Centralismo democratico e centralismo organico

[…] Il PCR (b) e il POSDR erano organizzati e regolavano la vita interna del partito con il metodo del centralismo democratico. Già la socialdemocrazia tedesca si organizzava più o meno così. Tuttavia, gli aspetti contingenti della formazione del POSDR avrebbero comunque portato a tale soluzione: il congresso di Minsk infatti fu il prodotto di un lungo lavoro di aggregazione di gruppi molto eterogenei formatisi spontaneamente in tutta la Russia. Inoltre, pesavano in questi circoli ancora le tradizioni populiste e il marxismo legale (il programma del partito non a caso venne redatto da Struve). La svolta del 1902-03 di Lenin non risponde solo alla necessità di attrezzare un partito che deve lottare dentro un sistema politico autocratico, che sappia lavorare in clandestinità ma anche di rompere con l'eterogeneità del mondo socialdemocratico russo. Vedremo come Lenin proseguirà quest'opera negli anni a venire con una serie di operazioni tattiche (riunificazione del 1906, scissione nel 1912, ecc.) sempre volte allo scopo di creare un partito rivoluzionario conseguente. La Guerra Mondiale accelererà il processo. Comunque, dopo il 1903, al di là del formalismo molte delle cariche in realtà vengono decise non attraverso un congresso ma attraverso il metodo della cooptazione anche se il principio democratico continua ad avere un certo peso. Dopo il febbraio del 1917 il partito continua a funzionare democraticamente anche se l'opera di omogeneizzazione è in gran parte conclusa. Tuttavia, su quasi tutto vediamo crearsi delle diversità di vedute assai importanti nel gruppo dirigente (sorvoliamo sul caso Zinoviev-Kamenev nell'Ottobre, ma pensiamo al dibattito sulla pace di Brest, alla questione dell'esercito professionale, la questione dei sindacati, la formazione delle tendenze della Kollontaj-Shjliapnikov o Sapronov-Smirnov). Malgrado spesso le divergenze non possano essere considerate puramente tattiche, il partito riesce a mantenere una certa unità. Lenin spesso forza la situazione come nel caso del settembre 1917 quando minaccia di uscire dal CC e rivolgersi direttamente alla base: e per questo possiamo vedere come egli non abbia nessun feticismo democratico in testa. La storia successiva, con l'ascesa dello stalinismo e la liquidazione fisica del bolscevismo, è una storia a parte e che non può essere risolta dalla mancanza di democrazia nel partito, dalla sua "autonomizzazione" dai soviet e dalla stessa base del partito, ecc. (come pensano i menscevichi e i socialdemocratici e, purtroppo, in parte i trotskisti). Si possono quindi fare delle brevi considerazioni: 1. Concezione generale del partito. Nella sua accezione generale il centralismo democratico parte dalla considerazione che il partito si formi "dal basso verso l'alto", "dalla classe verso la scienza".

In realtà ci si trova di fronte a un movimento dialettico in cui anche il cervello di Marx ed Engels sono il prodotto storico della formazione del moderno proletariato. Come abbiamo visto in 150 anni di storia del marxismo le mitiche masse spesso seguono il carro del capitale oppure si fanno mille illusioni (ciò è normale, si cerca sempre la via d'uscita meno complicata e meno dispendiosa). Da questo punto di vista il partito si forma sempre come un prodotto che va "dall'alto verso il basso", dalla "scienza verso la classe". Più si è vicini alla scienza più si è rivoluzionari (Lenin segnalerà come l'operaio spesso sia in grado vedere solo il rapporto tra sé e il capitalista e non tutta la dinamica e i soggetti della società borghese). Tuttavia abbiamo letto tutti le considerazioni di Trotsky e Lenin su quanto la psiche sia fondamentalmente conservatrice e tenda ad abituarsi alla routine (anche quella del più rivoluzionario dei rivoluzionari) mentre sono "i turbolenti fatti" a mettere in moto i processi storici. Mi vengono in mente ovviamente da questo punto di vista anche le considerazioni sul "culturismo" di Bordiga. Quindi a un certo punto le masse possono essere più rivoluzionarie della scienza (pensiamo agli operai di Vyborg nel febbraio 1917 ma anche per certi versi alla dinamica iniziale della Spagna del 1936). Esse, è vero, formano i propri organismi rivoluzionari indipendenti dal partito, ma non entriamo in questo tema…

Tutte queste considerazioni mi portano a pensare che la funzione del centralismo democratico non sia superata, soprattutto se pensiamo al futuro movimento rivoluzionario di massa e al partito della rivoluzione:

1. Il futuro partito della rivoluzione in quanto partito non ristretto, soprattutto se lo vediamo su scala mondiale, raccoglierà al minimo migliaia di militanti. Si porranno dei problemi di funzionamento quotidiano, di coordinamento e di rapidità di scelte che per ora a noi non si pongono. Nel momento in cui per esempio il partito avrà un quotidiano (magari telematico) dovrà affrontare le questioni dell'attualità e non si potrà risolvere tutto parlando solo delle contraddizioni del capitalismo e mostrando il programma storico...

