Wargame (1)
Non solo un gioco
"È importante chiarire una cosa fin dall'inizio: progettare e realizzare un wargame è un'arte, non una scienza. Militari esperti, ricercatori operativi, analisti, programmatori di computer non sono necessariamente in grado di progettare un wargame. Sebbene alcune o tutte le conoscenze e le abilità di tali persone siano strumenti importanti che un progettista di wargame dovrebbe possedere, la natura del progetto richiede una miscela unica di talenti."
(Wargaming Handbook, UK Ministry of Defence, August 2017)"Il computer è la bicicletta della mente." (Steve Jobs)
PRIMA PARTE
DI CHE COSA STIAMO PARLANDO?
La sfida
Da almeno mezzo secolo la progettazione industriale è il risultato dell'interazione fra uomo e macchina "intelligente". Tramite le metodologie Computer-Aided Design e Computer-Aided Manufacturing l'uomo sfrutta la propria capacità di fare domande per chiedere al computer quella di dare risposte. Il computer è una macchina assolutamente deterministica, non ha fantasia. Se alcuni parametri inerenti alla funzione cui è adibito escono da ciò che è previsto dal programma, il computer segnala "errore" e si blocca. Può succedere anche il contrario: l'uomo che programma e usa la macchina, sapendo come questa "ragiona" evita di fare quell'errore che ha comportato o comporterebbe l'allarme. La simbiosi tra cervello e macchina è in fase avanzata, la materia vivente e quella minerale comunicano tra loro e con il mondo rivelando l'estrema complessità di quest'ultimo. Nelle pagine che seguono tratteremo dell'uso che l'uomo fa delle macchine per "giocare" in campo sociale. Avvertiamo il lettore che la teoria dei giochi non è semplicemente ciò che traspare dal nome, e che una giusta diffidenza per la scienza di quest'epoca non ci deve autorizzare al rifiuto della scienza tout court. Le leggi del moto sono una conquista dell'umanità, così come lo sono quelle della termodinamica: sbagliava il grande Galileo con la sua spiegazione delle maree, sbagliava Engels con la sua critica del secondo principio della termodinamica. Gli uomini con le loro teorie vanno e vengono, le leggi di natura rimangono. Non possiamo, dunque, dire: "non è che un gioco". Il rifiuto della scienza sta diventando una moda, non dimentichiamo che il socialismo ha fatto il grande passo "dall'utopia alla scienza". Non si può dire che gli enunciati di un movimento rivoluzionario sono corretti solo perché espressi dal movimento stesso. Da quando la scienza ha messo tutto in relazione non si può più intendere il riduzionismo come semplificazione della realtà, dire che la tal cosa "è nient'altro che…". Tutte le cose sono anche "altro che…"
"Se potremo sostituire il bue con la macchina; se a questa macchina non addurremo nafta (che è vecchio calore solare messo a deposito nelle banche del sottosuolo) ma quella energia idroelettrica che ci viene annualmente da un tributo regolare pagatoci sempre dal grande astro, allora, allora... Resterà, direte, all'uomo l'opera organizzativa, direttiva, il girare le chiavette interruttrici. Ma hanno detto ultimamente che una macchina della macchina sostituirà l'uomo alle manopole di questa, dopo aver registrato con processi elettronici il comportarsi effettivo dell'uomo, il trucco che lo distingue, per ritrasmetterlo identico. Allora sarà invero la natura che ci darà tutto, cominciando dal vassoio della prima colazione che arriverà senza che lo porti nessuno" (Mai la merce sfamerà l'uomo, 1953).
"Vana sarebbe l'idea di fabbricare un modello del partito perfetto, idea che risente delle debolezze decadenti della borghesia, che, impotente nella difesa del suo potere, nella conservazione del suo sistema economico che va in pezzi e nello stesso dominio del pensiero dottrinale, si rifugia in deformi tecnologismi da robot per ottenere in questi stupidi modelli formali automatici una sua sopravvivenza, e sottrarsi alla certezza scientifica, per cui noi abbiamo scritto sulla sua epoca storica e la sua civiltà la parola: Morte! (Tesi di Napoli 1965)."
Wargame vuol dire gioco di guerra, ma che cos'è davvero oggi? Alle sue origini era un gioco da tavolo e forse non aveva ambizioni militari, benché ne abbia avute sicuramente dagli scacchi in poi e abbia ormai ambizioni allargate a campi che con la guerra non hanno nulla a che fare. O sì?
E come valutare gli apparentemente contrastanti concetti espressi nelle citazioni tratte da due importanti testi del patrimonio teoretico lasciatoci dalla Sinistra Comunista "italiana"? Nella prima citazione è previsto con piacere il fatto che macchine automatiche ci porteranno la colazione; nella seconda si scrive la parola "morte" sulle stesse macchine, anzi, sulla teoria stessa che sta alla base delle macchine.
Nel primo testo abbiamo dunque un atteggiamento positivo verso i risultati universali della scienza per un miglioramento della condizione umana; da notare che per ottenere questo miglioramento si richiede alle macchine di registrare il comportamento dell'uomo e ritrasmetterlo invariato. È la famosa prova di Turing: si può parlare di intelligenza artificiale quando, a un determinato stadio dello sviluppo umano, l'intelligenza delle macchine può simulare quella naturale al punto di ingannare un essere umano in un colloquio scritto, ad esempio una chat. Il concetto di intelligenza delle macchine si fonda quindi sulla loro capacità di compiere le stesse operazioni che compie l'uomo senza che ci sia il bisogno di introdurre elementi imponderabili come la coscienza. La nozione di Intelligenza Artificiale è controversa, ma per spiegarne il significato è sufficiente un livello di competenza all'altezza di quella umana. Una macchina a controllo numerico degli anni '60, che ripeteva diligentemente e con precisione le stesse operazioni dell'operaio qualificato, era una macchina intelligente nell'ambito della competenza specifica. Un robot di oggi, che registra in modo approfondito la competenza dell'operaio che andrà a sostituire, è una macchina intelligente nell'ambito della competenza specifica maturata dopo mezzo secolo di evoluzione tecnologica.
Nel secondo testo si legge come il rifiuto degli stessi risultati sia indispensabile al fine di dar forma al partito della rivoluzione. L'uomo non può cambiare il suo essere sociale (il partito della specie umana) e trasmetterlo al futuro se registra semplicemente sé stesso nel presente e nel passato. Il wargame è una tecnica di indagine o di programmazione che, se adoperata a quello scopo, lavora nel futuro. Le macchine sono generalmente delle protesi, amplificano le capacità fisiche dell'uomo. E il wargame come lo si intende oggi nell'era del computer, non è semplicemente uno stupido modello formale: è soprattutto una protesi cerebrale che aiuta il cervello a fare il suo specifico lavoro.
