Poscritto al Grande Ponte
"Le violente scintille che scoccarono tra i reofori della nostra dialettica ci hanno appreso che è compagno militante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde se stesso in tutto l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell'uomo sociale." (Considerazioni… 1965).
Siamo giunti alla fine della nostra lunga cavalcata avanti e indietro attraverso il tempo. Abbiamo cercato di ricavare, dal corso storico, gli elementi necessari a sostenere che il ponte millenario tra il comunismo dei primordi e quello sviluppato è un dato materiale; che l'averlo percorso interamente significa essere parte di un processo irreversibile e che l'averlo collocato fra i caposaldi della nostra dottrina non è solo utile alla comprensione di quel processo ma è indispensabile per non ripetere errori già commessi, responsabili di una delle maggiori catastrofi della storia umana.
Nel capitolo che precede abbiamo indagato sull'origine dello stato a partire dalle più sviluppate forme di controllo organico che la società comunista aveva escogitato. L'ipotesi di un proto-stato che scaturisce dalle funzioni metaboliche di società in transizione di fase è tipicamente nostra, com'è nostro, cioè della nostra corrente, il modello che nella prima testa di ponte vede generalizzarsi quella "dipendenza" che diventerà schiavitù.
L'ultimo compito dello stato nel passaggio rivoluzionario da questa alla società futura sarà quello di abolire la proprietà privata (il denaro ed il diritto) e quindi sé stesso. Ma non sarà una struttura istituzionale borghese ereditata dalla nuova società ad attuare questo programma, bensì la famosa dittatura liquidazionista del proletariato.
La formula è stata talmente usurata dalle forze opportuniste, impadronitesi di questa parte della storia, che il suo utilizzo rischia di sfociare nel luogocomunismo. Ma non ce n'è un'altra. Il termine dittatura va inteso nel suo senso prettamente politico. Ogni forma politica è una dittatura. È un punto molto importante: la dittatura borghese è "costruttivista", è cioè finalizzata a costruire tutta una serie di muri, di delimitazioni virtuali (dai titoli di proprietà sulla terra e i suoi prodotti alla divisione della crescita di un essere umano in "cicli scolastici", per fare due esempi significativi tra i molti) che imprigionano il libero fluire della vita di specie in un circolo vizioso, "senza senso", come da titolo di un nostro articolo.
La dittatura rivoluzionaria è "distruttiva" verso tutte queste barriere, questo castello di fiducia fittizia che genera un tale spreco di energie. Non impone, allevia. Per parlare in termini termodinamici: la dittatura borghese è endotermica, cioè ha bisogno di energia per far avvenire le reazioni sociali volute, come un motore che ha bisogno di carburante, mentre la dittatura rivoluzionaria è esotermica, cioè si limita a fornire l'energia di attivazione (o ad abbassarla, come farebbe un catalizzatore) per assecondare reazioni sociali spontanee, che liberano energia.
Visto che il sistema di produzione capitalistico necessita di sempre maggiore energia, e dal momento che questa semplicemente non può essere creata (l'energia a disposizione è solo quella nicchia dell'energia del Sole che Gaia destinò agli uomini), sempre più attuale (in senso aristotelico, il contrario di potenziale) si fa il movimento di esclusione dall'istituto borghese. Vale per le banlieue della Francia e del mondo, vale per i genitori che non mandano i figli a scuola lasciando che si autoformino in relazione ad Internet, vale per gli esperimenti pratici di comunismo, in tutte le sue forme, dal primitivismo all'high-tech passando per i film come Fight club (ma non vale per le teorizzazioni ideologiche di tutti questi stessi esperimenti): la coperta è troppo corta, il labirinto istituzionale borghese non è in grado di accogliere tutti. È un fatto accertato che grandi parti d'umanità qualificate dal capitale come sovrappopolazione relativa si organizzano nel tentativo di limitare al massimo i loro legami con la società borghese, diminuendo i consumi e gli sprechi, producendo a "costo marginale zero", come dice ormai anche qualche rappresentante della classe borghese (Rifkin).
Chi sta fuori dalla coperta stretta non vuole certo l'integrazione, anzi vuole aiutare i suoi compagni ancora intrappolati in una vita senza senso, come in un romanzo di Dick in cui la grande maggioranza dell'umanità vive in condominii giganti nelle profondità della terra, con la minaccia delle radiazioni nucleari in superficie, finché il protagonista scopre che la superficie è sana e ridente…
In un nostro articolo avevamo scelto l'automobile come obiettivo-esempio di critica distruttiva in quanto questa merce particolare è simbolo supremo della separazione del fluire della vita umana in piccoli abitacoli individuali altamente dissipativi, e quindi dello spreco capitalistico. Ma la furia delle periferie si è rivelata cieca e, questo è forse ancora più significativo, si è scagliata contro tutto ciò che incontrava sulla sua strada, sfociando in episodi forse di spietatezza ma che rivelano l'estraneità di questo movimento rispetto alla società attuale (al contrario delle varie ‘rivoluzioni su appuntamento' tipo Genova, sempre molto attente alla correttezza politica dei loro obiettivi).
Jacques Camatte è stato l'unico ex marxista a formulare una sintesi estrema del distacco necessario dal mondo capitalista. La sua formula quitter ce monde, abbandonare questo mondo, non ha alcun senso pratico, ma è l'unica che permette la rottura virtuale con un capitalismo che si è evoluto al livello cibernetico, che cioè ha gettato sensori nella società per ricavarne informazione utile alla propria sopravvivenza, compresa quella che gli fornisce la lotta del proletariato. Un sistema che adopera la lotta del suo nemico mortale per difendersi e sopravvivere, anzi, rafforzarsi, è un sistema che non può più essere affrontato con le "rivendicazioni" di benefici, diritti, leggi, garanzie. A parte il fatto che ciò è già stabilito nel Manifesto del 1848, dev'essere possibile superare l'ambiguità della parola d'ordine camattiana traducendola in un qualcosa che abbia contenuto empirico. Per quanto ci riguarda, nel 1913, con l'articolo Un programma - l'ambiente, la nostra corrente aveva già risolto il problema considerando il partito rivoluzionario come un'alternativa alla società capitalistica. Il partito deve diventare l'arma totale della rivoluzione, e per farlo deve rappresentare un'anticipazione della società futura. Attraverso il partito, un'aspirazione astratta e utopica diventa materia di realizzazione empirica.
Il partito come lo intende la nostra corrente è l'antidoto alla formazione di qualsiasi dipendenza. Essendo l'organismo che per la prima volta riguarda tutta la specie, e non una sua parte esclusiva (da escludere), non sarà utilizzabile a favore di questa parte. Ma partito è un termine che deriva da parte, è forse una contraddizione? Nelle Tesi di Napoli c'è la risposta alla domanda, anche con riferimento al ponte dal passato al futuro:
"Secondo la linea storica noi utilizziamo non solo la conoscenza del passato e del presente della umanità, della classe capitalistica ed anche della classe proletaria, ma altresì una conoscenza diretta e sicura del futuro della società e della umanità, come è tracciata nella certezza della nostra dottrina che culmina nella società senza classi e senza Stato, che forse in un certo senso sarà una società senza partito, a meno che non si intenda come partito un organo che non lotta contro altri partiti, ma che svolge la difesa della specie umana contro i pericoli della natura fisica e dei suoi processi evolutivi e probabilmente anche catastrofici".
Quindi il partito esiste fino a che rappresenta una frazione della società che lotta contro un'altra; quando è superata questa divisione, il partito non ha più ragione di esistere, diventerà un organo della specie. Di fatto, già adesso i tentativi disorganici di comunismo vanno inquadrati sotto l'egida del partito futuro (Proprietà e capitale). È innegabile che milioni di persone stanno impegnandosi, coscienti o meno, in attività senza corrispettivo in valore, che il concetto di lavoro sta cambiando, che stiamo uscendo dall'era della dipendenza per entrare in quella dell'affrancamento, cioè del suo esatto contrario. Quando siamo entrati nell'era della dipendenza, nessuno poteva sospettare che l'uomo avrebbe potuto inventare un sistema come la schiavitù. Allo stesso modo oggi nessuno immagina che stiamo per liberarci da ogni forma di schiavitù.
Molti possono essere i pretesti teorici per essere ciechi di fronte agli aspetti comunistici riscontrabili nella società così com'è (Grundrisse), ma essi risultano infine poco influenti rispetto al divenire reale del modo di vita non capitalistico. Si parlava una volta di saldatura fra la fuga individuale e il movimento reale. Si può affermare che la dittatura del partito rivoluzionario sarà il passo necessario per il compiersi di questa saldatura? E, visto che sicuramente giunti al giorno del salto rivoluzionario i tentativi di abbandono della società attuale si saranno moltiplicati, quale comportamento avrà la dittatura proletaria nei confronti di questi tentativi di abbandono? La domanda è retorica, ed è posta per avere una risposta conosciuta: li tratterà come si trattano gli esperimenti, per avere conferme rispetto alla teoria, per avere più informazione su teoria e realizzazione.
L'arco millenario delle rivoluzioni
Il lavoro sulla struttura frattale delle rivoluzioni ci ha obbligato a ordinare e sistemare i semilavorati che avevamo raccolto ed elaborato in diversi anni. Ciò che chiaramente è venuto in evidenza è che una corretta valutazione degli eventi storici – al di là di quanto i loro protagonisti potessero affermare o volere con coscienza – può discendere solo dalla conoscenza di quegli eventi come episodi della rivoluzione millenaria che porta dalle primitive sparse comunità di raccoglitori e cacciatori all'organismo sociale di domani. En passant è curioso notare come lo sviluppo, la crescita di questo organismo, sia costellato di metafore circolari o semicircolari: la rivoluzione, la ruota della storia, i cicli storici, la doppia direzione, il rovesciamento della prassi. Vi è sottesa l'idea di compimento di un percorso con il ritorno a un nuovo inizio. In fondo siamo di fronte alla nascita di una nuova specie, che possiamo chiamare con tutta una serie di termini, umanità sociale oGemeinwesen, superorganismo, alveare o formicaio umano, general intellect, global brain, cervello sociale, mente estesa, metauomo, uomo simbiotico, cyborg, tecnosfera o noosfera. In che misura ciò corrisponda alla morte della vecchia specie homo sapiens, o addirittura dell'intero genere homo, è una domanda più che legittima. Sappiamo che le specie non invecchiano, ma scompaiono improvvisamente per lasciare spazio alle nuove. E, come vedremo, la specie umana può venire considerata dal punto di vista zoologico una specie vecchia, in quanto inadatta al nuovo ambiente tecnologico che la circonda, e che lei stessa si è costruita.
