Il nome e l'ombra

Sapevo della vostra esistenza, ma non mi era mai venuto in mente di leggere qualcosa della vostra produzione perché vi ritenevo uno dei gruppetti, tutti uguali, rimasti dalla dissoluzione del vecchio partito e, francamente, l'argomento non mi interessa più. Ho prelevato in rete alcuni articoli vostri. Devo dire che il giudizio era affrettato, la differenza c'è, non so se positiva o negativa. In realtà non stavo cercando voi ma dei testi della Sinistra e siccome avevo già saccheggiato il vostro archivio storico, ci sono tornato. Questa volta, però, ho scaricato anche qualche articolo della rivista. Ci sarebbe materiale sufficiente per intavolare una discussione, ma rimando per far posto ad alcune considerazioni su di un solo aspetto lavoro che state facendo. Per il momento mi limito a ciò. Si tratta di una questione che ritengo importantissima perché capace, da sola, di procurare guai a chiunque si rifaccia alla Sinistra.

Non occorreva più di tanto per eliminare alcuni aspetti poco chiari espressi in passato da un po' tutti noi e soprattutto da coloro che hanno accettato supinamente la nuova disciplina di piccoli organismi che stentano a sopravvivere. Disciplina è una parola impegnativa, ma evidentemente non c'è la possibilità di essere realisti e ci si comporta come se ci fossero ancora l'Internazionale, i partiti che ne costituivano le sezioni e un movimento operaio esteso e combattivo.

Ho letto ad esempio Militanti delle rivoluzioni , risalente a prima che fosse stampata la rivista. Il titolo è di per sé abbastanza eloquente. Al di là di diverse questioni che non condivido ma su cui un giorno vorrei dire qualcosa risulta evidente un errore profondo di metodo nella vostra impostazione: ci sono troppi riferimenti personali a Tizio, Caio e Sempronio per indicare scritti che sono in realtà testi programmatici, frutto di lavori impersonali, intesi come espressione del partito di classe. Lo so che è una discussione che dura da decenni e che per molti non ha importanza (d'altra parte per molti, compreso il sottoscritto, ha invece un'importanza fondamentale), ma dovremmo riuscire a parlarne senza che intervengano schieramenti precostituiti, capaci soltanto di cristallizzare gli argomenti secondo i confini dei gruppi che ne discutono.

Noi utilizziamo i riferimenti a Marx, Engels, Lenin e altri, per riferirci a fasi della formazione del partito in cui l'organizzazione del proletariato non si basava ancora su una raggiunta omogeneità di posizioni e il Partito mondiale era in divenire. Sarebbe preferibile, quantomeno per i testi successivi al 1952 e riferibili dunque al partito sulla base del bilancio delle controrivoluzioni precedenti, evitare di scrivere nomi e cognomi dappertutto, specie di Bordiga che non approverebbe di certo per le ragioni che sapete e che non vi sto a ripetere. Del resto, lo stesso Marx nella lettera a H. Hyndman del 2 luglio 1881 scriveva: "In un programma di partito, bisogna evitare tutto ciò che possa far pensare ad una chiara dipendenza dagli autori o lavori di individui".

Sembra una cosa da niente, ma sono convinto che un'attenzione particolare che ci eviti di appioppare la paternità di lavori che sono evidentemente il risultato di sforzi collettivi possa aiutare a spersonalizzare i lavori stessi ed evitare che si formino correnti sulla base di quello che pensa l'uno o l'altro. Ci sono anche considerazioni da fare sulla predisposizione ad usare i nomi abbinati ai comportamenti, a cominciare dalla famiglia. Quest'ultima abitua i bambini fin da piccoli a confrontarsi individualmente e ad abbinare nome, persona che lo porta e sue caratteristiche psico-fisiche, così abbiamo una specie di carta d'identità mentale che etichetta gli individui, cosa che uno poi si porta dietro per tutta la vita e, nei casi più eclatanti, fino a creare dei neologismi costruiti con il nome e la pestifera desinenza in -ismo, -ista, che è il peggior uso che si può fare del nome. Lo stalinismo ha percorso per intero la strada della combinazione fra "eroi" e nomi, fra "criminali" e nomi, fabbricando ad ogni piè sospinto, dopo il "marxismo-leninismo", nuove parole, a cominciare da "trotskismo" per finire a "bordighismo".

L'uso scriteriato dei nomi comporta anche una semplificazione del linguaggio perché è comodo abbinare la condizione individuale a un -ismo, l'abbinamento permette di parlare per codici che ad un certo punto diventano accessibili e si fossilizzano con il linguaggio quotidiano. Il nome aiuta anche a falsificare le posizioni altrui: una volta affibbiato un -ismo è quasi impossibile evitare di falsificarlo rispetto al pensiero dell'originale. Guardiamo appunto che cosa è successo al marxismo-leninismo.