Nel 1982 fu immesso sul mercato un gioco da tavolo intitolato Lotta di classe. Progettato dal filosofo marxista Bertell Ollman, professore di Scienze politiche all'Università di New York, era una specie di Monopoli incrociato con un wargame. Nel gioco si fronteggiavano capitalisti e proletari cui si alleavano a seconda del contesto quattro mezze classi. Per essere il prodotto di un professore marxista faceva un po' sorridere, ma l'editore lo vendeva come adatto anche a bambini di 8 anni, salvandosi così l'anima.
Qualche anno prima aveva riscosso un certo successo Risiko, un wargame dove più giocatori simulavano una guerra mondiale spostando dei segnaposto sul planisfero. Negli stessi anni era stato pubblicato, come inserto della rivista Panorama, il gioco Colpo di Stato. Giochi, entrambi, che ricordavano in qualche modo una evoluzione dell'antico Gioco dell'Oca. Ma mentre in quest'ultimo il risultato era totalmente stabilito dalla sorte, gli altri erano un misto di abilità e fortuna: la prima acquisita comprendendo la struttura del gioco, la seconda con il ricorso ai dadi o all'estrazione di carte in un mazzo. La pubblicazione di un complesso e realistico wargame da parte di una rivista specializzata in cose militari, Eserciti ed Armi, rivelava che dal gioco si era passati pubblicamente alle simulazioni di guerra verso le quali serpeggiavano simpatie nei piani alti degli apparati militari. Evidentemente qualcosa stava cambiando: nel 1979 elementi dello Stato Maggiore della NATO avevano reso pubblica sotto forma di romanzo la simulazione dettagliatissima (due volumi di 860 pagine complessive) della Terza Guerra Mondiale, compreso il lancio dei missili a testata nucleare.
Tutto ciò condusse alcuni compagni a cimentarsi con la realizzazione di un wargame che simulasse una situazione rivoluzionaria. All'epoca non esistevano in commercio versioni computerizzate di wargame, e i primi tentativi resi pubblici erano di una disarmante semplicità. In pochi anni, però, i videogiochi, con la crescita della potenza richiesta per la naturalezza grafica, diventarono addirittura un settore trainante per l'informatica. Con un tubo catodico a colori, la stessa tecnologia della televisione, i videogiochi conquistarono le sale-gioco pubbliche e poi le case private.
Nel progetto, che era scritto e disegnato a mano su fogli a quadretti, era stato inevitabile partire dal materiale a disposizione, quello dell'ultimo tentativo rivoluzionario, in Russia nel 1917, fortemente caratterizzato dalla famosa parola d'ordine di Lenin "trasformare la guerra imperialista in guerra civile", divenuta in seguito una parola d'ordine dell'Internazionale Comunista. Riguardo alla simulazione, le difficoltà da superare erano notevoli, perché non si era ancora in grado, sulla base degli esempi disponibili, di realizzare degli scenari in cui fossero materializzabili elementi astratti come ad esempio l'influenza del partito nel corso della maturazione politica e degli scontri. Era evidente che, se si fosse adottato il solo criterio della "trasformazione" del tipo di guerra, la rivoluzione avrebbe preso l'aspetto di uno scontro tra forze simmetriche, cioè tra eserciti, un po' come nella guerra civile spagnola. Sbocco teoricamente possibile, ma ben poco probabile e tantomeno auspicabile nella nostra epoca. Uno schemino stilizzato di catastrofe nell'angolo di un foglio, poco più di uno scarabocchio, denota il tentativo di uscire dalle frasi fatte e almeno quello di pensare che fossero possibili altri approcci. La teoria delle catastrofi è la spiegazione matematica degli eventi improvvisi che si verificano dopo l'accumulo costante di determinati fattori (l'asse che si spezza, il terremoto che si scatena, la decisione di acquistare o vendere qualcosa osservando la variazione dei prezzi). Quei compagni non conoscevano la matematica necessaria, ma stavano certamente valutando altre ipotesi rispetto a quella canonica. Il problema fu messo in chiaro più tardi: i parametri puramente qualitativi esulano da una formulazione scientifica, ma è possibile ridurli a fattori numerici, quindi scientifici. Con l'avvento del computer le simulazioni non presentarono più problemi del genere.
Quale tipo di guerra dunque doveva essere trasformato? Quella combattuta dalla Russia dal 1914 al 1917? O quella combattuta dagli Stati Uniti dal 1941 al 1945? È evidente che a nessuno dei due esempi si poteva ricorrere per una utilizzazione didattica, sia che si parlasse di modelli matematici, sia che si trattasse di tavolette con pezzi mobili segnaposto di vario tipo. E poi: perché escludere altre dinamiche, diverse dalla guerra classica, per l'avvento di un periodo rivoluzionario?
Una parola d'ordine che sembrava incrollabile, adoperata nel contesto di un progetto realistico di wargame si dimostrava debole e, sotto certi punti di vista, scientificamente errata. In Russia non si era tornati in trincea solo grazie all'ampiezza delle diserzioni, fosse stato per il governo provvisorio si sarebbe passati dalla guerra civile alla guerra imperialistica. Anche frange del partito bolscevico tentennavano. Nel corso della maturazione di una teoria non è scientificamente corretto escludere delle ipotesi solo perché poco probabili e, anzi, nel caso specifico non era neppure probabile che una nuova rivoluzione fosse scatenata da una nuova guerra. Oltre tutto il dibattito sulla "questione militare" produceva una diffusione automatica dell'errore, in quanto più tardi, finita la guerra, essa era rimasta nel repertorio dell'Internazionale Comunista, influente organismo formatosi per dirigere la rivoluzione mondiale.
Da una giusta premessa si traeva una tesi errata: imperialismo vuol dire guerra inevitabile; quindi, occorre trasformare questa guerra in rivoluzione. Lenin lo diceva in ambito di rivoluzione doppia e nello stesso tempo di guerra imperialista. Il suo capolavoro politico fu quello di capire e far capire che in Russia c'era clima di rivoluzione proletaria e non borghese: la borghesia non aveva storicamente fatto in tempo a diventare un elemento portante della società e quindi veniva sostituita dal proletariato. Due rivoluzioni in una, in un paese immenso e arretrato come la Russia era un compito immane e occorreva ragionare a nervi freddi sul fallimento successivo: l'Occidente, che era in clima di rivoluzione pura, non solo non aiutò la Russia, ma permise che la peste opportunista marciasse da Occidente a Oriente e che nel volgere di pochi anni tutte le promettenti condizioni iniziali fossero annullate.