Ma procediamo con ordine, e cerchiamo di formulare domande solo quando avremo gli elementi per tentare una risposta: sintonizzandoci in ogni caso con la portata per noi senza limiti della vita di specie e rifiutando il concetto che la vita individuale abbia il primato su tutto. Lo stesso arco millenario, che dalla fine dell'età paleolitica (quando ebbe termine l'ultima grande glaciazione e l'umanità passò all'agricoltura, punto di svolta a partire dal quale i processi storici sono stati enormemente accelerati) porta ad oggi, non rappresenta che un "punto" (Gould) di instabilità sulla scala temporale miliardaria dell'evoluzione della vita sul nostro pianeta.
L'invarianza del processo rivoluzionario riposa in effetti proprio sulla continuità fra il mondo dell'evoluzione naturale e il mondo dell'evoluzione sociale umana, che ci collega organicamente non solo a San Tommaso d'Aquino o ai costruttori delle piramidi egizie o americane, ma a tutto il percorso evolutivo, a tutti gli animali, le piante, i batteri, fino alle prime molecole organiche e di lì al mondo inanimato della terra, dell'aria, dell'acqua, del fuoco. Non si stupisca il lettore per questa rivendicazione del nostro particolare monismo: lungi dal rappresentare una posizione filosofica, esso si fonda sull'attività materiale e sulla conoscenza che l'umanità si forma in base ai caratteri dell'intera biosfera (almeno), la quale costituisce un vero e proprio organismo che arriva ad una autocoscienza (il partito storico) anche senza la mediazione di qualche divinità, indipendentemente da ciò che possono pensare gli individui singoli. Per dirla con Leroi-Gourhan:
"Bisognerebbe quindi tentare una vera propria biologia della tecnica, considerare il corpo sociale come un essere indipendente dal corpo zoologico, animato dall'uomo ma atto ad accumulare una tale somma di effetti imprevedibili che la sua struttura intima supera di molto i mezzi di apprendimento degli individui".
Procediamo dunque lungo lo svolgersi del tempo secondo una scaletta ben nota.
Invarianti dell'evoluzione della vita
Definendo la nostra teoria rivoluzionaria una "concezione dell'universo intero" intendiamo contrapporci a qualsiasi forma di immediatismo, il quale in ogni caso finisce per rafforzare la società attuale, visto che anche qualora ne voglia il superamento lo concepisce come un fatto accidentale. Al contrario noi vediamo nella storia umana un particolare episodio della storia della Terra e della vita che da questa Terra è nata, cresciuta conoscendo alterne vicende, ma sempre seguendo e incanalandosi in forme stabili e per questo ricorsive, invarianti. L'attenzione per la forma è stata una costante in chi si è occupato dell'evoluzione del vivente, ma è a partire dalla nascita dei computer, e poi soprattutto con la teoria dell'informazione e con la cibernetica, che si sono affermati alcuni principi condivisi da queste tre discipline.
Uno dei primi risultati della cibernetica fu la chiara formulazione dei principi di retroazione positiva e negativa: la prima, un processo che si autoalimenta, dal quale risulta un rafforzamento dei suoi presupposti, in modo che esso risulta accelerato; la seconda, un processo che si autolimita, per cui risulta un indebolimento delle sue premesse, e che quindi decelera. Lo studio di questi "anelli di retroazione" ha dato luogo a lavori estremamente interessanti, dalle ricerche sui paradossi in logica, a quelle sul doppio vincolo in psichiatria (Bateson, Watzlawick), fino all'autocatalisi quale spiegazione dell'origine e del perpetuarsi della vita.
Non deve esserci contraddizione fra la formazione del mondo vivente e la sua espansione entro la biosfera fino alla formazione della società, delle classi, dello stato e oltre. Gli impulsi primari che hanno reso possibile la vita devono essere analoghi a quelli che hanno portato la vita alla complessità attuale, compresa la società degli uomini. In altri articoli comparsi su questa rivista abbiamo trattato più estesamente la questione, giungendo a fare un parallelo tra la cosiddetta mente e uno dei suoi risultati, il computer.
Ma prima del computer c'è una lunga storia di predisposizione della materia di cui è composto il cervello che l'ha inventato. Sempre che abbia senso parlare di "invenzione" del computer. In realtà la macchina elettronica per elaborare dati si è sviluppata come una nuova forma di vita, nel momento in cui discipline diverse si sono incontrate incastrandosi l'una nell'altra come si erano incastrate sequenze di molecole che andarono a formare la materia vivente. L'elettricità c'è o non c'è, dipende dall'attivazione di un interruttore. Un circuito elettronico è fatto di interruttori che dirigono il flusso della corrente. Per fare calcoli sulla base di interruttori occorre un'algebra che funzioni secondo il principio "c'è o non c'è". Se "c'è", allora succede qualcosa e così via per tutti i circuiti. I quali avranno una configurazione, la quale servirà a qualcosa che bisognerà scrivere da qualche parte. Dall'algebra di Boole al diodo, dalla macchina di Turing all'architettura di von Neuman, dalla cibernetica di Wiener alla teoria dell'informazione di Shannon, dal transistor alla legge di Moore sull'aumento della potenza di calcolo dei microprocessori, il processo che portò alla realizzazione del computer è stato una riproduzione del processo che quattro miliardi di anni fa sfociò nella comparsa della materia vivente.
Partiamo dal primo impulso che la vita ricevette allora. Immaginiamo una serie di reazioni che coinvolsero la primitiva atmosfera nella quale chimica, energia e movimento si combinarono. Il famoso esperimento di Miller del 1953, al di là di tutti i suoi limiti, dimostrò come una serie di scariche elettriche potesse portare alla formazione di un brodo primordiale di sostanze organiche – amminoacidi nello specifico caso della sperimentazione milleriana – che a loro volta possono dar luogo a proteine, sequenze di acidi nucleici (RNA, DNA), lipidi ecc. Il punto che ora ci interessa è che nella misura in cui le nuove molecole retroagiscono sul processo disordinato da cui sono scaturite, quest'ultimo può risultare smorzato (retroazione negativa) o amplificato (retroazione positiva). Il primo caso potrebbe essere quello della formazione di una proteina che catalizza la reazione di "smontaggio" delle proteine nei loro amminoacidi costituenti. Ciò significa che qualora questa proteina si formi essa romperà ogni legame fra amminoacidi impedendo la formazione di nuove proteine. Quindi fine del processo. D'altra parte, però, la proteina in questione catalizza anche la propria distruzione, quindi il processo può riprendere.
Il marxiano sistema di macchine funziona allo stesso modo: produce una retroazione negativa che stabilizza il sistema e gli impedisce di crescere (legge della caduta del saggio di profitto, produzione di plusvalore relativo); ma nello stesso tempo produce una retroazione positiva elevando la produzione a scala esponenziale, le macchine incominciano a produrre macchine. Marx era rimasto impressionato dall'officina per la manutenzione presente in ogni fabbrica: era come se la fabbrica fosse un organismo che rispondeva alle malattie auto-riparandosi. Oggi il computer non comanda solo altre macchine per la produzione di macchine, ma progetta sé stesso con un minimo apporto di contributo umano.
Tornando alla nostra analogia con i processi biologici primordiali, nel caso inverso allo "smontaggio", qualora si formasse l'enzima che catalizza il "montaggio" delle proteine legando gli amminoacidi, il processo risulterà amplificato rispetto alla formazione non solo di quell'enzima, ma di tutte le proteine in generale. Ci troviamo ancora in una fase di produzione non ordinata di nuove molecole, una proliferazione molecolare scomposta ed esuberante, soggetta ad un processo di crescita esponenziale. È proprio da questa crescita incontrollata e frenetica che ebbe origine la vita, perché ad un dato grado di varietà molecolare si ha una transizione di fase dalla quale emerge una rete auto-catalitica gigantesca (Kaufmann). Inutile precisare che, quando si parla di rete vengono subito in mente Internet e gli innumerevoli "oggetti" che essa veicola.
Tale rete è anche capace di produrre le sue stesse condizioni (un apporto regolare di energia, una chiara delimitazione rispetto all'ambiente esterno, una architettura interna stabile) e di fare avvenire le reazioni in modo ordinato (emergenza di attrattori che "incanalano" la rete di reazioni), oltre che di riprodursi. Complessivamente siamo sempre in presenza di una retroazione positiva (dalla vita nasce la vita, esponenzialmente), ma abbiamo molteplici anelli di retroazione negativa per regolare al meglio il processo di proliferazione molecolare. Maturana e Varela hanno studiato approfonditamente queste reti, e hanno chiamato la proprietà emergente autopoiesi, caratterizzandola come conservazione delle relazioni costitutive di un essere vivente. Formatasi la prima cellula, il mondo vivente fu una conseguenza.
Quando accendiamo un computer, la prima cosa che fa la macchina è andare a pescare in una memoria le informazioni che le servono per funzionare. Questa operazione è stata chiamata da qualche tecnico in vena di umorismo bootstrap, un modo sintetico per dire "sollevarsi da terra tirandosi i lacci degli scarponi". Quando si forma la cellula dalla quale nasciamo, la prima cosa che fanno i suoi elementi costitutivi è andare a cercare in memoria le sequenze molecolari che formeranno il nostro corpo.
Se le rivoluzioni hanno una struttura frattale, come abbiamo affermato con un lungo articolo, ogni processo, a qualsiasi scala, che riguardi i cambiamenti della nostra specie e le forme che prenderanno le sue organizzazioni sociali, sarà una riproduzione dell'effetto bootstrap. Ogni rivoluzione attinge il proprio codice genetico non dalla vecchia società, ma dal seme che in essa ha già fatto germogliare; se attingesse dalla vecchia forma, non sarebbe possibile il cambiamento, la riprodurrebbe secondo il codice esistente. Per questo il partito della rivoluzione deve anticipare la società futura.
Continuando con la nostra analogia, possiamo introdurre anche il concetto di autoselezione: laddove i risultati del processo retroagiscono positivamente, il processo si rafforza, ovvero si autoseleziona rispetto a processi che si autodistruggono. Una rete autocatalitica, o unità autopoietica come le prime cellule, a sua volta si autoseleziona rispetto a processi meno stabili. Un brodo proteico libero può rappresentare un pasto succulento per un disciplinato brodo proteico racchiuso in una membrana di lipidi (alias batterio primordiale). Qualcuno ha detto che il principio di selezione naturale si risolve in una tautologia: sopravvivenza del sopravvissuto. I processi di crescita si affermano quando la retroazione positiva prevale sulla negativa: oppure si affermano le condizioni stabili quando retroazione positiva complessiva e retroazione negativa a livello locale si combinano. Un organismo che evolve attraverso forme controllate per più tempo ha una vita di specie più duratura di un altro che evolvesse in tempi brevi attraverso forme più instabili. Questo secondo organismo ha più probabilità di degenerare a causa di qualche catastrofe da errore che destabilizza tutto il sistema. Anche in questo caso l'analogia è calzante: non tutte le ciambelle della rivoluzione riescono con il buco.