I nomi e le icone dei personaggi storici hanno fatto più danni delle sconfitte sul campo. Ma bisogna fare attenzione a non trasformare giuste premesse in formule vuote. Nel caso specifico possiamo dire: proprio quando vi siano certezze acquisite si può tranquillamente maneggiare l'argomento senza che i nomi diventino feticci. Mentre i "marxisti-leninisti" di ogni risma, a partire dalla bolscevizzazione degli anni '20, avevano qualche giustificazione storica a causa dell'arretratezza complessiva del partito mondiale, i comunisti che conoscono Bordiga, figli della maturità della rivoluzione mondiale, hanno l'obbligo del rigore e devono rifuggire da ogni tentativo di bordighizzazione. L'invenzione di un Lenin democratico è storicamente comprensibile; l'invenzione di un Bordiga caricaturale no: egli nomina tranquillamente tutti per nome, sempre. Nel suo lavoro non vi erano più elementi di rivoluzione doppia aperti a interpretazioni democratoidi, avulse dalla dinamica geostorica (nemmeno in Lenin, secondo noi, ma qui il discorso si farebbe lungo), così come non vi erano neppure immanenti questioni di principio, avulse dalla scienza complessa del nostro tempo.

Ora, prima ancora di entrare nel merito dell'utilizzo dei nomi, si tratta di stabilire se è lecito fare questa differenza fra periodi storici. Secondo noi sì, perché la Rivoluzione russa è un episodio particolare della rivoluzione mondiale dell'epoca, come dissero già allora Lenin e Bordiga. Quella rivoluzione avanzò senza avere il tempo e la possibilità teorica di elaborare fino in fondo la propria teoria-tattica, mentre la controrivoluzione attuale ha eliminato ipotesi ambigue, ha permesso bilanci teorici più precisi, basati su quello che ci piace definire rigore scientifico. Amadeo comunque diceva che nemmeno ora, in piena controrivoluzione, a differenza dell'epoca borghese, si può scrivere l'Enciclopedia della rivoluzione, dato che l'umanità deve prima passare attraverso il cambiamento materiale delle sue condizioni, al quale seguirà quello ideologico.

Detto questo, cioè stabilito che siamo consapevoli della differenza storica che ha fatto maturare i vari capi rivoluzionari, dobbiamo ribadire che non sono stati essi a scegliere la loro parte, ma sono stati selezionati dalla rivoluzione (unione degli opposti: controrivoluzione) per farsi portavoce del comunismo (nostra Lettera "Demoni pericolosi"). A noi sembra che in un contesto del genere sia un po' strano stabilire la data che separa l'epoca della liceità dell'uso del nome da quella della sua proibizione. Una ventina d'anni fa avevamo avuto la stessa discussione con compagni appena usciti dall'esperienza dell'éclatement del vecchio partito, forse scottati dal bordighismo di maniera che vi aveva preso piede. Non è affatto vero, è una leggenda bordighista, che Bordiga non volesse utilizzare i nomi, compreso il suo. Semplicemente era consapevole che in suo nome sarebbero state dette sciocchezze. Nelle sue lettere, e ne abbiamo un numero sufficiente per affermarlo, tutti sono chiamati per nome; nelle riunioni tutti erano chiamati per nome; negli articoli e nei documenti compaiono i nomi degli autori citati; le strigliate erano sempre ad indirizzo di nomi precisi.

È una contraddizione? No: il linguaggio parlato e scritto non può fare a meno di nominare le cose e gli uomini, per riconoscerli e farli riconoscere in un contesto condiviso o meno. Noi pubblichiamo i testi, di Bordiga o di altri, senza le "firme", in quanto lavoro di partito; cerchiamo di evitare la produzione di icone; ma parliamo tranquillamente di Bordiga quando ci sembra necessario, specie nelle "Lettere ai compagni", che erano il risvolto di lavoro comune, discussioni, ricerche per nulla formali. Prova a leggere "Struttura" e vedere come Bordiga tratta Lenin, come lo fa parlare, agire, combattere, a volte chiamandolo affettuosamente "Vladimiro". Bordiga non era uno scrittorucolo da strapazzo, sapeva bene che non si poteva far altro che utilizzare il nome per combattere i facitori di nomi e icone. Il problema non consiste nel nome in sé ma nell'uso che se ne fa.

Noi nel nostro piccolo non facciamo altro che copiare. Abbiamo sempre trovato ridicoli certi falsi ortodossi bordighisti (ecco un caso di errore: nessun allievo di Bordiga può mettersi a fare il bordighista) che invece di dire puramente e semplicemente "Bordiga" dicono "Il rappresentante della Sinistra relatore al VI Esecutivo" o finzioni del genere, proprio mentre si riempiono la bocca dei nomi di Marx, Engels, Lenin e di tutti i loro amici e nemici. E giù con le citazioni, utilizzate come ipse dixit per pararsi il posteriore e sentirsi in regola anche quando si dicono fesserie.