Un grave problema di logica
Si tratta soprattutto di una questione di metodo, perché in Russia, nel 1917, la natura della rivoluzione non era per niente intuitiva. Ed è per questo che occorre qualche parola di spiegazione preliminare. Quella della guerra non è l'unica questione. Lo schema tattico dei partiti rivoluzionari e poi dell'Internazionale era impostato sulla convinzione che dopo l'abbattimento dell'autocrazia zarista si sarebbe dovuto passare al governo democratico, non alla dittatura del proletariato. La Sinistra Comunista avrebbe precisato, dopo la Seconda Guerra Mondiale, che il problema della guerra e della rivoluzione in Occidente non poteva porsi in termini democratici già negli Anni Venti e ovunque il capitalismo fosse stato il modo di produzione significativo, indipendentemente dalla sovrastruttura. La guerra è la soluzione estrema cui conduce la caduta del saggio di profitto, cui conduce cioè una crisi ormai endemica dell'intero sistema, ma chi la vive come fenomeno è ben lontano dall'attribuirla a quelle cause: per lui le motivazioni sono quelle ufficiali, dettate dai governi, visibilissime in quanto alimentate dalla propaganda di guerra, adatte allo schieramento interno (produzione bellica) ed esterno (sistema delle alleanze, partigianerie). Difficilmente un operaio russo, nel 1914, avrebbe collegato l'entrata in guerra del suo paese, poniamo, alle crisi americane di fine '800, tuttavia le sue insopportabili condizioni di vita erano sufficienti per spingerlo alla lotta, e certo la guerra che era chiamato a combattere aggravava la sua condizione rendendo plausibile la parola d'ordine della trasformazione. Ma a ben vedere, verso la fine della guerra, quando le insubordinazioni, le diserzioni, il caos degli approvvigionamenti e le malattie dilagavano, più che di una parola d'ordine si trattava di una constatazione: la guerra civile era scoppiata, si trattava di dirigerla.
Certo, prima occorreva porre fine alla guerra mondiale, e sul come farlo i disaccordi entro il movimento anti-zarista erano totali. Il disfattismo era il confine che separava le varie tendenze, e Lenin, che non tutto il partito seguiva, era per una pace senza condizioni. Tutto questo, detto dopo una trattativa con il nemico tedesco per riportare in Russia i futuri capi della rivoluzione con un treno speciale, era piuttosto temerario. Non bastava la fine dei combattimenti, occorreva il collasso dello stato russo.
Ora, la rivoluzione in corso aveva decisamente il segno democratico borghese, quindi erano le istanze borghesi ad essere accolte dalla politica del momento, ed era normale che in quel frangente un esercito di milioni di soldati, caduta l'autocrazia zarista, si mettesse agli ordini del nuovo potere borghese. È qui che entra in funzione il wargame del piccolo gruppo stretto intorno a Lenin: valutate le forze in campo, constatato il loro stato di disorganizzazione, confrontati i dati materiali con quelli politici, il responso era stato: "Ora o mai più".
La sentenza non è del tipo "trasformazione" da avviare, cosa che sa di gradualistico e politicantesco, ma del tipo "catastrofe" già avviata, cosa che suggerisce di prendere il potere subito, prima che il colosso statale armato si riprenda dal colpo ricevuto. Anche la catastrofe è una trasformazione, ma non bisogna confondere i tipi logici che possono stare in un insieme: la catastrofe in senso fisico-matematico (un invito a nozze per i wargamers matematici), è precisamente un punto di rottura che si verifica di colpo dopo un accumulo di fattori graduali. È un evento che si verifica ai margini tra ordine e caos. Spesso, trattando di questi argomenti, vari autori citano come esempio di catastrofe proprio la settimana che Lenin non volle far passare.
Per l'imperialismo la guerra non è un problema, è una soluzione. Se scoppia, la soluzione vince. Scrive Amadeo Bordiga:
"Tra venti anni la alternativa tra guerra imperialista mondiale e rivoluzione. Ma non si deve intendere che dopo la guerra verrà la rivoluzione, piano che ci ha mentito nel 1919 e nel 1945 (è noto che mi si accusa che nell'altro dopoguerra nemmeno ci credevo, né in Italia né in Europa). La rivoluzione verrà se la guerra sarà bloccata sul suo scatto, e capovolta, ossia se impedirà che la guerra si sviluppi. Perché tanto sia possibile sarà necessario che un potente partito internazionale sia organizzato con la dottrina che solo abbattendo il capitalismo si impedisce la serie delle guerre. Insomma, l'alternativa è questa: o passa la guerra, o passa la rivoluzione."
In tempo di guerra è la nazione che si compatta attorno allo stato, per questo von Clausewitz poté scrivere che lo scontro militare matura con il maturare della crisi, che non è la politica a controllare lo stato ma è lo stato a controllare la politica "con altri mezzi". Questa tendenza della guerra all'assoluto non è conciliabile con la sua natura camaleontica, cioè con la necessità di adattarsi velocemente al contesto. Nasce da ciò una contraddizione: se la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, non è per ciò stesso vero che anche la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi? La crisi cronicizzata pone l'osservatore in una situazione senza discontinuità che gli impedisce di stabilire se gli "altri mezzi" si manifestano e si applicano in una sequenza data. Senza le discontinuità gli è difficile sapere se in un dato momento si trova in una fase o in una transizione di fase. L'aggettivo "cronica" che a volte facciamo seguire a "crisi" potrebbe evocare l'eternità, e la fisica non si trova troppo bene con gli infiniti. Fortunatamente, raccogliendo diversi parametri e trattandoli in modo interattivo (specie per quanto riguarda l'accoppiata uomo-macchina) riusciamo a raggiungere dei risultati un tempo impensabili.
In uno scenario del tutto improbabile come quello necessario a preparare una Terza Guerra Mondiale Classica, è abbastanza evidente che, se non viene bloccato sul nascere il meccanismo della sua genesi, non la si potrà "trasformare". Le determinazioni di una guerra classica, che la farebbero passare da salvezza del modo di produzione capitalistico a elemento della sua distruzione, non sono più da considerare ipotesi.
A parte l'aiuto che oggi possono fornire sofisticati wargame, c'è un grave problema di logica: coloro che dovrebbero trasformare la guerra imperialista in guerra civile sono gli stessi che combattono nei ranghi della guerra imperialista, perciò dev'esserci un passaggio di questo genere: i soldati che combattono nella guerra imperialistica dovrebbero cambiare fronte e diventare soldati che combattono per la guerra rivoluzionaria. Chi opera questo sconvolgimento? Per noi, se si ponesse la questione, sarebbe il partito, il più importante fattore del rovesciamento della prassi. Ma allora la trasformazione della guerra da imperialista a civile è una conseguenza del rovesciamento della prassi, è un prodotto della situazione rivoluzionaria, non un fattore. Se il proletariato di un paese combatte contro il proletariato di un altro paese è perché la guerra imperialista è già incominciata e viene combattuta, appunto, sul presupposto imperialista.
