La montagna ha partorito un topolino

Maurizio Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, Pagg. 440, Laterza 2021, euro 24

Del libro colpiscono un paio di affermazioni ad effetto. La prima: "Siamo molto più vicini al comunismo realizzato di quanto non credano i rassegnati". La seconda: il comunismo è "una realtà già presente nel nostro mondo". Si estende, ancora, l'elenco delle capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al lavoro teorico di Marx, di cui spesso abbiamo parlato in questa rivista. Ma, come nei casi trattati in precedenza ("Che cosa c'è dopo il capitalismo?", n+1, n. 41), anche questa volta dobbiamo constatare che all'autore non è bastata la sua sagacia per liberarsi dai retaggi del capitalismo: nonostante la poderosa ricerca testimoniata dal nutrito apparato bibliografico, Ferraris non riesce ad affrancarsi dall'idea di una società post-capitalista che non sia la bella copia di quella esistente. Siamo alle solite: per questi intellettuali la società comunista non è nulla di più che una specie di grande cooperativa dove vengano rispettati i diritti umani, e i cittadini siano salvaguardati da una qualche forma di salario garantito.

Nel testo sono diversi gli aspetti analizzati per dare fondatezza alla tesi sostenuta, e in alcuni casi lo studioso torinese va oltre agli anacronistici luoghi comuni, come la rivendicazione del "diritto al lavoro" tanto cara ai bonzi sindacali.

Fermare la crescita tecnologica non è possibile e tantomeno desiderabile, ci dice, e lo sviluppo dell'automazione non deve spaventarci perché è giusto che le macchine svolgano tutti quei lavori ripetitivi, noiosi e logoranti che prima erano affidati agli uomini; anzi, sarebbe ora di smetterla con il vittimismo della sinistra che predica la rassegnazione e rimpiange il passato, perché il Capitale stesso si sta trasformando in qualcosa d'altro. E fa alcuni esempi: gli Stati hanno sempre avuto il controllo sulla moneta, mentre oggi con la diffusione delle valute elettroniche "chiunque" può farsi la sua; il servizio postale, anch'esso storicamente controllato dallo Stato oggi è sostituito dalle e-mail; l'esercito nazionale è rimpiazzato da contractor al servizio di chi paga di più; il fatto di possedere uno smartphone ci rende già proprietari dei mezzi di produzione. Infine, la diffusione del populismo rappresenterebbe addirittura la realizzazione della dittatura del proletariato, dettando nei fatti la propria agenda ai politici, i quali non sono influencer bensì influenced.

Pur essendoci delle intuizioni interessanti, il libro è intriso di gradualismo socialdemocratico, e questo naturalmente non ci stupisce. Secondo Ferraris la storia è un continuo progresso; lo dimostrano l'eliminazione della pena di morte in più della metà dei paesi, la diminuzione del numero di coloro che soffrono la fame, la soddisfazione dei bisogni di un gran numero di esseri umani dovuto al calo del prezzo delle merci, e via dicendo. Siamo dunque in marcia senza sosta verso "magnifiche sorti e progressive", e nel radioso futuro che il capitalismo ci sta preparando si verrà a capo del problema della disoccupazione con la realizzazione di un "webfare capace di ridistribuire il plusvalore creando le condizioni per una umanità cosmopolitica, redenta dalla maledizione di Adamo e capace di far qualcosa di meglio che imitare le macchine per scopi produttivi o distributivi".

Navigando sul Web, lasciamo molteplici tracce del nostro passaggio, che vengono registrate, accumulate e utilizzate per la gestione di attività di profilazione. Così facendo, afferma Ferraris, produciamo ricchezza per le piattaforme Internet, e questa "mobilitazione che produce documenti, e dunque valore, sul web" dev'essere riconosciuta e adeguatamente retribuita.

Facendo suo un luogo comune condiviso da molti pretesi redentori del capitalismo, l'autore di Documanità cade in un grande equivoco. In realtà, le piattaforme del web non estraggono plusvalore dagli utenti, che anzi usufruiscono gratuitamente dei loro servizi. Le grandi aziende del tech vivono del lavoro non pagato dei dipendenti, da cui ricavano un plusvalore relativo (si stima che Facebook guadagni annualmente 1,6 milioni di dollari per ogni impiegato); vivono di quanto ottenuto dalla rendita, della quale beneficiano grazie ad una posizione di monopolio (vendita di spazi pubblicitari); e godono della crescita esorbitante dei loro valori borsistici (che secondo alcuni osservatori è il prodromo dell'esplosione di una bolla speculativa).

Ferraris poteva limitarsi a chiedere un reddito di base, come fanno altri sui colleghi ma, evidentemente, una rivendicazione così semplice non gli sembrava sufficiente. E allora scrive un intero trattato di filosofia e, capitolo dopo capitolo, elabora la proposta di "un New Deal che parta da una negoziazione tra capitale e lavoro dove il lavoro sono i cittadini europei e il capitale le piattaforme. L'oggetto della negoziazione sarebbe l'imposizione di un'accisa sui documenti, e la forza politica deriverebbe dalla massa demografica, dunque dal gettito documediale, dell'Unione Europea.". Si svela così la patria del comunismo realizzato: la Cina, l'unico paese ad aver nazionalizzato le piattaforme dando avvio al webfare, il welfare digitale tanto auspicato nel libro.

Si prendono di nuovo lucciole per lanterne, confondendo il comunismo con il tentativo del Partito Comunista Cinese di frenare l'inevitabile polarizzazione economica iscritta nella legge di accumulazione capitalistica. Non è una sbadataggine, è ignoranza dei processi storici. Più prosaicamente, con la parola d'ordine della "prosperità comune" ("i ricchi diano di più") il PCC ha annunciato un trasferimento di plusvalore tra le classi, passando anche per una maggiore tassazione dei colossi del web, nella speranza di ridurre la diseguaglianza sociale, e con ciò l'emergere di movimenti antisistema. In Oriente come in Occidente, i governi devono fare i conti con una popolazione eccedente rispetto alle esigenze del Capitale, e per questo appaltano a filosofi, politologi e sociologi il compito di sfornare teorie su come distribuire il plusvalore. Ma oggi la massa di disoccupati non è più l'esercito industriale di riserva di novecentesca memoria che entrava nel ciclo produttivo nei periodi di boom e veniva sbattuto fuori in quelli di crisi, è sovrappopolazione assoluta, forza lavoro non occupabile che deve essere alimentata, quantomeno per sostenere i consumi. Quindi gli stati, se da una parte sono obbligati ad erogare redditi di cittadinanza, dall'altra vorrebbero abolire tali misure perché una società che sia costretta a mantenere i propri schiavi invece di sfruttarli, non può funzionare. Come è possibile distribuire valore se con l'automazione non se ne produce?

Tutti i modi di produzione presentano una freccia del tempo: nascono, crescono e infine muoiono. La soluzione dell'enigma della storia non è la realizzazione di forme più o meno aggiornate di welfare state, ma il passaggio ad una nuova forma sociale, che abbia sostituito le categorie capitalistiche (stato, salario, moneta, ecc.) con un generale metabolismo di specie.

Rivista n. 50