Abbiamo sempre definito il comunismo come una concezione del mondo, una epistemologia che concepisce l'unità dell'uomo e della natura. Monismo, non dualismo. Quindi industria umana in perfetta continuità con evoluzione naturale. Ciò vale a dire che possiamo trattare l'evoluzione storico-sociale alla stessa stregua dell'evoluzione della biosfera, anzi in continuità con essa (Leroi-Gourhan). Ecco perché Marx ed Engels erano così affascinati dal lavoro di Darwin: forniva loro la chiave per comprendere l'evoluzione della società umana. Se quanto sopra è vero – se cioè la proliferazione delle tecniche è in continuità con la proliferazione molecolare della biosfera e questi processi seguono le stesse leggi di organizzazione – allora anche per quanto riguarda le tecniche e le forme sociali alla lunga hanno la meglio i processi di crescita stabili.
Si prenda l'esempio della famiglia, che in senso largo può essere vista come cellula di qualsiasi società umana (importante: non stiamo parlando della tribù comunistica primitiva, di una famiglia patriarcale allargata, ma dell'attuale surrogato mononucleare, dell'invariante che è presente in tutte le suddette manifestazioni particolari). Una famiglia non solo si autoconserva, ma è essenzialmente l'unica forma sociale finora utilizzata dall'uomo per riprodursi, e quindi riproduce anche sé stessa e si autoseleziona. È un'unità autopoietica fondamentale. Nessun altro elemento sociale è mai stato così stabile in ogni modo di produzione. Ecco perché riappare sempre: ogniqualvolta si cerca di farne a meno ci si pone in una condizione di autodistruzione o di instabilità tale da impedire l'ulteriore sopravvivenza. La famiglia si autoseleziona rispetto ai modi di produzione che tentano di sbarazzarsene.
Ricordiamo che la famiglia è l'unità sociale di base per la comparsa della divisione tecnica, poi sociale del lavoro, è il terreno di coltura delle prime forme sociali produttive, è infine l'ambiente in cui avviene lo scontro fra i primi modi di produzione: quando si prefigura lo stato, al livello massimo raggiunto dalle sviluppate società organiche antiche, è nella famiglia che nasce l'interesse o comunque la predisposizione per la proprietà privata. Quando nell'intera società il rapporto di dipendenza è ancora quello antico, pubblico, nella famiglia già si affaccia la servitù privata, quella che si trasformerà in schiavitù.
La funzione conservatrice della famiglia
La famiglia è dunque un elemento fondamentale di conservazione. Ciò si è dimostrato utile dal punto di vista biologico, ma da un certo punto in poi, quando la conservazione della specie si è estesa fino a coinvolgere gruppi sociali sempre più vasti in presenza di evoluzione tecnica che permea tutta la vita umana, la bio-conservazione basata sulla famiglia non ha più senso.
Le civiltà comunistiche già urbane che abbiamo analizzato erano basate sulla famiglia. I quartieri di Mohenjo Daro o le aree cerimoniali di Caral o Teotihuacan hanno un riferimento con la famiglia allargata. Tutte le antiche civiltà sviluppano regole a partire dalla tradizione della famiglia per poi estenderle alla società.
La famiglia è alla base della schiavitù. Essendo quest'ultima dipendenza, come registra l'etimologia delle antiche lingue quando parlano di "schiavi", le altre forme di subordinazione sono secondarie o perlomeno vengono dopo. La guerra, che nel modo di produzione realmente schiavistico è la fonte maggiore di schiavitù, è solo un veicolo quantitativo; mentre la caratteristica principale dello schiavo nella maggior parte della storia dov'è presente, è di essere una unità integrante della famiglia, anzi, specialmente a Roma non solo la integra, ma ne è parte costituente. Tutto il diritto romano, la fonte del diritto tout court nell'intera storia umana, ha come fondamento la famiglia, che nelle varie fasi dello sviluppo sociale non scompare mai dalla scena, elemento portante all'inizio, esempio che fa giurisprudenza in seguito.
A questo punto possiamo chiederci a cosa sia dovuta questa apparente impossibilità di fare a meno della forma famiglia. L'uomo è caratterizzato come specie neotenica, vale a dire specie per la crescita della quale è necessario molto tempo dopo la nascita. La dipendenza dai genitori e dalla società in generale si prolunga per tempi che non hanno riscontri in altri mammiferi: gli umani conservano forme giovanili, e quindi sono più "plasmabili", anche in età pienamente adulta. Già l'illuminista tedesco Herder definiva l'uomo come Mängelwesen, ovvero "essere manchevole". Per esprimerci in termini moderni, la base biologica fornita all'animale dai suoi geni risulta nell'uomo insufficiente, egli non possiede una sua specifica nicchia ecologica, si trova in una condizione di carenza istintuale, e quindi di incompletezza, in una specie di condizione staminale, di apertura ad un largo ventaglio di possibilità, per cui allo sviluppo embrionale deve forzatamente seguire un lungo periodo di gestazione nel grande utero sociale. Questa "indeterminatezza zoologica" è stata messa in evidenza da diversi autori, con sfumature diverse. Oltre al classico Leroi-Gourhan è doveroso citare Arnold Gehlen, antropologo tedesco. Per lui l'uomo "sarebbe inadatto alla vita in ogni ambiente naturale e così deve crearsi una seconda natura , un mondo di rimpiazzo, approntato artificialmente e a lui adatto, che possa cooperare con il suo deficiente equipaggiamento organico." (citato in Galimberti).
L'evoluzione umana è proiettata all'esterno, si fa evoluzione tecnica per sopperire alla manchevolezza biologica. Leroi-Gourhan ha ben messo in evidenza come la specie umana, da un punto di vista zoologico, sia riuscita a sfuggire alle specializzazioni, anzi se ne sia progressivamente liberata per proiettarle verso l'esterno. È un processo che potremmo definire di "svuotamento". Anche Gehlen si associa:
"Dal punto di vista morfologico – a differenza di tutti i mammiferi superiori – l'uomo è determinato in linea fondamentale da una serie di carenze, le quali di volta in volta vanno definite nel preciso senso biologico di inadattamenti, non specializzazioni, primitivismi, cioè di carenze di sviluppo: e dunque in senso essenzialmente negativo. […] In altre parole: in condizioni naturali, originarie, trovandosi, lui terricolo, in mezzo ad animali valentissimi nella fuga e ai predatori più pericolosi, l'uomo sarebbe già da gran tempo eliminato dalla faccia della terra." (idem)
La lunga durata dello sviluppo umano conduce dunque ad una situazione di elevata dipendenza dal gruppo sociale, grazie alla quale la "scimmia nuda" può vestirsi della sua "seconda natura". È ovvio che in origine tale processo abbia luogo nella forma di raggruppamento "più naturale", vale a dire la forma zoologicamente determinata, che attiene alla "prima natura" della specie umana: la famiglia. In questo senso possiamo considerare la famiglia come un aspetto del corpo umano, diciamo il suo organo sociale. Leroi-Gourhan:
"Il gruppo primitivo è perciò costituito da un numero limitato di individui dei due sessi, specializzati quanto alle funzioni, che in un ciclo periodico frequentano il territorio corrispondente all'equilibrio delle loro necessità. Fondamentalmente, il gruppo equivale a una unità di sussistenza. [...] Tutta la cultura vitale è ancora più strettamente inclusa nel gruppo coniugale e suddivisa tra l'uomo e la donna. La coppia, specie tra gli Eschimesi, può realmente trovarsi per un certo tempo isolata da qualsiasi altra unità sociale" (idem).
Questo è facilmente comprensibile. Studiando le origini della tecnica e la sua evoluzione per milioni di anni al ritmo di un qualsiasi altro organo umano, ci accorgiamo che ad un certo punto diventa evidentissimo il divario fra le due evoluzioni. Quella biologica segue il suo corso in cui le variazioni si valutano in milioni di anni; quella tecnica procede in modo esponenziale, tanto che le due curve diventano incompatibili. Con la cosiddetta rivoluzione neolitica il processo che consente di portare all'esterno del corpo, con protesi-macchine, le facoltà umane si è notevolmente accelerato. L'uomo capitalistico è arrivato a limitare l'uso della sua mano a qualche clic su un telecomando, e l'uso del suo cerebro al livello necessario per assorbire per osmosi l'omologazione teletrasmessa. Ma non riesce a rinunciare alla famiglia, e la testardaggine con la quale persevera nel suo essere bestia è sicuramente ancora più ridicola di quella mostrata da chi volesse tornare ad accendere il fuoco fregando assieme due pezzi di legno.
A questo punto la questione è di capire se l'ambito tecnico-linguistico in cui l'uomo trova estraniata la sua specificità abbia ancora bisogno di questa carcassa, di questo involucro privo di contenuto che è la famiglia zoologica. Leroi-Gourhan, alla fine della sua opera, si chiede cosa rimanga dell'uomo una volta che esso si è liberato di ogni determinazione naturale per proiettarla nell'artificio. Gli rimane l'istinto di autoconservazione. L'uomo ritorna al livello del batterio che si agita freneticamente alla ricerca del nutrimento. La "competenza" di entrambi si risolve nel superare questioni di fitness, si riduce a "cibo sì", "cibo no", come abbiamo visto trattando di teoria della conoscenza. O addirittura al livello del virus, che, come l'uomo, può perpetuarsi solo attraverso una "seconda natura", intrufolandosi nella cellula di un altro organismo ed usandone l'apparato biosintetico per riprodursi. Come il virus trova nella cellula altrui la propria salvezza e continuità, così l'individuo tecnologico trova nella cellula-famiglia, biologica, il rifugio che gli permette di superare la contraddizione insita nel divaricarsi delle curve dell'evoluzione. Pur esseno ormai un cyborg, trova nella famiglia la rassicurante regressione a paleoantropo (anche se a volte salta qualche circuito e istinti ibridi si scatenano in storie di inaudita violenza).