Un modello di simulazione direbbe subito che, se vengono presi in esame tutti i parametri, l'errore logico diventa evidente, non solo, ma ne evidenzia un altro che possiamo definire storico. Mentre l'errore logico richiede un ragionamento alla Kurt Gödel per essere disvelato (un sistema non si può valutare dall'interno del sistema stesso con gli strumenti che questo mette a disposizione), l'errore storico è il prodotto di una errata interpretazione del punto a cui è giunta la guerra con l'evoluzione delle tecniche e delle dottrine. Nessuna dottrina militare imponeva di mettere sul piatto della bilancia la sola soluzione della guerra, o imperialistica o civile, e in Russia si realizzò, in effetti, una specie di pace armata.
Nel 1917 guerre e dottrine erano giunte al massimo dello sviluppo: era comparso in massa il carro armato, l'aereo anticipava le dottrine di superiorità alla Giulio Douhet, le retrovie pullulavano di attività logistica motorizzata mentre in mare comparivano il naviglio veloce e i siluri. Persino lo spionaggio era evoluto con l'ausilio di metodi statistici e analitici. Insomma, le modalità della guerra erano sconvolte e l'ultima carica di cavalleria, in Polonia nel 1939, fu un patetico, tragico episodio. Le basi della guerra lampo (blitzkrieg) erano già tutte presenti; quindi, era presente la possibilità di capire che era morta, almeno dal 1920, la possibilità di insurrezione tramite la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. Mobilità contro staticità. Lo compresero solo alcuni giovani ufficiali in Germania, in Russia e in Inghilterra dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. I ferventi rivoluzionari del Novecentosessantotto sognavano ancora barricate ottocentoquarantottesche, e qualche residuo del tempo che fu le auspica anche oggi.
L'adozione della vecchia dottrina di guerra era già una conseguenza della controrivoluzione, non è un caso che i nominati giovani ufficiali russi fossero fucilati e sostituiti da vecchi tromboni zaristi riciclati. La conseguenza più grave fu però l'inquinamento del partito che non poté in alcun modo essere l'elemento realizzatore del "rovesciamento della prassi".
Anche nel caso di guerre civili più vicine alla nostra epoca (le guerre anticoloniali sono state spesso ibride, dato che la popolazione civile è stata costretta a schierarsi o con i colonialisti o con gli indipendentisti). Il problema del rovesciamento della prassi poteva essere risolto soltanto con la sconfitta dell'esercito della classe dominante… senonché sembrava che la classe dominante stesse imparando a dominare con crescente successo. Quale allora il compito rivoluzionario?
Negli anni '30 del secolo scorso scoppiò in Spagna la guerra civile, ma non a causa di una trasformazione da guerra imperialista. La contrapposizione tra due eserciti di uno stesso paese, per quanto internazionalizzati dall'intervento dei paesi fiancheggiatori, li caratterizzava come eserciti nazionali, rispondenti a due frazioni della stessa classe dominante. Lo stesso vale per la guerra del Vietnam, combattuta fra Stati Uniti e URSS sul territorio vietnamita con soldati vietnamiti (proxy war). O la guerra fra Iran e Iraq, fomentata dagli Stati Uniti nell'ambito di una politica di compellence per indebolire i propri avversari. Queste guerre fra paesi che combattono a favore dei loro sponsor credendo di combattere per sé scoppiano per motivi preesistenti, utilizzabili solo in contesto militare nazionalista borghese. Perciò, sono guerre non utilizzabili dal proletariato nel corso di un processo di affermazione di classe. È noto che il papa attuale ritiene il mostruoso ciclo bellico del dopo Seconda Guerra Mondiale una guerra mondiale unica, la Terza, combattuta "a pezzi". Non crediamo che la visione della Chiesa Cattolica sull'argomento sia simile alla nostra o viceversa, ma è certo una conferma indiretta che qualcosa del genere è nell'aria.
La guerra vista da "fuori"
Se esiste una forza in grado di trasformare una guerra imperialista in guerra civile, significa che esiste una forza in grado di vincere gli eserciti congiunti della borghesia in guerra. Ricaviamo una sintesi estrema da quanto diceva Lenin durante la guerra:
- 1) con una guerra in corso la rivoluzione sarebbe di per sé guerra civile;
- 2) la trasformazione della guerra tra borghesie in guerra civile è facilitata dai rovesci militari;
- 3) è praticamente impossibile tendere realmente a questa trasformazione senza concorrere, in pari tempo, alla disfatta della propria borghesia.
È noto che la nostra corrente considerava "razziale" la lotta rivendicativa del contadiname nelle mani del suo nemico storico e considerava "classista" la lotta delle borghesie emergenti.
Dunque, l'elemento decisivo è il disfattismo contro il nemico principale, come affermava anche la Sinistra Comunista "italiana", che aggiungeva: finché c'è guerra non c'è disfattismo e quindi non c'è rivoluzione. Perciò questa deve scattare prima che la guerra conquisti la scena. Diceva Lenin prima della guerra spiegando quali fossero le condizioni rivoluzionarie, quali fossero i fattori e quali i prodotti:
- 4) impossibilità per la classe dominante di mantenere saldamente il proprio dominio;
- 5) accumulo abnorme di bisogni e difficoltà per le classi oppresse;
- 6) attività orientata delle molecole sociali (polarizzazione) spinte da quanto precede a un atteggiamento autonomo.
I primi tre punti vanno chiaramente sistemati al posto dei tre che seguono. Occorre poi far seguire un settimo punto con la condizione ben presente in Engels, quasi assente nei rivoluzionari successivi e di nuovo presa in considerazione dalla Sinistra Comunista: il "rendimento" delle nuove armi, da valutare diversamente che nel passato: non c'è paragone possibile tra l'adozione delle armi a canna rigata di cui parla Engels e l'adozione delle armi a guida precisa negli anni '80 (per non parlare delle armi atomiche, dei sistemi di guerra aeronavale, delle guerre con nuove tecnologie).
A causa della scienza, della tecnica, della complessità e ambiguità dei rapporti fra i soggetti che si scontrano, la Terza Guerra Mondiale non sarà tendenzialmente unitaria, sotto l'insegna di grandi schieramenti determinati, ma una polverizzazione di guerre locali, come in parte è già adesso, combattute da soldati-robot, macchine e munizioni a guida precisa (cfr.Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio e Guerre stellari, fantaccini terrestri).