2. Malgrado Bordiga continuo a pensare che le tattiche non possano essere preordinate (pensiamo alle svolte tattiche della Guerra civile russa e della NEP) per cui sulle diverse tattiche non potranno che esserci idee diverse e la scelta di quale tattica adottare dovrà essere decisa in qualche modo.

3. È ipotizzabile che in una fase rivoluzionaria la classe per un certo periodo corra più avanti del partito. Questi può giocare un ruolo di freno positivo (per esempio razionalmente decidere quale è il momento opportuno dell'insurrezione e non farsi trascinare dall'entusiasmo) o negativo (ritardare tutta una serie di svolte, di scelte). In tale fase il partito si sviluppa, come dire, anche dal "basso verso l'alto" e quindi il centralismo democratico ha una sua ragion d'essere.

4. Il movimento rivoluzionario creerà i suoi soviet e i suoi sindacati indipendenti dal partito. È normale che in tali organismi le decisioni possano essere prese con il metodo democratico. Anche qui non ho nessun feticismo democratico: nel caso si possono anche sciogliere i soviet se essi diventano controrivoluzionari. Tuttavia, penso che la futura rivoluzione in un mondo in cui lo sviluppo delle forze produttive è enormemente più elevato di quello che avevamo nel 1917 molti dei problemi che si posero a quel tempo potranno essere più semplicemente risolti.

5. Penso che la stessa concezione di Bordiga del partito vada storicizzata. Anche se è vero che il centralismo organico era in nuce nelle tesi di Roma la sistematizzazione di tale metodo di funzionamento è del dopoguerra. Quindi essa deve essere per forza il prodotto di una riflessione sugli avvenimenti del primo dopoguerra, ecc. Bordiga voleva giustamente preservare la teoria in una fase in cui il diluvio controrivoluzionario rischiava di lasciare terra bruciata alle generazioni future. Ma da qualche parte (aiutatemi voi a trovare la citazione esatta) ebbe a dire che una volta realizzata l'opera di restauro si sarebbe potuto "ponzare anche il poi", cosa che troppi fessi pensano di poter fare immediatamente. Per altri versi (scusate la bestemmia) innovò. Si rendeva conto (a mio modesto avviso) che bisognava risolvere dei problemi teorici se si voleva continuare ad esistere (cosa è successo in Russia? cosa è la Russia oggi?).

6. Indirettamente queste mie considerazioni "risolvono" anche la questione dell'anonimato. In un futuro partito rivoluzionario "centralista democratico" è evidente che posizioni tattiche diverse si incarneranno in persone fisiche che tali posizioni difendono. Per altri versi l'anonimato sarebbe servito a recidere i legami con l'individualismo borghese, a creare una "comunità partito" in qualche misura già post-democratica o antidemocratica come sarà il comunismo […]

L'argomento è fondamentale e alcune cose che scrivi sono e saranno il portato di situazioni ibride ineliminabili. Possiamo dire però che la questione del centralismo organico non dovrebbe essere affrontata in contrapposizione a quella del centralismo democratico: è un'altra cosa, fa parte di un altro mondo, come giustamente venne fatto osservare da Bucharin a Bordiga. Il quale ha necessariamente "innovato", come dici anche tu. La società futura infatti, sarà un altro mondo e sarà organica. La sua capacità programmatica si deve riflettere nella società attuale (così com'è, dice Marx). Altrimenti la distruzione del capitalismo sarebbe una velleità donchisciottesca. Bordiga in realtà non innova, semplicemente tiene conto della differenza (oltre che dell'invarianza) fra il primo dopoguerra e il secondo. Il suo modo di lavorare su presupposti di invarianza trattando differenze ha un qualcosa di grandioso, che bisogna trattare con cautela per non scadere nella mera ammirazione per il personaggio. La prova che c'è stato un cambiamento al di là dell'ingegner Bordiga è la variazione nel suo linguaggio: secco e sintetico senza essere arido quello degli anni '20, profondo e pieno di significati sovrapposti quello degli anni 50 (più che gaddiano; come abbiamo scritto da qualche parte, galileiano o dantesco).

Questa premessa ci voleva, perché quando si parla di centralismo organico alla maniera di Bordiga bisogna fare attenzione a non parlare semplicemente di una formula organizzativa.

Sulla questione dell'organicità in generale, ti segnaliamo il testo Origine e funzione della forma partito, da noi ripubblicato, con una nostra prefazione scritta intorno al 1990 e che riteniamo risponda ancora alla maggior parte delle domande che i compagni ci pongono sull'argomento. C'è forse da dire qualcosa in più rispetto al superamento o meno del centralismo democratico di fronte al rapporto partito-masse. Dicevamo che dal punto di vista del comunismo, così com'è già delineato nel Manifesto, la questione del partito non dovrebbe essere affrontata come se si parlasse di una modalità organizzativa tra le altre. Se è vero che il partito si esprime anche attraverso una struttura organica in cui gli uomini sono le cellule di un organismo, questa struttura non può essere scambiata con una delle tradizionali forme di partito. Negli anni '60 Bordiga preciserà che per centralismo organico intende un qualcosa di biologico, una forma di vita che metabolizza e svolge il suo lavoro senza che ogni cellula debba vedere in un'altra cellula particolare un comandante o un subordinato, un depositario di autorità o un esecutore (Tesi di Milano). A pensarci bene, questa concezione biologica ha delle sfumature attuali, ha attinenza con la teoria delle reti, dell'informazione, della complessità.