Certamente ciò vale nell'ambito delle società di classe, in cui prevalgono i più meschini istinti egoistici, in cui è la concorrenza fra i membri della specie a prevalere sulla loro cooperazione, per cui il lavoro di uno è disfatto dal lavoro di un altro e l'energia sociale va sprecata nei rivoli di un'insana lotta fra gruppi con interessi contrapposti, a loro volta spaccati e divisi. È una situazione completamente nuova nella storia dell'evoluzione: una specie è incapace di usare i suoi organi, perché essi si sono resi indipendenti ed incontrollabili. Le due nature dell'uomo sono in conflitto. Un'intera specie è affetta da una grave forma di schizofrenia, per cui una parte è già una specie nuova, mentre i suoi membri individuali stanno addirittura regredendo a livello dei virus. La situazione è paradossale: la nostra specie è come un corpo che cresce e sviluppa nuove capacità mentre le sue singole cellule sono in conflitto tra loro. Una specie con simili contraddizioni, biologicamente parlando sarebbe destinata a vita breve se...
La fine del comunismo originario. Individuo contro specie
È a partire da simili considerazioni che Marx legge la storia umana come storia di lotte di classe. Egli scrive ad esempio nei Manoscritti economico-filosofici del 1844:
"Il lavoro, l'attività vitale, la vita produttiva, appare all'uomo solo come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno, del bisogno di conservazione dell'esistenza fisica. Ma la vita produttiva è la vita generica [cioè vita di specie]. È la vita generante la vita. Nel modo dell'attività vitale si trova l'intero carattere di una specie, il suo carattere specifico, e la libera attività consapevole è il carattere specifico dell'uomo. Ma la vita stessa appare soltanto mezzo di vita."
Al singolo la vita di specie (che nel caso dell'uomo è l'industria) appare non come fine ma come mezzo. Per fare un altro parallelo biologico, ci troviamo di fronte ad un tumore: le singole cellule non sono più coordinate per il bene dell'intero corpo, per cui al momento giusto abbandonano la scena (è la cosiddetta morte cellulare programmata, o apoptosi), ma si moltiplicano senza controllo, utilizzando il nutrimento che solo l'intero corpo è in grado di procurarsi. Conviene soffermarci anche sulle differenze che possiamo trarre da questa analogia. Nel caso degli ultimi millenni di storia umana il corpo, l'organismo cibernetico globale, il cyborg cui è demandata la produzione globale, non era preesistente all'emergere del male, ma si è sviluppato in parallelo. In altre parole, più l'organismo sociale cresceva e si rafforzava, fino ad abbracciare oggi il mondo intero, più le sue singole cellule si dedicavano al litigio, al parlamentare, al furto reciproco. Il fatto che in una società capitalistica ideale esistano due sole classi, proletariato e borghesia, non significa che sia diminuita d'intensità la lotta di classe, anzi è vero proprio il contrario: il conflitto diventa endemico, ubiquo, ogni aspetto della vita sociale ne è permeato, e l'individualismo diventa la strisciante ideologia che nutre ogni manifestazione sovrastrutturale.
Il grande salto dalla condizione primitiva alla vera vita sociale di domani non è altro che l'emergere del Gemeinwesen (Essere sociale) che coinciderà con l'ultimo rantolo dell'idealizzato individuo. In questa prospettiva dev'essere interpretato anche tutto il lavoro sulla fine del comunismo originario e il sorgere delle prime società di classe. Quella fase cruciale della storia umana rappresenta il definitivo punto di rottura fra le due nature dell'uomo, quella zoologica e quella sociale. E si tratta di un punto di catastrofe, una discontinuità effettiva, una piega nel tessuto storico che possiamo leggere adesso senza lenti deformate da vari marxismi. Immaginiamo di tracciare uno schema in cui compaiono i vari gradi dello sviluppo alla voce "Forza produttiva sociale", da un minimo a un massimo. La curva è ad andamento esponenziale, non può salire all'infinito, quindi porterà ad un punto di rottura. Prima di giungere a questo punto, le comunità umane riescono a gestire lo sviluppo armonizzando la vita dei singoli con quella sociale. È un punto di passaggio in cui l'energia sociale manifestata è al massimo del suo splendore. Canali, piramidi, templi e città intere vengono costruiti facendo uso di strumenti poverissimi con i quali noi non saremmo capaci di rigare una pietra. Quei lavori non possono essere stati realizzati da schiere di schiavi, come spesso ancora si crede, nonostante si abbiano conoscenze più precise sulla struttura dei lavori negli antichi cantieri. Il lavoro servile, per sua natura, non ha la possibilità di soddisfare le esigenze di una grandissima opera. Lo schiavo poteva essere un artigiano discreto, un solido contadino e un minatore poco entusiasta, ma non sarebbe mai stato un buon operaio. Le grandi opere dell'antichità erano fabbriche meticolosamente programmate, fondate sul lavoro collettivo coordinato in base a progetti minuziosi.
In qualche caso gli operai erano compenasti con il denaro di allora, spesso pezzi di argento o misure d'orzo. Perciò non possiamo nemmeno affermare con certezza che i popoli di grandi costruttori fossero ancora completamente immersi in una fase pre-mercantile, o che non conoscessero il denaro; anzi con l'intensificarsi degli scambi dovette imporsi un sistema di riferimento sul quale basarsi. È la nascita del valore, che si affermò in principio come unità di misura piuttosto che come mezzo di pagamento. Nelle più antiche città della Mesopotamia, ad esempio, esistevano dei sistemi di conversione (fondati sull'argento) in base ai quali venivano riscossi i cosiddetti tributi. Così la comunità produttiva, costituita su diversi livelli di famiglia più o meno allargata, fino a giungere alla tribù, poteva scegliere se "pagare" con una certa quantità di orzo, oppure con cinque pecore, ecc., a seconda di quale prodotto sopravanzava le esigenze interne. Le fluttuazioni nel tipo dei prodotti prelevati, e anche nel loro ammontare, dovevano bilanciarsi su tutto il territorio della città. È comunque chiaro che la produzione era ancora organizzata comunità per comunità, e queste erano dirette eredi del comunismo originario. Già si affacciava alla storia il valore e non c'era ancora lo schiavo come classe.
L'ulteriore rafforzarsi delle interazioni fra le diverse comunità primitive, quindi la crescita dell'organismo sociale come sistema integrato di elementi diversificati, comportò una tale tensione sull'unità originaria fra le "due nature" dell'uomo da arrivare al punto di rottura. Vediamo come in questo caso la società "salti" repentinamente al livello superiore, quello delle società di classe. Simili salti irreversibili sono stati studiati anche da René Thom nell'ambito della teoria delle catastrofi.
Paradossalmente proprio laddove la sfera pubblica, cittadina, politica, assume maggiore importanza (come nella democratica Atene), cioè dove in fondo la famiglia-tribù andava perdendo la sua capacità di autosostenersi, là nasce il mercato, nasce il denaro nella sua funzione di mezzo di scambio, e nasce quindi la proprietà pienamente privata. Ed è sul protrarsi di quella stessa contraddizione che si basa la società attuale, in cui il prodotto sociale è ottenuto con un lavoro partecipativo a livelli mai conosciuti prima e dopo ma in cui nello stesso tempo gli uomini, alienati rispetto ai loro prodotti, devono vendere la loro forza-lavoro per nutrirsi, per dirla ancora una volta con Marx. Oggi la vita di ogni individuo è solo un mezzo per la più bestiale conservazione della mera esistenza fisica del singolo proletario e della sua famiglia. È successo che l'unità di produzione ha travalicato il raggruppamento biologico (la famiglia e la tribù). Così le diverse famiglie (usiamo il termine in senso lato) sono diventate via via più interdipendenti, ma poiché l'umanità non poteva liberarsi dalle sue determinazioni biologiche da un giorno all'altro, esse sono rimaste l'unità di vita quotidiana; e la socializzazione della produzione da immediata, naturale (nell'ambito familiar-tribale) si è trasformata in mediata dal valore (sul mercato). In altri termini: l'uomo zoologico, con le sue relazioni elementari di accoppiamento e allevamento della prole, dal punto di vista evolutivo è fermo rispetto all'uomo sociale. Il capitalismo rappresenta la manifestazione più estrema di questa separazione fra produzione socializzata ed appropriazione-consumo privato. La scaletta è classica: 1. la famiglia, 2. la proprietà privata, 3. lo Stato, 4. il capitalismo (che nasce statale).
Un'ultima annotazione: una volta che l'umanità ha compiuto il suo salto verso la fase delle società divise in classi essa non ritorna più all'originaria unità, nemmeno quando le forze produttive regrediscono ad un livello ancora inferiore a quello del punto di rottura. Questo significa che le società di classe non inventano qualcosa di nuovo, ma hanno sempre connotazione negativa, cioè non emergono per meriti propri ma per i demeriti della condizione primitiva. Quindi rappresentano una fase transitoria, instabile, di ricerca di una nuova superiore unità, di rimozione della scissione, ecc. ecc.: il comunismo come soluzione all'enigma della storia, alle dicotomie, alla condizione schizoide.
Triviale supremazia dell'individualismo
In questa prospettiva è interessante l'articolo di BatesonFinalità cosciente e natura, che si trova in Verso un'ecologia della mente. Il problema affrontato è proprio quello della scissione che si riscontra fra la natura sistemica (organica) della società-industria umana (contenuto) e la sua unidirezionale (individuale, privata, familiare) gestione nella forma sociale attuale (involucro). Nel capitalismo quello che conta è la realizzazione del massimo profitto da parte della singola azienda, e quindi la concorrenza è azione individuale finalizzata a imbrogliare gli altri, proprio quando l'interdipendenza fra i diversi rami economici si intensifica e si estende su scala mondiale. Questa contraddizione (produzione massimamente socializzata contemporaneamente ad appropriazione privata del prodotto) è risolta nel futuro attraverso l'eliminazione dell'interesse privato e della libera iniziativa. Bateson, materialista suo malgrado, cita la Bibbia e rilegge il racconto di Adamo ed Eva che colgono la mela vedendovi la prima azione finalizzata unidirezionalmente secondo uno scopo particolare, locale, che prescinde dai meccanismi sistemici. E conclude sarcasticamente:
"Comunque sia, Adamo continuò a perseguire i suoi scopi, e finalmente inventò il sistema della libera iniziativa. A Eva non fu permesso per lungo tempo di parteciparvi, essendo donna. Ella si iscrisse allora a un circolo di canasta ove trovò modo di scaricare il proprio rancore."
Nella forma attuale la società è un guazzabuglio di interessi contrapposti, ivi compresi quelli dello Stato, che lungi dal rappresentare l'organicità del corpo sociale è uno strumento per il perseguimento di fini parziali, classisti:
"In un'economia mercantile, gli organi amministrativi sono gli strumenti degli interessi dominanti, anche locali, anche aziendali; non è la società che detta legge alle sue membra armoniche per il bene del complesso dell'organismo sociale unico; sono le membra caotiche ed anarchiche che impongono ciascuna la sua legge ad una società disarticolata. Come si chiama una società del genere? Si chiama: capitalismo." ( A ciascuno il suo mezzogiorno).