Come s'è detto, la guerra dev'essere "bloccata al suo scatto", se passa la guerra non passa la rivoluzione: non è tanto una questione politica quanto di ingegnerizzazione tra combattente e arma in un contesto estremamente dinamico, dove il rapporto dell'uomo con la macchina, dal cecchino individuale carico di sensori alla bomba atomica (sterminio di massa con una sola bomba), è di completa subordinazione.
È l'industria che influenza il mondo dei wargame o sono questi a influenzare l'industria? Sempre più spesso si sente spuntare un neologismo, ed è già nato gamification, da gioco, che fa il paio con jobification, da mestiere. Ultimi di una lunga serie riguardante un numero crescente di campi, tanto che se ne può trarre indicazioni per l'evoluzione darwiniana dei sistemi entro il modo di produzione capitalistico: deregulation, gentrification, rustication, commodificaton, securitization (deregolazione, nobilitazione, ritorno alla campagna, mercificazione, finanziarizzazione).
Progettare, ingegnerizzare, collaudare, vendere, utilizzare
Stiamo cercando di capire se i problemi formali e sostanziali posti dal tema cruciale guerra/rivoluzione possono essere affrontati con l'aiuto di uno strumento come il gioco di guerra. Questo perché la diffusione di parole d'ordine è pesantemente influenzata da luoghi comuni, non estranei ad esempio alle politiche poliziesche all'interno dei singoli stati. L'inquadramento delle parole d'ordine entro un meccanismo di gioco con una sua struttura, un regolamento, mosse predisposte con i loro effetti può sfuggire a determinazioni soggettive, sempre conduttrici di parzialità e quindi di errore. È bene ribadirlo, perché la parola "gioco" può generare equivoci. Abbiamo visto che l'origine del wargame è antica e legata effettivamente a giochi da tavolo. Questo è ancora vero, ma si è scoperto che l'interazione fra due soggetti che compiono scelte razionali per vincere, cioè per influenzare l'esito finale, può essere tradotta in calcolo e adoperata per la realizzazione di modelli di realtà. A questo punto, i "giochi" sono la base per attività che con l'aspetto ludico hanno solo una lontana parentela. La teoria ha come padri tre famosi matematici (Joseph von Neumann, Oskar Morgenstern, John Nash ai quali aggiungeremmo Norbert Wiener per la cibernetica).
Qui ci atterremo alla teoria e alla forma con cui essa viene diffusa, senza entrare nel merito della struttura matematica, non solo perché non siamo in grado di farlo ma perché non è necessario, i principi sono semplici. Basti sapere che la gamification, cioè il trattare procedure, ricerche, produzioni, corsi di formazione, ecc. con i principi del game è sempre più diffuso. L'esempio più eclatante è quello del simulatore di volo: nato per insegnare ai piloti le basi della navigazione aerea, passò al campo dei giochi e di qui tornò potenziato alle scuole di volo, per poi diventare un potente strumento didattico per la simulazione del comportamento in volo di sofisticatissimi aerei da caccia, di aerei passeggeri che ormai hanno il pilota a bordo solo per una questione psicologica e delle navette per le imprese spaziali, specialmente quelle in progetto.
Il simulatore di volo non è un wargame, ma è particolarmente interattivo e quindi confrontabile. Anche altri tipi di simulazione non sono wargame, però li rendiamo confrontabili quando interagiamo.
Il wargame è una merce come le altre. Ma è interattivo, euristico, didattico, insegna mentre lo si progetta, lo si collauda, lo si usa. È talmente sottoposto a controlli da rendere tendenzialmente raro un errore. È soprattutto impermeabile alle suggestioni della mente, ai provvedimenti dettati dalla psicologia, dalle credenze o dalla politica.
Le fasi in cui si divide l'intero suo ciclo di vita sono le stesse di qualsiasi merce non agricola (benché con l'avvento delle tecniche genetiche anche l'agricoltura si adegui). Per quanto riguarda i wargame l'inizio del processo produttivo coincide con la stesura dello scenario entro il quale si svolge la storia. Tale scenario può essere redatto da un autore o prelevato come frame (quadro, cornice) da una banca dati industriale che fornisce soluzioni prefabbricate chiavi in mano. Assemblate quelle basi che in un film sarebbero ambiente/scenario/scenografia, occorre aggiungere la sceneggiatura, cioè la storia che gli attori vivono e la maggior parte delle volte combattono. Si tratta di due approcci: quello dell'autore che produce in un gruppo affiatato e stabile; quello della lavorazione diffusa dove il programmatore interviene in fasi più parcellizzate.
In entrambi i casi, i produttori sono disseminati nel mondo e possono non vedersi mai, mentre i programmatori utilizzano metalinguaggi, interfacce grafiche per assemblare funzioni, routine, comandi, tecnica che permette a chiunque di progettare anche se non ha conoscenze specifiche di programmazione.
Quando il regolamento è scritto e collaudato, diventa essenziale, un po' per sostenere la storia, un po' per bilanciare le forze in campo, la fase di play testing durante la quale il programma viene distribuito soprattutto ai giocatori volontari che già operano coordinati dal centro, in genere dall'autore.
La composizione e la consistenza dei gruppi di giocatori varia a seconda della notorietà dell'autore, della sua fantasia e del capitale che deve anticipare in vista della commercializzazione, che è uno dei passaggi più delicati. Bisogna infatti badare, a questo punto, alla confezione, ai segnaposto, alla grafica, alla pubblicità, e alle migliaia di play tester che non solo collaudano ma si buttano sulla Rete per il passaparola attraverso i social network, eccetera. Gruppi del genere possono essere molto piccoli per prodotti di nicchia, oppure molto grandi per aggressive campagne di vendita. Leggiamo su Internet di un autore americano mediamente noto, che lavora con venti o trenta gruppi di play tester collocati in egual misura negli Stati Uniti e in Europa.
Questi gruppi si sciolgono una volta terminato il lavoro e si ricompongono quando un autore ha di nuovo bisogno di ricorrervi. Un gruppo ristretto rimane coeso per escogitare situazioni di stress estremo per il programma e per il giocatore. E può lavorare a questa fase anche un anno tenendo in contatto i suoi membri attraverso un forum chiuso. A lavoro terminato, il programma viene affidato a un editor professionista, uno solo, che avrà la responsabilità dittatoriale sulla qualità del prodotto. Il ciclo di produzione completo di un buon wargame può durare 2 o 3 anni.
