La pandemia e le sue cause

All'inizio del 2009, di fronte al propagarsi di un virus influenzale battezzato H1N1, l'Organizzazione Mondiale per la Sanità decise di elevare il livello di allarme, di dichiarare cioè la pandemia. Quel virus non produceva una sintomatologia molto evidente e perciò la sua diffusione era veloce e sotterranea, poco visibile, e il numero dei contagi aumentava in modo esponenziale. Naturalmente dichiarare lo stato di pandemia comportava una mobilitazione mondiale per le strutture sanitarie e un impegno per la centralizzazione da parte del potere esecutivo. Fenomeni come le epidemie si affrontano con metodologie analoghe a quelle militari e in ogni guerra il principio cardine è la conquista dell'iniziativa in quanto componente della superiorità. Tutti i modelli matematici di pandemia hanno carattere aggressivo. Non esiste una maniera "dolce" per evitare o per bloccare una pandemia, specie se è provocata da un virus mutante: teoricamente i contagi si esauriscono in modo naturale solo una volta contagiati tutti gli abitanti del pianeta. L'auto immunizzazione da contagio non è da confondere con la cosiddetta immunità di gregge: se la stragrande maggioranza delle popolazioni si vaccina i pochi non vaccinati hanno bassissime probabilità di contagio. Un autentico vaccino opportunista.

Questo dell'iniziativa è un problema. L'OMS è un organismo esecutivo sovranazionale, teoricamente con poteri forti (come altri organismi simili, quali ad esempio il FMI in campo monetario o la Banca Mondiale per l'economia), poteri che però non può esercitare. I suoi medici e scienziati sapevano benissimo che cosa fosse il virus H1N1, da dove arrivasse e da quanto tempo fosse riconosciuto. Sapevano ad esempio che gli allevamenti intensivi sono un fertile terreno di coltura per le influenze esplose negli ultimi anni, ma non hanno un esercito, con uno stato maggiore che conduca la guerra attraverso una rigorosa linea di comando. L'OMS non può fare razionalmente la guerra al virus perché non può acquisire l'iniziativa, che in questo caso si potrebbe descrivere, alla von Clausewitz, come capacità di imporre la propria volontà. Ovviamente il virus non ha una volontà da contrapporre, ma di fatto, davanti a una pandemia con i suoi meccanismi di espansione, se non rispondiamo correttamente è come se rinunciassimo alla capacità di attacco, che pure teoricamente abbiamo.

S'è detto altrove che invece di una dottrina militare, di fronte a fenomeni sovranazionali, le strutture che dovrebbero rappresentare un governo mondiale applicano una dottrina del rimedio, del rattoppo, che è sempre una subordinazione invece che una capacità di pianificazione. Il contrario della volontà.

Anche se non è così scontato, partiamo dal presupposto che i responsabili dell'OMS siano tecnicamente all'altezza del compito che devono svolgere, cioè salvaguardare la salute del mondo. Dovrebbero quindi eliminare le cause delle varie patologie. Ad esempio, eliminare l'ibridazione selvaggia che non serve a rendere più efficienti i prodotti chimici per l'agricoltura ma indebolisce le piante; eliminare l'attuale densità degli allevamenti con tutto ciò che ne deriva nei confronti del loro indotto, dall'origine della filiera al consumo finale, dato che quest'ultimo è in ascesa nel tempo (dal 1961 al 2013 in Cina il consumo giornaliero pro capite di carne è passato da 10 a 160 grammi, in Europa da 140 a 230 e negli Stati Uniti da 240 a 330). Cinquant'anni fa la densità degli allevamenti di suini era 50 capi per azienda, oggi siamo intorno ai 1200 capi. L'OMS dovrebbe quindi non solo essere anche organismo per le politiche agricole, ma avere, come qualsiasi stato, la forza armata per far valere l'ordine di pianificare lo sradicamento dai piani economici di ogni concessione agli allevamenti di quel tipo. Ovviamente dopo aver condotto uno studio sulla reale necessità di carne per la salute e per il gusto.

C'è chi si è indignato per una fasulla parvenza di rigore, figuriamoci se si prendessero misure davvero adatte a stroncare la pandemia. Quanti milioni sono morti senza che nessuno si preoccupasse di chiedere democraticamente se erano d'accordo a morire?