Certo, e qui siamo perfettamente d'accordo con te, che Bordiga sarebbe disgustato dall'uso che in genere si fa del suo nome oggi. Ma non sarebbe neppure d'accordo con la snobistica finzione del non-uso senza giustificazione plausibile, per puro "luogocomunismo" bordighista.

In una riunione sulla storia della sinistra egli dice ai compagni presenti che sarà costretto a parlare di sé e precisa che lo dovrà fare perché in quel periodo era l'unico a dire quelle cose e che quindi non poteva fingere una situazione diversa. Ecco, utilizziamo il riferimento mnemonico "Bordiga" in questa accezione e smettiamo di fingere che i Marx, i Lenin e i Bordiga in carne e ossa siano stati "solo" alcuni fra i rappresentanti di scuole o partiti fatti di migliaia di uomini più o meno simili a loro. È falso. Non dobbiamo avere la concezione della Sinistra come di un ente metafisico fatto di tanti Bordiga tutti uguali. I Perrone, i Damen, i Maffi, i Bianchini, i Dangeville o i Camatte, finché ne hanno fatto parte, tanto per fare altri nomi, hanno detto individualmente fesserie, come tutti, e solo come parte integrante di un tutto, comprendente Bordiga (e coloro che sono venuti prima di lui), hanno prodotto un patrimonio da noi utilizzabile come sicuro assioma fondamentale. La storia comunista non funziona secondo medie statistiche di bontà teorica dei suoi militi; il cervello collettivo è fatto necessariamente di cellule differenziate dove macchine cerebrali particolarmente ben predisposte (per ragioni materiali) funzionano al meglio in relazione al tutto: la bestialità è attribuire loro qualità carlailiane, è non riconoscere la fecondità della differenza delle cellule in un unico organismo, è non trovarla addirittura positiva (cfr. "Lenin nel cammino della rivoluzione", "Il principio democratico", "Struttura" e tanti altri testi contro la concezione democratica dei granelli equivalenti).

Tu dici: "Risulta evidente un errore profondo di metodo nella vostra impostazione". Noi crediamo che questa evidenza sia molto soggettiva, non per una questione psicologica, ma perché non è supportata da fatti dimostrabili. Spesso gli errori altrui risultano "evidenti" esclusivamente a partire da premesse che sono individuali o prerogativa di una cerchia ultraristretta di individui. Non esistendo un movimento sociale e quindi una scuola e una corrente (non diciamo il partito) inserite nella dinamica sociale e previste, per esempio, dalle Tesi di Roma, questa evidenza è perfettamente confutabile da un'altra di segno anche opposto. Senza un riferimento preciso ad un insieme di fondamenti (non la solita citazione isolata) le discussioni rischiano di diventare confronti di opinioni assai poco scientifici.

Oggi manca la possibilità di collegare gli individui in un pensare ed agire collettivo, quello che abbiamo chiamato "cervello sociale" (per ora c'è solo quello espresso dalla produzione sociale) e che sarà la base per il partito di domani, il solo elemento organico che possa fondere gli individui differenziati in un unico programma. Niente può colmare questo vuoto, tantomeno il giuramento sui sacri testi, dove ognuno vede quello che cerca e trova quello che gli è deterministicamente permesso di trovare secondo suoi percorsi precedenti. Un sacco di bordighisti, per esempio, non sanno che cosa sia il partito nell'accezione di Bordiga (e solo sua, per quanto ne sappiamo, non di una generica Sinistra, se ci è concesso dirlo).

Da questo complesso di cose la "verifica" non può scaturire se non dal riconoscimento comune di basi, fondamenti, assiomi, chiamali come vuoi. Ma non troverai mai in Bordiga, come "principio", il divieto di utilizzare il nome degli elementi del discorso inerente alla ricerca. Questa storia del nome somiglia più a quella del nome di Dio, YHVH, colui che non si può nominare, come ricorda con buon effetto letterario il Rea, nel suo scritto "Mistero napoletano", dove Bordiga incombe, fa paura, ma non si deve nominare.

La vecchia questione del nome è un'ombra che oscura qualche altro problema più grave. Questo meccanismo perverso è tipico della politica, dove il linguaggio serve a parlare sulla base di presupposti non espliciti, serve cioè a codificare e decodificare quello che realmente si vuole dire. Pensiamo solo a che cosa non poteva succedere al linguaggio al tempo dei processi, fucilazioni e deportazioni stalinisti. Ne stiamo parlando tranquillamente perché siamo tutti coinvolti e sappiamo che è così. Si parla in continuazione di personaggi vari, vivi o morti, famosi o sconosciuti, potenti e irremovibili capi di stato o effimeri politicanti, ma Bordiga no. Da parte nostra ricorriamo poco ai nomi per abitudine, ma non perché ci siamo posti un divieto, bensì perché non serve e, oltre un certo limite, fa danni.

Rivista n. 45