La seconda legge della termodinamica afferma che tutto tende a uno stato di massimo equilibrio, ovvero di massima entropia. Giustamente equilibrio è da intendersi come distribuzione omogenea dell'energia. Disequilibrio si ha quando vi è una differenza di energia, quindi differenza di potenziale, una potenzialità che è sinonimo di informazione. Un sistema vivente è capace di mantenersi lontano dall'equilibrio, su un livello energetico sempre superiore rispetto a quello dell'ambiente circostante (così ad esempio la nostra temperatura corporea è sempre mantenuta intorno ai 37°, anche quando la temperatura esterna è notevolmente inferiore). Un sistema vivente è un concentrato di informazione. La vita è un sistema dissipativo, uno stato di equilibrio dinamico oppure, meglio, di disequilibrio stabile. Ma, visto che nemmeno la vita può infrangere la seconda legge, affinché si mantenga un potenziale costante è indispensabile un flusso continuo di energia. Da dove arriva questa energia? In ultima analisi sempre dal Sole. Quindi diventa importante eliminare qualsiasi dissipazione superflua (e così le cellule possono essere considerate dei gioielli nanotecnologici, dato che utilizzano al meglio, dal punto di vista energetico, i materiali chimici). La dissipazione superflua è spreco. Il processo produttivo, il metabolismo dell'organismo sociale è per sua natura dissipativo, come tutti i sistemi viventi. Ma questa dissipazione, questo consumo di energia può alimentare informazione utile, conoscenza, evoluzione; oppure al contrario può andare perso nel dibattito, nel confronto fra opinioni, nel contrattare, nel disturbo/rumore, nell'agitazione frenetica e disordinata come quella delle elementari molecole di un gas. Il capitalismo è la società dello spreco, del caos, della conservazione stupida di barriere ormai inutili, di vincoli che incatenano le forze produttive.
Consideriamo il valore: la comunità di specie, in cui tutti gli uomini sono collegati, non avrà nessun bisogno di un valore, le energie dissipate nella sua circolazione viziosa sono energie sprecate. È interessante l'analogia fra la dissipazione di energie produttive attraverso la circolazione spasmodica del capitale e la dissipazione di energie sociali conseguenza delle diverse politiche riformiste. In entrambi i casi si cerca di guarire il capitalismo, ormai giunto a uno stadio di estrema centralizzazione in cui non solo il proletariato ma gli stessi capitalisti sono espropriati, e il valore si autonomizza completamente rispetto alla produzione. Non esiste in natura alcuna crescita esponenziale senza fine; quindi anche il capitale autonomizzato (a causa della caduta tendenziale del saggio di profitto), nonostante la sua agitazione superficiale, deve abbandonare la scena, portando alla nuda luce il robusto corpo produttivo del Gemeinwesen. Le diverse politiche riformiste (fasciste), con l'agitazione starnazzante dei loro parlamenti, rappresentano la perfetta simmetria alle convulsioni finanziarie. E gli inevitabili sottoprodotti, come ad esempio il primitivismo, il vagheggiamento sterile di un ritorno all'età dell'oro, sono negazioni speculari (e non dialettiche) dello stato attuale.
Oltre la famiglia e la dipendenza
Lo spreco di energie causata dal movimento vizioso del capitale ormai completamente autonomizzatosi è lo scotto che l'umanità deve pagare alle sue radici biologiche, alla famiglia. Riprendendo il discorso della carenza istintuale, si vede come oggi l'umanità sia giunta ad un nuovo punto di svolta. Il primo lo avevamo visto articolarsi in due tappe: 1) disadattamento della specie alle antiche condizioni di vita, 2) progressivo adattamento alla vita su tutto il pianeta, attraverso la colonizzazione di tutti i continenti dall'equatore ai poli. Oggi anche questa seconda tappa è completa e lo spazio extraterrestre non si può colonizzare, nonostante le velleità degli enti spaziali europei, americani, russi e cinesi. Così si è passati da una situazione in cui la base biologica (la comunità delle scimmie nude, deboli ed insicure, quelle delle prime scene del film di Kubrik) era incompleta e necessitava di una integrazione esterna (la tecnica, l'osso che si trasforma in nave spaziale), a una situazione in cui i rapporti si sono invertiti: è la tecnica che ha bisogno di nuove modalità di raggruppamento umano, che vuole un superamento della famiglia. La questione è strettamente collegata a quella delle biotecnologie. Se in passato l'utensile rappresentava una protesi, una proiezione verso l'esterno del corpo umano, oggi al contrario la tecnica ridisegna il corpo umano, e lo ridisegna dalla radice (l'embrione) e in profondità (manipolando geni, proteine ed altri aspetti biochimici della singola cellula). Questo solleva le cosiddette questioni etiche, ovvero le perplessità di chi vorrebbe tenere ancora separati uomo e industria (il nato e il prodotto come dice Kevin Kelly) e difende l'integrità della famiglia ecc. Contro questa morale cristiano-borghese si era battuto Nietzsche. Egli era ben cosciente della incompletezza dell'uomo e sosteneva che gli fosse necessario estendere le sue capacità attraverso la tecnica ed il linguaggio. Ma rimaneva ancorato ad un individualismo assolutamente in antitesi con una concezione che per coerenza avrebbe dovuto essere universale, di specie. L'oltre-uomo non può essere spiegato dalla filosofia, dev'essere il risultato di una rivoluzione. Oggi chi parla di eugenetica viene guardato con sospetto, ma è un fatto che la coevoluzione fra uomo e industria ha ormai raggiunto livelli tali che sarà inevitabile l'estinzione definitiva della famiglia come entità di formazione, e con essa della proprietà privata, dello stato, del valore autonomizzato e di ogni sistema di dipendenza, sia esso dovuto a sopravvissute isole di schiavismo, o alla produzione sociale che alimenta l'appropriazione privata.
Abbiamo visto che il grande ponte storico comunismo → comunismo attraverso le società di classe vede la famiglia come sua parte integrante, forma naturale primaria di esistenza umana, e si estende fuori di essa attraverso l'industria. Il ponte storico è un traghettatore dinamico. Con il solo fatto di esistere colonizza l'ambiente circostante, mette in contatto diverse modalità produttive attraverso lo scambio mercantile, e infine diventa storia dell'intera specie umana. In un primo tempo appoggiandosi ancora alle categorie precedenti (famiglia, merce, denaro ecc.), come vincolo ereditato dal passato. In seguito, distruggendole. Lenin aveva adottato una bella immagine della transizione: l'involucro non corrisponde più al contenuto. Famiglia, proprietà, stato ed infine valore autonomizzato sono le vestigia di un passato in cui tutto il ciclo di produzione-consumo era chiuso in piccole comunità isolate le une dalle altre. La tecnosfera che avvolge il globo intero colonizzando la biosfera è socializzata alla maniera capitalistica, per cui tutta la produzione-consumo è finalizzata non al godimento da parte della specie ma alla soddisfazione del capitale che deve realizzare un certo saggio di profitto per non morire. Lo spreco immane di energie, dovuto all'appropriazione privata del prodotto sociale, non è evitabile nel contesto di questa forma sociale. Il capitalismo non riuscirà mai, a causa della sua natura, a mettersi in armonia con l'energia che arriva dal Sole, l'unico modo per mettere in equilibrio organico il Pianeta: il quale non è la casa in cui abitiamo, né un serbatoio al quale attingiamo, bensì un insieme di cui noi facciamo parte come sotto-insieme. Noi non riusciremo mai ad estirpare la necessità della dipendenza se il prossimo sbocco rivoluzionario non la eliminerà dal modo di essere della nostra specie. Se continueremo a ritenere necessario un qualsiasi rapporto di subordinazione tra uomini e uomini; se continueremo a vedere un rapporto di subordinazione fra uomini e biosfera, la mancata armonizzazione fra il nato e il prodotto ci estinguerà, come ha estinto i dinosauri.
Naturalmente non siamo così pessimisti. L'uomo è pronto al balzo entro un futuro che sarà la negazione di tutte le categorie esistenti. Le rivoluzioni sono sempre scoppiate per quella negazione.
C'è una netta separazione fra gli aspetti locali e quelli globali della vita umana. A livello locale l'individualismo familiare, a livello globale il cyborg già incontrato nelle pagine precedenti; a mediare il rapporto fra i due il denaro e le associate politiche finanziarie. Proprio a livello di tali politiche, e quindi, in fondo, a livello della politica mondiale, vediamo un'altra chiarissima manifestazione della suddetta separazione. Il capitale, come la produzione, vive ormai solo su scala mondiale. D'altra parte, è nella sua natura di venire gestito individualmente o tutt'al più statalmente. Così la contraddizione fondamentale fra produzione sociale e consumo privato emerge a livello politico nella contraddizione, messa in luce ormai addirittura dagli analisti borghesi, del doppio ruolo del dollaro e quindi della sua zecca e relativi guardiani, gli Stati Uniti. Il dollaro da una parte è moneta nazionale, e quindi unilaterale, privata, legata a interessi particolari; dall'altra ha un ruolo internazionale e nessuno riesce a seguire, e tantomeno a controllare, il suo comportamento sui mercati.
I quali si trovano nella stessa posizione descritta da Bateson a proposito della Germania nazista:
"La parte non può in alcun caso controllare il tutto. Goebbels pensava di poter controllare l'opinione pubblica tedesca con un vasto sistema di comunicazioni, e forse i nostri addetti alle pubbliche relazioni si abbandonano a illusioni analoghe. In effetti l'ipotetico controllore deve sempre avere in azione spie che gli riferiscano che cosa dice la gente della sua propaganda. Egli pertanto si trova nella posizione di reagire a ciò che la gente dice; quindi non può esercitare un semplice controllo unidirezionale. Non viviamo in un tipo di universo ove il semplice controllo unidirezionale sia possibile. La vita non è fatta così." (Finalità cosciente e natura).
Il partito, nell'accezione che abbiamo precisato, rappresenta la soluzione a questa come a molte altre contraddizioni (Manoscritti), e quindi non può funzionare se non organicamente, secondo una modalità che con un azzeccato neologismo è stata definita glocale, ad indicare che fra i due momenti (locale e globale) non vi è antagonismo ma complementarità e quindi il tenerli separati è energeticamente sfavorevole. Centralismo organico è un termine che evoca una precisione scientifica perché si collega direttamente alla più sorprendente proprietà della vita: quella di essere composta da elementi estremamente diversi ma specializzati nelle loro funzioni, per cui ogni molecola interagisce con poche altre, a livello locale. Ciò vale anche per gli uomini: le interazioni tra gli individui di una stessa specie sono biologicamente limitate per numero e intensità. Nello stesso tempo la vita è unitaria. È una "proprietà emergente": nessuna molecola di per sé è viva, solo l'intera cellula rappresenta un'entità vivente, quindi un centro attrattore di altre entità viventi. Questo significa che vengono conservate solo quelle che altrove abbiamo chiamato differenze utili, cioè informazione che permette lo strutturarsi della complessità organica; mentre le differenze che producono solo rumore vengono soppresse.