Un'influenza arriva tutti gli anni tramite qualche virus, modificato o meno. L'umanità è abbastanza attrezzata per difendersi, tranne quando la letalità è molto alta come nel caso della spagnola e di mutazioni sintetiche tali da influire sulle capacità di difesa del nostro organismo. A parte quelle eventualmente studiate nei laboratori militari, queste ultime sono tutte causate dal passaggio dei virus da un animale all'altro, il cosiddetto salto di specie. Gli allevamenti intensivi e l'agricoltura drogata sono responsabili in larga misura dei meccanismi che sono alla base di questo salto. In un anno di pandemia abbiamo tutti avuto il tempo e il modo di informarci sul coronavirus attualmente in circolazione, quindi non ci soffermeremo sui dettagli se non per aggregare informazione da trattare nel complesso delle relazioni sistemiche.

Le influenze del tipo zoonosi sono particolarmente letali perché il virus che le provoca è darwinianamente adatto a sopravvivere in ambiente ostile, anzi, subisce delle mutazioni proprio a causa di questo ambiente. Secondo l'OMS le zoonosi hanno provocato nel mondo, prima che esplodesse la pandemia attuale, un miliardo di contagi e due milioni di morti.

Questo tipo di virus, dunque, è pericoloso non tanto (e non solo) perché fa ammalare e morire, ma perché i suoi caratteri genetici comportano degli effetti inattesi. O meglio: attesi ma con caratteristiche sconosciute. Pensiamo a che cosa succederebbe nel mondo di oggi se comparisse da qualche parte un virus con un potenziale di contagio analogo a quello della Spagnola, che nel 1918-19 uccise forse 50 milioni di persone. Oggi sette miliardi e mezzo di esseri umani, malati come il cibo che mangiano, si accalcano su di un pianeta la cui biosfera non è meno malata. Si accalcano anche muovendosi come mai nella storia, su mezzi di trasporto e reti di comunicazione che sembrano ottimizzare la capacità di diffusione di ogni tipo di microorganismo.

Una alta letalità del tipo di quella riscontrata in un coronavirus individuato in Arabia, accompagnata da un basso profilo sintomatico in incubazione permetterebbe ai malati inconsapevoli di infettare un gran numero di persone.

Il rapporto della borghesia con il virus dell'influenza è strano: l'altalena delle zone colorate e il pendolo dei provvedimenti presi nei confronti della sospensione del reddito provocano una dinamica caotica che sul virus ha un effetto passivo. Non essendo un essere senziente, può solo agire attraverso l'informazione che riceve e quella che mette a disposizione dei suoi "lettori", non si aspetta un feedback, ha solo due stati: vivo o morto. Tralasciando per un momento il significato ambiguo di vivo o morto per un virus, cioè per una forma che è viva soltanto se si innesta su di una cellula viva, possiamo dire che il virus è un elemento passivo in un mondo che lo plasma facendolo diventare attivo. Non "sceglie" di diventare meno letale adottando una strategia nascosta entro il portatore asintomatico per diffondersi meglio, come abbiamo letto e sentito da più d'uno. Allo stesso titolo, potrebbe subire un'influenza contraria e diventare micidiale. Molti hanno affermato che per fortuna la versione medio-orientale del Coronavirus ha esaurito il suo pericoloso potenziale di contagio prima di diventare pandemica. Anche in questo caso è evidente che la fortuna (o destino, il contrario di libero arbitrio) non c'entra. La Sars medio-orientale si è esaurita forse perché il codice genetico del virus non presentava informazione leggibile dalle cellule di quella particolare popolazione, il destino non c'entra a meno di non vederlo come determinismo in azione.

La natura che ci circonda non è altra cosa rispetto a noi, ne facciamo parte e quindi se non riconosciamo gli effetti di questa relazione ci mettiamo nei panni del parassita che vive a spese dell'organismo che lo ospita. Può darsi che gli allevamenti intensivi non siano la causa diretta delle epidemie da coronavirus, ma di fatto ci stiamo cibando con animali e piante prodotti con metodo fordista, cosa che non facciamo più neanche con le merci non viventi. Un vitello ultra-selezionato diventa un mero contenitore di bistecche, spezzatini e bolliti, prodotto in serie come un'automobile. Nessuno si preoccupa seriamente, cioè in anticipo, se ciò può essere causa di pandemie che potrebbero causare danni gravissimi alla nostra specie.