Il punto più importante di tutto l'iter produttivo è il responso dei play tester sulla giocabilità, cioè sull'equilibrio delle forze in gioco. È in questa fase che vengono adottate misure per far sì che il gioco ponga i giocatori di fronte alle stesse probabilità di vincere o perdere. Qui sorge la prima difficoltà: bisogna essere molto abili per fare interagire giocatori del medesimo livello in un gioco che li metta assolutamente alla pari, specie se il gioco è asimmetrico; bisogna, in altre parole, che l'intero progetto, una volta realizzato, venga rivoltato come un calzino e che i passi critici vengano interpretati in modo da garantire parità di chance nella vittoria. Per fare ciò è indispensabile che i giocatori collaborino e assimilino le risposte congiunte provenienti dal gioco. Tanto per fare un esempio: gli Scacchi sono un gioco simmetrico: a parte un virtuale vantaggio del bianco, i giocatori condividono aspettative perfettamente bilanciate. Risiko è un gioco bilanciato per quanto riguarda le mosse e il regolamento, ma sbilanciato per quanto riguarda le aree da conquistare e difendere. Dual Powers Revolution è un gioco totalmente sbilanciato sia dal punto di vista del regolamento, sia da quello degli obiettivi e della natura degli avversari.
Scopo di un profondo, e nello stesso tempo esteso, controllo di giocabilità è quello di rendere simmetrico ciò che non lo è, e rendere apparentemente asimmetrico ciò che è simmetrico per non rendere il gioco piatto e noioso. Se Risiko fosse reso completamente simmetrico sarebbe una specie di gioco degli scacchi per conquistare un quadrato diviso in caselle uguali.
Ciò vale per i giochi da tavolo e di simulazione senza riferimento alla realtà, come un Risiko giocato sulla mappa di un pianeta diverso dalla Terra. Se il gioco invece deve simulare la realtà per trarne informazioni e/o indicazioni per l'azione, allora la faccenda cambia.
Tornando alla parola d'ordine "Trasformare la guerra imperialista in guerra civile", notiamo che essa ha poco senso anche in uno scenario fin qui non esaminato, quando, cioè, c'è già una situazione di guerra civile che si sta trasformando in guerra imperialista. In Cina, a partire dal 1923, emissari russi, capeggiati da Borodin, arrivarono per seguire le fasi di avvicinamento per il fronte unito. Nel 1927, l'Internazionale, che aveva ordinato al Partito Comunista Cinese di fondersi nel partito borghese nazionalista, il Kuomintang, non poté fare nulla per impedire il massacro dei comunisti. La guerra civile si trascinò fino all'invasione da parte del Giappone. Così la disgraziata parola d'ordine fu rovesciata, la guerra civile si trasformò in guerra imperialista. Borghesia cinese contro borghesia giapponese e i proletari da ambo le parti a combattere per l'una e per l'altra. Sarebbe successo più tardi anche in Russia, contro la Germania nella Seconda Guerra Mondiale: invece di essere guidati nella rivoluzione i proletari russi furono massacrati nella "Grande Guerra Patriottica" staliniana, con milioni di morti. Incalcolabile fu il danno politico provocato dalla insensata adesione alle soluzioni frontiste. Lo stesso discorso bisogna fare per la Spagna, dove la guerra civile era diventata una guerra imperialista per procura. Lenin che aveva raccomandato la disfatta, si trovò, da morto, a simboleggiare la partecipazione patriottarda.
Considerazioni attuali, problemi antichi
Possibile che non sia maistato fatto un bilancio di questa parola d'ordine? È facile intuire l'obiezione a siffatta domanda: non sarebbe corretto paragonare la grande Internazionale al gruppo di produttori di un gioco di guerra. Noi rovesciamo questa affermazione: l'Internazionale era effettivamente un grande organismo e, proprio perché tale, avrebbe dovuto lavorare attorno ad ogni parola d'ordine con meno approssimazione, meno "indeterminatezza tattica", disse la Sinistra. La tattica della rivoluzione mondiale meritava ben più attenzione delle complesse relazioni prese in esame in un gioco di guerra. O, se vogliamo, in una fabbrica diretta con metodo scientifico. Si può però paragonare il mondo ad una fabbrica? La nostra corrente, sulla base di osservazioni di Marx, ha sottolineato che entro la fabbrica, quindi entro il cuore del capitalismo, l'operaio non produce merci ma componenti, i quali saranno certamente utili alla produzione di merci, ma all'interno della fabbrica non sono merci; solo sul mercato, fuori dalla fabbrica, la produzione diventa merce. Per questo sarà distrutto il mondo delle aziende e delle merci; mentre sopravviverà, affinando le proprie caratteristiche, il mondo della fabbrica e dei prodotti senza valore/prezzo.
La potenza organizzativa dell'Internazionale ha contribuito a distorcere la percezione generalizzata. Il Comitato Esecutivo dell'IC era in pratica il suo governo, e quindi le disposizioni emanate erano ordini. E la struttura para-statale dell'insieme era controllata di fatto dal Partito Comunista Russo che risentiva più di tutti gli altri organismi della natura e della struttura dello stato russo. Di fatto nell'apparato politico nel quale si era tradotta la Rivoluzione russa non esisteva nessun livello dedicato all'organizzazione scientifica delle attività, niente che assomigliasse a quel metodo che va sotto il nome di taylorismo e che l'autore chiamò appunto "organizzazione scientifica del lavoro" (che non vuol dire catena di montaggio). Eppure, Lenin aveva invitato l'apparato del partito-stato russo a occuparsi di Taylor in quanto il suo metodo era il riflesso di una vera e propria rivoluzione entro il modo di produzione borghese, da trattare in quanto tale e non soltanto come strumento di produttività aumentata. Il paradosso fu che l'unico a porsi il problema fu Aleksandr Bogdanov, che, rimasto isolato, fu politicamente zittito senza aver avuto modo di far almeno conoscere, se non applicare le sue teorie sull'organizzazione.
Il taylorismo come gamification? Siamo certi di non sbagliare se diciamo che un qualche aggancio si trova, dato che il wargame può essere utilizzato anche per sottoporre una fabbrica alle regole di un'organizzazione scientifica del lavoro, la quale può assumere benissimo la forma di un programma di simulazione, o di pianificazione, o di ristrutturazione. Il Cile di Allende aveva computerizzato la propria economia con un sistema di mainframe e terminali con l'intento dichiarato di simulare un organismo vivente. All'epoca si poteva essere scettici; oggi è una prassi quasi consueta ("Immaginate una fabbrica…").