In un essere vivente sano non esistono parti che tendono a controllare o sfruttare il tutto e sottometterlo ai loro scopi, al contrario le parti sono polarizzate secondo una direzione che a sua volta retroagisce e guida i movimenti singoli. Le società di classe sono anti-organiche e perciò stesso destinate all'estinzione (dopo aver svolto il servizio di traghettare l'umanità a un livello n+1).
Rovesciamento della prassi
Quello appena descritto è, in altra forma, lo schema più volte da noi ricordato del rovesciamento della prassi da parte del partito. Giova tornare ogni tanto alle fonti:
"I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia (Manifesto").
D'altra parte "i proletari non hanno da perdere che le loro catene", dunque non hanno interessi, o hanno come unico interesse comune e complessivo quello dell'eliminazione di qualsiasi interesse. È questo il nocciolo stesso del programma comunista, dal quale deriva necessariamente il carattere organico del partito. Per tornare alle "due nature" dell'uomo, la cooperazione da una parte e la concorrenza dall'altra, il partito elimina la seconda, il che significa che elimina quelle differenze inutili e induttrici di spreco, elimina la famiglia proponendosi praticamente come nuova forma di raggruppamento umano.
Leggiamo ancora nelle Glosse marginali del 1844:
"Una rivoluzione dell'anima politica perciò, organizza anche, conformemente alla natura limitata e discorde di quest'anima, una cerchia dirigente nella società a spese della società."
Una cerchia dirigente a spese della società. Con la sua abituale inversione soggetto-predicato Marx esprime lo stesso concetto a proposito dello stato: nella transizione il cittadino non sarà più al servizio dello stato ma lo stato sarà al servizio del cittadino. Non usiamo più quel linguaggio, ma la nostra rivoluzione si è già strappata di dosso la litigiosa anima politica dell'uomo, atavico retaggio animalesco, per conservare l'armoniosa gioia dell'anima sociale, e quindi veramente umana. Per questo la nostra corrente ha sempre sostenuto che la rivoluzione non è una questione di forma bensì di forza. Il partito della rivoluzione non può che essere anti-forma: finché esiste il capitalismo qualsiasi forma venisse utilizzata, sarà in ogni caso una forma borghese, e soprattutto episodica, mentre il contenuto programmatico comunista è il superamento di qualsiasi forma e di qualsiasi interesse parziale. In una società organica che si desse strumenti evoluti per conoscere sé stessa e programmarsi, non esisterebbe più uno speciale organo di controllo come lo stato, sarebbe una società che non lavora semplicemente come un uomo che adopera una macchina coadiuvante, sarebbe una simbiosi organica uomo-macchina, una unità fra nato e prodotto (Kelly), qualcosa di analogo alla CPU (Central Processing Unit) di un computer: essa non "governa" niente, ma senza di essa il computer non funziona. Ci troveremmo piuttosto di fronte a un corpo vivente nel quale memoria e processore sono distribuiti, non solo nel cervello, ma in tutti gli organi. Un corpo vivente che, invece di operare al livello locale individuale, zoologico, con i suoi gretti bisogni e desideri, rinchiuso nella sua piccola e schizogenica cerchia famigliare che impone legge alla globalità, opera al livello globale emergente in forma finalmente organica, utilizzando le parti secondo leggi che si addicono alla conservazione di un organismo sociale complesso che polarizza le sue cellule nella direzione voluta e non dettata dalla contingenza. Tutto questo diventa possibile solo se la comunicazione fra i diversi organi è fluida, chiara, "in doppia direzione", e non coercitiva e unidirezionale. Ci troveremmo, insomma, in un tipo di società che assomiglierebbe molto a quella comunistica originaria giunta al suo limite superiore, prima che la "dipendenza" organica degli individui da un centro coordinatore si tramutasse in dipendenza degli stessi individui da altri individui organizzati in classe dominante. Osserviamo en passant che non usiamo mai l'espressione "comunismo primitivo" perché nella sua forma evoluta, urbana, proto-storica, quel comunismo non era affattoprimitivo ma efficientissimo, razionale, anti-dissipativo, cosciente.
Leroi-Gourhan mette in evidenza la contraddizione fra l'individuo zoologico e l'organismo sociale, e nelle pagine conclusive scrive:
"Una soluzione consiste nel ritenere che l'individuo sia socializzabile all'infinito e che un mondo artificiale che funzioni perfettamente in tutte le sue cellule sia più augurabile per l'uomo di quello della caverna, quando era libero di andare alla ricerca di un pasto subordinato alla eventualità di incontrare o meno la renna o il leone" (Il gesto e la parola).
Per non sbilanciarsi troppo aggiunge subito:
"Questa soluzione comporta, secondo me, la necessità di cambiare la denominazione specifica e trovare un'altra parola latina da unire al generico homo" [Si deve] "smettere di imitare il comportamento di una cultura microbica per vedere la gestione del globo come qualcosa di diverso da un gioco di azzardo." (e de Rosnay, pronto risponde: Homo symbiotique)."
Gioco d'azzardo, furto reciproco, spreco d'energie sociali, in effetti la carriera di questa specie per la quale la denominazione più adatta è quella di homo insipiens proprietarius è proprio arrivata alla sua fine. Eliminare la litigiosa anima politica significa rifiutare l'omologazione, la dipendenza narcotizzante che non è più quella dello schiavo, del servo della gleba o dell'operaio ma, peggio, quella dell'accettazione supina del dogma secondo cui non c'è niente di meglio del capitalismo, cioè della famiglia, della proprietà privata, dello stato e del mondo diviso in classi. Ecco perché abbiamo citato il film Fight Club (uno fra i tanti prodotti dall'ambiente capitalistico di punta), che con il sottofondo di una storia di pura fantasia, dipinge la realtà quale è. Dice il protagonista:
"Tu non sei il tuo lavoro. Non sei la quantità di soldi che hai in banca; non sei la macchina che guidi né il contenuto del tuo portafogli. Non sei i tuoi vestiti di marca. Sei la canticchiante e danzante merda del mondo".
Il club del film, a parte l'invenzione artistica, è una delle migliaia di intentional community che si formano e dissolvono in continuazione in America. Abbiamo affrontato l'argomento nell'articolo "Una vita senza senso" su questa rivista. In effetti ciò che sta accadendo oltre Oceano è emblematico: uomini e donne si associano per formare comunità che in molti casi rappresentano un rifiuto totale della normalità capitalistica, del consumismo, in certi casi al limite del masochismo. Decine di milioni di persone hanno visto chiudersi la prospettiva di un lavoro normale e vivono offrendo piccoli servizi assolutamente insufficienti a fornire un qualcosa che assomigli a un reddito. A queste persone occorre aggiungerne altri milioni che lavorano gratis ad aggirare le protezioni escogitate per difendere il mercato dei diritti d'autore, oppure a produrre applicazioni gratuite per computer e smartphone, oppure a creare gruppi di hacker per mero divertimento. Sono anni che il processo è in corso ed è una sciocchezza sostenere che si tratta di attività marginali che non toccano la sostanza del capitalismo. Vi sono paesi importanti il cui prodotto lordo è rappresentato per il 60-80% dai servizi, l'export statunitense è per quasi il 50% coperto da diritti di qualche genere. Il 100% delle transazioni industriali passa per Internet, lo stesso accade al mercato finanziario e a quello delle materie prime.
Qualcuno afferma che stiamo andando verso una nuova forma di dipendenza, qualcuno afferma il contrario. Analizzando le strutture emergenti è facile cadere nel trabocchetto delle sensazioni che fanno in fretta a diventare opinioni. Le strutture emergenti non sono quelle che si vedono di più, sono quelle che anche chi partecipa alla loro formazione stenta a capire. Perché in realtà non si è ancora capito che cosa sia il capitalismo nella sua fase finale. E non si tratta di fare una valutazione errata, come quando, parlando del primo aeroplano appena costruito, si pensava che non sarebbe servito a niente; oppure quando il CEO della IBM disse che il mercato dei computer avrebbe potuto assorbire sì e no 25 macchine all'anno. Un errore sulla diffusione di due merci tangibili è ben diverso da un errore sulla natura di un sistema sociale; e comunque oggi, parlando di merce, c'è sempre più l'immateriale, il niente.
La transizione è in corso e per adesso valgono sempre le osservazioni di Marx sui sistemi di macchine. Gran parte dell'umanità, già da un pezzo "esercito industriale di riserva", sta diventando velocemente "sovrappopolazione assoluta" senza nemmeno passare dalla condizione di "sovrappopolazione relativa". È una immane liberazione di forza lavoro, una potenziale acquisizione di tempo di vita. Non siamo d'accordo con coloro che vedono nel nuovo assetto capitalistico il pericolo di un rinnovato ciclo di dipendenza. Nemmeno la schiavitù del lavoro salariato, come si diceva una volta con un pizzico di romanticismo, era da trattare come un'involuzione della dipendenza/subordinazione: il sistema di macchine aveva bisogno di uomini, e questo fatto produceva un insieme esplosivo contro il capitalismo, una lotta di classe organizzata e potente. Oggi, dal punto di vista delle vulnerabilità del sistema, ci sono già state prove eclatanti che i rapporti di forza sono cambiati a favore di Cipputi, anche se non è più in tuta, anzi, proprio per quello.
Finalismo deterministico?
Ci troviamo di fronte a quello che in un primo momento potrebbe sembrare un insolubile paradosso: ciò che si esalta nella società attuale è la sua negazione (sintomi di società futura), proposta ad un livello sempre più alto. Più che un paradosso questa è una situazione di doppio vincolo per il capitalismo: in qualsiasi modo si entri nel merito di contenziosi risolvibili attraverso il "confronto", essa porta al risultato di potenziarlo; qualsiasi cosa venga fatta per fermare la rivoluzione, porta al risultato di potenziarla. Lo abbiamo visto prima a proposito del ruolo del dollaro e degli Stati Uniti. Più questi si trovano obbligati nel ruolo di gestori mondiali dei flussi di valore (dottrina del world building), con maggiore stridore si manifestano gli attriti dovuti al carattere nazionale della moneta e dello Stato americani, e quindi si pongono le condizioni propizie per la rovina di domani.