Mentre scriviamo abbiamo sotto agli occhi un sito nutrizionista non vegetariano che in diversi articoli si scaglia contro l'eccessivo consumo di carne con tutto ciò che ne consegue, alla Rifkin (Ecocidio, 1992). Dopo aver lanciato fulmini e saette di rito contro gli allevamenti, accusandoli di provocata pandemia, il sito affronta alcune soluzioni nella prospettiva di riduzione drastica del ciclo carnivoro.

Una soluzione per i lavoratori dei macelli sarebbe quella di sostituire questi ultimi con strutture robotizzate, delle quali sono descritte le caratteristiche necessarie per riconoscere i pezzi da taglio, le ossa, gli organi molli, eccetera. Siamo sempre stati favorevoli alla liberazione del tempo di vita contro la riduzione del tempo di lavoro, quindi siamo d'accordo. Una soluzione per gli animali sarebbe – oltre naturalmente all'eliminazione degli allevamenti-fabbrica – la crescente produzione di carne vegetale e di farina di insetti, da somministrare direttamente agli animali negli allevamenti non intensivi o, in sostituzione, agli esseri umani.

Direttamente agli umani? Non è una novità assoluta. Il suggerimento di mangiare insetti e relative larve era già comparso qualche anno fa con la moda della dieta paleolitica. Era solo sbagliato il nome: l'uomo del Paleolitico era un cacciatore-raccoglitore e si nutriva con tantissima carne. Per una dieta meno sbilanciata bisogna risalire all'australopiteco che si suppone mangiasse più o meno come i grandi primati d'oggi: frutti, bacche, radici, insetti e larve.

I reducetariani, i vegetariani, i vegani, i lattovovegetariani, i pescetariani, i fruttariani eccetera (citando i nomi dal sito nominato) sono certo in contraddizione se propongono di eliminare l'allevamento intensivo di animali da carne e ammettere nello stesso tempo l'allevamento intensivo di insetti da proteine. Che cosa daremo come mangime a grilli e cavallette da farina? Gli insetti proposti dalla dieta del terzo millennio d.C. hanno già fatto la loro comparsa nelle diete dei millenni passati ed è vero che cosa già vista si può vedere di nuovo, ma non vorremmo che, presi da genuino entusiasmo per i bovini salvati, ci mettessimo a sintetizzare cibo per grilli trattando spazzatura o petrolio con adeguati batteri e simili. Nell'articolo citato si fa accenno alla stampante 3D per creare bistecche sintetiche. Transustanzializzare con una "stampante" tridimensionale della farina di grillo in forma di bistecca può essere interessante dal punto di vista tecnico ma la macchinetta ci è più simpatica perché sta liberando silenziosamente forza lavoro che non per le proprietà di simulare cibo con altro cibo. Si può scambiare il deterministico legame maiale-pandemia con quello grilli-pandemia, ma non varia la realtà, che è quella della produzione di cibo per produrre altro cibo con criteri mutuati dall'industria di automobili o frigoriferi. È solo un esempio, ma ben generalizzabile: entro il modo di produzione capitalistico è impossibile la progettazione sociale, anzi, dopo la stagione di massima socializzazione dell'economia, oggi la progettazione sociale è parola proibita, trattata come un residuo linguistico senza più significato reale. Dalla saliva del pipistrello al respiro dell'uomo, passando attraverso mega-allevamenti taylorizzati, una umanità sgomenta e arrabbiata assiste al balletto delle zone rosse, gialle o bianche, in un clima di disinformazione che approfitta di recettori assai malleabili, "usi ad obbedir tacendo". Dopo quattordici mesi di pandemia siamo ritornati ai contagi e ai morti della primavera scorsa.

Sul n. 47 della nostra rivista avevamo accennato a un vecchio articolo intitolato "La filosofia del rimedio" (L'Ordine Nuovo del 3 aprile 1921) per denunciare un dato di fatto allarmante: non essendo in grado di progettare alcunché per risolvere i peraltro risolvibili problemi della pandemia, la borghesia ha dimostrato di non saper controllare i fenomeni che genera. Non ha alcun potenziale di riserva per affrontare la quotidianità: dalla struttura sanitaria alle varie reti di trasporto e informazione, dalle scuole alle fabbriche è un continuo lottare degli addetti che operano al limite delle possibilità esistenti, esposti alle bizzarre traiettorie della mutevole idea che la borghesia si fa del virus.

