di Nervi, utilizzava calcestruzzo fibrorinforzato. Questo materiale è costituito da una normale matrice di calcestruzzo (cemento, sabbia, ghiaia e acqua) nella quale, invece dei tondini rettilinei di acciaio, viene immerso del materiale fibroso discontinuo, cioè a fiocchi, e che può essere acciaio, fibra di vetro, plastica, ghisa. In tal modo si ottiene una resistenza maggiore nelle sollecitazioni a trazione e flessione. Si ha così un materiale molto adatto ad ottenere forme complesse senza che ne soffra la resistenza alla compressione. In pratica si ottiene a livello di reticolo microscopico ciò che si ottiene con le barre a livello macroscopico.
La ricerca di nuove forme e di nuovi materiali che le rendano possibili si è imposta con la corrente "decostruttivista" di cui Zaha Hadid faceva parte. L'innovazione in questo caso non è solo di tipo estetico, ma funzionale, dato che alcune forme sono dettate dalla materia con cui sono realizzate. L'aspetto esteriore si fonde quindi con quello ergonomico e questo con i calcoli. Pieni e vuoti, materia e luce sono elementi che "lavorano" insieme. Il limite tra struttura e volume, tra spazio vuoto e confini, tra poggiato e sospeso, tra orizzontale e verticale, tra… architettura e ingegneria, è cancellato.
Architetti e ingegneri si ritrovano a superare la dicotomia che li aveva separati e sia gli uni che gli altri, oggi unificati dall'uso del computer, non possono fare a meno di rivelare qualche sprazzo di futuro nonostante la schiavitù del profitto che continua a pilotare la matita (il computer). La volontà di alcuni architetti, spesso lanciati in utopie urbane ma in pratica costretti a procurarsi la pagnotta, non può nulla contro questo dato di fatto, ma la strada imboccata nonostante tutto è una di quelle anticipazioni rivelatrici. La luce, la struttura, il territorio, le aperture, la circolazione di uomini e materiali, i mobili, la ventilazione, le persone, si fondono nello stesso progetto. Alcuni dei decostruttivisti si rifanno ai suprematisti russi degli anni '20 del secolo scorso. Un ponte, anche questo, non certo suggerito da impulsi politici militanti, ma proprio per questo significativo.
LETTURE CONSIGLIATE
- Betsky Aaron, Zaha Hadid, the complete buildings and projects, Thames and Hudson Ltd, London.
- Bordiga Amadeo, "Il criminale cemento armato" in "Politica e costruzione", Prometeo II serie n. 4, 1952.
- Bordiga Amadeo, "Spazio contro cemento", Il programma comunista n. 1 del 1953.
- "Cemento", Voce di Wikipedia.
- n+1 n. 2 del 2000, "Il paradigma del ponte alluvionato".
- Pedeferri Pietro, La corrosione delle armature nel calcestruzzo, Dispensa del Politecnico di Milano.
- La voce "Ponte Morandi" su Wikipedia (piuttosto accurata).