Ricapitolando: in condizioni simili a quella russa del 1917, la parola d'ordine "trasformare ecc." diventava una formula vuota perché applicabile soltanto localmente e per di più in una situazione molto particolare, che faceva da sfondo alla presenza di soldati, marinai e proletari, fianco a fianco in tutti gli organismi spontanei che nascevano e si dissolvevano in continuazione. Era certamente possibile, in via del tutto teorica, riprodurre artificialmente ciò che stava accadendo spontaneamente, ed infatti il tormentato cammino dei soviet era costellato di episodi in cui maggioranze e minoranze, nel gioco democratico, si formavano e scomparivano secondo criteri insondabili (e questo di per sé è un elemento che mette in grave crisi la necessità di previsione o almeno di comprensione degli accadimenti sia nella realtà, sia nel modello astratto di realtà progettabile per un wargame).
Intrecci trascurati
Comunque sia, la costituzione e la conquista di organismi in grado di cambiare la situazione erano abbastanza frequenti e nei momenti favorevoli potevano provocare un cambiamento locale della polarizzazione di massa.
Al tempo della preparazione del "nostro" wargame le condizioni del fermento sociale non erano facilmente riscontrabili. Anzi non esistevano, prima di tutto perché intorno al 1980 era cambiato l'intero sistema per quanto riguarda ad esempio i legami interni a un sistema sociale e i loro riflessi esterni come si possono abbozzare in una specie di matrice di questo genere:
- 1. la possibilità di dissoluzione dello stato (vedi punto 6.)
- 2. la tecnologia degli armamenti (vedi punto 4.)
- 3. la guerra di movimento (blitzkrieg, vedi punto 5.)
- 4. la proiezione di potenza (vedi punto 2.)
- 5. la logistica (vedi punto 3.)
- 6. l'informazione (vedi punto 1.)
- 7. l'outsourcing (vedi punto 8.)
- 8. l'esercito professionale (vedi punto 6.)
Intrecciando questi punti in un modello della realtà, complesso ma invariante rispetto ad essa, si possono stabilire relazioni interne al modello in modo da realizzare una simulazione astratta quanto basta per non cadere nel soggettivismo, ma realistica quanto basta per descrivere in modo effettuale la struttura sociale e quindi le modalità del cambiamento.
È probabile che si siano dimenticate le motivazioni che hanno impedito di realizzare un modello astratto ma più sensibile al cambiamento di quello attuale. Infatti, mentre i terzinternazionalisti continuavano ad affermare che si sarebbe dovuto "fare" questo e quest'altro in un clima di attivismo disordinato, la Sinistra dispiegava un bilancio completo e lucido della situazione storica. Presi da un attivismo sfrenato, i primi si ammalavano di noia quando sentivano ripetere da noi che questo capitalismo soffre di una malattia senile, per cui la classe borghese, costretta a capitolare di fronte al comunismo, è sempre meno un elemento razionale del sistema, non riesce più a controllarlo, ne subisce i clamorosi fallimenti.
La piccola borghesia, che sarebbe stata la classe più tartassata dalla crisi, avrebbe tentato di ritagliarsi un posto dal quale diffondere la propria ideologia del compromesso; ma la legge del valore-lavoro, annullata dalla legge stessa, avrebbe fatto mancare il supporto materiale per lo sviluppo coerente di una politica interclassista. La classe operaia era pronta e armata, tutte le altre componenti della società erano pronte a disarmarla. Il fascismo, "realizzatore dialettico delle istanze riformiste", era l'unica forza che potesse raccogliere, senza neanche mistificare troppo, l'esigenza di quella che allora, per le esigenze frontiste, finì per essere chiamata "socializzazione" invece di "rivoluzione".
È possibile oggi ipotizzare quale sarebbe stato il responso di un wargame "caricato" con i dati dell'epoca. Nella seconda metà degli anni '20 era chiaro, a chi non si fosse lasciato catturare dal programma frontista, riformista e revisionista, che il ciclo rivoluzionario era chiuso e che nessuna forza al mondo avrebbe potuto rovesciare la situazione per riportarla al "Biennio Rosso" e di lì ripartire con un impianto tattico completamente diverso. Oggi, ovviamente su di un piano storico più maturo, la stessa divergenza fra realtà e narrazione di una realtà presunta produce la stessa necrosi sociale. Però sono passati cent'anni.
Anche senza wargame si dovrebbe capire che per l'odierna configurazione del capitalismo non si può neppure più usare la parola "crisi", che vuol dire "mutazione repentina". L'ingorgo sistemico in cui s'è cacciata l'umanità sembra ormai una malattia mortale senza morte dichiarata. La crescita inaudita del capitale fittizio ha fatto esplodere il capitale; il modo di produzione attuale è precipitato in uno stato entropico; persino la sovrastruttura artistica risente dello scenario crepuscolare. Il capitalismo minaccia la specie, ma non nasce il partito organico che la difende. Le poderose anticipazioni di comunismo sono sempre più visibili, ma l'umanità se ne va per i fatti suoi senza apparentemente accorgersi che non va verso un orizzonte ma verso un precipizio.
Nel Grande Wargame della Rivoluzione odierna non c'è più posto per povere e deboli parole d'ordine legate a una contingenza micidiale per lo sviluppo del programma. Quelle che furono indicazioni che si volevano fortemente ancorate al passato rivoluzionario della Russia dell'Ottobre 1917, sarebbero dovute diventare indicazioni fortemente ancorate al futuro, non solo della Russia ma soprattutto del mondo capitalistico occidentale.
La grandezza dell'orizzonte invisibile è tale che il vecchio linguaggio non basta più a descriverlo. Perciò è come se non esistesse.
Ecco perché abbiamo sentito la necessità di un ciclo di riunioni sul wargame. Abbiamo visto che l'obbligo di utilizzare i dati nell'ambito di un progetto costringe il progettista a tener conto degli scenari plausibili (corretti), e le teorie come quella matematica dei giochi o quella generale dei sistemi si prestano molto bene allo scopo. Naturalmente non esiste garanzia sul fatto che con le teorie in questione non si prendano abbagli, ma esse fanno parte di un gruppo di teorie che riguardano la complessità, si integrano e le integrano, rispondono effettivamente a problemi reali. Tra l'altro erano "nell'aria" e non potevano essere le uniche, come dimostrano a vari livelli di astrazione o complessità la tectologia di Bogdanov, la teoria olonica di Arthur Koestler, l'organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, la programmazione lineare, i diagrammi di Gantt, la tecnica PERT (Program Evaluation and Review Technique), eccetera, tutte esperienze che possono essere ricondotte al wargame attraverso l'invariante dell'organizzazione dell'attività umana. La borghesia ha riunito questa organizzazione sotto la voce Project management , ma l'organizzazione riguarda tutta l'attività ed è sempre ottimizzata con il ricorso a tecniche da wargame. Nel linguaggio comune è facile riscontrare l'impronta lasciata da queste tecniche:lotta contro il tempo, guerra allo spreco, battaglia per la qualità totale, campagna per la produttività, bombardamento pubblicitario, sono tutte espressioni che evocano uno scontro di tipo militare per ottenere una vittoria in qualche campo, cioè una supremazia. Chi fosse scettico sull'argomento, può accendere il computer e fare una piccola ricerca sulle origini, gli scopi e l'adozione generalizzata della tecnica PERT nell'ambito di grandi progetti. Una tecnica anzianotta, che citiamo apposta per sottolineare che 1) l'assenza di tecnica è certamente una scelta peggiore; 2) ogni sistema dinamico formato da sensori, attuatori, feedback e trattamento dei dati può essere assimilato a un wargame, anche se vecchio di secoli.