La comparsa a dicembre della "variante inglese", una mutazione con caratteri inediti, ci dà la misura di quanto sia pericolosa l'attuale classe dominante. La mutazione è stata finora accertata in poche migliaia di contagiati, ma ha un'alta velocità di espansione, tanto che, appena scoperta, aveva già causato 60 cluster di contagio. La letalità per adesso è sconosciuta ma, dalle premesse conosciute sono stati ricavati protocolli applicati i quali non dovremmo correre particolari pericoli. Tuttavia, gli esperti affermano che bisogna assolutamente tenere sotto controllo il comportamento di questa variante perché presenta una peculiarità mai riscontrata nella storia dei coronavirus: una mutazione di ben 23 elementi rispetto al virus originale di Wuhan (di solito sono 2-3). Ora sembrerebbe arrivata una conferma dall'autorevole periodico scientifico Nature: le mutazioni renderebbero il virus più infettivo, ma non più letale. Il grande numero di risposte differenti dell'organismo di chi è contagiato sarebbe dovuto in particolare ai caratteri genetici legati al sistema immunitario. Sembrerebbe infatti che i geni responsabili delle reazioni alla malattia, specie quelli che causano la grande potenzialità di mutazione, siano comparsi nel corpo di neandertaliani malati attivi 60.000 anni fa nella zona meridionale dell'attuale Europa.

Da qualche tempo non se ne parla più, ma se la capacità di mutazione del coronavirus fosse così alta e dovuta a cause così complesse saremmo esposti a un grave pericolo. Purtroppo, dalle poche notizie attendibili che arrivano frammiste a un isterico chiacchiericcio di una classe impotente, si possono trarre conseguenze abbastanza precise. Teoricamente, la variante inglese sta soppiantando quella di Wuhan, e questo a parità di condizioni sarebbe un vantaggio perché vorrebbe dire che si fa valere la selezione di Darwin: più il virus circola, più la sua letalità diminuisce, più diminuisce… e così via. Il guaio è che non è così per tutte le 23 mutazioni.

In tali condizioni è preoccupante il cosiddetto negazionismo: minimizzare quello che sta succedendo nel mondo è il frutto di qualche cortocircuito mentale. Nel momento in cui l'unica preoccupazione della borghesia è quella di mantenere aperte le fabbriche e le attività produttive, cioè le fonti del plusvalore, non ha alcun senso introdurre elementi di disturbo in un contesto di per sé disturbato a sufficienza.

Se venissero meno le strutture di emergenza sarebbe già un disastro, ma non si sente parlare di salute, solo di risvolti economici della malattia. Indubbiamente riuscire a tenere aperte le attività economiche al 70-80% come dicono (le banche vantano un 90-95%) è un buon risultato tecnico, ma chi se ne importa se questo è ottenuto con un differenziale di mortalità del 10-20% rispetto alle annate "normali". Ma di fronte al profitto la borghesia dimentica persino un minimo di analisi sociale: non è in grado di controllare il proprio capitale, figuriamoci se si preoccupa dei servizi improduttivi, dell'artigianato, della piccola distribuzione e ristorazione, di tutte quelle attività lasciate alla servizievole mezza classe che risulta abbandonata e bastonata, perciò portata a sbraitare contro chi "mette la museruola al popolo", "fa prove di privazione della libertà di movimento", "complotta con i gangster di Big Pharma", pronta a scodinzolare con la lingua fuori non appena le consentiranno di riaprire il negozio, il bar, la trattoria.

E lo farà, come ha già fatto all'inizio della pandemia, quando ha strillato più forte di tutti contro lo stato illiberale, proprio nello stesso momento in cui questo stato rassicurava la Confindustria con la decisione di non chiudere le fabbriche e di non limitare la logistica che fa da supporto alla produzione.

"Secondo le prime indicazioni che Confindustria ha ricevuto dal Governo, il DPCM non determinerà il blocco delle attività produttive, delle attività lavorative, né tantomeno il blocco dei trasporti e della circolazione delle merci da e per le zone rosse (Il Cittadino, giornale di Monza, 8 marzo 2020)".

A Bergamo, nei giorni più neri, quando fu necessario sgombrare le casse da morto con i camion dell'esercito, i rappresentanti dell'industria e delle istituzioni fecero circolare un video rassicurante per i partner esteri intitolato "Bergamo is running" (sta funzionando!), strillando l'avanti tutta con le fabbriche aperte.