Ed è una situazione, come per il capitalismo, di doppio vincolo per la famiglia, il solido fondamento del capitalismo, vale a dire, quella "prima natura" che ormai sta rinsecchendo nella sua vacua meschinità. Estinguere la famiglia significa eliminare l'ultima catena di interesse personale che lega l'uomo del terzo millennio alla necessità animale e gli impedisce il salto verso il regno della libertà. Il che ricorda il nominato film di Kubrik dove il feto dell'uomo nuovo, della persona sociale, del Gemeinwesen incombe sulla scena. Ciò si accorda con la visione della rivoluzione come progressiva liberazione di potenzialità. Le basi della società attuale sono nella società futura, nel senso che nelle manifestazioni estreme del capitalismo (ma stanno diventando normali) c'è più futuro che passato e gli strati superficiali rinsecchiti abbandonano la scena. Il partito storico è quel fondamento, è l'unica entità presente che abbia un futuro e che non sia già un fantasma del passato. Parafrasando il titolo di un articolo già citato, il programma è l'ambiente (una "e" accentata al posto di una virgola), il programma è porsi al centro di quel processo e veder cadere gli strati ormai secchi. Questo atteggiamento è un altro modo di descrivere il rovesciamento della prassi. Tutto sommato è l'unico modo che ha l'Homo sapiens per riconoscere sé stesso come un essere che ha qualcosa di particolare rispetto al resto del vivente, cioè la capacità di progettare, la differenza tra l'ape e l'architetto, come suggerisce Marx. Persino quel monumento all'idealismo che fu Kant dovette riconoscere l'importanza della capacità di guida che l'uomo può mettere in campo:
"Galileo e Torricelli […] compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che, con i principi dei suoi giudizi secondo leggi immutabili, essa deve entrare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per così dire, con le redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria, che pure la ragione cerca e di cui ha bisogno. È necessario dunque che la ragione si presenti alla natura avendo in una mano i principi, secondo i quali soltanto è possibile che fenomeni concordanti abbiano valore di legge, e nell'altra l'esperimento, che essa ha immaginato secondo questi principi: per venire, bensì, istruita da lei, ma non in qualità di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piaccia al maestro, sebbene di giudice, che costringa i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge" (I. Kant, Critica della ragion pura).
Ecco dalla penna di un grande filosofo borghese la puntualizzazione su chi tiene le redini della conoscenza e, implicitamente, la condanna di ogni opportunismo, sempre pronto a cogliere una nuova occasione dietro l'angolo dell'evento. Per il rivoluzionario l'attualità fa già parte del passato, e viene giudicata attraverso un occhio freddo che il becero filisteo chiama dogmatico solo perché egli ritiene virtuoso il suo essere sballottato qua e là dagli impulsi della "situazione". Come espresso in chiarissimi termini da Bordiga:
"Il problema della prassi del partito non è di sapere il futuro, che sarebbe poco, né di volere il futuro, che sarebbe troppo, ma di conservare la linea del futuro della propria classe" (Proprietà e capitale).
Staffetta generazionale
Il nostro lavoro sotto l'insegna "n+1" dura da decenni, anche se la notazione simbolica è stata da noi adottata pubblicamente solo nel 1997. Lungo tutto questo tempo è sempre stato vivo il problema del passaggio di testimone che la staffetta generazionale comporta. Sembra un problema di semplice soluzione: esiste un enorme patrimonio scritto che rappresenta una parte essenziale nella storia delle rivoluzioni moderne dal 1848 a oggi ed esiste una chiave di lettura prodotta dalla lotta incessante fra il passato e il futuro, lotta che, come abbiamo visto, ha trovato i suoi militi.
Quella della trasmissione della conoscenza rivoluzionaria è per sua stessa natura una questione che implica contraddizioni. Da una parte ogni suo sviluppo è legato a situazioni storiche ben precise, situate in un periodo del passato: le eresie comuniste nelle città medievali, e poi nella Germania della riforma, dove si legano alla guerra dei contadini; il '48, il Manifesto, Marx e la Lega dei Comunisti; la Comune e la Prima Internazionale; il '17 ecc. ecc. Dall'altra, ogni ulteriore sviluppo implica un superamento dei vecchi risultati (rivoluzione in permanenza).
Ora è chiaro che questo superamento è possibile solo attraverso una robusta masticazione e digestione dei vecchi schemi. Tutta la storia umana (e non solo umana) è un simile processo di masticazione e sviluppo, lo abbiamo messo in evidenza nel lavoro sulla struttura frattale delle rivoluzioni. La questione è: di fronte ad una simile geometria priva di scala (nel senso che a qualsiasi scala la si osservi rimane invariante), come si fa a decidere quale criterio debba essere scelto per schierare le forze rivoluzionarie? Non può deciderlo il singolo individuo. Non può farlo una manciata di individui che la rivoluzione ha spinto a fare un certo lavoro. Solo il processo rivoluzionario stesso, il partito storico con i suoi meccanismi autoregolatori deciderà.
La grande forza della nostra dottrina risiede nella coincidenza perfetta che esiste fra la passione che ci anima e la stretta necessità dell'evoluzione futura. Noi ci lasciamo guidare da questa necessità, cioè dal movimento reale, rivoluzione, partito (i termini sono innumerevoli...). Ora, il movimento reale per progredire ha bisogno di avere nella propria memoria tutto il percorso passato, e la critica dello stesso (ma le due cose sono inseparabili, la memoria è già di per sé critica). Spesso diciamo di Marx, Engels, Lenin, che sono "i nostri maestri". A prima vista non sembra sbagliato crederlo, ma una simile concezione del rapporto fra una rivoluzione e gli strumenti che essa produce per affermarsi è fonte di involuzione. Certo, i già menzionati personaggi sono nostri maestri, ma non più di un antico mito celtico, di Aristotele o di Gesù Cristo. Si può dire che questi ultimi sono nostri maestri a una scala diversa, ma invariante. Noi siamo marxisti? Sì, a una prima occhiata sì, in quanto la discendenza politica ci ha scaraventati nel grande calderone dei marxisti (in cattivissima compagnia). Ma alzando il nostro sguardo dal livello della quotidianità a quello dell'universalità, non lo siamo più (come non era "marxista" lo stesso Marx, al contrario di quanto affermano i nostri suddetti compagni di calderone). Per concludere, quando parliamo di trasmissione della nostra dottrina di quale dottrina parliamo? Nel nostro lavoro pratico, negli articoli della rivista, cerchiamo di farci guidare da una dottrina che è di specie, universale, nostra maestra è tutta la conoscenza umana. Chiaramente ognuno di noi ha predisposizioni differenti, e per ognuna di esse la necessità rivoluzionaria ha forgiato un diverso demone, che ci spingerà ad accogliere, digerire e sviluppare differenti aspetti del serbatoio della conoscenza. D'altra parte, noi discendiamo direttamente dalla corrente uscita dalla Sinistra Comunista, perciò ci dedichiamo all'archivio storico; ma per utilizzarlo con giovamento è ancora una volta necessario il proverbiale demone di Marx che ce ne fa sentire la necessità.
Schiavitù ideologica
Siamo giunti quasi alla fine del nostro lungo viaggio attraverso le storiche transizioni di fase. Abbiamo sottolineato la necessità di operare un'astrazione rispetto ai dati percepiti soggettivamente che ci arrivano dalla natura, per realizzare modelli che ci aiutino a superare i problemi posti dall'enorme complessità della dinamica storica reale. Nessuna delle rivoluzioni che ci hanno permesso di periodizzare il divenire dalla preistoria alla storia secondo le funzioni delle classi è stata "pura". Nonostante la sovrapposizione spaziale e temporale di stadi riguardanti lo sviluppo economico o la disposizione delle forze in campo è stato possibile identificare la periodizzazione con il criterio delle classi che hanno dato la loro impronta piuttosto che con il criterio dell'effettiva partecipazione.
La nostra trattazione non è stata sviluppata in ordine cronologico per il motivo spiegato più volte: siccome le transizioni di fase sono da esaminare secondo una simmetria storica (Dottrina dei modi di produzione), il passaggio dal comunismo originario alle società di classe andava analizzato per ultimo, dato che siamo alla vigilia della transizione dalle società di classe al comunismo.
La mera cronologia dei fatti, seppur fosse supportata da robuste prove archeologiche e storiografiche, non avrebbe portato nessuna luce ulteriore rispetto a quello che si sa già. Ad un certo grado di sviluppo sappiamo che gli schiavi non c'erano. I problemi incominciano subito: per noi è evidente che non c'erano perché non potevano esserci. Alcuni autori di cui abbiamo consultato le opere dicono la stessa cosa. La maggior parte degli altri autori non si pone il problema: potevano esserci o no, dipende dalle forme del potere, dalle circostanze storiche, dall'ambiente o da altre cause "materiali" di questo genere. L'esistenza della schiavitù (non di un certo numero di schiavi ma di un modo di produzione basato sullo sfruttamento degli schiavi) è palese in diversissime ambientazioni, come già ci è successo di notare per le forme cosiddette asiatiche, presenti anche in America, oppure per le civiltà cosiddette idrauliche, i cui caratteri sono presenti anche nei deserti.
La comparsa degli schiavi, analizzata con un metodo non inquinato dallo pseudo-materialismo di cui sopra, è legata non a dati contingenti ma a grandi trasformazioni epocali, che per noi coincidono con le rivoluzioni che traghettano le classi da un sistema economico all'altro (e magari le estinguono). Abbiamo visto che nel paradigmatico esempio di Roma antica, dove la schiavitù era giunta al massimo livello raggiungibile di sfruttamento, di regolamentazione, di fabbricazione (guerre e figliazione), di commercio, per tre o quattro secoli dalla fondazione la schiavitù non c'era. Come spiegare questa anomalia? Come giustificare l'assenza del motore primario dell'economia schiavistica nel luogo dove lo schiavismo ha raggiunto la sua massima espressione? Eppure, i vicini Etruschi avevano gli schiavi, il modello greco da cui i Romani traevano ispirazione aveva gli schiavi. Gli Assiri al tempo della monarchia romana avevano gli schiavi.
Fino a pochi anni fa era convinzione generale che le piramidi fossero state erette da schiavi. Qualche domanda avrebbe rivelato che tale convinzione era generalizzata a tutta l'antichità, classica, asiatica, barbarica o altro. L'introspezione delle parole d'ordine borghesi "Libertà, fraternità, eguaglianza" legate arbitrariamente ad altri modi di produzione ha prodotto la generalizzazione indebita. Non è un problema di conoscenza ma di ideologia. La dea Ragione è stata ragionevolmente rinchiusa in parlamento e tutto quel che succede sotto il cielo tende a prendere la fisionomia borghese. L'antitesi della parola d'ordine libertà eccetera, è schiavitù. Niente più di questa forma di sfruttamento, che addirittura proibisce per legge che lo schiavo sia considerato persona, può essere usato come propaganda del benessere borghese. I servi della gleba, che non se la passavano meglio degli schiavi, non hanno avuto da parte borghese quell'attenzione un po' maniacale riservata agli schiavi. Ad esempio, la pittura ottocentesca di maniera (dagli impressionisti chiamata pompière) sfornò migliaia di quadri raffiguranti schiavi, anzi schiave, preferibilmente svestite, ma non indugiò sull'estetica delle contadine medioevali.