La questione del partito organico si pone dal punto di vista della società futura oppure si cade nella trappola della descrizione di una forma inerente alla società attuale. Quindi appena in grado di svolgere compiti entro la stessa, come il partecipare ad elezioni, introdurne il metodo in qualche modo all'interno dell'organizzazione, ammettere dibattiti su opinioni, tener conto di maggioranze e via dicendo. Il partito non può conservare categorie della vecchia società. Quando diciamo che il partito è disegnato dai suoi compiti futuri (e ripetiamo il Bordiga del 1921) non diciamo nulla di speciale: semplicemente non si può costruire, per esempio, una rete ferroviaria, cioè un sistema altamente complesso, con un'organizzazione che sarebbe utile alla produzione di pasticceria fresca. Oppure, come abbiamo scritto nella "biografia", non si può piallare un asse con una spugna, ci vuole una pialla con lama di acciaio.

In termini marxisti non esiste il partito che "fa" la rivoluzione, ma vi è una rivoluzione che "fa" il suo partito. Solo in questo senso prende esatto significato la tua affermazione sui movimenti di massa che a volte anticipano l'organizzazione, cosa verissima che abbiamo visto in opera durante tutto il Biennio rosso e oltre.

La tua lettera pone quesiti interessanti; ma, là dove tu dai ad essi una risposta, ci sembra sia ancora scritta in un'ottica bolscevizzante, cioè molto legata alla terminologia del partito russo, poi filtrata inesorabilmente in tutto il mondo. Tra l'altro non riusciamo a capire alcuni tuoi punti. Prendi per esempio il primo punto: coordinamento e azione pratica esistono anche in una fabbrica, tanto che in essa non ci si limita certamente a parlare di produzione ma la si effettua concretamente. Non crediamo ci sia mai stato qualcuno che immaginasse il partito come un organismo dedito a discorsi platonici. Ma cosa c'entra tutto ciò con l'organicità e il centralismo democratico? Una cosa si può dire: un piano d'azione esclude di per sé ogni meccanismo democratico, non tanto perché sia conculcato, ma perché è palesemente inutile. Si può immaginare un cantiere che funzioni democraticamente?

Anche noi pensiamo che la tattica non possa essere preordinata da qualcuno, ma è certamente strano pensare che la tattica si possa "scegliere" secondo le idee diverse che si formano su di essa. Ciò non sarebbe soltanto "malgrado Bordiga", ma anche malgrado Marx, Lenin e Trotsky (quello del periodo marxista). La tattica non la scelgono gli uomini ma è stabilita da precise condizioni "geostoriche", nelle quali è data ed è unica.

Contrariamente a quanto in genere si crede, Bordiga non ha una sua peculiare concezione di partito né di altro. Egli non fa che sviluppare alcuni degli elementi del quadro teorico originario sulla base della dinamica economica e sociale moderna. Per questo non riteniamo affatto una bestemmia dire che Bordiga ha innovato, l'importante è capire che ci sono forme che rimangono invarianti anche sotto pesante trasformazione.

L'originalità di Bordiga consiste nel resistere, nonostante l'ambiente mondiale, sul terreno scientifico e di continuare l'opera di Marx. Resistere al "diluvio controrivoluzionario che rischiava di lasciare terra bruciata" ed "esistere", come dici tu, sono la stessa cosa: non si trattava soltanto di risolvere problemi teorici, ma di preservare le soluzioni dai virus micidiali dell'opportunismo. Secondo noi neppure i "bordighisti" sono vaccinati contro l'interessato oblio rispetto a ciò che disse veramente. Bisogna certamente preservare il patrimonio teorico nel rispetto dell'invarianza storica, ma ciò non significa diventare conservatori. Purtroppo, questo tipo di conservatorismo è assai diffuso e si riduce a conservare non l'esperienza rivoluzionaria russa ma la sua degenerazione.

Diciamo che l'organo "partito", se vogliamo chiamarlo così, è per noi il risultato manifesto dell'intera evoluzione umana, dalle cellule sociali primitive come la famiglia e la tribù, alla società attuale che si è sviluppata in una rete enorme e complessa di collegamenti e di manufatti. Questa rete rappresenta la proiezione del cervello biologico all'esterno della scatola cranica individuale, il potenziale cervello sociale (e anche corpo sociale) di cui la società nuova avrà bisogno (cfr. Tesi di Napoli, punto 11). Per questo l'individuo democratico, come giustamente concludi, è superato da quello che rappresenta una cellula differenziata, quindi con un'alta individualità utile, facente parte di un tutto organico (cfr. Riconoscere il comunismo, cap. "Grandi schemi della società futura").

Rivista n. 46