E invece il paese non funziona affatto, sottoposto a un calendario schizofrenico di zone colorate, ma con le fabbriche aperte, i trasporti che funzionano, le scuole che parcheggiano bambini e ragazzi per consentire ai genitori di andare al lavoro. È naturale, il capitalismo funziona così. E anche peggio, se sarà il caso, con le cosiddette parti sociali che in un documento congiunto, reso pubblico in data 27 febbraio 2020, scrivevano senza pudore in perfetto stile corporativo:

"Gli esperti e le organizzazioni internazionali, a partire dall'Oms, ci hanno rassicurato sui rischi del virus e sulle corrette prassi per gestire questa situazione, che tutti noi siamo chiamati a rispettare […] è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate e mettere in condizione le imprese e i lavoratori di tutti i territori di lavorare in modo proficuo e sicuro a beneficio del Paese, evitando di diffondere sui mezzi di informazione una immagine e una percezione, soprattutto nei confronti dei partner internazionali, che rischia di danneggiare durevolmente il nostro Made in Italy e il turismo".

Firmato da tutte le rappresentanze dell'industria, dell'artigianato e dei lavoratori. Sappiamo quanto valgono le assicurazioni o gli allarmi in tempi di emergenza; ma sindacati che, in accordo con gli industriali, si fanno garanti della continuità dello sfruttamento durante una grave pandemia non li aveva ancora visti nessuno.

Abbiamo visto che i coronavirus hanno una struttura genetica dal potenziale mutante. Perciò sono facilmente plasmati dall'ambiente e dai vettori che li mettono in circolazione fino a stabilizzarsi attorno a una configurazione ottimale: letalità non eccessiva per il vettore e tempo di incubazione abbastanza lungo da permettere il contagio finché la malattia è asintomatica. Tutto ciò consente al virus di presentarsi a ondate dando il tempo al vettore di produrre anticorpi fino alla prossima mutazione e così via.

Nonostante questa estrema sintesi si vede chiaramente che la chiave del processo è la capacità di mutazione in relazione all'ambiente. Uno dei casi più noti di contagio è avvenuto a Mount Vernon negli Stati Uniti: 61 membri di un coro si sono ritrovati per le prove, hanno mangiato insieme, hanno passato qualche ora in compagnia. Dopo qualche tempo 51 di essi erano malati e due deceduti a causa di un solo diffusore. Nella città di Singapore un solo diffusore ha causato 800 contagi a partire da un dormitorio per immigrati. La lista di fatti simili è molto lunga e il fenomeno è stato studiato da diversi organismi. C'è molta casualità apparente nel virus. Ciò significa che se si uniscono le sue particolarità specifiche e le cause che fanno di un contagiato qualsiasi un "diffusore" micidiale, si può coerentemente dedurre che se non si inverte il processo casuale facendolo diventare intenzionale, programmato, la pandemia potrebbe sfuggire anche ai tentativi di sconfiggerla caoticamente in corso. Questo sistema e questa classe non potrebbero cambiare il loro atteggiamento nemmeno se lo volessero. Tra il calo dei decessi e le fabbriche aperte sono obbligati a scegliere le fabbriche aperte (e le banche, le reti di comunicazione, i trasporti…).

Sostituire il processo anarco-casuale con uno intenzionale è teoricamente possibile: in ogni fabbrica i processi voluti, progettati e pianificati sono all'ordine del giorno. Si dice che però un conto è avere a che fare con processi meccanici, con macchine e procedure organizzative basate sulla tecnologia; altro conto sarebbe quello di utilizzare metodi e macchine prevedibili, programmabili con uomini pensanti, quindi per loro natura dotati di volontà e libero arbitrio, disciplinabili solo con metodi militareschi. Questa è solo una sciocchezza: l'uomo ha dato il meglio di sé quando è riuscito a programmare la propria esistenza, a vedere in anticipo quale sarebbe stato il risultato della propria attività. È solo con il capitalismo che è giunto all'aberrante dualismo fra scienza e umanismo.

Siamo stati criticati perché nell'articolo del numero scorso avremmo fatto un'apologia delle strutture da stato mondiale che la borghesia si è data. Siamo per l'abbattimento dello stato così come prospettato da Marx e Lenin, ma siamo anche internazionalisti, quindi estendiamo a livello internazionale quello che vale a livello nazionale. Ciò comporterà un passaggio dal caos al progetto. In ogni ambito. Tutto qui.

Rivista n. 49