Il punto di partenza della potente trattazione che troviamo inDottrina dei modi di produzione sta nel passo deiManoscritti di Marx dove si afferma che "il comunismo è il risolto enigma della storia": non nel senso che fornisce risposte, ma che distrugge vecchie domande. Distruggerle non con l'arma della critica (il che equivarrebbe a porre sul tappeto domande su domande a complicare ulteriormente l'enigma), ma con la critica delle armi (vale a dire attraverso la prassi, l'azione, la lotta). In altre parole: comunismo come movimento reale che distrugge – appunto – lo stato di cose presente. Ci troviamo di fronte ad un netto rifiuto di considerare la conoscenza astrattamente, in termini di Verità filosofica. Recita (sempre Marx) la seconda tesi su Feuerbach:
"La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica".
Ciò significa: quel che conta è la relazione fra l'uomo e la natura, fra il pensiero e l'essere (e questa relazione, questo scontro, èindustria), conta il non considerarla un assoluto a priori, conta non porre natura e pensiero uno sopra e l'altro sotto, uno prima l'altro dopo, secondo una qualche gerarchia classista e metafisica. La risposta di Marx è chiara: l'influenza reciproca fra pensiero e natura è talmente stretta che essi sono in unità fra di loro e quindi sono nati per forza contemporaneamente: "l'uno è nato perché c'è l'altro, l'altro perché c'è l'uno". La distruzione di questa gerarchia coincide con la fine delle società di classe. Occorre però precisare: la visione di Marx contrasta nettamente con la concezione materialistica corrente che pone la natura quale elemento originario e il pensiero quale riflesso della natura sull'uomo.
Sembra ragionevole: quattro miliardi di anni fa l'uomo non c'era e quindi non c'era nemmeno il pensiero. C'erano solo degli organismi unicellulari che a malapena riuscivano a muoversi verso le fonti di quello che era il loro cibo, o addirittura non potevano muoversi e si spostavano per diffusione cioè per il movimento del mezzo in cui vivevano. Sicuramente, siamo portati a dire, questa antichissima proto-vita non pensava.
Errore. Solo immaginando a priori un dualismo fra materia e vita possiamo sbagliare a questo modo. L'organismo elementare è quello stesso da cui noi ci siamo evoluti Gli atomi di idrogeno e carbonio di cui è composto sono gli stessi che compongono anche noi. E gli atomi degli elementi sono tutti uguali, sia che vadano a formare un protozoo sia che vadano a formare un umano con un pensiero da cinque lauree. Induttivamente c'erano quasi arrivati gli illuministi enciclopedici, secondo i quali il pensiero dipende dal grado di organizzazione della materia. C'è un problema: dov'è il confine del pensiero? Tra n atomi e n+1? O fra le configurazioni di atomi? In ogni caso, se non vogliamo scomodare la divinità, la materia si auto-organizza e diviene viva, quindi pensa. Ma lo fa anche quando è inanimata: la disposizione degli atomi è informazione ed essa c'è anche se non c'è l'uomo a pensarla. La potenza della trattazione bordighiana consiste appunto nella dimostrazione che l'intera storia dell'universo è permeata di conoscenza, a confutazione degli argomenti addotti da un ipotetico materialista parziale. Questi argomenti ci conducono a una lettura ragionata di Materialismo ed empiriocriticismo, dove Lenin si chiede:
"Esisteva la natura prima dell'uomo? Abbiamo già visto che questa questione è particolarmente scottante per la filosofia di Mach e Avenarius. Le scienze naturali affermano con sicurezza che la terra esisteva in condizioni tali che né l'uomo né in generale qualsiasi altro essere vivente esisteva e poteva esistere su di essa. La materia organica è un fenomeno ulteriore, frutto di un lunghissimo sviluppo. Non vi era dunque materia dotata di sensibilità, non vi erano né 'complessi di sensazioni', né un Io 'indissolubilmente' legato, secondo la teoria di Avenarius, all'ambiente. La materia è primordiale, il pensiero, la coscienza, la sensazione sono il prodotto di uno sviluppo molto elevato. Questa è la teoria materialistica della conoscenza, sulla quale poggiano istintivamente le scienze naturali".
La coscienza è il prodotto di uno sviluppo molto elevato? Può darsi, dipende da cosa si vuol dire con "elevato". Forse sarebbe stato meglio "complesso". Al di là delle teorie esposte da Bogdanov, Mach e Avenarius, rispondendo ai quali Lenin sembra non essere a suo agio, le recenti formulazioni scientifiche borghesi su percezione, mente, coscienza e conoscenza hanno assimilato la lezione materialista e qualche autore sta abbandonando il vecchio dualismo. I nostri testi sull'argomento sottolineano la relazione indissolubile che vi è fra pensare e pensato, relazione che Lenin affronta con qualche semplificazione eccessiva:
"Dal momento che per conoscere, per risolvere i problemi di questa eterna ricerca e di questa eterna lotta voi dite che avete bisogno di un naturalismo che sia al tempo stesso umanesimo, avete continuamente bisogno dello scontro tra l'uomo e la natura. Come si è evoluto l'uomo? Come ha proceduto l'uomo quando non c'era pensiero nel cosmo e in nessuna parte?".
La nostra corrente risponde a questi argomenti affermando che anche in assenza dello spirito umano (o extraumano, secondo la teoria dettapanspermia, accettata da molti scienziati) la natura conosce sé stessa, ha scritto da sé la sua propria storia. In mancanza di questa sicurezza non ci sono santi: bisogna ricorrere alla creazione divina.
Anche la società genera da sé le proprie forme senza che ci sia bisogno di una qualche volontà creatrice. Per non citare solo e sempre noi stessi (in senso lato) ecco che cosa scrive Bateson in Forma, sostanza e differenza a proposito del funzionamento della macchina termica:
"Chi analizza la creatura osserverà che l'intero sistema è un organo di senso che è innescato dalla differenza di temperatura; egli chiamerà questa differenza 'informazione' o 'entropia negativa. Per lui si tratta solo di un caso particolare, in cui la differenza efficace si trova a essere sotto forma di energia; ma è del pari interessato a tutte le differenze che possono attivare qualche organo di senso. Per lui, una qualunque differenza di questo tipo è entropia negativa".
Siamo dunque in presenza di un sensore che capta informazione, bit, sì-no, acceso-spento. Tutta la teoria delle reti e della complessità è fondata su questi flussi di informazione che si auto-organizzano in strutture stabili, omeostatiche, al confine fra l'ordine e il caos (mucchietti di sabbia, reti di Kaufmann, ecosistemi, modi di produzione…). Bordiga, in Critica alla filosofia porta l'esempio della crosta terrestre con le sue stratificazioni e i terremoti che periodicamente la scuotono:
"La natura sembra non lottare, ma in realtà anch'essa lotta. Quando avvenivano le grandi convulsioni telluriche del vulcanismo primitivo dovute al fuoco interno, era una lotta della natura contro sé stessa, come lo sono le lotte di classe all'interno della specie. Potremmo continuare con gli esempi. Attraverso queste lotte che hanno lasciato i loro risultati, che hanno trasmesso le loro caratteristiche nel tempo, è possibile oggi conoscere, attingere informazione e materia, anche in senso utilitaristico. E ciò nonostante un miliardo di anni fa nessun uomo fosse presente per scrivere l'informazione, per registrarla, per mettere carbone o ferro nel sottosuolo. La natura si è registrata da sé, non aveva bisogno né di Dio né di una umanità, primitiva o civilizzata, per essere registrata. S'è scritta la propria storia da sola. La natura ha una propria memoria e ha offerto a noi i risultati in essa contenuti".
Bateson si riferiva a tutti questi sistemi con il termine di mente . Non la vecchia Mente filosofica sempre viva nel corso dei millenni, ma quella di una materia che, per memorizzare, elaborare e adoperare informazione, fa da sé", non chiede aiuto a forze extra-materiali o extra umane, anzi, tanto per épater le bourgeois, conosce tanto meglio sé stessa in quanto contribuisce alla comparsa di un bipede con cervello collettivo in grado di fare il lavoro:
"Nella società futura le scienze naturali "perderanno il loro indirizzo astrattamente materiale, o piuttosto idealistico, e diventeranno la base della scienza umana, così come ora sono già divenute – sebbene in figura di alienazione – la base della vita umana effettiva. E dire che v'è una base per la vita e un'altra per la scienza, questo è fin da principio una menzogna. La natura che nasce nella storia umana – nell'atto del nascere della società umana – è la natura reale dell'uomo, dunque la natura come diventa attraverso l'industria – anche se in forma alienata – è la vera natura antropologica" (Marx, Manoscritti).
Le scienze naturali perderanno il loro indirizzo astrattamente materiale quando diventeranno lo strumento sostitutivo della conoscenza attuale, quando cioè non saranno più veicolo delle esigenze del vigente modo di produzione. Fino ad allora, le conoscenze avverse non potranno fare a meno di adoperare contro di noi ogni arma possibile per indagare e neutralizzare. Sarà molto interessante vedere come la concatenazione degli eventi permetterà un tale passaggio.
Il "dipendente" antico, che stava diventando schiavo mentre credeva di essere ancora nel comunismo originario, non aveva coscienza della transizione di fase che lo stava precipitando in una condizione fino ad allora inaudita. Il "dipendente" moderno, che sta diventando homo gemeinwesen mentre crede di essere ancora homo insipiens, non ha coscienza della transizione di fase che lo sta elevando in una posizione inaudita, dalla quale potrà finalmente rendersi conto di quanto perdeva nella condizione di schiavo. Non schiavo qualificato da un aggettivo o altro (salariato, senza riserve, lumpen, precario, neet), ma schiavo senza specificazione, dal momento che il capitale autonomizzato non ha fatto troppe distinzioni mentre prendeva il controllo del mondo e delle classi.
Abbiamo fatto un giro di ricognizione che ci permettesse di dedurre a che punto è la maturazione dei rapporti fra individui e gruppi nell'ambito di un superamento dell'esistente. Conoscere e spiegare un tale superamento è lavoro gigantesco e forse impossibile da portare a termine se non verranno scombussolati equilibri millenari. Ma stanno per essere scombussolati, questa è una certezza.