Nessun grande progetto può fare a meno di tecniche anti-dissipative, e ogni rivoluzione è un grande progetto. Non ci risulta che le parole d'ordine prodotte dall'ultimo conflitto fra classi siano state vagliate con le tecniche adatte. Michail Tuchacevskij, comandante dell'Armata Rossa durante la guerra contro la Polonia, poi comandante delle forze armate dell'URSS, fu uno dei pochi a ricavare dall'esperienza rivoluzionaria una strategia valida per la guerra europea secondo principi che ricordavano un wargame, specie per quanto riguarda la guerra di movimento resa possibile dalle nuove macchine belliche. Tra le due guerre, ufficiali tedeschi (come Heinz Guderian) ricavarono dalla dottrina russa simulazioni militari su quella che battezzarono blitzkrieg, guerra lampo, che si integrava bene con il kriegsspiele, gioco di guerra, wargame di cui i militari tedeschi erano storici maestri. Anche in Inghilterra vi furono sporadici segni di adozione della tecnica russa (Basil Liddell Hart, John Fuller), ma in generale le forze armate di tutti i paesi rimasero allineate alla tradizione. Il guaio fu che rimasero allineate anche le parole d'ordine della rivoluzione, cosa che dal punto di vista politico significò allinearsi alla socialdemocrazia, cioè al nocciolo democratico parlamentare. Era infatti inconcepibile affidare le scelte politiche a un gioco di guerra, e del resto all'inizio non lo facevano seriamente neanche gli addetti alla guerra stessa, proprio i tedeschi, che diedero in passato la spinta più forte al gioco di guerra (kriegsspiele).
Oggi si fa ricorso a simulazioni da wargame non solo da parte dei militari, che hanno sviluppato programmi potentissimi, ma da parte di chiunque "entri in gioco" su di un campo di battaglia qualsiasi, da quello del gioco vero e proprio a quello della campagna di marketing.
Complessità e riduzionismo
Quando la Sinistra Comunista presentò una proposta di tesi sulla tattica del partito rivoluzionario (1922), l'Internazionale la rigettò ritenendo che fosse fuori tema, cioè che contenesse inutili richiami teoretici al funzionamento organico del partito stesso mentre ci sarebbe stato invece bisogno di incitamento all'azione. Nel documento che motivava il rifiuto, l'Internazionale spiegò che in un corpo di tesi sulla tattica si sarebbe dovuto sottolineare la necessità di lavorare alla "conquista della maggioranza nel proletariato" attraverso l'applicazione della tattica del fronte unico. Ora, mentre la chiarezza teoretica è un passo indispensabile per qualsiasi azione sociale di un certo respiro, la conquista della maggioranza è una frase da congresso democratico, da elezioni parlamentari, non può essere applicata al rapporto partito/proletariato, così come la parola d'ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. Senza un contesto che tenga conto della dinamica entro le classi in rapporto con l'ambiente eccetera, anche la "conquista" diventa un problema da bacchetta magica.
L'aggravante del fronte unico non è solo una concessione alla superstizione democratica, è in definitiva una rinuncia alla vittoria perché si diluiscono le potenzialità del partito, fino a quel momento intatte e riconosciute dal proletariato. Non si mette in pericolo una possibilità futura ma si distrugge una realtà effettiva. Bordiga, presente a Mosca durante la discussione sulla "questione italiana", rifiuta l'adesione alle Tesi di Roma da parte delle delegazioni francese e spagnola in quanto non meditata. Qualsiasi altro partito avrebbe fatto di tutto per ottenere un consenso che, in clima democratico, significava voti favorevoli ai congressi o alle riunioni del Comitato Esecutivo.
Il programma della rivoluzione, verificato anche per mezzo di un modello sociale, aiuta a capire quali siano le priorità e gli ostacoli, rende subito evidente la nullità di parole pompose sbandierate come soluzioni. Pensiamo alla parola d'ordine "governo operaio", come se fosse l'equivalente di "potere operaio", che già non è gran che. La guerra civile può certo essere uno dei passaggi del corso rivoluzionario, ma dal punto di vista del programma non è un problema di volontà. Nello schema teorico del "rovesciamento della prassi" è contemplata l'inversione dell'influenza sulle masse, non un fatto specifico che la può provocare. Lo stesso dicasi per la "conquista della maggioranza". Che significato può avere in un contesto rivoluzionario? Non sarà certo rimandata la rivoluzione se non si raggiunge un'influenza del 51% sulla classe. E poi, … la maggioranza di che cosa? Delle adesioni, dei voti, degli operai con un fucile, dei rappresentanti in qualche consesso?
Il wargame, come abbiamo visto, è un gioco antico. Può essere adoperato per considerazioni attuali sulla guerra o sulle imprese umane come la scienza, la biologia? La prima versione del suo antenato, il gioco dell'oca, risale probabilmente all'antichità preclassica. Questo spiegherebbe la mancanza di relazione fra la struttura e il risultato delle mosse, dato che non entra in gioco alcuna abilità ma unicamente il risultato del lancio dei dadi. Alcuni pensano, perciò, che l'oggetto, in quanto gioco di percorso, servisse da oracolo, un po' come nell'I-Ching cinese. Il gioco è attestato nel Medioevo, probabilmente come rappresentazione della Via Crucis o del pellegrinaggio alla Gerusalemme Celeste. Compare anche nel Rinascimento proprio come oracolo, quando si caratterizza per la simbologia di origine magica. Oggi è considerato adatto solo per i bambini. In sintesi, abbiamo una tavola illustrata con immagini significative nell'ambito di un regolamento che ci dice come utilizzare l'informazione disponibile. Forte è la tentazione di considerare le parole d'ordine dell'Internazionale (e di tutti coloro che ne applicano il metodo, coscientemente o meno) più adatte al gioco dell'oca che al wargame in quanto, quest'ultimo, lavoro non improvvisato ma progettato.